UN CONVEGNO EUROPEO
MULTIDISCIPLINARE PER I MALATI INGUARIBILI
GIORGIO DI MOLA (*)
Dal 23 al 25 aprile si sono svolti all'Università
statale di Milano i lavori del primo Congresso europeo sulle «Cure palliative»,
organizzato dalla Fondazione Floriani, che ha visto la partecipazione di oltre
cinquanta relatori, in sei sessioni e dodici seminari concomitanti.
Al convegno hanno aderito più di cinquecento
congressisti, provenienti da ogni parte del mondo, i quali hanno dato
testimonianza dell'interesse che questa disciplina, la «medicina palliativa»,
sta suscitando non solo in campo clinico-assistenziale, ma anche a livelli di
cultura più generale.
È stato inoltre presentato l'unico testo esistente
per ora in Italia sull'argomento, che raccoglie i contributi e le esperienze
non solo dei medici e infermieri addetti ai servizi di terapia del dolore e
cure palliative del nostro paese, ma anche riflessioni filosofiche,
psicologiche, giuridiche su argomenti come la morte, l'eutanasia, l'accompagnamento
spirituale ecc. («Cure palliative -
Approccio multidisciplinare alle malattie inguaribili», a cura di Giorgio
Di Mola, Masson Italia edizioni, Milano, 1988).
Una filosofia medico-assistenziale
Ciò che è emerso dal convegno, ciò che è stato
chiarito e maggiormente puntualizzato, per chi pensava che «medicina
palliativa» potesse essere considerata un'ulteriore specialità (nel marasma dei
l'iperspecializzazione), è l'approccio totale, multidisciplinare, «olistico»,
di una disciplina molto più simile ad una forma di pensiero filosofico, che
non ad una «tecnica».
La medicina palliativa affonda le radici nelle più
antiche e sperimentate forme di solidarietà, in parte perse con l'inurbamento e
l'avanzare della società tecnocratico-industriale e risponde ai dettati deontologici
e morali dell'arte medica più tradizionale, che considera non solo la malattia,
ma l'uomo malato, dando importanza tanto ai sintomi fisici quanto al «patire»
della psiche e dello spirito.
La «palliazione» ha ritrovato oggi un modo «moderno»
di essere, attraverso la spinta innovativa del «Movimento Hospice», di matrice anglosassone, portando la
filosofia dell'assistenza totale e continuativa a tutti i malati morenti in ogni
ambito sanitario. Come poi ha affermato nella lezione magistrale introduttiva
Balfour Mount, direttore del «Palliative
Care Service» del Royal Victoria Hospital di Montreal (pioniere dei servizi
di cure palliative), anche i più moderni studi di neurofisiologia e
psiconeuroimmunologia «hanno dimostrato la necessità di considerare la persona
nel suo complesso, se si vuole ottenere il massimo dal nostro impegno
curativo...», dando così anche spessore scientifico ai principi sostenuti dalla
medicina palliativa.
La sofferenza e l'etica
La prima giornata di lavori è stata dedicata a
tematiche ancora molto trascurate dalla medicina moderna e che riguardano
problemi che ogni essere umano (il medico in prima persona) si trova ad
affrontare ai limiti della malattia e della vita, come i problemi relativi alle
scelte, per esempio, su ciò che è bene in assoluto e per il malato in
particolare e ciò che invece è dannoso o riprovevole nei comportamenti dei
curanti.
