Prospettive assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988

 

 

Notizie

 

 

TRE INCONTRI SUL PROBLEMA DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI

 

1. Università Cattolica del Sacro Cuore - Centro studi e ricerche sulla famiglia - Giornata di studio: «Anziani, famiglie e reti di supporto», Milano, 21 maggio 1988.

 

Asse portante dell'incontro è stata la presentazione commentata dei dati emersi da una ricerca condotta nel 1986/87 per conto dell'Assesso­rato all'assistenza del Comune di Milano.

L'ipotesi consisteva nel verificare l'esistenza (o viceversa l'assenza) di una rete valida di sup­porti familiari, molto solidali, nonostante il detto comune che segna in modo negativo i rapporti genitori-figli in questa epoca, in questa società. E più precisamente che casa si intende per obbligo filiale; cosa si aspettano i genitori anziani dai figli e cosa pensano i figli.

La realtà - a quanto detto dai ricercatori - ha dimostrato ampiamente l'ipotesi, per cui è risul­tato che i genitori anziani ricercano i figli, in par­ticolare le figlie femmine, e si attendono da loro sostegno nel momento del bisogno. I figli, d'altro canto, anche quando sono lontani, nel momento della malattia del genitore anziano, ritornano alla famiglia, creano una rete appunto di supporto ta­le che l'intervento dei servizi sociali di territorio è vissuto come elemento importante, ma non fon­damentale. Anzi, si concludeva, c'è la tendenza a volersene disfare nel più breve tempo possibile, preferendo di gran lunga l'intervento organizzato tra i familiari, che, sempre a detta del ricercato­re, in fondo hanno bisogno di un «cantastorie» che li aiuti a superare i primi momenti brutti dell'impatto con la malattia del genitore.

Potremo concludere a questo punto che i ser­vizi assistenziali e sanitari sono più che idonei a rispondere e a soddisfare al bisogno dei cittadini, per lo meno quelli del Comune di Milano. Ne sa­remmo tutti lieti. Purtroppo, non è così. Il cam­pione scelto per la ricerca non è soltanto casua­le, ma mirato e presentava le seguenti caratteri­stiche:

- persone anziane tra i 50-60 anni, massimo 65;

- con figli ancora in attività lavorativa e nipoti;

- pressoché tutti proprietari dell'abitazione in cui vivevano e, in ogni caso, non in situazioni in­digenti.

È stata obiettato - come è risultato nel dibat­tito brevissimo accordato ai presenti - che è abbastanza facile non avere bisogno dell'assisten­za del Comune, quando ci si trova in condizioni di partenza così vantaggiose. Diversa è infatti l'esigenza delle persone anziane di 75-90 anni, spesso sole o con congiunti o familiari già a loro volta anziani, che non possono (anche volendo) garantire tutta l'assistenza di cui necessitano in caso di malattia acuta e spesso cronica. Questi casi, che necessitano di interventi sanitari, oltre che - occorrendo - assistenziali, non sono però stati presi in considerazione dai ricercatori.

Essi hanno scelto volutamente quel campione di persone, proprio per sottolineare come, a de­terminate condizioni, la famiglia sia in grado di dare risposte globali alla persona anziana ammalata. Il problema è però quello di capire, invece, come può intervenire l'Ente pubblico per aiutare tutte le famiglie (quindi anche quelle meno agia­te), che vogliono occuparsi dei loro parenti anzia­ni ammalati.

