Prospettive assistenziali, n. 85, gennaio-marzo 1989

 

 

LETTERA DEL LABOS IN MERITO ALL'ARTICOLO DI F. SANTANERA «RICERCA LABOS SUGLI ANZIANI NON UTOSUFFICIENTI: METODOLOGIA E CONCLUSIONI FUORVIANTI» E RELATIVA RISPOSTA

 

 

In merito all'articolo di F. Santanera «Ricerca Labos sugli anziani non autosufficienti: metodologia e conclusioni fuorvianti» apparso sul n. 82, aprile-giugno 1988, il Presidente del Labos ci ha scritto una lunghissima lettera che riportiamo integralmente.

 

Nell'ultimo numero di Prospettive assistenziali il Labos è stato chiamato in causa da un articolo a firma di Francesco Santanera in merito alla ricerca sugli anziani non autosufficienti condotta nel 1987 per conto del Ministero dell'Interno (1).

Riteniamo pertanto di dover rispondere a tale critica, sia perché contiene alcune inesattezze, sia in quanto appare doveroso fornire una preci­sazione di dettaglio ai lettori della Sua Rivista, ai quali non sarebbe altrimenti possibile verificare il contenuto delle critiche, dal momento che il volume dell'indagine arriverà in libreria solo a fine estate.

Venendo puntualmente al testo dell'articolo, «Ricerca Labos sugli anziani non autosufficienti: metodologia e conclusioni fuorvianti», rileviamo quanto segue:

1) Santanera sostiene che «la ricerca è stata condotta in base a parametri e valutazioni perso­nali sul concetto di non autosufficienza, per cui, a mio avviso, è stata inficiata la validità di tutta la ricerca e delle relative conclusioni».

L'obiezione più ovvia al riguardo è che le cosid­dette «valutazioni personali» sono il frutto del lavoro di una équipe di ricerca sostenuta da un nutrito gruppo di esperti del comitato scientifico e non, (2) che hanno dimostrato nel corso dei lavori e, in particolare nell'ultima riunione del C.S. stesso, di non dissociarsi dalla definizione operativa di «anziano non autosufficiente» assun­ta nella ricerca (3).

Non è vero comunque che il Labos non abbia accettato di procedere ad una definizione del con­cetto di non autosufficienza. Più verosimilmente Santanera dovrebbe ricordare come fosse proble­matico compendiare e sintetizzare posizioni ed approcci affatto eterogenei. Che poi si sia scelto di adottare una definizione diversa da quella pro­posta da Santanera è questione eminentemente metodologica.

Si è ritenuto infatti di procedere ad una defini­zione sintetica solo in quanto questa era neces­saria a delimitare il campo di riguardo della non autosufficienza, ma ravvisando altresì la neces­sità di supportare l'intento definitorio con un ap­proccio orientato alla classificazione ed alla va­lutazione.

In primo luogo, quindi, il Labos ha accolto l'ipo­tesi che definisce come non autosufficienti «que­gli individui che non sono in grado di mantenersi dinamicamente integrati nel contesto sociale di appartenenza, o di rispondere ai bisogni essen­ziali di vita senza l'aiuto esterno».

Tale condizione, negli anziani, si lega stretta­mente ai processi di decadimento psico-fisico che può insorgere improvvisamente o avere un anda­mento progressivo. Se tali processi sono comun­que influenzabili negativamente da parte di malat­tie, tuttavia, in una corretta prospettiva, il pro­cesso eziologico e la fenomenologia che identifica la non autosufficienza coinvolgono fattori molte­plici: oltre a quelli di ordine psico-fisico, anche fattori di carattere economico, ambientale, socia­le e relazionale in senso lato.

La presenza di insufficienze o carenze funzio­nali rispetto ad uno o più di questi fattori deter­mina la non autosufficienza, ovvero uno stato di dipendenza da altre persone, da strumenti pro­tesici, da adattamenti di strutture e/o oggetti.

