«FRATELLI» E «SORELLE» ADOTTATI DA
FAMIGLIE DIVERSE
AUREA DISSEGNA (*)
Pubblichiamo
integralmente la nota inviataci da A. Dissegna. Riportiamo anche il nostro commento.
Chiara l'ho conosciuta durante un colloquio presso la
sede del Servizio di Consultorio Familiare dove lavoro. I suoi genitori
l'avevano adottata da quattro anni (Chiara ora ne ha quasi 16), ed avevamo
inoltrato una nuova domanda di adozione internazionale al Tribunale per i
Minorenni.
I colloqui che stavamo effettuando (io e lo psicologo)
erano appunto finalizzati alla valutazione per questa nuova adozione. Era
contenta che i suoi genitori chiedessero un nuovo bambino, ma il fatto
importante che emerse nel corso del nostro incontro, era la sua voglia, e ce lo
chiese piangendo, di poter avere notizie e la possibilità di vedere le sue
sorelle, soprattutto quella più piccola, di qualche anno minore di lei. Era
quella con la quale aveva trascorso la maggior parte della sua vita, prima in
una famiglia piena di problemi e poi in istituto fino al decreto dello stato di
adottabilità. Si erano sostenute a vicenda soprattutto nelle difficoltà ed
avevano instaurato un profondo rapporto affettivo e poi, al momento
dell'adozione, erano state separate. Mi ero impegnata con lei, se era
possibile attraverso il Tribunale per i Minorenni, contattare i Servizi
Sociali che conoscevano l'altra coppia presso la quale era stata adottata la
sorella e valutare l'opportunità di un loro incontro.
A noi operatori pareva una richiesta «giusta» pur
conoscendo i limiti e i vincoli della legge in materia. La psicologa che
seguiva l'altra coppia era invece di parere contrario: «La bambina si è da poco
messa tranquilla, dopo che ha fatto diventare matti i genitori perché voleva
sapere dov'è la sorella Chiara e la voleva incontrare, vuole rovinare tutto?» e
proseguendo mi ha anche minacciata di denuncia perché la legge prevede la
rescissione di qualsiasi legame con la famiglia d'origine.
Anche Linda, dichiarata adottabile a 14 anni con
altri due fratelli, uno di 10 e una di 17 anni, con esperienze d'istituto e tre
affidi eterofamiliari falliti (ora ha 17 anni), chiede con insistenza di poter
vedere il fratello più piccolo che nel frattempo è stato dato in adozione.
Anche qui la famiglia si oppone per paura di reazioni
indesiderate e difficilmente gestibili. Sono solo due esempi del problema di
cui pochi parlano perché comunque si risolve sulla pelle dei minori. È uno
degli aspetti problematici della legge sull'adozione che, pur non essendo un fenomeno
numericamente rilevante, pone il problema della separazione dei fratelli senza
possibilità poi di continuare a mantenere un rapporto consentito, legale. La
legge 184/83 sottolinea la importanza di non separare per quanto possibile i
nuclei di due o più fratelli, ma non è previsto che i minori possano esprimere
l'esigenza di continuare a vedersi nel caso vengano invece separati.
L'orientamento dei giudici dei Tribunali per i Minorenni e quello degli
operatori dei Servizi è spesso ambiguo e contraddittorio. Se vi è la tendenza
ad identificarsi con la coppia che ha adattato, si sarà portati a negare
questo bisogno e si userà la legge come contenitore per negare queste istanze,
se invece ci si identifica con il minore, la si considererà come una giusta
esigenza e si tenderà piuttosto a «trasgredire» la legge favorendo e lavorando
con le coppie che hanno fratelli in adozione per preparare e favorire il loro
incontro. Ovviamente io mi ritrovo in questo secondo gruppo. Un modo per
superare parzialmente il problema potrebbe essere quello di dare (da parte del
Tribunale per i minorenni) alle coppie che adottano fratelli l'indicazione di
curare e mantenere i rapporti tra loro consentendo da subito il mantenimento
di questo filo che lega i minori con origini e passato comune. Resterebbe comunque
alla disponibilità e alla sensibilità delle singole coppie la decisione di
mantenere questi rapporti. È comunque un problema aperto: con la estensione
dell'età di possibile stato di adottabilità (0-18 anni) introdotto dalla legge
184/83, probabilmente si verificheranno sempre situazioni di separazioni di
fratelli. Qual è la coppia infatti che è in grado di gestire ed è disposta ad
accettare due-tre minori in età preadolescenziale? Vorrei concludere can una
provocazione, parafrasando una frase pubblicitaria di questi giorni «essere
un minore è un diritto, non una colpa»: anche essere fratelli è un diritto e
non dovrebbe essere una colpa.