Purtroppo l'intervento dell’avv. Zola, Assesso­re all'assistenza del Comune di Milano, non aven­do partecipato al dibattito del mattino, non ha colto questo messaggio di rivalutazione della fa­miglia come luogo privilegiato e indiscusso di benessere (affettivo, psicologico, fisico) per la persona anziana, specialmente quando è amma­lata. Egli ha così presentato un progetto (già ap­provato) che vede l'intervento del Comune diret­to a costruire decine di «case protette», ciascuna per «soli» 150 posti, con l'espulsione pertanto dell'anziano dalla sua famiglia, dal suo ambiente di vita, dalle sue abitudini, dalla possibilità di fruire della eventuale rete di supporto che i fa­miliari potrebbero dare, se aiutati. D'altronde an­che in un'altra sede (Convegno della Democrazia Cristiana del 6-7/2/88) egli aveva dichiarato co­me non si possa certamente sperperare quel pa­trimonio immensa di strutture presente in Lom­bardia, rappresentato da quelli che un tempo era­no i ricoveri per minori abbandonati (oggi svuo­tati per la massima parte, grazie alla legge sulla adozione speciale del 1967 e alla più recente leg­ge n. 184/83 sull'adozione e l'affidamento fami­liare), oggi facilmente recuperabile con una ri­strutturazione «intelligente» per dare ospitalità alle persone anziane che sono la realtà emer­gente.

Vien fatto di concludere che, o si è discreta­mente ricchi, attorniati da figli premurosi, o, co­me unica soluzione per chi si trova in condizioni non proprio agiate e senza parenti (che è poi la situazione di una grossa fetta della popolazione anziana) deve sapersi accontentare delle case protette.

Fortunatamente i dati presentati dal dott. Lan­zetti, sociologo, sempre nel pomeriggio, hanno smentito clamorosamente la validità della casa protetta come risposta alla domanda dell'anziano. Egli ha raccontato che, dovendo ristrutturare l'in­fermeria di Carrù (Cuneo) per adibirla a più fun­zioni (comunità alloggio, mini-appartamenti, re­parti per lungodegentì), gli anziani siano stati sistemati temporaneamente in appartamenti spar­si per il territorio circostante. Dopo un breve pe­riodo sono state riscontrate numerose lagnanze... da parte del personale: che non aveva più orari precisi, che doveva spostarsi... Gli anziani, inve­ce, erano felici e contenti, perché si sentivano a casa propria.

Non sono necessari altri commenti per com­prendere che cosa si debba fare, come ammini­stratori, per stare veramente dalla parte della gente.

 

2. Unità socio-sanitaria locale n. 35 e Casa di Ri­poso «Villa Serena», Convegno sul tema: «An­ziani e servizi», Pontaglio (BS), 13 giugno '88.

 

Anche questo incontro ha preso spunto dai dati ricavati da una ricerca condotta, in questo caso, nelle case di riposo dell'Usl 35 di Palazzolo sull'Oglio, Brescia.

L'ipotesi da verificare, ha detto il dott. Giumel­Ii, coordinatore della ricerca, era la seguente: i servizi territoriali sono in grado di incidere posi­tivamente per favorire la permanenza dell'anziano autosufficiente nella propria casa? Se ciò è vero, i ricoveri devono diminuire.

Il dato che emerge in modo molto netto è che l'anziano chiede il ricovero perché non si sente sufficientemente garantito a casa. Mancano alter­native vere e cioè interventi sociali (casa, pen­sioni adeguate, aiuti domiciliari...) che siano real­mente efficienti e, quindi, capaci di risposte ido­nee. Essi vorrebbero uscire, ma sanno che non hanno soluzioni. È evidente che i diritti degli an­ziani, primo fra tutti quello di decidere dove sta­re, comporta - ha detto Giumelli - doveri pre­cisi per gli amministratori.

Purtroppo, mentre nella mattinata gli interventi avevano sottolineato le esperienze positive con­dotte in altre città (Torino, Modena,...) per pro­muovere e favorire la permanenza dell'anziano nella propria casa, anche nel caso degli anziani ammalati (ospedalizzazione a domicilio), gli as­sessori all'assistenza e sanità della Regione Lom­bardia, presenti tra l'altro salo per il tempo ne­cessario al loro intervento, hanno ribadito la linea politica che da più anni stanno perseguendo della casa protetta come unica risposta.

Manca una differenziazione tra interventi pos­sibili nei confronti degli anziani autosufficienti (che hanno bisogno di una politica sociale «prima che assistenziale» più attenta alle loro necessità e non di ricoveri), degli anziani malati cronici non autosufficienti che, proprio perché malati, non devono assolutamente essere ricoverati in strutture assistenziali, come sono appunto le ca­se protette.

