ASSOLTI I DUE OPERATORI DELL'OSPEDALE MOLINETTE DI TORINO CONDANNATI IN PRIMA ISTANZA
Nel n. 68,
ottobre-dicembre 1984, di Prospettive
assistenziali avevamo pubblicato la «Sentenza
penale nei confronti di due operatori dell'Ospedale Molinette di Torino per le
dimissioni selvagge di un anziano», il Sig. Stefano Nosenzo di 94 anni.
Riportiamo
ora la sentenza di assoluzione degli operatori suddetti. Prendiamo atto della
pronuncia della Corte di appello di Torino. Ci sorprende però che essa si
basi su impegni e doveri della Signora Natalina Longarini (non parente e non
convivente) del Nosenzo, impegni e doveri che non sono mai stati accertati e
dimostrati. Dalla sentenza di primo grado risulta, anzi, che l'ass. soc.
Trombini sapeva «che la Signora Longarini
Natalina è assente da Torino, che la figlia non è in grado di recarsi in
ospedale a prelevare il Nosenzo, che comunque è indisponibile a prestargli
assistenza».
In secondo
luogo riteniamo inammissibile che una persona soprattutto se ha 94 anni, venga
dimessa da un ospedale «in un
giorno assai freddo del mese di febbraio, in ora tarda e buia ed essendo il
Nosenzo vestito del solo pigiama e della vestaglia», senza che il personale incaricato abbia verificato se l'interessato
aveva l'autonomia indispensabile per vivere da solo e se l'appartamento era in
condizioni tali da poter essere abitato dal paziente dimissibile.
SENTENZA
DELLA CORTE DI APPELLO
La Corte di appello di Torino, 3a Sezione
penale, composta dal Presidente Nello Montinari e dai Consiglieri Anna Viberti,
relatore, e Mauro Mazziotti, ha pronunciato la seguente sentenza contro
Trombini Maria nata il 4-10-1945 a Cuneo, residente e domiciliata ex art. 171
C.P.P. in Torino, Via Cardinal Maurizio 11, libera e presente, e Marfario
Paolo, nato il 24-12-1951 a Novara, residente e domiciliato ex art. C.P.P. in
Torino, Corso Bramante 29 e in Corso Bramante 88/9P c/o Ospedale Molinette,
libero e presente, in primo grado imputati del reato di cui all'art. 591 C.P.
per avere, nelle rispettive qualità il Marforio di ispettore sanitario presso
l'Ospedale Molinette, la Trombini di assistente sociale USL applicata presso il
predetto nosocomio, abbandonato Nosenzo Stefano (il quale non era in grado di
provvedere a se stesso sia per vecchiaia sia in relazione alla particolare
situazione di tempo e di luogo in cui avvenne il fatto: egli aveva 94 anni, era
appena giunto dall'ospedale di Pietra Ligure dopo una lunga degenza; era un
giorno assai freddo nel mese di febbraio, in ora tarda e buia ed essendo il
Nosenzo vestito del solo pigiama e della vestaglia) non consegnandolo al
momento della dimissione a familiari o a personale da loro indicato, ma
facendolo trasportare da solo a bordo di un taxi nelle vicinanze di un numero
civico ove era sito un alloggio abitato da persone le quali avevano le chiavi
di quella del Nosenzo.
In
Torino il 16-2-1983 oltre le ore 16,00.
APPELLANTI
Avverso la sentenza del Tribunale di Torino in data
28-3-1984 che dichiarava: Marforio Paolo e Trombini Maria colpevoli del reato
loro ascritto e, concesse ad entrambi le attenuanti generiche li condannava
ciascuno alla pena di mesi sei di reclusione ed entrambi in solido al pagamento
delle spese processuali.
Visti gli artt. 28 e 31 C.P., interdiceva il Marforio
e la Trombini dai pubblici uffici per la durata di anni uno.
Visti gli artt. 163 e 164 C.P. concedeva a entrambi
gli imputati il beneficio della sospensione condizionale della esecuzione della
pena.
FATTO E DIRITTO
In data 16-2-1983 Nosenzo Stefano, di 94 anni, viene
soccorso mentre, piangente disorientato e infreddolito, sosta nell'androne
dello stabile di via Petrarca 28, in Torino.
