L'ADOTTATO NON HA IL DIRITTO DI OTTENERE DAL TRIBUNALE PER I MINORENNI INFORMAZIONI SULLA SUA FAMIGLIA DI ORIGINE
Pubblichiamo
integralmente l'ottimo provvedimento assunto dal Tribunale per i minorenni di
Torino in data 4 febbraio 1986.
Fatto e diritto. - 1. S.A.M. (figlia adottiva di S.S.
e C.W. a seguito di adozione ordinaria 10 maggio 1967 Corte appello di Torino e
conseguente decreto di adozione speciale 28 maggio - 3 giugno 1968 Tribunale
minorenni) ha richiesto al Tribunale «informazioni riguardo i miei veri
genitori». Non essendo ipotizzabile l'effettuazione di indagini dirette del
Tribunale al riguardo, la richiesta va intesa come autorizzazione a prendere
visione degli atti del procedimento di adozione (e, eventualmente, a trarne
copia).
Occorre dir subito che all'oggettiva delicatezza
della questione proposta, per l'intrecciarsi in essa di profili diversi in
posizione di potenziale contrasto (dall'interesse per l'adottato di avere, per
lo stesso buon esito dell'adozione, uno status familiare stabile e definitivo
al riparo anche da sue momentanee curiosità, all'opposta esigenza di
consentirgli, ove richiesta per una completa accettazione della propria
situazione, la conoscenza delle sue «radici»; dalla tutela del ruolo
genitoriale pieno degli adottanti, al rispetto di un «diritto all'oblio» o ad
essere dimenticati dai genitori naturali), si accompagna un incomprensibile
silenzio della legge che - nonostante le segnalazioni al Parlamento degli
operatori - non contiene disposizioni ad hoc né nella legge 5 giugno 1967 n.
431 (istitutiva dell'adozione speciale, applicata nel caso di specie) né nella
successiva legge 4 maggio 1983 n. 184 (contenente una più analitica disciplina
della materia). Non per questo, peraltro, può ricorrersi a decisioni
discrezionali caso per caso, in relazione alle caratteristiche specifiche
della situazione, posto che l'apparente lacuna deve essere colmata dall'interprete
- in aderenza al principio di completezza dell'ordinamento posto dall'art. 12,
secondo comma, preleggi - in sede interpretativa (estensiva o analogica o con
ricorso ai principi generali).
2. Ciò posto, va detto che un'interpretazione
sistematica dell'Istituto dell'adozione, come configurata dalle citate leggi
431/1967 e 184/1983, impone la reiezione dell'istanza della S.
Scelta fondamentale della legge 431/1967 fu; infatti,
quella - esplicitata negli artt. 314/26 e 314/28 ma presente nell'intera
normativa - di assicurare al figlio adottivo lo status di figlio legittimo, con
«cessazione dei rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine» e
ricostruzione del suo stato civile in conformità alla nuova condizione di
figlio legittimo (con conseguente rigorosa esclusione da ogni certificazione
del riferimento sia ai genitori biologici, sia alla stessa intervenuta
adozione). La scelta - profondamente innovativa rispetto all'istituto classico
dell'adozione c.d. ordinaria - fu non già indolore (aspro e prolungato fu il
dibattito parlamentare) ma univoca, come riconosciuto anche dagli avversari,
nel senso di sancire - come è stato detto - che l'adozione, «pur non
cancellando il rapporto di sangue o il fatto storico della generazione, cancella ogni effetto giuridico ad essa
conseguente». Altrettanto esplicito in questo senso è il tenore dell'art.
10 della Convenzione europea di Strasburgo del 24 aprile 1967 (ratificata
dall'Italia con legge 22 maggio 1974 n. 357), secondo cui l'adozione ha un
duplice necessario effetto, costitutivo
nei confronti della nuova famiglia ed estintivo
nei confronti della famiglia d'origine. Orbene, se questo è l'effetto dell'adozione,
ne consegue come corollario evidente la non concedibilità di autorizzazioni
(come quella richiesta) che finirebbero per accordare a situazioni di mero
fatto (come la generazione biologica) una tutela contrastante con altra
situazione non solo giuridicamente rilevante ma oggetto di specifica tutela
(come lo status di figlio legittimo).
