Notiziario dell'Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie
INDAGINE
SULL'IMMAGINE DELL'INFANZIA ABBANDONATA E DELL'ADOZIONE
La sezione di Trieste dell'ANFAA, in occasione del
convegno, sul tema «La difficile definizione dello stato d'abbandono» tenutosi
a Trieste nel novembre '87, ha esposto i risultati di un'indagine
sull'immagine dell'infanzia abbandonata affidata alla SWG e condotta su un
campione rappresentativo degli abitanti di Trieste, selezionato per quote, di
1000 soggetti.
Le variabili di cui si è tenuto conto sono state
sesso, età, scolarità e professione (per queste ultime due è stata accettata la
suddivisione imposta dalla casualità adottata nella ricerca dei soggetti
campione). L'alto numero di ultrasessantenni presenti in esso trova
corrispondenza nella tipicità della situazione della città, caratterizzata da
un fortissimo cala demografico e da una notevole presenza di anziani. Tale
fatto, per inciso, tende a focalizzare l'attenzione dell'assistenza sul
problema anziani, mentre quello dei minori corre il rischio di assumere minore
importanza.
Che cosa ci ha spinto a tentare l'esperienza, -per
noi nuova, di questo tipo di indagine? Non la riteniamo certo sostitutiva di
altri tipi di rilevazione ufficiale che diano il quadro delle dimensioni del
fenomeno dell'abbandono e del ricorso all'istituzionalizzazione (quella voluta
dalla Regione Friuli-Venezia Giulia riporta la situazione del 1982 e non è
stata mai aggiornata né integrata; inoltre ad essa non è mai stata data pubblicità
significativa).
L'abbiamo voluta per verificare un'ipotesi, una
certezza e un dubbio.
L'ipotesi: è vero quanto andiamo dicendo da anni,
cioè che dei problemi di cui ci occupiamo la gente, mediamente, sa molto poco?
La certezza: la famiglia è il luogo privilegiato per
una crescita equilibrata del bambino. Questa indicazione è entrata nella
mentalità comune? Fino a che punto?
Il dubbio: esistono ancora dei pregiudizi relativi
all'adozione; in particolare sopravvive ancora quello che fu uno dei più grossi
ostacoli iniziali alla sua diffusione, cioè il mito del «legame del sangue»?
L'informazione
A Trieste, sostanzialmente, 4 persone su 10 non sanno
individuare i soggetti istituzionalmente incaricati di occuparsi dei bambini
in condizioni di abbandono.
Solo una quota di poco superiore al 20% degli intervistati
individua nella Provincia e nel Tribunale i soggetti che devono farsi carico
dell'assistenza e della soluzione dei problemi dei minori.
Un cittadino su tre non sa indicare chi effettivamente
se ne occupi: un ruolo prioritario, viene assegnato agli istituti religiosi e
privati, seguiti dalla Provincia e, con un certo distacco, dalle famiglie
adottive. Se però consideriamo che circa 4 intervistati su 10 sanno che a
Trieste esistono degli istituti, e che la quota scende al 20% in relazione
all'esistenza di istituti in ambita regionale, ci accorgiamo che, in realtà,
la conoscenza è frammentata; essa si affievolisce ulteriormente fra i
soggetti con più basso profilo scolare e fra i giovani. Il grado di
disinformazione è confermato dall'alta percentuale (66%) di soggetti che
affermano di non aver mai conosciuto bambini in stato, di abbandono. Tale
quota sale al 75% tra i giovani con meno di 25 anni. Questo dato, tuttavia,
potrebbe essere spiegato con il calo oggettivo del fenomeno in questi ultimi
anni.
Rispetto alla domanda che chiede una valutazione
quantitativa dei minori abbandonati (a parte la complessità del termine
abbandono) è interessante sia la sottovalutazione del fenomeno (per il 25,1% sono
meno di 20 i bambini abbandonati, quindi il problema ha dimensioni irrilevanti
numericamente) che la sopravalutazione (il 4,1% pensa che siano più di 500). In
realtà, secondo dati del 1986 i minori assistiti dalla Provincia sono circa
900 di cui 102 in istituto e 27 in affidamento; ci sono poi minori collocati in
istituto dai parenti (circa 40).