Entrambi gli assessori sono d'accordo nel rite­nere il ricovero come ultima spiaggia per la per­sona anziana, ma entrambi hanno stanziato miliar­di per la costruzione di case protette e non per le alternative necessarie ad evitare il ricovero. L'as­sessore alla sanità ha poi chiarito che i letti sani­tari per i non autosufficienti sono quelli che ver­ranno attrezzati nelle case protette, ha presenta­to come una grossa elargizione la quota sanitaria che il settore assistenziale potrà d'ora in poi rice­vere dal fondo sanitario nazionale. Al riguardo è evidente che non è corretto far pagare a persone anziane malate croniche non autosufficienti la restante parte «assistenziale» (la cosiddetta quo­ta alberghiera), poiché queste stesse persone hanno diritto per legge ad essere curate gratuita­mente dal settore sanitario. Ma l'assessore alla sanità della Lombardia ha ancora un po' di con­fusione in materia legislativa: egli infatti ritiene che per risolvere il grave problema della mancan­za di letti per non autosufficienti sarà opportuno rifarsi anche al patrimonio delle IPAB (notoria­mente patrimonio assistenziale), dimenticando ancora una volta che gli interventi per gli anziani cronici non autosufficienti, in base alle leggi vi­genti, spettano al settore sanitario e non a quello assistenziale.

Interessante e vivace è stato il dibattito che ha visto fortunatamente i presenti e i relatori rimasti concordi nel ritenere assolutamente con­trari agli interessi e ai diritti delle persone anzia­ne le politiche attuate dagli attuali assessori, pur­troppo, come già abbiamo detto, assenti.

Anche la presidente di una casa di riposo ha dichiarato il fallimento della stessa come risposta per le persone anziane ed ha ribadito l'obbligo morale, oltre che politico, per gli amministratori di cominciare davvero a destinare risorse sostan­ziose alle alternative al ricovero.

Positiva è stata la conclusione del Presidente dell'USSL 35 che, recependo le proposte e le sol­lecitazioni degli intervenuti, si è impegnato in prima persona a dare vita ad un progetto per la eliminazione della casa di riposo nella propria Ussl, per quanti lo richiedano e per evitare rico­veri che possano essere sostituiti da interventi territoriali assistenziali e sociali adeguati.

 

3. Festa nazionale dell'Unità: «Vivere a lungo. Vivere meglio», Abano Terme, 15 giugno 1988

 

Nel corso del Festival dell'Unità è stata orga­nizzata una tavola rotonda dal tema «Gli anziani cronici non autosufficienti in bilico tra sanità e assistenza», presenti come relatori la responsa­bile delle politiche sociali del Partito comunista di Bologna, Lalla Golfarelli e il Direttore dell'Isti­tuto Salvi di Vicenza, Valdo Melloni.

Diversi sono stati i punti contradditori nelle loro relazioni, che hanno creato non poca confu­sione nell'uditorio e una vivace replica da parte della rappresentante di Prospettive assistenziali, presente tra gli invitati al dibattito.

Anche in questa ambito ci si è accorti di quanti e quali siano i nodi tuttora non sciolti per quanto riguarda la politica da attuare nei confronti degli anziani cronici non autosufficienti.

In particolare è emersa una conoscenza non appropriata dei soggetti di cui si parlava, con l'utilizzo improprio della definizione di «anziano non autosufficiente» o di «anziano cronico»; defi­nizioni usate singolarmente, mai associate tra lo­ro e pertanto snaturate del loro reale significato.

Quindi per Lalla Golfarelli questi «anziani non autosufficienti» non devono essere ricoverati in ospedale, perché sarebbe certamente la loro fine, si lascerebbero sconfiggere dalla depressione, dalla non voglia di vivere... AI contrario, questi stessi anziani, non autosufficienti, possono trova­re in una situazione protetta (la casa protetta per intendersi) dove, oltre alla garanzia di essere se­guiti, avrebbero anche la possibilità di mantenere vive alcune attività di socializzazione come l'an­dare a teatro, frequentare circoli, lezioni di in­glese...