3. Questo orientamento della legge 431/1967 trova
decisivi elementi di conferma sia nella già citata convenzione di Strasburgo 24
aprile 1967, sia in numerose disposizioni della legge 184/83 che, com'è noto,
si pone nei confronti dell'adozione speciale in posizione di perfezionamento e
completamento, offrendo, con la sua più articolata disciplina, una chiave interpretativa,
che non è improprio definire autentica, di molte questioni non assoggettate in
precedenza a specifica disciplina.
L'art. 20 n. 3 della Convenzione di Strasburgo in
particolare recita: «L'adottante e l'adottato
potranno ottenere documenti estratti dai pubblici registri attestanti il fatto,
la data ed il luogo di nascita dell'adottato, ma che non rivelino esplicitamente né l'adozione avvenuta, né l'identità
dei genitori naturali». Orbene, pur in presenza di una formulazione della
norma non priva di ambiguità (riferibile in particolare alle diverse possibili
interpretazioni del termine «potranno»), la tassatività della disposizione e
l'assimilazione dell'adottato agli adottanti (e quindi dei diritti del primo a
quelli dei secondi), non sembra lasciar dubbi in ordine al divieto anche per
l'adottato di aver accesso ad informazioni circa i suoi genitori naturali.
Analoga conclusione impone l'analisi della legge
184/1983. Essa, infatti, non solo ribadisce l'acquisizione, a seguito di
adozione, dello status di figlio legittimo con le relative conseguenze (artt.
27 e 28), ma contiene altresì specifiche disposizioni inerenti al segreto in
ordine alla procedura di adozione, rivolte sia agli ufficiali dello stato
civile (art. 28, secondo comma) sia in generale, a chiunque abbia conoscenza
per ragioni di ufficio o servizio di procedure di adozione (art. 73). Se la
disposizione dell'art. 28, secondo comma (divieto agli ufficiali dello stato
civile e dell'anagrafe di fornire, senza autorizzazione espressa dell'autorità
giudiziaria, R notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai
quali possa risultare il rapporto di adozione») non offre un contributo
decisivo ai fini della soluzione della questione in esame (costituendo in
realtà esplicitazione di un dovere già risultante dal primo comma dello stesso
art. e, in precedenza, dall'art. 314/28 correlato con l'art. 13, secondo
comma, legge stato civile), fondamentale importanza riveste invece la
disposizione dell'art. 73. Tale norma, infatti, nel dettare sanzioni penali
specifiche (in sostituzione di quella generale di cui all'art. 326 cod. pen.)
per la rivelazione di segreti di ufficio concernenti la materia dell'adozione,
precisa che oggetto del segreto sono non soltanto «le notizie atte a
rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione» (che,
formalisticamente, sono cosa diversa dalle notizie fornite all'adottato per rintracciare
i genitori naturali), ma anche, genericamente, «le notizie circa lo stato di
figlio legittimo per adozione». Orbene, il riferimento non al solo status ma altresì alle notizie che lo connotano, ha l'evidente
effetto di estendere il divieto di cui all'art. 73 ad ogni informazione circa
la fase precedente l'adozione (e, dunque anche circa l'identità dei genitori
naturali). E, d'altra parte l'assenza di specifiche indicazioni in ordine ai
destinatari del divieto fa sì che esso operi nei confronti di chiunque
(adottato compreso). L'impossibilità di escludere quest'ultimo dai destinatari
del divieto consegue, inoltre, dall'assenza nella previsione sanzionaria
specifica dell'art. 73 di una possibile «giusta causa di rivelazione»
(esistente invece nella corrispondente norma generale dell'art. 326 cod. pen.).
La non derogabilità del divieto assoluto
a fornire notizie in ordine ad un'adozione (almeno con riferimento a ipotesi
non disciplinate da diverse specifiche norme) si evince inoltre in materia
univoca dall'ultimo comma dell'articolo in esame che, nel prevedere
l'applicabilità delle disposizioni dei commi precedenti anche al caso
dell'affidamento preadottivo, subordina la punibilità alla mancanza di
autorizzazione del Tribunale per i minorenni. L'assenza di una previsione
siffatta per l'ipotesi di adozione non può, nell'ambito dello stesso contesto
normativo, significare altro che l'inderogabilità assoluta (e dunque rispetto a
chiunque) del divieto di cui si è detto.
4. La conclusione cui si è testé pervenuti non può
essere intaccata dalla considerazione, tutta processuale, della disponibilità
per le parti degli atti del procedimento ex art. 76 disp. att. cod. proc. civ.