Ne ha parlato con grande chiarezza e professionalità
Raanan Gillon, direttore sanitario dell'Imperial
College of Science and Technology di
Londra, chairman anche del seminario
su «Il problema etico e l'eutanasia», mettendo in luce alcuni punti nodali,
come l'importanza della comunicazione più corretta e completa al malato, il
diritto ad una scelta negli approcci terapeutici, il dovere di rispettare
l'autodeterminazione. A proposito di eutanasia sono emerse tre tendenze: una
prima, relativa ad una morale più strettamente «religiosa», sostenuta da
Cattorini (medico consulente in scienze umanistiche all'Ospedale S. Raffaele
di Milano), che si oppone rigidamente a qualsiasi atto che possa far
sospettare di abbreviare o interrompere la vita, ammettendo tuttavia la
possibilità che, soprattutto per lenire dei dolori o sofferenze difficilmente
controllabili, si debba far ricorso a dosi tali di analgesici da levare la
coscienza al paziente. Cattorini sostiene che questa evenienza possa considerarsi
legittima solo comprendendo comunque anche la consensualità del malato. La
seconda tendenza, più possibilista, è stata espressa dal prof. Ricca, pastore
valdese, il quale si è pronunciato decisamente contro le proposte di legalizzazione
di eutanasia, affermando che l'eutanasia va considerata una «possibilità etica»
reale e che quindi «ciò che è già moralmente legittimo, non richiede
legittimazione giuridica». «Una possibilità etica., ha detto Ricca, «non può
essere condotta a norma, ma ad una sorta di "clima" di intensa
comunicazione, per cui si possa configurare come intervento dialogico
eccezionale, perché eccezionali sono le condizioni che lo richiedono».
L'ultima tendenza è quella della posizione più «interventista», rappresentata
dal medico olandese Cohen, il quale ha dichiarato che nel suo Paese almeno il
3% o il 4% delle morti avviene per «eutanasia attiva». Convinto che la stessa
percentuale si rileverebbe anche nel nostro Paese (se i medici avessero il
coraggio di dirlo...) ha sgomberato il campo da tutte le definizioni di
eutanasia, chiamandola: «un intervento compiuto attivamente dal medico per
prendere intenzionalmente la vita di una persona, con il consenso della
persona stessa» dopo che - secondo lo stesso olandese - sia stato fatto tutto
per dissuaderla e lenire le sue sofferenze. Resta da capire cosa sia e cosa
comprenda questo «aver fatto tutto» e secondo quali modalità venga attuato.
Durante il dibattito R. Twycross, direttore del Churchill Hospital di Oxford, ha ricordato che una cura palliativa
dà ai pazienti la possibilità di vivere gli ultimi giorni senza sofferenze e
circondati da rapporti umani che danno valore e senso alla loro condizione:
perciò nessuno chiede che la sua vita venga interrotta e l'eutanasia (in
questo senso) è inconciliabile con una corretta medicina palliativa.
Nella stessa giornata si è svolto il seminario
dedicato alle patologie che necessitano cure palliative, al centro del quale
erano la comunicazione del Prof. Moroni sulle problematiche dell'AIDS e quella
sulla sclerosi multipla del Prof. Canal (si è ovviamente messo l'accento su patologie
terminali «altre» dal cancro) ed i seminari sulla sofferenza e la
comunicazione con il paziente inguaribile.
Nel seminario sulla sofferenza, il tema è stato
affrontato negli aspetti filosofici, culturali, religiosi, antropologici (è
mancato l'intervento preannunciato su «La sofferenza nell'arte», per una
indisposizione del prof. Procacci) senza mettere al centro, volutamente,
l'aspetto del dolore fisico. La sofferenza, si è detto, sta perdendo sempre
più spazio nello scenario costruito dalla cultura occidentale, ossessivamente
occupato dalla preoccupazione di garantire una vita di piacere, di
efficienza, escludendo il dolore e la morte dai progetti naturali. Le
conseguenze sono state discusse nel secondo seminario, su «La comunicazione al
paziente inguaribile», con Sandro Spinsanti, docente di etica e direttore del
Dipartimento di scienze umane dell'Ospedale Fatebenefratelli di Roma.
