Editoriale
ALLARMANTI PROSPETTIVE DI RIFORMA
DELL'ASSISTENZA
Sono state presentate al Parlamento alcune proposte
di legge in materia di riforma dell'assistenza. Le Regioni hanno concordato un
testo provvisorio (1). Il PCI ha preannunciato una sua iniziativa. Il problema
è stato inserito nel programma del Governo presieduto dall'on. De Mita nei
seguenti termini: «L'approvazione di una
legge quadro sull'assistenza e i servizi sociali non è più procrastinabile».
A nostro avviso, tuttavia, tali proposte di legge
sono assolutamente inidonee a soddisfare le esigenze di vita degli assistiti.
Distinguere fra servizi sociali e
servizi assistenziali
In primo luogo, c'è confusione su un aspetto di
fondamentale importanza, e cioè sulla definizione e quindi sulle funzioni dei
«servizi assistenzialì= e dei «servizi sociali».
Sulla netta distinzione (non separazione) fra servizi
sociali e servizi assistenziali si pronuncia, invece, un importante documento
della Fondazione Zancan che esordisce come segue: «Occorre distinguere con chiarezza nella terminologia fra “servizi
sociali” (che comprendono, oltre all'assistenza, anche la sanità, la scuola, il
tempo libero, la casa, ecc.) e “assistenza sociale” o “servizi
socio-assistenziali”, che si rivolgono ai cittadini in stato di bisogno. La
legge-quadro sull'assistenza deve riguardare i “servizi socio-assistenziali”;
occorrerebbe anche una legge sui servizi sociali; anzi alla legge
sull'assistenza sarebbe preferibile una legge globale sui servizi sociali che
includesse anche quella sull'assistenza.
Occorre
comunque non confondere i servizi «socio-assistenziali» con i servizi sociali.
Soprattutto è necessario non far ricadere sui servizi socioassistenziali i
problemi che devono trovare risposta in altri servizi, come la scuola, la casa,
il lavoro, la sanità, ecc.» (3).
Attribuire ai servizi assistenziali compiti che
spettano ai servizi sociali non significa solo fare una confusione
terminologica (il che non ha molta importanza), ma significa, soprattutto,
assegnare all'assistenza funzioni in materia di prevenzione dei bisogni che
possono e devono essere svolte dai settori della sanità, della casa, della
scuola, della formazione professionale, del lavoro, delle pensioni, ecc. (4).
Le altre carenze dei progetti
Le altre principali carenze delle proposte di legge
riguardano:
- l'attribuzione di funzioni gestionali in parte ai
Comuni singoli, in parte ai Comuni associati, con l'inevitabile conseguenza di
vuoti di intervento, sovrapposizioni, conflitti di competenza, a tutto danno
dei cittadini, i quali, avendo spesso problemi di sopravvivenza, dovrebbero
ricevere con immediatezza le prestazioni a cui hanno diritto;
- la non obbligatorietà per i Comuni singoli e
associati di istituire i servizi entro un termine prefissato. Ne deriva che,
nel pieno rispetto della legge, i Comuni singoli e associati possono rifiutare
l'istituzione di qualsiasi servizio;
- la mancata previsione di un vero e proprio diritto
esigibile da parte degli utenti nei confronti degli organismi preposti alla
gestione. La conseguenza inevitabile è la discrezionalità degli interventi e
la indeterminatezza dei tempi di erogazione delle relative prestazioni,
discrezionalità degli interventi e indeterminatezza dei tempi che favoriscono
certamente il ricovero in istituto anche di coloro che sceglierebbero di vivere
a casa se supportati da idonei servizi;
- l'attribuzione di compiti alle Province, compiti
che possono bloccare ogni attività degli enti gestori;
- l'assenza di norme dirette a definire che cosa si
debba intendere per «organizzazioni senza fini di lucro» ed a prevedere
effettivi controlli, con il conseguente pericolo di sviluppo di iniziative
speculative;
- la possibilità di erogare i servizi anche alle
persone in grado di provvedervi con i propri mezzi (5):
È significativo osservare che le quattro iniziative
legislative stabiliscono che il fondo di finanziamento delle attività
assistenziali è costituito anche «da una
quota non superiore al 5 per cento dello stanziamento annuale del fondo sanitario
nazionale». Pertanto, tale quota, che dovrebbe essere quella più
consistente, può, in attuazione della legge, anche essere corrispondente a
zero.