Successivamente, in secondo luogo, per defi­nire l'impianto classificatorio e valutativo della non autosufficienza, abbiamo fatto riferimento, in senso lato, alla definizione che l'O.M.S. dà dell'handicap, che non identifica lo stato patologico quanto il suo effetto limitante sulle attività degli individui.

L'O.M.S. elenca quindi 5 possibili handicaps riferiti alle funzioni della sopravvivenza: nell’orientamento, nell'indipendenza fisica, nella mo­bilità occupazionale, nell'integrazione sociale, nell'autosufficienza economica.

Mutando tale definizione di handicap proprio dall'O.M.S. si è inteso prescindere da uno stret­to nosografismo clinico che sarebbe totalmente insufficiente e dispersivo e si è invece preso in considerazione l'effetto che deriva da una deter­minata condizione patologica a prescindere anche dal carattere di stretta cronicità (4) essendo suf­ficiente, per l'economia del nostro assunto che l'effetto inabilitante si protragga nel tempo.

Si è convenuto quindi che si definisce com­piutamente la non autosufficienza se la si coglie nella sua complessità e nella sua processualità. È una condizione di complessità in quanto nella sua genesi intervengono in misura variabile, cioè con diversa gradualità e importanza, la compo­nente somatica, psichica e sociale, secondo un approccio multidimensionale alla salute. La diffi­coltà a definire univocamente la non autosuffi­cienza dipende proprio dalla possibilità di arti­colazione di stati e gradi possibili di tale condi­zione in relazione a diversi modelli interpreta­tivi.

Altra valenza privilegiata nella definizione di n.a. da noi considerata è quella che rinvia alla ricostruzione delle tappe che conducono dall'au­tosufficienza alla dipendenza. E quindi alla pro­cessualità nella determinazione di tale condi­zione.

Tuttavia è stato dimostrato che tale processua­lità non può dirsi necessitata verso un andamen­to di progressivo peggioramento o involuzione ma può presentare momenti di stabilizzazione o di temporanea ripresa e benessere in seguito a trattamenti adeguati.

Sul piano operativo è risultato così evidente che alla articolazione e complessità degli stati possibili di n.a. debba corrispondere una diver­sificata modulazione della offerta dei servizi. E quindi la disponibilità di una gamma svariata e graduata di strumenti e risorse da utilizzare con grande flessibilità e con l'obiettivo di salvaguar­dare l'integrità della persona e quindi di promuo­vere con la sua salute organica la qualità della vita e il massimo di autonomia possibile, unita­mente alla motivazione a vivere; possibilmente nel suo contesto familiare-relazionale.

2) In secondo luogo non è vero che «il Labos non ha voluto prendere in esame la legislazione vigente» e che «tale rifiuto ha riguardato anche il decreto amministrativo del Presidente del Consiglio dei Ministri 8-8-1985 e i relativi decreti attuativi delle Regioni» (5). Infatti uno degli obiettivi centrali della ricerca consisteva proprio nell'analisi delle norme di riferimento sia nazio­nali che regionali sui non autosufficienti. Il Labos ha espresso inoltre delle considerazioni in mate­ria ritenendo del tutto lacunosa, contraddittoria e non mirata sul problema dell'anziano non autosuf­ficiente sia la legislazione nazionale che in gene­rale quella regionale. Così come riconosce al DPCM dell'8-8-1985, come norma transitoria ver­so una migliore definizione del problema della ripartizione della spesa sanitaria e socio-assi­stenziale, un risultato positivo almeno per quanto concerne l'assistenza agli anziani n.a. in quanto ha dato modo di prezzare, e quindi di incremen­tare le prestazioni sanitarie erogate nei servizi socio-assistenziali (6) che hanno visto crescere la propria utenza non autosufficiente in relazione ad un disimpegno sanitario che ha fortemente contribuito a determinare la, talora indiscrimina­ta, presa in carico da parte dei servizi socio- assi­stenziali.

