Prospettive assistenziali, n. 85, gennaio-marzo 1989

 

 

«FRATELLI» E «SORELLE» ADOTTATI DA FAMIGLIE DIVERSE

AUREA DISSEGNA (*)

 

 

Pubblichiamo integralmente la nota inviataci da A. Dissegna. Riportiamo anche il nostro commento.

 

Chiara l'ho conosciuta durante un colloquio presso la sede del Servizio di Consultorio Familiare dove lavoro. I suoi genitori l'avevano adot­tata da quattro anni (Chiara ora ne ha quasi 16), ed avevamo inoltrato una nuova domanda di adozione internazionale al Tribunale per i Minorenni.

I colloqui che stavamo effettuando (io e lo psi­cologo) erano appunto finalizzati alla valutazione per questa nuova adozione. Era contenta che i suoi genitori chiedessero un nuovo bambino, ma il fatto importante che emerse nel corso del nostro incontro, era la sua voglia, e ce lo chiese piangendo, di poter avere notizie e la possibilità di vedere le sue sorelle, soprattutto quella più piccola, di qualche anno minore di lei. Era quella con la quale aveva trascorso la maggior parte della sua vita, prima in una famiglia piena di problemi e poi in istituto fino al decreto dello stato di adottabilità. Si erano sostenute a vicenda soprattutto nelle difficoltà ed avevano instaurato un profondo rapporto affettivo e poi, al momento dell'adozione, erano state separate. Mi ero impe­gnata con lei, se era possibile attraverso il Tribu­nale per i Minorenni, contattare i Servizi Sociali che conoscevano l'altra coppia presso la quale era stata adottata la sorella e valutare l'opportu­nità di un loro incontro.

A noi operatori pareva una richiesta «giusta» ­pur conoscendo i limiti e i vincoli della legge in materia. La psicologa che seguiva l'altra coppia era invece di parere contrario: «La bambina si è da poco messa tranquilla, dopo che ha fatto di­ventare matti i genitori perché voleva sapere dov'è la sorella Chiara e la voleva incontrare, vuole rovinare tutto?» e proseguendo mi ha anche minacciata di denuncia perché la legge prevede la rescissione di qualsiasi legame con la famiglia d'origine.

Anche Linda, dichiarata adottabile a 14 anni con altri due fratelli, uno di 10 e una di 17 anni, con esperienze d'istituto e tre affidi eterofamiliari falliti (ora ha 17 anni), chiede con insistenza di poter vedere il fratello più piccolo che nel frat­tempo è stato dato in adozione.

Anche qui la famiglia si oppone per paura di reazioni indesiderate e difficilmente gestibili. So­no solo due esempi del problema di cui pochi parlano perché comunque si risolve sulla pelle dei minori. È uno degli aspetti problematici della legge sull'adozione che, pur non essendo un fe­nomeno numericamente rilevante, pone il pro­blema della separazione dei fratelli senza possi­bilità poi di continuare a mantenere un rapporto consentito, legale. La legge 184/83 sottolinea la importanza di non separare per quanto possibile i nuclei di due o più fratelli, ma non è previsto che i minori possano esprimere l'esigenza di con­tinuare a vedersi nel caso vengano invece sepa­rati. L'orientamento dei giudici dei Tribunali per i Minorenni e quello degli operatori dei Servizi è spesso ambiguo e contraddittorio. Se vi è la ten­denza ad identificarsi con la coppia che ha adat­tato, si sarà portati a negare questo bisogno e si userà la legge come contenitore per negare que­ste istanze, se invece ci si identifica con il mino­re, la si considererà come una giusta esigenza e si tenderà piuttosto a «trasgredire» la legge favo­rendo e lavorando con le coppie che hanno fra­telli in adozione per preparare e favorire il loro incontro. Ovviamente io mi ritrovo in questo se­condo gruppo. Un modo per superare parzialmen­te il problema potrebbe essere quello di dare (da parte del Tribunale per i minorenni) alle coppie che adottano fratelli l'indicazione di curare e man­tenere i rapporti tra loro consentendo da subito il mantenimento di questo filo che lega i minori con origini e passato comune. Resterebbe comun­que alla disponibilità e alla sensibilità delle sin­gole coppie la decisione di mantenere questi rapporti. È comunque un problema aperto: con la estensione dell'età di possibile stato di adot­tabilità (0-18 anni) introdotto dalla legge 184/83, probabilmente si verificheranno sempre situazio­ni di separazioni di fratelli. Qual è la coppia infatti che è in grado di gestire ed è disposta ad accet­tare due-tre minori in età preadolescenziale? Vorrei concludere can una provocazione, parafra­sando una frase pubblicitaria di questi giorni «es­sere un minore è un diritto, non una colpa»: anche essere fratelli è un diritto e non dovrebbe essere una colpa.