Viene accertato che il Nosenzo il 25-1-1983 è stato
ricoverato per una bronchite ormai cronica presso l'ospedale Molinette; di qui
poi è stato trasferito all'Eremo e successivamente avviato presso l'Ospedale
Santa Corona di Pietra Ligure, Divisione lungodegenti.
Il 16-2-1983 si dispone la dimissione del paziente
clinicamente guarito.
Il provvedimento viene comunicato telefonicamente
dall'Ospedale di Pietra Ligure alla casa della sig.a Longarini, abitante in Via
Petrarca (non distante da via Goito ove abita il Nosenzo) che da tempo provvede
alla saltuaria assistenza del Nosenzo stesso.
Anna Rivalta, figlia della Longarini, secondo la
testimonianza Longarini, avrebbe risposto che la madre era assente e che
nessuno poteva provvedere a prelevare il vecchio per riportarlo a casa.
Invece, secondo la testimonianza del dottor Pinna, la
Rivalta avrebbe assicurato che qualcuno avrebbe ricevuto il Nosenzo a Torino.
Allora il medesimo viene accompagnato con
un'autoambulanza dell'Ospedale Molinette fino a Torino, ove viene fatto
scendere nel cortile dell'Ospedale stesso. Qui la situazione del Nosenzo,
rimasto solo nel cortile senza che nessuno fosse venuto ad aspettarlo, viene
segnalata all'assistente sociale Maria Trombini, dipendente USL e applicata
presso l'ospedale, e all'ispettore sanitario dott. Paolo Marforio.
L'assistente sociale contatta nel proprio ufficio il
Nosenzo, e viene informata che a lui dovrebbe provvedere per l'accompagnamento
a casa la sig. Longarini, e pertanto telefona a casa Longarini. Risponde Anna
Rìvalta, che ripete quanto già, a dire della Longarini, aveva comunicato
telefonicamente all'ospedale Santa Corona.
Nosenzo Stefano, informato dell'esito della telefonata,
manifesta il proprio disappunto per quella che gli sembra una trascuratezza
della Longarini, che pure «aveva i suoi soldi» e, desiderando comunque recarsi
a casa, chiede alla Trombini di accertare presso casa Longarini il luogo dove
si trovano le chiavi del proprio alloggio. Ricevuta l'informazione che le
chiavi in questione si trovano presso la portineria della Longarini, il Nosenzo
viene dall'assistente sociale affidato ad un infermiere perché lo accompagni
fino al taxi. Prima di allontanarsi, viene avvicinato dal dott. Marforio, già
messo al corrente della situazione dalla Trombini, il quale rivolge
all'anziano alcune domande per assicurarsi sulla sua lucidità mentale.
Successivamente l'infermiere, all'atto di scendere
in strada, si rende conto che il Nosenzo è privo di cappotto (pare che avesse
indosso il vestito grigio e una vestaglia o una giacca da camera, in quanto
il cappotto era stato trattenuto dalla Longarini, quando accompaqnò il Nosenzo
a Pietra Ligure) e, stante la giornata rigida invernale gli mette sulle spalle
«qualcosa prelevato dalla borsa».
Quindi lo accompagna fino ad un taxi.
Il Nosenzo indica al taxista l'indirizzo di via
Petrarca; qui giunto e sceso dall'auto, il medesimo entra nell'androne della
stabile ove abita la Longarini e presso la cui portineria sono custodite le chiavi
del proprio alloggio. A questo punto si sente disorientato, infreddolito e
viene preso dallo sconforto. «Più che confuso, sembrava molto depresso,
preoccupato e ansioso» (testimonianza Argentieri). Non risulta agli atti se
fosse riuscito a trovare le chiavi in portineria. Risulta che ai suoi
soccorritori, che intervennero mezza ora dopo la sua partenza dalle Molinette,
disse confusamente che cercava la sig.a Longarini e che non ricordava a che
piano abitasse.