3) In terzo luogo le esperienze esaminate dal Labos intendevano rappresentare una vasta tipo­logia di servizi fra cui anche quelli maggiormente orientati alla prevenzione. Inoltre è molto difficile riscontrare nel nostro paese, ma anche all'estero, servizi esclusivamente destinati ad anziani total­mente non autosufficienti. Non sembra comunque proponibile la argomentazione di Santanera quan­do, citando l'esperienza del centro polivalente geriatrico di Ten Kerselaere (Belgio), sostiene che un anziano in grado di spostarsi (con l'ausilio di una poltrona a rotelle) e compiere scelte sia da definire tout-court autosufficiente, trascuran­do le componenti economica, abitativa, relazio­nale, sociale ecc. O forse è proprio Santanera a identificare la non-autosufficienza con la cronici­tà? Sappiamo che per Santanera tutto il problema degli anziani ha forti connotazioni sanitarie: ma non sono solo le condizioni fisiche o patologiche a determinare le capacità di autonomia dell'an­ziano.

Analogamente, i 123 soggetti di cui si parla, sono stati individuati in strutture e servizi a cui si accede non per soggiorni di vacanza, ma sulla base di gravi impedimenti allo svolgimento di una vita normale.

Circa l'indagine campionaria sui 1000 anziani uitrasettantacinquenni, non va dimenticato che essa aveva come obiettivi:

- la valutazione dei fattori che generano non autosufficienza;

- la definizione di profili di non autosufficienza Abbiamo più volte ripetuto, come è nella pre­messa del rapporto, che l'aleatorietà delle defi­nizioni di non autosufficienza, l'assenza non solo di una «anagrafe», ma anche di criteri certi di in­dividuazione, non consentivano di svolgere una indagine «tra» i non autosufficienti, ma «sulla» non autosufficienza. Fenomeno che, a fini esclu­sivamente euristici, si è definito in maniera ela­stica e relativistica, proprio in considerazione del fatto che si tratta di una condizione evolutiva dell'individuo, caratterizzata da una pluralità di fat­tori eziologici e dì modalità fenomeniche; ed, inol­tre, suscettibile di variazioni nel tempo.

4) Circa infine la preoccupazione di Santanera che «la ricerca del Labos prevede ampi spazi di intervento nel settore socio-assistenziale» riba­diamo che il problema della non autosufficienza non è «per definizione» di competenza esclusiva di nessun settore o meglio che il problema non si risolve spostandolo da un settore ad un altro o rivendicando la priorità dell'uno sull'altro. Nessu­no dei due comparti garantisce oggi da solo una adeguata tutela dei bisogni dell'anziano non auto­sufficiente.

Per cui il Labos ritiene che un obiettivo di alto profilo per una politica di intervento non sia quel­lo di mettere paletti o segnare confini ma quello di aggregare su un piano teorico e operativo tutte le competenze disciplinari per rispondere a tutti i bisogni e funzioni che il problema richiede, in­dipendentemente da chi attiva l'intervento (7).

«I rilevanti interessi sociali ed economici in gioco» non sarebbero motivo di preoccupazione se si promuovesse una cultura sul problema orientata a non confondere l'obiettivo con lo stru­mento. Ossia i bisogni degli anziani e quindi il sistema delle funzioni da coprire per soddisfarli devono essere definiti prima delle soluzioni isti­tuzionali o servizi e quindi delle competenze di gestione. In questa ottica «chi gestisce che cosa» è secondaria rispetto al fine di rappresentare se­condo un approccio sistemico-funzionale tutte le esigenze di tutela dell'anziano non autosufficiente

Il Labos nel documento propositivo che ha fat­to seguito all'indagine ha inoltre ribadito la ne­cessità di superare le tradizionali case di riposo in quanto così come si presentano ancora oggi non danno una risposta soddisfacente né ai biso­gni degli anziani autosufficienti - che dovrebbe­ro essere meglio tutelati dal servizio di assisten­za domiciliare nel senso più completo del termi­ne - né a quelli degli anziani non autosufficienti, che richiedono più adeguati livelli di assistenza­tutelare, sanitaria e di riabilitazione, di quelli og­gi garantiti in tali strutture.