Infine, va rilevato che le proposte di legge finora
presentate e quella predisposta dalle Regioni hanno lo scopo di convalidare la
profonda riorganizzazione in atto del settore assistenziale, riorganizzazione
che, a nostro avviso, come motiviamo nei paragrafi seguenti, è assolutamente
negativa.
La profonda riorganizzazione in atto
del settore assistenziale
È in pieno svolgimento una profonda riorganizzazione
del settore assistenziale che riteniamo fortemente negativa e che si svolge su
tre franti: ricovero in istituto di persone incapaci di autodifendersi,
privatizzazione delle IPAB, servizi territoriali di assistenza usufruibili
anche dalle persone e dai nuclei familiari che sono in grado di provvedere
autonomamente alle proprie esigenze.
Per quanto riguarda i ricoveri in istituto, come
andiamo denunciando da dieci anni (6), la vecchia utenza (ragazzi, adolescenti,
handicappati fisici e sensoriali, anziani autosufficienti), che non accetta
più di essere emarginata, viene sostituita da persone le cui condizioni di
salute psico-fisica sono tali da ridurre notevolmente o del tutto la loro
autonomia (anziani cronici non autosufficienti, insufficienti mentali gravi e
gravissimi, adulti e anziani con gravi disturbi psichiatrici (7).
I dati statistici confermano la profonda ristrutturazione
in atto, determinata dalla rilevante diminuzione dei ricoveri dei minori
(soprattutto) e degli handicappati (minori e adulti) come risulta dalla
seguente tabella:
|
Ricoverati (8) all’1-1-1965 |
Ricoverati (9) all’1-1-1986 |
Differenze percentuali |
Minori
(10) |
256.693 |
50.773 |
-80% |
Handicappati
sensoriali (minori e adulti) |
10.523 |
4.918 |
-53% |
Handicappati
fisici (minori e adulti) |
5.383 |
3.897 |
-28% |
Handicappati
psichici (minori e adulti) |
18.518 |
17.049 |
- 8% |
Vecchi
indigenti |
114.119 |
147.678 |
(11) |
Altri
(minori, adulti, anziani) |
26.985 |
8.010 |
-70% |
Totale |
432.301 |
232.325 |
-46% |
Per gli anziani ricoverati in istituto, una comparazione
può essere effettuata solo a partire dal 1974. Alla data del 1° gennaio 1974
gli ultrasessantacinquenni ricoverati in istituto erano 114.792 su 6.437.599
abitanti della stessa età e cioè l'1,78%; alla data dell'1-1-1986 i ricoverati
erano 132.428 su 7.470.549 abitanti. Mentre l'aumento in assoluto dei
ricoverati è stato del 15,3 per cento, la percentuale (1,77%) è identica a
quella di undici anni prima.
Osserviamo che la percentuale di ultrasessantacinquenni
ricoverati in istituto è relativamente
bassa
(meno del 2%), nonostante che negli ultimi anni siano state chiuse numerose
infermerie e molte medicine e quindi vi sia stato un notevole aumento degli
anziani cronici non autosufficienti dimessi (illegalmente) dagli ospedali;
inoltre un numero consistente di ricoverati in ospedale psichiatrico è stato
trasferito in strutture assistenziali'.
Va altresì osservato che le suddette percentuali
smentiscono le allarmistiche dichiarazioni che vengono continuamente diffuse
allo scopo di motivare la richiesta di fondi pubblici per la ristrutturazione o
la costruzione di istituti di ricovero per anziani.