Così per Valdo Melloni è importante che la cronicità non sia ritenuta una malattia che impe­disce alla persona di continuare ad avere una vita normale. Egli giustamente richiamava la sua condizione di miope, che è una condizione crani­ca, ma che non per questo gli crea problemi tali da dover richiedere cure sanitarie continue e tan­to meno in ospedale.

Siamo tutti d'accordo sul fatto che un anziano può essere «non autosufficiente» e non per que­sto «malato». Ad esempio può essere non auto­sufficiente per motivi economici, o perché vive in una casa con barriere architettoniche tali da im­pedirgli di uscire e quindi di fare gli acquisti in­dispensabili per la sopravvivenza. Certamente non è una persona malata per questa sua non autosufficienza.

Bisogna distinguere e precisare:

- gli anziani, come tali, hanno i problemi di tut­te le persone che si trovano con case poco ido­nee (barriere architettoniche, mancanza di riscal­damento, di servizi igienici ...), pensioni misere, pochi aiuti da parte dei servizi sociali, ecc.;

- gli anziani malati cronici non autosufficienti sono pochi, ma meritano attenzione e soprattutto necessitano di cure sanitarie che l'assistenza non può dare.

Per questi anziani cronici non autosufficienti, si deve chiedere che, in mancanza di strutture sanitarie idonee, sia l'ospedale ad occuparsene. Non si può accettare che si risolva semplicemen­te il problema, che conosciamo tutti, della scarsa umanizzazione dell'ospedale, ripiegando sulle ca­se protette, come ha detto nella replica la Golfa­relli; se l'ospedale non è a dimensione dell'uomo, lo deve diventare. Intanto l'anziano malato cronico non autosufficiente ha diritto ad essere curato gratuitamente e bene dall'ospedale e non deve fi­nire in una casa di riposo o in una casa protetta a pagamento 2 con cure non idonee.

Come riflessione generale possiamo quindi di­re che a parole tutti, indipendentemente dal «co­lore» del partito, sono per mantenere il più possi­bile l'anziano nel proprio ambiente, nella propria casa, coi propri familiari. Nei fatti alcuni finisco­no per vedere la casa protetta come una risposta sollecita, prestigiosa, economicamente valida (anche per gli anziani cronici non autosufficienti che pagano impropriamente parte del ricovero e non hanno cure adeguate).

Maria Grazia Breda

 

 

PETIZIONE PER L'ISTITUZIONE DEL SERVIZIO DI OSPEDALIZZAZIONE A DOMICILIO AD AOSTA

 

La Sezione dell'ULCES della Regione autonoma della Valle d'Aosta ha promosso una raccolta dl firme sul documento, che riproduciamo, al fine di ottenere l'istituzione del servizio di ospedalizza­zione a domicilio.

 

PETIZIONE POPOLARE

- Al Presidente dell'U.S.L.

- Al Presidente della Giunta Regionale

- All'Assessore Regionale alla Sanità e Assi­stenza Sociale

- Ai Capigruppo del Consiglio Regionale

- All'Assemblea dell'U.S.L.

 

I sottoscritti cittadini della Valle d'Aosta,

- tenuto conto che obiettivo primario dei servi­zi sanitari dovrebbe essere la cura a domicilio delle persone anziane croniche non autosufficien­ti ogni qualvolta lo consenta la situazione del pa­ziente e vi sia l'impegno dei familiari;

- valutati i positivi risultati di analoghe espe­rienze sia per quanto riguarda gli anziani cronici non autosufficienti, sia in merito alla consistente riduzione dei costi economici derivanti dall'inter­vento domiciliare in alternativa a quello ospeda­liero

 

CHIEDONO

 

alla Regione Autonoma Valle d'Aosta e all'Unità Sanitaria Locale di istituire un servizio di ospeda­lizzazione a domicilio comprendente:

- le prestazioni del medico di base, così come stabilito dalle leggi vigenti;

- l'intervento dei medici specialisti, degli infer­mieri e dei riabilitatori;

- la corresponsione ai familiari di una somma sufficiente a coprire le spese da essi sostenute per ottenere i necessari aiuti da parte di persona­le non specializzato per almeno 3-4 ore al giorno;

- la garanzia del ricovero ospedaliero nei casi in cui ciò sia necessario;

- adeguati controlli per evitare abusi.