Non va trascurato però il fatto che gli anziani dovrebbero decidere da soli dove e come essere assistiti avendo a questo scopo la libertà di sce­gliere tra diverse possibilità ed una quantità di informazioni sufficienti a far prendere loro una decisione ben ponderata.

Anche il riferimento al diritto è oggi del tutto insufficiente se non accompagnato da presuppo­sti di valore circa le finalità dei servizi in rappor­to ai fini, desideri ed esigenze dell'uomo-utente.

Sono questi elementi a dirci per ogni singolo anziano se può essere tutelato meglio nella sua non autosufficienza al proprio domicilio (possibil­mente sempre) o in un contesto ospedaliero (il minimo indispensabile per la cura riabilitativa in­tensiva) o in casa protetta (con le caratteristiche di sede sostitutiva della casa abituale per i casi di patologia pregressa stabilizzata, come ultima risposta rispetto ad una pluralità di servizi già esperiti in una dinamica di integrazione e conti­nuità di presa in carico, con una forte tensione riabilitativa, ecc.). Al di là poi di una diversifica­zione dei servizi in base a moduli organizzativi e alla definizione delle funzioni specifiche è cru­ciale garantire una organizzazione del lavoro sul­la base di una sequenza di obiettivi e non per compiti, prestazioni e mansioni.

In questa direzione riteniamo che la ricerca fornisca delle prospettive uscendo da schemi ri­gidi o da un approccio riduzionistico-totalizzante che non possono avere alcuna legittimazione scientifica. E questo al di là di limiti e carenze che questa ricerca può presentare.

 

 

Risposta di F. Santanera

 

1. Come avevo scritto nell'articolo «Ricerca Labos sugli anziani non autosufficienti: metodo­logia e conclusioni fuorvianti», il sociologo Gu­glielminotti ed io avevamo presentato al Comitato scientifico, nella seconda riunione, due proposte molto simili per definire che cosa si dovesse in­tendere per «anziani non autosufficienti». Nono­stante abbia sollecitato una presa di posizione del Labos, questa non c'è mai stata. Pertanto non è stata data una qualsiasi definizione al concetto di «anziani non autosufficienti». Quindi, tutta la ricerca è stata condotta in base a parametri e valutazioni personali delle persone che sono in­tervenute nell'effettuazione delle varie parti della ricerca.

2. Il Comitato scientifico non ha mai avuto al­cun incarico decisionale. Aveva solo compiti con­sultivi. Poiché il Comitato scientifico non ha mai discusso la proposta di definizione di «anziani non autosufficienti», non si comprende come le «valutazioni personali» possano essere, come scrive Calvaruso, «il frutto di lavoro di équipe so­stenuto da un nutrito gruppo di esperti del Comi­tato scientifico».

3. La conferma della validità delle mie affer­mazioni circa la metodologia fuorviante del La­bos, viene fornita dallo stesso Calvaruso quando afferma che la definizione è stata approvata nell'ultima riunione del Comitato scientifico, e quin­di dopo che la ricerca era stata effettuata.

4. Nella mattinata del 16 marzo 1988, ultima riunione del Comitato scientifico, avevo ripropo­sto per la quarta o quinta volta, l'esigenza di pro­cedere alla definizione di «anziani non autosuffi­cienti» e di rivedere di conseguenza tutta la ri­cerca. Avevo inoltre riproposto, anche in questo caso per la quarta o quinta volta, che venissero prese in esame le vigenti disposizioni di legge, le quali sanciscono il diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie comprese quelle ospedaliere nei casi in cui non sia possi­bile provvedere a domicilio. Visto che le mie pro­poste non erano state accolte dal Presidente del Labos (l'unico partecipante presente con poteri decisionali), non ho più partecipato alla breve riunione pomeridiana.