 

Commento della Redazione di Prospettive assistenziali

A nostro avviso, l'adozione consiste essenzial­mente: per i minori, diventare figli, a tutti gli ef­fetti, di coniugi che non li hanno generati e per gli adulti diventare padre e madre di un figlio da essi non procreato.

Il legame fra figli e genitori adottivi è stato dal legislatore parificato in tutto e per tutto al rap­porto fra figli e genitori biologici, in quanto i rap­porti affettivi, reciprocamente formativi, sono stati considerati prevalenti rispetto all'eredita­rietà.

In altre parole la personalità del bambino adot­tato è conseguente non tanto all'apporto biolo­gico, ma soprattutto (per alcuni esclusivamente) al fatto di essere vissuti in quella determinata famiglia e in quel determinato ambiente sociale.

È proprio per questi motivi che la legge 4 mag­gio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori» stabilisce che «l'adot­tato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti dei quali assume e trasmette il cogno­me» e che «con l'adozione cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine» (art. 27).

Ne deriva anche che i minori adottati dalla stessa famiglia assumono lo stato di fratelli e sorelle.

Le disposizioni dell'art. 73 (1), a nostro avviso, giustamente, sono dirette a tutelare i minori adottati ed i genitori adottivi, al fine di evitare nocive interferenze: in certi casi si sono verifi­cate situazioni di vero e proprio ricatto con gravi ripercussioni sullo sviluppo dei minori.

Per i minori provenienti dalla stessa famiglia di origine, se adottati in tenera età, a nostro av­viso, non si pone il problema della loro adozione da parte della stessa famiglia, né quello della loro messa in contatto, sempre che si abbia dell'ado­zione quel concetto che abbiamo esposto in pre­cedenza.

Diverso è il problema dei minori grandicelli; che hanno trascorso una parte, per essi significa­tiva, della loro vita prima dell'adozione. Innanzi tutto questo problema non si pone solo per i «fratelli» e «sorelle», ma per tutti i minori, pa­renti o non parenti, che hanno stabilito dei legami affettivi importanti.

Certamente, in questi casi, occorrerebbe in via prioritaria ricercare una famiglia adottiva che possa accogliere questi minori, fratelli o non fra­telli.

Ma, se questa famiglia non viene reperita in tempi ragionevoli (commisurati cioè alle esigenze dei minori), a nostro avviso è preferibile l'inse­rimento dei minori stessi in famiglie diverse, anche se ciò determina la loro separazione.

Obbligare le famiglie che hanno accolto minori che avevano avuto rapporti significativi fra di lo­ro, a conservare detti rapporti comporta diversi pericoli.

In primo luogo c'è il rischio che vi siano molte famiglie che rifiutano questa impostazione, con la conseguenza di rendere ancor più difficile l'in­serimento in famiglie adottive di questi minori, già oggi non facile per gli adolescenti.

In secondo luogo non occorre sottovalutare il pericolo di negative interferenze fra le varie fa­miglie che accolgono i minori.

La conservazione dei rapporti fra i minori de­termina anche la necessità che le diverse fami­glie stabiliscano delle relazioni fra di loro, situa­zione che può essere un'ulteriore fonte di pro­blemi di difficile soluzione.

Ciò anche nella considerazione del fatto che i genitori adottivi di un minore possono essere portati ad interferire sul tipo di educazione impar­tito dalle altre famiglie che hanno accolto «fratel­li» o «sorelle» del loro figlio adottivo.

In conclusione, riteniamo che le attuali dispo­sizioni di legge siano adeguate e che esse deb­bano essere rispettate tenendo conto delle esi­genze complessive dei minori in stato di adot­tabilità.

Vanno pertanto evitate le situazioni che, ma­gari giuste per quel caso singolo, rischiano di provocare danni, anche gravi, a molte altre per­sone, in primo luogo ai minori, ma anche ai geni­tori adottivi.

 

 

 

(*) Sociologa, Assistente sociale presso il consultorio familiare dell'ULSS 5 di Bassano del Grappa.

(1) L'art. 73 della legge 184/83 è così formulato: «Chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio fornisce qualsiasi notizia atta a rintracciare un mi­nore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione o ri­vela in qualsiasi modo notizie circa lo stato di figlio legit­timo per adozione è punito con la reclusione fino a sei me­si o con la multa fino a lire 900.000.

«Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, si applica la pena della re­clusione da sei mesi a tre anni.

«Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche a chi fornisce tali notizie successivamente all'affi­damento preadottivo e senza l'autorizzazione dei tribunale per i minorenni».

 

 

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