Temiamo che questa richiesta sia però in dirittura
d'arrivo a seguito dell'approvazione della legge finanziaria 1988 (legge 11
marzo 1988 n. 67) che prevede lo stanziamento di migliaia di miliardi
destinati alla «realizzazione di 140 mila
posti in strutture residenziali per anziani» (12).
In questo modo i gestori dei ricoveri potranno
riempire le strutture che sono rimaste vuote a seguito della
deistituzionalizzazione dei minori e degli handicappati (13).
Privatizzazione delle IPAB
Il secondo fronte della ristrutturazione in atto
riguarda la privatizzazione delle IPAB consentita da una recente sentenza della
Corte costituzionale, privatizzazione che - incredibile ma vero - consiste nel
regalo ai privati senza alcun indennizzo dei patrimoni delle IPAB, istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza.
Il problema è affrontato in questo numero da Massimo
Dogliotti nell'articolo «La riforma dell'assistenza... della Corte
costituzionale».
Da parte nostra ricordiamo che, secondo i dati
dell'ISTAT, alla data del 1° gennaio 1986, la situazione era la seguente:
a)
Numero e posti letto degli istituti
IPAB |
n. 1431 |
posti letto |
123.691 |
Istituti
privati |
n. 2210 |
posti letto |
126.980 |
Altri
enti pubblici |
n. 659 |
posti letto |
41.153 |
Totali |
4300 |
posti letto |
292.830 |
b)
Assistiti e giornate di presenza
IPAB |
n. 101.201 |
giorn. di pres. |
34.681.043 |
Istituti
privati |
n. 97.931 |
giorn. di pres. |
31.246.715 |
Altri
enti pubblici |
n. 32.536 |
giorn. di pres. |
10.842.629 |
Totali |
231.668 |
giorn. di pres. |
76.770.387 |
c)
Personale
IPAB |
n. 38.067 |
di cui religioso |
5.322 |
Istituti
privati |
n. 36.840 |
di cui religioso |
15.734 |
Altri
enti pubblici |
n. 13.359 |
di cui religioso |
1.359 |
Totali |
88.266 |
di cui religioso |
22.415 |
Al momento dell'entrata in vigore della legge
6972/1980, le IPAB erano 22.000. Da allora ad oggi non è mai stato fatta - sul
piano nazionale - alcun aggiornamento sulla loro consistenza e sulla
destinazione dei patrimoni e dei redditi.
Va sottolineato altresì che nella seduta della Camera
dei deputati del 17 febbraio 1982, l'ori. Marisa Galli aveva valutato in 30-45
mila miliardi il patrimonio complessivo delle IPAB.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale,
vi è il fondato pericolo della dispersione di questo rilevante patrimonio. In
merito, le conclusioni del seminario della Fondazione Zancan (riportate in
questo numero) precisano al punto 9 che «la
legge deve garantire con norme esplicite che i patrimoni delle IPAB, sia di
quelle che passeranno ai Comuni, sia di quelle che verranno privatizzate, siano
vincolate all'assistenza in senso stretto, nel rispetto della volontà dei
donatori e secondo le finalità della legge quadro».
Assistere il ceto medio?
Con il pretesto di evitare che l'assistenza si
rivolga soltanto alla fascia più debole della popolazione, alcuni propongono
addirittura che gli interventi siano estesi alle persone ed ai nuclei
familiari che sono in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze.
Ovviamente il problema non viene presentato in modo così esplicito, ma
l'obiettivo è quella dì favorire il ceto medio.
Al riguardo è incredibile che, di fronte alla
situazione di estrema carenza o inesistenza di servizi assistenziali, con la
conseguenza che centinaia di migliaia, di persone vivono ben al di sotto di
un livello di vita minimamente accettabile, si proponga di fornire prestazioni
assistenziali a coloro che possano procurarsele con i loro mezzi.