Si è parlato di qualità di vita (M. Tamburini) in
rapporto ai messaggi che trasmette il malato e ciò che la nostra cultura è
capace di ricevere e restituirgli (per esempio nella comunicazione della
verità: su 48 pazienti 16 conoscevano la verità, 20 ne avevano solo una vaga
idea e 12 non erano assolutamente consapevoli delle loro condizioni). La
qualità di vita è correlata al grado di consapevolezza, è stato concluso, ed è
migliore nei pazienti consapevoli. Si è parlato di «medicina umana» (S.
Spinsanti: «... non è quella che fornisce una maggiore quantità di "buoni
sentimenti", ma quella che è capace di rispettare le diverse esigenze
della persona, considerata in quanto più ricca e differenziata in senso antropologico
...») e di aspetti medico-legali (R. Pozzato: il paziente può rifiutare delle
terapie che prolunghino la sua vita e le sue sofferenze, se questo rifiuto è
«libero» e derivato dal consenso, attraverso una completa informazione da
parte del medico...). John Hinton, docente di psichiatria e autore di un
famosissimo saggio sul morire, «Dying»,
ha riferito sull'esperienza dell'«Hospice
Home Care»: l'assistenza domiciliare, come una possibilità di orientare in
modo più proficuo la comunione con il paziente morente. Infine Helmut
Zielinski, riprendendo in parte il tema di Tamburini, ha messo in luce come la
comunicazione con il paziente morente possa essere efficace solo se,
verbalmente, riusciamo a trovare i termini che quel tipo di malato, ed in
quelle particolari circostanze, è capace di comprendere. Ha sottolineato
inoltre che su 100 pazienti che muoiono in un ospedale, solo 25 non sono
completamente orientati nel tempo e nello spazio nelle ultime ore di vita e
molti riescono ad essere nel pieno delle loro facoltà comunicative sino a 15
minuti prima della morte.
I ruoli e l'approccio sintomatico
La seconda giornata del congresso, di contenuto più
«tecnico», è stata dedicata al trattamento dei sintomi, soprattutto del dolore
(con particolare riguardo al dolore da cancro) ed alla funzione che i vari
operatori svolgono nell'ambito del lavoro interdisciplinare d'équipe. È stato
ricordato come ancora oggi più di un terzo dei pazienti che lamentano forti
dolori per l'evoluzione del cancro siano destinati a morire nella sofferenza.
È ancora diffusa l'ignoranza sull'uso delle più corrette tecniche analgesiche
e i falsi miti sull'utilizzazione degli oppiodi e sulle capacità illimitate della
tecnica sono duri a cadere nel mondo medico. Vittorio Ventafridda, chairman del comitato scientifico del
congresso e del seminario «I sintomi: controllo del dolore», ha ricordato che
la stessa Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato previsioni
allarmanti sulla diffusione del cancro per gli anni 2000 (il numero di
pazienti ammalati e conseguentemente inguaribili è destinato ad aumentare) e
ha presentato un lavoro dell'OMS, recentemente tradotto in italiano, destinato
ad essere distribuito gratuitamente a più di 70.000 medici. (Dolore è cancro, Organizzazione
mondiale della sanità, Ginevra).
Ma si è parlato anche di nausea e vomito, sintomi
spessissimo correlati con le terapie concomitanti, causali o no; di sindromi
dispeptiche ed intestinali, tra le più frequenti cause di disagio e sofferenza
nei malati terminali; di igiene delle mucose e del cavo orale (è stato sottolineato
che spesso la comunicazione con il paziente è resa difficoltosa prima di tutto
dalle condizioni della sua bocca: lingua secca e desquamata, labbra
fissurate, alitosi, denti malati, micosi ecc.); si è parlato di piaghe da
decubito e di fisioterapia, dell'alimentazione più corretta e di come
presentare i cibi perché risultino più appetitosi.