Commento della Redazione di Prospettive assistenziali
A nostro avviso, l'adozione consiste essenzialmente:
per i minori, diventare figli, a tutti gli effetti, di coniugi che non li
hanno generati e per gli adulti diventare padre e madre di un figlio da essi
non procreato.
Il legame fra figli e genitori adottivi è stato dal
legislatore parificato in tutto e per tutto al rapporto fra figli e genitori
biologici, in quanto i rapporti affettivi, reciprocamente formativi, sono
stati considerati prevalenti rispetto all'ereditarietà.
In altre parole la personalità del bambino adottato
è conseguente non tanto all'apporto biologico, ma soprattutto (per alcuni
esclusivamente) al fatto di essere vissuti in quella determinata famiglia e in
quel determinato ambiente sociale.
È proprio per questi motivi che la legge 4 maggio
1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori» stabilisce
che «l'adottato acquista lo stato di
figlio legittimo degli adottanti dei quali assume e trasmette il cognome»
e che «con l'adozione cessano i rapporti
dell'adottato verso la famiglia d'origine» (art. 27).
Ne deriva anche che i minori adottati dalla stessa
famiglia assumono lo stato di fratelli e sorelle.
Le disposizioni dell'art. 73 (1), a nostro avviso,
giustamente, sono dirette a tutelare i minori adottati ed i genitori adottivi,
al fine di evitare nocive interferenze: in certi casi si sono verificate
situazioni di vero e proprio ricatto con gravi ripercussioni sullo sviluppo dei
minori.
Per i minori provenienti dalla stessa famiglia di
origine, se adottati in tenera età, a nostro avviso, non si pone il problema
della loro adozione da parte della stessa famiglia, né quello della loro messa
in contatto, sempre che si abbia dell'adozione quel concetto che abbiamo
esposto in precedenza.
Diverso è il problema dei minori grandicelli; che
hanno trascorso una parte, per essi significativa, della loro vita prima
dell'adozione. Innanzi tutto questo problema non si pone solo per i «fratelli»
e «sorelle», ma per tutti i minori, parenti o non parenti, che hanno stabilito
dei legami affettivi importanti.
Certamente, in questi casi, occorrerebbe in via
prioritaria ricercare una famiglia adottiva che possa accogliere questi minori,
fratelli o non fratelli.
Ma, se questa famiglia non viene reperita in tempi
ragionevoli (commisurati cioè alle esigenze dei minori), a nostro avviso è
preferibile l'inserimento dei minori stessi in famiglie diverse, anche se ciò
determina la loro separazione.
Obbligare le famiglie che hanno accolto minori che
avevano avuto rapporti significativi fra di loro, a conservare detti rapporti comporta
diversi pericoli.
In primo luogo c'è il rischio che vi siano molte
famiglie che rifiutano questa impostazione, con la conseguenza di rendere ancor
più difficile l'inserimento in famiglie adottive di questi minori, già oggi
non facile per gli adolescenti.
In secondo luogo non occorre sottovalutare il
pericolo di negative interferenze fra le varie famiglie che accolgono i
minori.
La conservazione dei rapporti fra i minori determina
anche la necessità che le diverse famiglie stabiliscano delle relazioni fra di
loro, situazione che può essere un'ulteriore fonte di problemi di difficile
soluzione.
Ciò anche nella considerazione del fatto che i
genitori adottivi di un minore possono essere portati ad interferire sul tipo
di educazione impartito dalle altre famiglie che hanno accolto «fratelli» o
«sorelle» del loro figlio adottivo.
In conclusione, riteniamo che le attuali disposizioni
di legge siano adeguate e che esse debbano essere rispettate tenendo conto
delle esigenze complessive dei minori in stato di adottabilità.
Vanno pertanto evitate le situazioni che, magari
giuste per quel caso singolo, rischiano di provocare danni, anche gravi, a
molte altre persone, in primo luogo ai minori, ma anche ai genitori adottivi.
(*) Sociologa, Assistente sociale presso il consultorio
familiare dell'ULSS 5 di Bassano del Grappa.
(1) L'art. 73 della legge 184/83 è
così formulato: «Chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio
fornisce qualsiasi notizia atta a rintracciare un minore nei cui confronti sia
stata pronunciata adozione o rivela in qualsiasi modo notizie circa lo stato
di figlio legittimo per adozione è punito con la reclusione fino a sei mesi o
con la multa fino a lire 900.000.
«Se il fatto è commesso da un
pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, si applica la pena
della reclusione da sei mesi a tre anni.
«Le disposizioni di cui ai commi
precedenti si applicano anche a chi fornisce tali notizie successivamente
all'affidamento preadottivo e senza l'autorizzazione dei tribunale per i
minorenni».
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