Il Tribunale, ritenuto che all'organizzazione
ospedaliera incombe l'obbligo di assistere i pazienti non autosufficienti anche
dopo la formale dimissione, fino a quando l'obbligo stesso non si trasferisca in
capo ad altra persona vincolata per legge o per contratto ad assolvere analoga
funzione, ritenuto che il Nosenzo era in situazione di minorata autonomia, ha
dichiarato i pervenuti Marforio e Trombini, rispettivamente quali ispettore
sanitario presso l'Ospedale Molinette e assistente sociale USL applicata
presso il predetto nosocomio, colpevoli del reato ascritto.
Proponendo appello i pervenuti chiedono l'assoluzione
con formula ampia o, in subordine, per insufficienza di prove; in ulteriore
subordine, lamentano l'eccessività della pena, la mancata esclusione della
pena dell'interdizione dai pubblici uffici e la mancata concessione del
beneficio della non menzione.
A parere della Corte la sentenza impugnata, pregevole
per la chiara affermazione di sacrosanti principi umanitari, per la scrupolosa
delimitazione dell'ambito entro il quale l'istituzione ospedaliera è
competente e ha il dovere di assistenza, nonché per l'approfondita ricerca dei
criteri in base ai quali una persona anziana può essere qualificata come non
autosufficiente e pertanto «incapace» ai sensi dell'art. 591 C.P., non può
essere condivisa nella parte in cui motiva la propria convinzione che i
prevenuti fossero consapevoli della situazione di minorata autonomia del Nosenzo
e comunque di carenza della necessaria assistenza.
Vi sono invece buoni motivi per ritenere che, agli
occhi dell'ispettore sanitario e dell'assistente sociale, il medesimo non
apparisse come persona in condizioni di non poter provvedere a se stesso.
In primo luogo occorre soffermarsi a considerare
qual era la situazione ambientale, secondo quanto era prevedibile per i
pervenuti in cui il Nosenzo si sarebbe venuto a trovare una volta sceso dal
taxi.
L'assistente sociale era stata informata dal Nosenzo
che la Longarini, sua vicina di casa, provvedeva saltuariamente alla sua
assistenza, e aveva potuto arguire dal disappunto manifestato dal medesimo per
l'assenza della Longarini, che pure aveva il suo denaro, che il detto impegno
perdurava tuttora. Si era poi resa conto, telefonando a casa Longarini, che
nessuno era venuto ad attendere il dimesso perché la sig.a Longarini non c'era
e la figlia, Anna Rivalta, non poteva allontanarsi da casa dovendo custodire i
bambini. Pare anche che alla Rivalta, che palesava la propria impossibilità ad
ospitare il vecchio, essendo assente sua madre, l'assistente sociale abbia
rivolto un fermo invito a fare il proprio dovere. La circostanza è stata
riferita da Longarini Natalina, essendo stata esposta dalla figlia (la quale non
si è mai presentata a testimoniare). L'assistente sociale era dunque convinta
che la Longarini, o la figlia per lei, avrebbe provveduto a continuare ad
assistere saltuariamente il Nosenzo, così come aveva fatto fino ad allora,
essendovi contrattualmente tenuta, anche se meno volentieri che in precedenza.
Forse impensierita per la poca disponibilità manifestata dalla Rivalta o forse
avendo avuto il sentore dall'atteggiamento del Nosenzo di contrasti tra lui e
la Longarini, la Trombini la mattina successiva segnalò il caso all'assistente
sociale di zona.
Secondo le previsioni dell'assistente sociale, il
Nosenzo, una volta sceso dal taxi avrebbe dovuto entrare nell'androne dello
stabile ove abitava (informata che la Longarini era vicina di casa del Nosenzo,
l'assistente sociale era convinta che i due abitassero nello stesso stabile),
ritirare le chiavi in portineria, entrare nel proprio alloggio e passarvi la
notte. Il giorno successivo - se non la sera stessa - la Longarini o sua figlia
si sarebbero certamente occupate di lui, come era loro dovere.
Occorre ora accertare se il Nosenzo si trovasse in
condizioni psico-fisiche apparenti tali da poter essere ritenuto capace dì
provvedere senza pericolo per la propria incolumità personale a svolgere le
dette incombenze.
Va a questo punto chiarito che l'ispettore sanitario
non era tenuta secondo la prassi a visitare i dimessi, né ad esaminare la
documentazione sanitaria relativa al periodo di degenza, essendo la dimissione
avvenuta a Pietra Ligure e in ordine alla quale la responsabilità essendo
assunta dall'Ospedale Santa Corona.