Il giudizio sugli enti che emerge dalle risposte
all'ultima domanda è pesantemente negativo: solo il 4,9% degli intervistati
ritiene che essi facciano molto per la tutela dei minori abbandonati. Questa
valutazione, se si accompagna ai dati relativi all'informazione sulle
competenze istituzionali degli enti, può essere inquadrata in una sfiducia di
fondo sulle capacità operative delle istituzioni in genere, atteggiamento
abbastanza diffuso in questa città. Al di là di questo tipo di considerazione,
è confermata la nostra ipotesi iniziale, e cioè che su questo tipo di problema
l'informazione corretta e precisa sia molto carente. Che ciò si sia verificato
anche per l'incrocio delle competenze assistenziali (ancor oggi si parla di ex
ONMI, ex ENAOLI ecc.) non cambia la sostanziale esigenza di attivare forme
nuove e incisive di pubblicizzazione.
Presupposti e soluzioni all'abbandono
Tra i
fattori considerati a rischio per la crescita equilibrata del bambino, quelli
legati alla rottura e all'incrinatura dell'unità familiare sono prevalenti. Di
per sé la non coesione familiare viene recepita come il più elevato fattore di
rischio.
Molto significativo il fatto che il 15,3% degli
intervistati veda anche nell'istituto o collegio un fattore in grado di
influenzare negativamente la crescita del bambino; del resto solo l'1,7% vede
in esso una soluzione all'abbandono. Il 53,5% ritiene inoltre che un bambino
cresciuto in istituto avrà dei problemi da grande (cosa che non si verificherà
se adottato in tenera età: sarà infatti come tutti gli altri per l'82,0%). La
nostra certezza, quindi, la stessa contenuta nella legge sulla adozione e
l'affidamento e cioè che ogni minore ha diritto a vivere nella propria
famiglia, trova riscontro nell'opinione pubblica.
L'immagine dell'istituto come luogo adatto alla
crescita è profondamente mutata nella mentalità, e si tratta di una
constatazione importante, risultata del lavoro di molti di questi anni.
Le forme di pregiudizio sull'adozione
A conferma
di quanto ci sia ancora di contraddittorio nel modo di pensare comune, il
nostro dubbio relativo a possibili pregiudizi persistenti intorno all'adozione
è stato, in parte, confermato. Infatti solo 4 persone su 10 affermano che tra
genitori adottivi e bambino adottato possa crearsi un legame del tutto analogo
a quello esistente tra genitori e figli procreati. Circa il 20% si pone su una
posizione di «ragionevole» dubbio. Come mai? Il vecchio discorso dei legami di
sangue, con tutte le implicazioni a livello personale che esso comporta, sembra
avere un notevole livello di persistenza (64,1%). La domanda successiva vuole
andare a un'ulteriore verifica relativa alla trasmissione genetica di tratti
prevalenti del carattere: ben il 75,3% è d'accordo. A titolo esemplificativo
valga l'osservazione ricorrente registrata a margine delle risposte
affermative: «con la genetica non si scherza; è una cosa seria!».
Per spiegare queste posizioni non possiamo
dimenticare le ricadute in termini equivoci di certe dissertazioni psicologiche
divulgative, con i discorsi su indole e carattere e così via, nonché il
frequentissimo ricorrere di frasi come «è mite, aggressivo, generoso come suo
padre o sua madre».
Non possiamo dire che la constatazione di questo tipo
di pregiudizi ci colga dì sorpresa; basti pensare che fino a non molti anni fa
nelle sentenze dei tribunali si menzionava ancora la priorità del legame del
sangue sui diritti del minore. Tuttavia questo fattore non incide in modo
decisivo sulla disponibilità all'adozione: infatti alla domanda finale: «Ha mai
pensato di adottare un bambino?», risponde affermativamente il 35% degli
intervistati. Si tratta di una percentuale che, a nostro giudizio, conferma
l'esistenza di un alto potenziale di sensibilità e maturità rispetto al tema
proposto, specie se letta in parallelo con le risposte date ad altre domande,
sebbene, vi sia, contemporaneamente, il dato dell'«ignoranza» del contesto
socio-istituzionale in cui il fenomeno dei minori abbandonati si colloca.
Questi due dati in contraddizione fanno rilevare che, in assenza di una
continuata strategia comunicativa e di tematizzazione in cui il ruolo dei
mass-media è decisivo, c'è il rischio di un graduale processo di
desensibilizzazione di aree cospicue dell'opinione pubblica e quindi di una
stagnazione o di un riflusso su certi temi che sarebbe molto pericoloso dare
per scontati. Il rischio di un calo di tensione sui problemi dei minori in
abbandono o comunque in situazioni di difficoltà va sempre tenuto presente, e
con esso il rischio che, a fronte di una riduzione numerica provocata anche dal
calo demografico, la situazione dei bambini in abbandono ricoverati negli
istituti, in un certo senso «passi di moda».
SILVIA CASSANO
www.fondazionepromozionesociale.it