Molti di questi temi sono stati ripresi dai diversi
operatori che si sono succeduti nel seminario dedicato alla definizione dei
ruoli (il medico, lo psicologo, l'assistente sociale, l'assistente spirituale,
l'infermiera). Del tutto originale l'intervento di S. Porchet Munro,
musicoterapeuta, che ha sottolineato l'importanza dell'evento musicale, come
uno degli strumenti principali e più efficaci nella comunicazione e nella
terapia «diversionale», soprattutto nel trattamento dei pazienti con dolore e
senza speranze di guarigione.
Il morire, la morte, il lutto
Il convegno si è concluso con le lezioni magistrali
di due tra i più autorevoli e famosi esperti di dinamiche psicologiche e
sociali relative alla morte, al lutto ed al cordoglio: Elisabeth Kubler-Ross e
Colin Murray Parkes.
La Kubler-Ross ha sensibilizzato l'uditorio con
un'accattivante carrellata su eventi personali e situazioni incontrate durante
la sua trentennale esperienza con i malati morenti. La psichiatra svizzera ha
sottolineato l'importanza dell'universo fisico, psicologico e spirituale del
malato morente, affermando che lo scopo ultimo è quello di raggiungere il suo
«spirito» e indicando, tra i mezzi che passano attraverso il linguaggio simbolica,
il disegno come uno degli strumenti espressivi più semplici ed utili per
comprendere le esigenze dei pazienti. Ha messo l'accento sulla condizione del
bambino che muore, particolarmente grave oggi negli Stati Uniti, dove migliaia
di bambini affetti da AIDS causano gravissimi problemi, soprattutto alle madri evitate
ed isolate dalla società. «Non si nasce, ha detto la K. Ross, con la paura
della morte». Il bambino non ha paura della morte e questa sua capacità di «non
morire» nella paura, può essere di aiuto e di esempio anche per l'adulto
morente. Un aneddoto, tra i tanti, è servito alla K. Ross per dare idea della
visione della morte nei bambini: molti bambini ebrei nei campi di
concentramento nazisti prima di morire lasciavano sui muri delle camerate
graffiti a forma di farfalla. Secondo l'autrice questa è una commovente
testimonianza dell'unico modo che a loro era rimasto di comunicare la propria
morte: frutto di un bozzolo che contiene una vita che se ne va via.
Il prof. Parkes, che ha anche moderato il seminario
sul lutto ed il cordoglio, ha messo in luce l'incapacità di saper vivere oggi
l'esperienza luttuosa (diventata quasi norma sociale) elaborando le fasi di
dolore in senso positivo, per riacquistare il valore della vita. La reazione
dolorosa alla perdita viene affrontata invece in modo negativo, prolungando quella
fase di «addormentamento» (così l'ha definita Parkes) che è fisiologicamente
destinata a presentare le più precoci difese nei confronti di un evento tanto
sconvolgente. Viene meno una solidarietà, di cui oggi è urgente ritrovare il profondo
significato sociale e preventivo, soprattutto nei confronti delle patologie
dei vedovi. Quando si perde qualcuno che si ama, ha detto Parkes, sembra che il
mondo diventi pericoloso: ci si aspetta che un disastro capiti anche a noi.
Molti si chiedono se il dolore che avvertono potrà mai avere fine; altri hanno
invece quasi paura di poter dimenticare. I rischi maggiori di morte, constatati
nei primi anni del lutto, hanno trovato conferma clinica anche in esami
ematochimici, che hanno dimostrato un abbassamento dei sistemi immunitari e
linfocitari, statisticamente significativi nelle persone addolorate per la
perdita di una persona cara. Parkes ha ricordato perciò quanto sia importante
preparare le famiglie, i parenti, nella fase anticipatoria, più che nel
post-mortem quando, per una sorta di pudore, la famiglia non sembra gradire
l'intrusione di estranei nel suo lutto. Ha infine sottolineato che anche i
consulenti possono soffrire dello stesso dolore che soffre chi è in lutto. Per
Parkes si sta sviluppando una ritualità nuova, riscontrabile in alcune forme
spontanee di solidarietà, che nascono spesso da contesti extrafamiliari. A
questo proposito il dr. Rapin (responsabile di un grande centro geriatrico e
per le cure palliative nei pressi di Ginevra) ha esposto un'alternativa
«medicalizzata» della ritualità: nel suo centro intorno al parente morto si
svolge e può avvenire tutto ciò che all'esterno viene rifiutato o dimenticato.