Ci riferiamo ad esempio al servizio di assistenza
domiciliare che alcuni, anche con definizioni allettanti (14), vorrebbero
assicurare a tutta la popolazione.
L'estensione dei servizi assistenziali a tutti i
cittadini è sostenuta, ad esempio da G.C. Vicinelli, il quale afferma che i
criteri per la erogazione delle prestazioni socio-assistenziali devono essere «gli stessi già indicati dal sindacato per
la riforma sanitaria: diritto di tutti i cittadini di accedere ai servizi e
alle prestazioni» (15), anche per il fatto che «nell'assistenza di un anziano o di un minore disabile, ad esempio, non
si può stabilire quanto di sanitario e di sociale debba avere l'intervento che
non potrà non essere integrato» (16).
Analoga posizione viene sostenuta da E. Ranci
Ortigosa secondo il quale, dalla nota definizione di salute dell'OMS di Alma
Ata, si avrebbe la «conferma che
distinzioni fra sociale e sanitario, fra sanità e assistenza, e simili, non
trovano un fondamento nell'uomo, nella popolazione e nella chiara separabilità
di diverse categorie di bisogni di cui sono portatori» (17).
Anzi, Ranci Ortigosa sostiene che «oggi il campo d'azione dei servizi
socio-assistenziali non è facilmente delimitabile. Si propongono infatti nuove
prospettive di intervento, senza poter trascurare ovviamente i più
tradizionali bisogni specificamente assistenziali. Un'ottica di prevenzione
dell'insorgere del disagio e dell'emarginazione sociale (cui conseguono altri
“danni” alla persona e alla collettività), richiede infatti interventi complessi,
con finalità educative e socializzanti, nei confronti della persona e dei
gruppi. I progetti giovani, i progetti anziani, ma anche l'intervento “avanzato”
sui problemi dei portatori di handicap, aprono infatti queste prospettive più
ampie, e conducono l'azione dei servizi sociali a ridosso di quella dei servizi
scolastici, culturali, ricreativi» (18).
Michele La Rosa, a sua volta, estende moltissimo il
campo d'azione dei servizi socio-assistenziali che dovrebbero comprendere anche
il segretariato sociale, l'assistenza abitativa, gli asili nido, i centri
diurni e quelli educativi di incontro, i soggiorni di vacanza, l'inserimento
sociale e lavorativo, le iniziative rivolte alla prevenzione del
disadattamento, della emarginazione e della «criminalità» minorile (19).
Secondo La Rosa il riferimento di fondo per la
definizione delle priorità e per l'espletamento di tutti i servizi deve essere «il criterio della generalità dei
destinatari (tutta la popolazione è il soggetto permanente dei servizi)»
(20).
Viene dunque proposta da La Rosa l'istituzione e la
gestione di una ampia gamma di servizi che, a nostro avviso, non riguardano
solo le persone in situazione di bisogno, come previsto dal primo comma
dell'art. 38 della Costituzione, ma sono rivolti soprattutto al ceto medio.
Non si contesta l'utilità sociale di detti servizi:
dagli asili nido ai centri educativi, dai soggiorni all'inserimento sociale e
lavorativo. Riteniamo però che essi, essendo rivolti a tutta la popolazione, debbano
essere organizzati da altri comparti come avviene già oggi in molte parti
d'Italia: gli asili nido dal settore istruzione anche allo scopo di giungere
alla loro unificazione con le scuole materne, i soggiorni di vacanza dal
settore preposto alle attività di tempo libero. A loro volta i centri di
incontro dovrebbero essere di competenza degli assessorati alla cultura;
l'inserimento lavorativo è una attività che è e deve essere svolta dagli
uffici ministeriali e dagli assessorati al lavoro; non da quelli
all'assistenza.