Il richiamo di tale norma con riferimento alla questione qui esaminata è,
infatti, inconferente, sia per la sua natura specificatamente processuale
connessa con evidenti ragioni di pienezza di contraddittorio ma estranea alle
vicende sostanziali successive alla definizione del procedimento, sia per il
carattere di parte del tutto atipica assunto dall'adottato nel procedimento
relativo alla sua adozione, sia - soprattutto - per l'effetto derogatorio della
norma posteriore specifica (divieto di fornire notizie sulla procedura di
adozione definita ex leggi 431/1967 e 184/ 1983) rispetto alla disciplina
generale (ex art. 76 cit.).
5. A sostegno della possibilità per l'adottato -
almeno dopo il raggiungimento della maggiore età - di «conoscere le sue
origini» (ritenuta peraltro, soccombente sotto il profilo psicologico - almeno
secondo l'orientamento più diffuso tra gli operatori - rispetto all'esigenza
di assicurare «stabilità» alla condizione adottiva) si é fatto da taluno
diretto richiamo all'art. 30 ultimo comma Cost., contenente la previsione
espressa di una «ricerca della paternità». Una attenta lettura del citato art.
30 smentisce peraltro, in radice, l'esattezza del richiamo. Non solo, infatti,
lo stesso ultimo comma prevede - che la ricerca della paternità avvenga con «i
limiti» previsti dalla legge, ma il precedente secondo comma prevede la
sostituzione (ovviamente realizzata in via temporanea o definitiva) dei
genitori incapaci, sì da rendere costituzionalmente corretta - secondo il
ripetuto insegnamento della Corte costituzionale - la struttura dell'adozione
ex leggi 431/1967 e 184/1983 come fonte di «filiazione legittima», escludente
in via definitiva ogni rapporto con i genitori biologici.
Ma vi è di più. Sotto il profilo dell'esigenza di «conoscere
le proprie origini», la condizione di figlio adottivo non differisce da quella
dei figli c.d. «illegittimi» o non riconosciuti dai genitori. Orbene, con
riferimento a questi ultimi l'art. 9 R.D.L. 8 maggio 1927 n. 798 (relativo
all'«ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi
abbandonati o esposti all'abbandono»), dopo aver previsto che l'istituto di
pubblica assistenza richiesto del ricovero di un illegittimo doveva «compiere
riservate indagini per accertarne la madre», a fini sanitari, con obbligo per
ostetrica e medico intervenuti di fornire le notizie richieste, disponeva «rigoroso
divieto - con previsione in caso di violazione di sanzioni penali - di
rivelare l'esito delle indagini compiute per accertare la maternità degli
illegittimi». E la Corte costituzionale, con sentenza n. 207 del luglio 1975,
ha respinto un'eccezione di illegittimità costituzionale della norma per
contrasto con l'art. 30 ultimo comma Cost., espressamente osservando che l'accertamento
della paternità/maternità può soccombere rispetto ad altri beni pure
costituzionalmente tutelati (nella specie, una più adeguata tutela sotto il
profilo assistenziale e sanitario dell'infante, esperibile coinvolgendo la
madre non intenzionata a riconoscere solo con garanzia dell'anonimato anche a
distanza di tempo e nei confronti di chiunque, compreso il figlio che
promuova giudizio per dichiarazione di maternità naturale). Del tutto evidente
è la trasferibilità dell'argomentazione alla fattispecie dell'adozione, dove
la soccombenza dell'accertamento della paternità/maternità naturale rispetto
ad un progetto affettivo-educativo che dia al minore abbandonato status di
figlio legittimo anche giuridicamente tutelato, è ancora più eclatante e dove
- come è stato acutamente osservato - «la cancellazione degli effetti giuridici
della generazione biologica è tanto più accettabile e giustificata (provenendo
da disposizione di legge che si presenta come rimedio ed aiuto per i figli
minori abbandonati) di quanto non lo sia se è conseguente a mancato riconoscimento
da parte dei procreatori».
6. Sotto tutti i profili considerati, come si è
visto, l'obbligo del segreto in merito alle vicende dell'adozione ed ai suoi
presupposti risulta inderogabile anche nei confronti dell'adottato. Ne
consegue la reiezione dell'istanza di S.A.
www.fondazionepromozionesociale.it