Va aggiunto che i pervenuti, anche se avessero preso
visione della lettera di dimissione con cui il sanitario dell'Ospedale Santa
Corona dott. Giuliano Pinna dichiarava di acconsentire alla richiesta di
dimissione del Nosenzo sembrando che questi avesse una persona che lo
assisteva, probabilmente non si sarebbero comportati in modo diverso, posto
che essi avevano già tenuto conto della necessità per il Nosenzo di avere
qualcuno che saltuariamente lo assistesse.
Dalla testimonianza resa dal dott. Giuliano Pinna,
risulta che in relazione all'età il Nosenzo godeva di ottime condizioni fisiche
ed era in grado di vivere da solo in casa, in piena indipendenza; egli teneva
alla propria autonomia, tanto che fin dal primo giorno a Pietra Ligure aveva
chiesto di essere lasciato tornare a casa; avrebbe potuto essere dimesso
anticipatamente per le sue condizioni di salute, ma la dimissione venne ritardata
perché non c'era alcun parente che potesse prenderlo con sé.
Dunque, alla luce di detta testimonianza, si deve
credere ai pervenuti quando dichiarano che il Nosenzo era apparso lucido di
mente, e non dimostrava gli anni che aveva. Egli aveva indicato con esattezza
il numero telefonico della Longarini, aveva insistito perché si assumessero informazioni
circa le chiavi di casa e aveva dichiarato che intendeva comunque recarsi a
casa propria.
Il perito dott. Pernigotti ha detto che il Nosenzo
era in condizioni psico-fisiche buone, «solo era condizionato psichicamente per
ansietà, aveva momenti di emotività» per cui non poteva dirsi fornito di
totale autosufficienza. La fragilità psicoemotiva, tipica dell'età, lo rendeva
incapace di affrontare compiti complessi. Orbene, la situazione che egli
avrebbe dovuto affrontare rientrando a casa, così come se la poterono
prospettare i pervenuti, non dovette apparire loro particolarmente difficile
per lui, stante la sua apparente buona autonomia e potendo contare sull'impegno
assunto dalla Longarini.
Pare di poter arguire dalle risultanze di causa, e in
particolare dalla già citata testimonianza resa da Argentieri che prestò
soccorso al Nosenzo, che questi, anziché cercare di ritirare le chiavi in
portineria e avviarsi nel proprio alloggio come concordato con l'assistente
sociale, sia rimasto a sostare nell'androne combattuto probabilmente tra il
proprio desiderio di contattare la famiglia Longarini e la consapevolezza amara
che da loro non era desiderato; preso da profondo sconforto e dall'ansia a cui
era predisposto, data la fragilità psico-emotiva tipica dell'età, provò la
terribile sensazione di essere stato abbandonato dalla sola persona su cui
fino ad allora aveva contatto e che gli aveva permesso di vivere autonomamente.
La detta interpretazione dello stato d'animo del
Nosenzo è avvalorata dalla testimonianza resa dal dott. Pernigotti, secondo la
quale il medesimo, quando, ospite di un istituto, venne sottoposto ad esame
peritale, presentava «un'emotività come se fosse stato abbandonato da una
persona».
Se così si sono svolti i fatti, non pare che sia
ravvisabile la responsabilità dei pervenuti per il reato di cui all'art. 591
C.P.: la situazione di concreto abbandono del Nosenzo si sarebbe venuta a
creare più per il comportamento trascurato della Longarini che non per la
condotta dei prevenuti, i quali, comunque, per quanto era ai loro occhi
prevedibile, non erano consapevoli di una tale possibile conseguenza.
Pertanto, sembra conforme a giustizia assolvere
l'assistente sociale Trombini e il Dott. Marforio dal reato loro ascritto
perché il fatto non costituisce reato.
P. Q. M.
La Corte, visto l'art. 523 C.P.; in riforma della
sentenza appellata assolve Trombini Marina e Marforio Paolo dal reato loro
ascritto perché il fatto non costituisce reato.
Torino, 13 ottobre 1988 - Depositata in Cancelleria
il 4 novembre 1988.
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