 

CHIEDONO INOLTRE

 

- i1 passaggio alla gestione sanitaria delle mi­crocomunità in cui sono prevalentemente ricove­rati anziani cronici non autosufficienti, fermo re­stando il fatto che per tutti i suddetti pazienti il ricovero in microcomunità deve essere gratuito.

 

CHIEDONO INFINE

 

- che, per non costringere molti ricoverati non autosufficienti in ospedale a grossi sacrifici fi­nanziari per assicurarsi la presenza di una «infer­miera» a pagamento, accanto al normale perso­nale infermieristico venga istituita la nuova figu­ra della «badante» che ha il compito di fornire assistenza generica ai pazienti (alimentazione, igiene personale, sorveglianza continuativa, ecc.).

 

 

COMUNICATO DEL MAC

 

Il Movimento Apostolico Ciechi, associazione di laici vedenti e non vedenti, ha organizzato a Roma un Convegno nazionale sul tema: «Integra­zione scolastica dei minorati della vista: il volon­tariato organizzato per l'efficienza dei servizi pub­blici a tutela dei diritti delle famiglie».

I partecipanti hanno, tra l'altro, esaminato il di­segno di legge n. 666/87, attualmente in discus­sione presso la Commissione Istruzione del Se­nato, riguardante la trasformazione dei vecchi istituti speciali per ciechi in centri regionali poli­valenti per la scolarizzazione, la formazione pro­fessionale, l'inserimento lavorativo, l'orientamen­to spaziale e per l'accoglienza convittuale e resi­denziale dei ciechi italiani di qualunque età.

È stato espresso un giudizio globalmente ne­gativo sul disegno di legge, che è frutto della vecchia cultura e della logica della legge quadro per gli handicappati, attualmente all'esame della Commissione Affari sociali della Camera, ben più avanzata del disegno di legge sugli istituti per ciechi, ed è in contrasto con la sentenza della Corte costituzionale n. 215/87 che ha riaffermato il diritto incondizionato per tutti gli handicappati di frequentare le scuole comuni di ogni ordine e grado.

In particolare, per quanto riguarda l'integrazio­ne scolastica dei minorati della vista, è stato ri­levato che, a differenza di quanto hanno già posi­tivamente fatto gli ex istituti per ciechi di Torino, Bologna e Genova, i nuovi centri previsti dal di­segno di legge 666 sono strutture che dovrebbero coordinare «tutte le attività parascolastiche ed extrascolastiche», avere un rappresentante con funzioni di controllo presso ogni scuola comune, ove sono integrati i non vedenti, riaprire (e scuole speciali al loro interno e continuare strane spe­rimentazioni di inserimento di vedenti nelle scuo­le speciali dei non vedenti.

Non vi è invece alcun cenno concreto alla con­sulenza di tiflologi itineranti, alla produzione e distribuzione di materiale didattico e alla neces­sità di intese obbligatorie tra Scuola, USL ed Enti locali, finalizzate alla impostazione di piani educativi individualizzati, previste da numerose circolari del Ministero della pubblica istruzione ed ora anche dalla legge quadro per gli handicap­pati, come chiaramente emerso dalla riunione organizzata l'8 novembre 1988 dalla Commissione Affari sociali della Camera e dal Ministro Iervo­lino.

È stato auspicato che anche l'Unione Italiana Ciechi condivida queste osservazioni e che il Par­lamento non voglia approvare una tale legge nei termini in cui è attualmente proposta.

 

 

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