Prevedere servizi non assistenziali, come quelli
sopra indicati, e attribuirne la gestione al comparto assistenziale, significa
sottrarre personale, finanziamenti e strutture alla fascia più debole della
popolazione. Significa, inoltre, offrire alibi alle amministrazioni che, mentre
in concreto intervengono a favore del ceto medio (21), possono sbandierare le
iniziative come supporto per i più bisognosi.
Prevenzione del bisogno di assistenza
Nel citato articolo La Rosa assegna ai servizi
socio-assistenziali il compito di predisporre iniziative rivolte alla «prevenzione del disadattamento, della
emarginazione e della “criminalità” minorile».
Più avanti, lo stesso Autore ritiene che i servizi
socio-assistenziali possano e debbano attuare «iniziative di prevenzione primaria rivolta ai giovani in generale tese
a facilitare una socializzazione opportuna, in specie a seguito dello spostamento
avvenuto in conseguenza dell'entrata ritardata al lavoro quando addirittura non
possibile in tempi ravvicinati».
A parte il fatto che l'Autore non suggerisce alcuna
esemplificazione delle possibili attività che consentano il raggiungimento di
una vera prevenzione, non ci risulta che siano state attuate iniziative dei
servizi assistenziali che abbiano determinato una prevenzione primaria e cioè
abbiano eliminato le cause economiche e sociali del bisogno assistenziale,
dell'emarginazione, del disadattamento.
Crediamo che l'esperienza dimostri che l'utenza del
settore assistenziale è soprattutto costituita da:
- disoccupati e sottoccupati;
- ex lavoratori con pensioni
insufficienti;
- ragazzi respinti dalla scuola a causa della selettività
della scuola stessa;
- persone, soprattutto anziane, che, definite malate
croniche non autosufficienti, non sono ammesse a fruire dei normali servizi
sanitari;
- famiglie o persone prive di un'abitazione adeguata
o che non sono in grado di pagare affitti speculativi;
- invalidi che gli enti pubblici e le aziende private
rifiutano di assumere;
- minori in stato di abbandono o con famiglie aventi
difficoltà economiche (disoccupazione o sottoccupazione) o abitative.
Ci sembra ovvio affermare che la prevenzione nei
confronti di queste persone, che a nostro avviso costituiscono almeno l'80%
dell'utenza dei servizi assistenziali, si attua solamente se si interviene sui
problemi dell'occupazione (22), delle pensioni, della casa, della scuola, della
sanità, della cultura, ecc.
Se è vero, come crediamo sia vero, che per una
effettiva prevenzione occorre che intervengano i settori sopra indicati, ne
risulta anche che, né l'integrazione dei servizi assistenziali con quelli
sanitari, né una legge anche ottima di riforma dell'assistenza sono in grado
di risolvere i problemi di prevenzione della situazione di bisogno per i
disoccupati, sottoccupati, gli ex lavoratori con pensioni insufficienti per
vivere, i ragazzi respinti dalla scuola, le persone prive di una abitazione
idonea (23).
A noi sembra che sia nell'impostazione dei servizi,
sia nella loro quotidiana gestione debba essere fermamente rifiutato il
principio secondo cui vengono dirottate al settore assistenziale tutte le
esigenze delle persane più deboli. A nostro avviso è assurdo che all'assistenza
sia attribuito il compito di provvedere al trasporto degli handicappati (v.
servizio taxi sostitutivo dei mezzi pubblici inaccessibili per la presenza di
barriere architettoniche), alla cura degli anziani cronici non
autosufficienti, alla formazione professionale dei disabili e alla ricerca di
un adeguato posto di lavoro, ai soggiorni e ai centri di incontro per anziani,
alla messa a disposizione di idonee abitazioni, e così via.
In questo modo si deresponsabilizzano sempre più i
settori del lavoro, della casa, della scuola, della cultura, delle pensioni...
Tanto per i più poveri c'è l'assistenza.