5. Calvaruso afferma che il Labos ha fatto rife­rimento alla classificazione dell'O.M.S. sull'han­dicap. Ma «handicap» e «non autosufficienza» so­no condizioni anche opposte. Infatti la maggior parte degli handicappati è perfettamente autosuf­ficiente (si pensi ai mutilati) oppure ha una limitata - spesso limitatissima - non autosufficien­za. Numerosi sono gli esempi di persone con han­dicap che hanno svolto e svolgono ruoli di grande prestigio (si pensi al Presidente degli USA Roo­sevelt e al fisico Tullio Regge).

6. Si può anche ritenere utile, come scrive Calvaruso, non parlare di «cronici». Ma, purtrop­po, i malati con patologie croniche restano. Re­sta anche il loro diritto alla prevenzione, cura e riabilitazione, qualsiasi sia la definizione che vie­ne scelta.

7. Confermo che il Labos, fino alla consegna al Comitato scientifico dei documenti per l'ultima seduta del 16 marzo 1988, non ha mai voluto pren­dere in esame né la legislazione vigente né il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 agosto 1985. Al riguardo è sorprendente quanto afferma il Presidente del Labos e cioè che la legislazione vigente sarebbe «del tutto lacu­nosa e contraddittoria». È lacunoso e contrad­dittorio, ad esempio, l'art. 29, tuttora vigente, della legge 12 febbraio 1968 n. 132 il quale af­ferma che le Regioni devono provvedere alla pro­grammazione dei letti ospedalieri tenendo con­to delle esigenze dei «malati acuti, cronici, con­valescenti e lungodegenti»?

8. L'approfondimento della ricerca su 123 sog­getti condotta dal Labos «per investigare alcuni aspetti particolari della vita di anziani non auto­sufficienti», conferma quanto ho sostenuto circa la metodologia e le conclusioni fuorvianti della ricerca stessa del Labos.

Infatti, come avevo già scritto «si tratta di an­ziani in grado di segnalare il loro livello di istru­zione, di indicare la loro situazione relazionale nei confronti dei parenti, di precisare il livello del reddito, di definire il percorso assistenziale seguito e la durata delle prestazioni, di far pre­senti le proprie capacità relative allo svolgimento di alcune attività di vita quotidiana (uscire fuori casa da solo, fare le scale, camminare per alme­no 400 metri, portare un peso di 5 Kg per almeno un centinaio di metri, usare il gabinetto, lavarsi e fare il bagno, vestirsi e spogliarsi, alzarsi e an­dare a letto, mangiare da solo, farsi da mangiare, tagliarsi le unghie, fare lavori domestici leggeri o pesanti), esprimere il grado di soddisfazione di vita, ecc.». Che cosa c'entrano i soggetti in grado di compiere gli atti sopra elencati con la non autosufficienza?

9. Non è vero che, come sostiene Calvaruso, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 agosto 1985 i sussidi economici per i malati psichici non possono più essere ero­gati come misura terapeutica e riabilitativa. In­fatti, la deliberazione del Consiglio regionale pie­montese n. 245/11964 del 31 luglio 1986 «Appro­vazione dei criteri per l'individualizzazione delle attività socio-assistenziali a rilievo sanitario, i cui oneri gravano sul Fondo sanitario nazionale e definizione degli indirizzi operativi alle Unità socio-sanitarie locali» dopo aver premesso che l'ero­gazione degli assegni terapeutici «annoverata tra gli interventi della Provincia in base all'art. 62 del R.D. 16 agosto 1909 n. 615, con la finalità di ridur­re il ricovero in ospedale psichiatrico, è transita­ta, con il trasferimento dell'assistenza psichiatri­ca, dalle Province alle UU.SS.SS.LL.», stabilisce quanto segue: «L'assegno terapeutico si confi­gura come intervento alternativo al ricovero per­ché consente alla persona di riappropriarsi della propria autonomia e autodeterminazione nell'am­bito di un progetto terapeutico-riabilitativo e, co­me tale, di esclusiva competenza del Servizio di tutela della salute mentale».