I parenti possono star vicino al morto, partecipare alla sua vestizione,
vegliarlo nella stessa stanza ecc.
Conclusioni
Il prof. Ventafridda, nella cerimonia di chiusura
del congresso, ha riaffermato la dignità della medicina palliativa, come
disciplina e filosofia indispensabile in campo sanitario per dare concreto significato
agli attributi di umanitarietà necessari alla cura. La cura palliativa, ha
detto Ventafridda, non è solo quell'atteggiamento umanitario e caritatevole,
che ha caratterizzato molte note opere benefiche, ma ha dimostrato di essere
un'autentica scienza di approccio sintomatico a tutte le manifestazioni di
disagio dell'essere sofferente. Ventafridda ha infine raccomandato, secondo le
indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, che ogni medico, in
qualsiasi paese si faccia portavoce e fautore di questo atteggiamento curativo
ed assistenziale, al quale, come sta già avvenendo nei Paesi anglosassoni,
dovrà affiancarsi l'appoggio ufficiale delle istituzioni pubbliche.
I lavori sono stati chiusi dall'ing. Virgilio Floriani,
presidente della «Fondazione Floriani», che per prima in Italia ha dimostrato
come si possano praticamente attuare delle cure palliative, assistendo sino
alla morte centinaia di pazienti nelle loro abitazioni.
* * *
Riportiamo qui di seguito la risoluzione consensuale
e le raccomandazioni che verranno inviate all'Organizzazione mondiale della
sanità, al Ministero della sanità italiana e al Dipartimento della sanità della
Comunità europea.
RISOLUZIONE
CONSENSUALE DEL CONGRESSO EUROPEO DI CURE PALLIATIVE
Presupposti
1 - Con il termine «Cure palliative» si intende il
controllo delle sofferenze fisiche, emozionali, sociali e spirituali della
persona inguaribile fino all'ultimo istante di vita.
2 - Le cure palliative sono un problema negletto ma
importante.
3 - Nel prossimo futuro, secondo le previsioni della
Organizzazione mondiale della sanità, tale problema diventerà preminente
perché:
- la popolazione anziana raddoppierà e quella
giovane si dimezzerà;
- malgrado i notevoli sforzi e progressi, il numero
di malati di cancro è destinato ad aumentare in modo significativo. A questa
patologia si aggiungerà quella progressiva dell'AIDS, dei casi terminali di
sclerosi multipla e di quelli cardiorespiratori.
4 - Anche con la più sofisticata tecnologia in queste
patologie, l'aspettativa di prolungamento di vita è marginale, ma la qualità di
vita potrà significativamente migliorare, dando maggior enfasi alle cure
palliative.
Raccomandazioni
1 - L'atteggiamento negativo esistente verso le cure
palliative deve essere cambiato.
2 - Si deve svolgere un'educazione di routine a tutti
i livelli sulla filosofia e le metodologie delle cure palliative.
3 - È necessario che ogni governo della Comunità
europea segua l'esempio del Ministero degli affari sociali francese, emettendo
un documento sull'istituzione delle cure palliative, a livello delle strutture
sanitarie esistenti.
4 - Bisogna ridistribuire in modo più adeguato le
risorse sanitarie verso le cure palliative, avendo come obiettivo nella
politica sanitaria, il miglioramento della qualità di vita dei pazienti terminali
di malattie inguaribili.
(*) Vice Direttore scientifico della
Fondazione Floriani e Coordinatore scientifico della Società Italiana Cure
Palliative (Vicolo Fiori 2, Milano).
www.fondazionepromozionesociale.it