Se gli anziani, i minori, gli handicappati non sono
considerati cittadini di serie B, devono poter utilizzare i servizi predisposti
per tutta la popolazione (sanità, scuola, formazione professionale, lavoro,
cultura, ecc.).
L'assistenza, a nostro avviso, non deve intervenire
per rispondere a tutte le esigenze del cittadino bisognoso. Ad esempio
l'intervento assistenziale nei confronti del minore con una famiglia
gravemente carente ed i cui problemi non possono essere risolti con sostegni
psico-sociali, può consistere nell'affidamento familiare a scopo educativo. Ma,
com'è ovvio, il bambino dovrà frequentare la scuola come tutti gli altri
minori, usufruire dei trasporti pubblici, vivere in una casa adeguata, ricevere
le necessarie prestazioni sanitarie, ecc.
Una conseguenza negativa del deprecato e deprecabile
ricovero di minori, di handicappati, di anziani era ed è anche la gestione di
tutte le esigenze delle persone da parte dell'istituto; sarebbe veramente molto
grave se tale visione emarginante venisse perseguita anche dai servizi territoriali.
Non si tratta di una mera ipotesi in quanto - purtroppo
- sono numerosi i servizi assistenziali che pretendono di gestire i servizi di
trasporto ed i centri di formazione professionale per handicappati, provvedere
all'inserimento lavorativo degli stessi, istituire le case protette per
anziani malati cronici non autosufficienti.
Interventi di competenza del settore
assistenziale
A nostro avviso deve continuare ad essere previsto un
settore con lo specifico compito di assicurare condizioni adeguate di vita ai
minori privi di un idoneo sostegno familiare, alle persone senza lavoro o
impossibilitate a causa delle loro condizioni psico-fisiche di svolgere un'attività
lavorativa o con pensioni insufficienti o comunque senza adeguati mezzi
economici o prive di una abitazione accettabile o in altre condizioni di
bisogno.
Per i suddetti soggetti, gli interventi di competenza
del settore assistenziale possono essere indicati nei seguenti:
- analisi qualitativa e quantitativa dei bisogni e
definizione delle risposte che, se attuate dai settori preposti al lavoro, alla
casa, alla scuola, alla sanità, ai trasporti, alla cultura, allo sport, al
tempo libero, ecc. prevengono il bisogno assistenziale (24);
- azione promozionale nei confronti dei settari sopra
indicati al fine di evitare che ai cittadini più deboli non siano fornite le
dovute prestazioni per l'occupazione, la casa, la scuola, ecc.;
- informazione di massa ai cittadini e alle forze
sociali e sindacali sui problemi generali e specifici dell'emarginazione;
- programmazione degli interventi assistenziali con
scelta delle relative priorità e verifica dell'efficacia ed efficienza degli
interventi stessi;
- raccolta ed elaborazione dei dati relativi alle
esigenze e alle risposte;
- attività di sostegno dirette al superamento di
difficoltà personali e familiari;
- assistenza economica continuativa e straordinaria;
- aiuto domestico;
- affidamenti educativi di minori, inserimenti di
persone adulte o anziane, incapaci di una vita autonoma, presso famiglie,
nuclei parafamiliari e persone singole;
- comunità alloggio;
- istituti di ricovero, fino al loro completo superamento;
- segnalazione dei minori in situazione di abbandono;
- rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di
tutela e curatela;
- autorizzazione preventiva a funzionare degli
istituti pubblici e privati di ricovero per minori, anziani, handicappati;
- vigilanza sulle istituzioni pubbliche e private di
assistenza;
- interventi nei confronti dei minorenni soggetti a
provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili;
- prestazioni di protezione sociale nei confronti
delle persone dedite alla prostituzione o al vagabondaggio;
- assistenza post-penitenziaria;
- servizi diurni per handicappati psichici e pluriminorati
gravissimi non inseribili nel lavoro;
- assistenza alle gestanti e madri nubili o coniugate
in difficoltà, comprese le attività dirette a garantire il segreto del parto
alle donne che non intendano riconoscere i propri nati.