10. Continuo a ritenere fuorviante definire «pi­lota», come ha fatto il Labos, l'esperienza di Ten Kerselaere (Belgio). Infatti, come si fanno a defi­nire «non autosufficienti» persone che, quasi tut­te (circa il 95%), mangiano al ristorante e sono in grado di scegliere il menù e di decidere a qua­le tavolo accomodarsi?

11. Stupefacente è l'affermazione di Calvaruso secondo cui è secondario definire «chi gestisce che cosa». A mio avviso il problema è invece di assoluta e primaria importanza. Infatti, se si par­te dalle esigenze dei cittadini e dei loro diritti, è indispensabile che sia precisato l'organo tenu­to a provvedere e siano indicate le prestazioni dovute.

Ciò al fine di consentire a detto organismo di dotarsi del personale, dei fondi, delle strutture e attrezzature necessarie.

Quando non c'è chiarezza su chi deve interve­nire e su che cosa si deve fare, ci sono per forza di cose confusione, conflitti di competenza, vuoti di intervento.

D'altra parte i vari settori di intervento hanno una loro specifica funzione. Ad esempio, nel 3° documento del Gruppo CSPSS-ISTISSS viene af­fermato che «in nessun caso possono essere realizzati travasi impropri dal settore sanitario a quello socio-assistenziale, le cui caratteristiche essenziali sono, costituzionalmente, divise e di­stinte come segue:

 

Settore sanitario

Settore assistenziale

La costituzione estende gli interventi a tutti i cittadini senza alcuna li­mitazione.

La Costituzione limita gli interventi ai cittadi­ni «inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi ne­cessari per vivere» (art. 38 Cost.).

Le prestazioni sono for­nite immediatamente a semplice richiesta dei cittadino.

Le prestazioni sono for­nite solo dopo l'effettua­zione di inchieste socia­li (spesso lunghe).

I servizi sono gratuiti salvo tickets.

Agli utenti viene sem­pre richiesto un contri­buto, esclusi evidente­mente coloro che sono privi di mezzi econo­mici.

Nessuna contribuzione è a carico dei parenti tenuti agli alimenti.

Molto spesso viene richiesto un contributo economico anche ai pa­renti tenuti agli alimen­ti.

La legge richiede abili­tazioni e titoli specifici e prevede mansionari tassativi.

La legge non richiede abilitazioni o titoli spe­cifici né prevede man­sionari, neppure per la direzione dei servizi.

Gli standards minimi delle strutture pubbli­che e private, anche se non soddisfacenti, sono da anni definiti da leggi nazionali.

Gli standards minimi delle strutture pubbli­che e private non sono definiti da nessuna leg­ge nazionale (1).

 

 (1) Cfr. «I 140.000 posti letto per anziani della legge fi­nanziaria 1988: emarginazione dei più deboli o rispetto dei loro diritti?» in Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giu­gno 1988.

 

12. Non è assolutamente vera l'affermazione di Calvaruso: «Sappiamo che per Santanera tutto il problema degli anziani ha forti connotazioni sanitarie». Ho sempre sostenuto (Calvaruso può verificare quanto ho scritto nel 1982, insieme a M. Pavone, nel libro «Anziani e interventi assi­stenziali», NIS) che se un anziano sta bene in sa­lute, è ovvio che il settore sanitario non deve in­tervenire. È ovvio per tutti e, mi creda Calvaruso, anche per me. Com'è ovvio, anche per me, che i settori fondamentali di intervento per gli anziani, come per tutti i cittadini, sono la casa, i trasporti, il lavoro o le pensioni, la cultura, ecc. e, quando necessario, la sanità e, nei limiti dell'art. 38 del­la Costituzione, l'assistenza. Invece ho sempre sostenuto e sostengo che il settore sanitario, in base alle leggi vigenti e soprattutto tenendo con­to delle esigenze delle persone, deve intervenire anche nei confronti degli anziani cronici non auto­sufficienti (Cfr. AA.VV. Eutanasia da abbandono - Anziani cronici non autosufficienti: nuovi orien­tamenti culturali e operativi, Rosenberg & Sellier, Torino, 1988 e le conclusioni del convegno inter­nazionale indetto dall'Università Cattolica del Sacro Cuore: «Non autosufficienza dell'anziano: strategie operative e sistema sanitario nazionale a confronto», Roma, 13-15 giugno 1988).

 

 

(1) Il titolo della ricerca è: «Elementi conoscitivi e di valutazione per una politica assistenziale in favore degli anziani non autosufficienti».

(2) Il Comitato Scientifico, presieduto da Claudio Calvaruso (Presidente Labos) e da Carlo Trevisan (Direzione Generale Servizi Civili del Ministero dell'Interno), era com­posto da: Vodia Cremoncini, Aurelia Florea, Francesco Flo­renzano, Livio Frattin, Carlo Hanau, Vittorio Lumia, Piero Morosini, Massimo Saraz, Mariena Scassellati Galletti, Francesco Santanera. Inoltre hanno collaborato con il La­bos i seguenti esperti: Fosco Foglietta (esperto in valuta­zione dei servizi socio-sanitari), Luisa Manenti Martelli (direttrice IPSER, Bologna e docente universitaria) e Marcello Mazzoni (medico geriatra).

(3) Tale definizione è stata ulteriormente discussa e ap­provata il 16-3-1988; a tale discussione Santanera non ha partecipato in quanto ha abbandonato anticipatamente la riunione.

(4) Nella copiosa letteratura esaminata non manca chi segnala la relatività, discrezionalità e non utilità dell'uso dell'etichetta «cronico». E’ questo un termine oggi molto discutibile su un piano scientifico, eterogenamente definito nello stesso campo medico, scarsamente considerato nelle sue valenze socio-culturali e come effetto iatrogeno del cat­tivo funzionamento delle strutture sanitarie. Non manca inoltre chi fa notare come nei reparti di molti ospedali si assista oggi ad una certa fretta nel porre nei riguardi del paziente anziano l'etichetta di malato cronico. Così come vi è uno scarso investimento riabilitativo nei confronti di soggetti così denominati sia nei reparti geriatrici e di me­dicina generale che nei reparti di lungodegenza.

(5) Un ampio stralcio del rapporto sulla legislazione vi­gente predisposto dal Labos è in corso di pubblicazione presso il Poligrafico di Stato per conto della Direzione Ge­nerale Servizi Civili del Ministero dell'Interno.

(6) Mentre si può ben dire che il DPCM 8-8-1985 ha pe­nalizzato l'assistenziale presente nel sanitario; si veda ad esempio il discorso del sussidio economico o dell'inseri­mento lavorativo dei malati psichici rivendicate dai servizi come misure terapeutiche e riabilitative prima che assi­stenziali, ma non riconosciute come tali nel DPCM.

(7) La ricerca dimostra come ad eccezione dei migliori reparti di geriatria degli ospedali inglesi o l'ospedalizzazio­ne a dom9cilio di Torino, sia all'estero che in Italia è proprio il settore socio-assistenziale il più attivo a sperimentare modelli di servizio per i non-autosufficienti attivando - sia pure in modo non sempre soddisfacente - la collaborazione o promuovendo l'integrazione con il comparto sanitario. L'esperienza francese di Grenoble, analizzata nella ricerca e destinata ad anziani non autosufficienti per cause psico­fisiche, è un lampante esempio di servizio promosso e ge­stito dal Centro Comunale di assistenza sociale, in inte­grazione con i servizi sanitari. Così la realizzazione di in­terventi in diverse regioni del Regno Unito ha dimostrato che, nonostante l'esistenza di barriere arbitrarie tra l'as­sistenza sanitaria e quella sociale, il miglioramento di un servizio fornito da una delle due strutture apporti vantaggi anche all'altra.

 

 

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