Conclusioni
La drammatica situazione di centinaia di migliaia di
persone e di nuclei familiari che vivono in condizioni di bisogno, spesso
estremo, esige interventi solleciti ed adeguati. Le proposte di legge di
riforma dell'assistenza finora presentate e quella predisposta dalle Regioni, a
nostro avviso, non sono finalizzate alla risoluzione dei problemi dei
soggetti più deboli e nemmeno al loro tamponamento.
Le indicazioni del documento della Fondazione Zancan,
che ripartiamo in questo numero, dovrebbero invece essere prese in attenta
considerazione dal legislatore e da tutte le organizzazioni e persone che non
accettano le condizioni di miseria economica, personale e sociale che affliggono
un così elevato numero di nostri concittadini.
Un ruolo di fondamentale importanza può essere
svolto dai gruppi di volontariato che operano non solo per aiutare le famiglie
e le persone in difficoltà ma anche perché siano eliminate le cause sociali
dell'emarginazione.
(1) In questo numero sono riportati
integralmente i testi delle proposte di legge: n. 246 «Legge quadro sui servizi
sociali» presentata alla Camera dei deputati dall'on. Foschi e altri
parlamentari DC il 2 luglio 1987; n. 683 «Legge quadro per la riforma dell'assistenza
e dei servizi sociali» presentata l'8 luglio 1987 alla Camera dei deputati
dall'on. Martinazzoli e altri parlamentari DC. Riproduciamo inoltre il testo
della proposta di legge n. 259 «Legge quadro sui servizi sociali», presentata
alla Camera dei deputati il 2 luglio 1987 dall'on. Aniasi e da altri
parlamentari del PSI. Quest'ultimo testo è quello della bozza consegnata dagli
uffici della Camera al presentatore e non ancora restituita corretta. È una
prassi assurda, prevista dal regolamento, che consente ai parlamentari di
risultare presentatori di un testo qualsiasi che può non essere mai
ufficializzato o che può essere modificato anche dopo anni dalla presentazione.
Riportiamo, infine il progetto redatto da alcune Regioni nel testo corretto
secondo le indicazioni emerse dalla riunione degli Assessori all'assistenza
avvenuta a Roma il 17 maggio 1988.
(3) In questo numero é riportata, per
motivi di spazio, solo la prima parte del documento della Fondazione Zancan
«Osservazioni e proposte per la riforma dell'assistenza», documento che
condividiamo e che dovrebbe costituire la base per una idonea legge quadro di
riforma dell'assistenza.
(4) Si veda più avanti il paragrafo
«Prevenzione del bisogno di assistenza».
(5) Si veda più avanti il paragrafo
«Assistere il ceto-medio?».
(6) Cfr. l'editoriale del n. 48,
ottobre-dicembre 1979 di Prospettive
assistenziali «Inaccettabile l'attuale riorganizzazione del settore
assistenziale-.
(7) Su questa linea si muovono anche
le proposte di legge presentate al Senato dalla Sen. Ongaro Basaglia della
Sinistra indipendente (n. 465 del 25 settembre 1987 e alla Camera dei Deputati
dall'on. Benevelli del PCI n. 2101 del 20 dicembre 1987). Esse prevedono la
competenza del settore assistenziale per il mantenimento in case-famiglia di
pazienti con disturbi psichici, per i centri di riabilitazione e
socializzazione, e per le erogazioni dei sussidi terapeutici (proposta Ongaro
Basaglìa) e per l'assistenza in denaro, quella domestica, le comunità alloggio,
le strutture diurne socio-formative, i soggiorni estivi, i corsi di formazione
professionale, gli interventi per l'inserimento e il reinserimento lavorativo,
i centri di aggregazione e di incontro diurni, 1 ricoveri in strutture protette
extra-ospedaliere meramente sostitutivi, sia pure temporaneamente dell'assistenza
familiare (proposta Benevelli). Nella proposta di legge Benevelli è addirittura
previsto che la programmazione e gestione dei servizi assistenziali competa
esclusivamente ai Comuni singoli; nessun riferimento viene fatto alle Unità
locali dei servizi sanitari e assistenziali.
(8) Dati tratti da «Annuario
statistico dell'assistenza e della previdenza sociale», Vol. XI, 1965, ISTAT,
Roma, 1967.
(9) Dati ricavati da «Statistiche
della previdenza, della sanità e dell'assistenza sociale», Vol. 26, ISTAT,
Roma, '88.
(10) Comprende i dati relativi ai
ricoverati negli orfanotrofi, negli istituti per «minori poveri e abbandonati»
(così definiti dall'ISTAT), nelle colonie permanenti e nei brefotrofi,
limitatamente per questi ultimi all'intervento dl «allevamento interno».
(11) I dati ISTAT relativi al 1°
gennaio 1965 riguardano i «vecchi indigenti»; non sono quindi comparabili con
quelli datati 1° gennaio 1986 che concernono gli «adulti e inabili anziani».
(12) Cfr. «I 140.000 posti letto per
anziani della legge finanziaria 1988: emarginazione dei più deboli o rispetto
dei loro diritti?», in Prospettive
assistenziali, n. 82, aprilegiugno 1988 e G. Perico, Anziani «cronici» non
autosufficienti: rilievi giuridico-legislativi e note etico-sociali, in Aggiornamenti sociali, n. 7/8,
luglio-agosto 1988.
(13) L'Avv. Zola, già vice-sindaco e
assessore all'assistenza del Comune di Milano, ha definito questa operazione
ristrutturazione «intelligente». (Cfr. in questo numero l'articolo di Maria
Grazia Breda: «Tre incontri sul problema degli anziani cronici non
autosufficienti»).
(14) Si parla, ad esempio, di
assistenza domiciliare integrata, comprendente prestazioni sanitarie e
assistenziali, fornite a tutti i cittadini senza alcun limite di reddito.
(15) Cfr. G.C. Vicinelli, Una riforma
a misura d'uomo, in L'assistenza sociale,
rivista dell'INCA-CGIL, n. 1, gennaio-febbraio 1987.
(16) Ibidem.
(17) E. Ranci Ortigosa, Modelli per
un'integrazione sociosanitaria, in L'assistenza
sociale, op. cit.
(18) Ibidem.
(19) Michele La Rosa, Quali priorità
per la rete dei servizi socio-assistenziali, in LABOS, Una prospettiva per l'assistenza sociale, Edizioni T.E.R.,
Roma, 1988, Ed. fuori commercio.
(20) Ibidem.
(21) Un altro esempio è costituito
dalle cosiddette università della terza età.
(22) Ad esempio, riducendo al minimo
lo scandaloso fenomeno del doppio lavoro, praticato da 5-6 milioni di persone.
(23) Il problema dell'integrazione
dei servizi sanitari, sociali e assistenziali verrà esaminato in un prossimo articolo.
(24) Nel documento della Fondazione
Zancan «Osservazioni e proposte per la riforma dell'assistenza» (riportato in
questo numero) si propone (v. nota integrativa della 1ª Commissione) che le
prestazioni assistenziali conseguenti alla disoccupazione vengano erogate dal
settore «lavoro», che il settore «casa» sia tenuto ad intervenire in tutte le
situazioni di emergenza determinate dalla mancanza di una abitazione idonea. In
questo modo verrebbe in concreto combattuta la funzione «spazzatura» dal
settore assistenziale, funzione che consiste nell'attribuire a detto settore
la competenza per le persone per le quali si rifiutano di intervenire i settori
della casa, della scuola, del lavoro, della sanità, ecc.
www.fondazionepromozionesociale.it