Prospettive assistenziali, n. 85, gennaio-marzo 1989

 

 

Libri

 

 

FRANCESCO FLORENZANO, La reality orienta­tion in psicogeriatria - Tecniche di riabilitazione e valutazione cognitiva, Editrice Primerano, Ro­ma, 1988, pp. 125, L. 20.000.

 

Secondo l'Annuario delle statistiche sanitarie dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, «la prevalenza delle demenze senili degli anziani con più di 70 anni è stimata da 100 a 200 casi per 1.000 abitanti. Vale a dire, assumendo i valori li­mite della stima dell'O.M.S., che nel 1985 in Italia su una base di 5.330.845 ultrasettantenni, si contavano da 533.000 ai 1.066.000 dementi senili». Anche se queste stime vanno considerate con molta cautela, la demenza senile riguarda un numero considerevole di anziani.

Attualmente la loro situazione è drammatica. Come scrive Pier Luigi Morosini nell'introduzione «essi sono respinti dagli ospedali, accettati a mala pena dai neurologi, interessati prevalentemente agli aspetti biologici del trattamento mentale, considerati un fastidio dalle assistenti so­ciali; la loro assistenza grava quindi sui familiari (a loro volta spesso già anziani) sopraffatti da difficoltà tanto enormi e irraccontabili quanto ba­nali, o avviene in strutture non preparate, dove per lo più il demente senile è solo causa di di­sturbo 0 oggetto di selezione».

Il libro di Florenzano illustra un metodo di trat­tamento basato sulla psicostimolazione, dimo­strando che la Reality Orientation Therapy (ROT) è in grado di migliorare le risposte dei pazienti a domande di orientamento e costituisce un aiuto prezioso per i familiari.

Inoltre «la ROT dà un senso ed uno scopo alla attività di chi assiste e cura, e promuove un'atmo­sfera diversa, di speranza e di coinvolgimento an­ziché di apatia, di frustrazione e di rancore».

 

 

GIOVANNI SARPELLON (a cura di) Le politiche sociali fra stato, mercato e solidarietà, Franco Angeli, Milano, 1986, pp. 371, L. 28.000.

 

La pubblicazione, che raccoglie scritti di W. Albeda, A. Ardigò, M. Brutti, E. Bianchi, V. Cesa­reo, J.C. Colin, I. Colozzi, A.C. Decouple, I. De Sandre, P. Di Nicola, P. Donati, G. Giovannini, M. Jenkins, M. La Rosa, N. Lipari, S.M. Miller, G. Ner­vo, F. Perronx, G. Rossi, G. Sarpellon e R. Sutter, esamina la situazione di crisi nella quale si dibat­tono i sistemi di sicurezza sociale.

Non sono solo i sistemi generalizzati di sicu­rezza sociale ad essere oggi percorsi da una pro­fonda crisi di trasformazione; lo è il mondo della produzione che subisce un violento impatto per effetto della rapida e radicale innovazione tecno­logica; lo è la struttura sociale stessa che, sotto la spinta di un crescente soggettivismo, dà vita a nuove forme di disuguaglianza e di povertà che si aggiungono a quelle preesistenti.

Aumentano le disparità e la solidarietà è spes­so negata: basti pensare ai doppio lavoro ed al rilevante numero dei disoccupati.

In sostanza, come afferma Sarpellon, «se la ten­denza che oggi si può già intravedere continuerà a svilupparsi nella stessa direzione, si può facil­mente prevedere l'avvento di una società a più alta disuguaglianza, nella quale accanto ad una nuova casta di possessori della scienza, della tec­nica, della cultura e delle risorse materiali, si an­drà sviluppando una nuova classe di subordinati, assistiti ed emarginati».

Il volume comprende, oltre all'Introduzione, tre parti: la crisi internazionale del Welfare State, le teorie della crisi stessa e le prospettive.

 

 

MASSIMO AMPOLA (a cura di), Dalla margina­lità all'emarginazione - Studi e ricerche sulla real­tà italiana, Edizioni Vita e Pensiero, Milano, 1986, pp. 195, L. 22.000

 

Il volume raccoglie contributi di Massimo Am­pola, Giuseppe Dal Ferro, Elena Besozzi, Luisa Ribolzi, Bianca Barbero Avanzini, Italo Piccoli, Giovanni Sarpellon, Silvano Burgalassi, Massimo Camerini, Lucia Boccacin, Donatella Bramanti e Giovanna Rossi.

Come osserva nell'editoriale M. Ampola, «nel quadro attuale le azioni vitali che caratterizzano il rapporto tra individuo e società si privatizzano e sono respinte in un'area individualistica e, co­munque, prevalentemente subordinata alla pro­duttività economica. I meccanismi valoriali fini­scono per identificarsi nel profitto, nella concor­renza, nell'efficienza (...). Coloro che non rientra­no, direttamente o indirettamente (fruizione di consumo) in tale modello etico-produttivo sono respinti ai margini».

L'emarginato è un individuo «fuori gioco» che non conta nel sistema sociale in cui vive, è siste­maticamente sconfitta: ne deriva, secondo G. Dal Ferro, che l'emarginazione è interiorizzata dal soggetto e diventa autoemarginazione.

Una forma di emarginazione è quella scolasti­ca. Sulla base dei dati raccolti, E. Besozzi e L. Ribolzi affermano che «quanto più è remota la ma­nifestazione di deprivazione e ipostimolazione culturale, tanto più si verificano condizioni di mar­ginalità sociale destinate a diventare irreversibili nel tempo».

Sarpellon mette in evidenza i gravi pericoli dell'espressione «nuova povertà e nuova margina­lità», «intese come aree di privazione affettiva, relazionale e ambientale che colpirebbe non più lo strato sociale infimo (il sottoproletariato), ma anche - se non piuttosto - ampie fasce della stessa classe media». Aggiunge l'Autore: «Essen­do i soggetti della nuova marginalità membri del­la classe media in grado di controllare (attraverso partiti, sindacati e corporazioni) la allocazione delle risorse dello stato assistenziale, è chiaro che essi tenderanno a legittimare un uso delle risorse pubbliche a loro ulteriore vantaggio e cor­rispondente danno degli strati sociali più deboli (e marginali)».

Assolutamente non condivisibili, invece, le af­fermazioni di L. Boccacin e di D. Bramanti.

La prima afferma che «il ricorso ad un istituto che abbia caratteristiche analoghe a quelle di un ospedale, non pare presentare quindi, tutti gli aspetti negativi propri delle istituzioni totali, tan­to più che il suo utilizzo avviene prevalentemente per gli anziani di età più avanzata ed in condizioni psichiche precarie se non di vera e propria di­pendenza», dimenticando che in un ospedale ge­nerale ci sono cittadini di tutte le età e di tutte le condizioni sociali, mentre negli istituti in oggetto ci sono solo anziani, peraltro, privi di mezzi eco­nomici necessari per una esistenza migliore e più libera del ricovero.

La seconda arriva a dichiarare che l'istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, che ricovera 1.400 persone colpite da handicaps psico-fisici gravi e gravissimi, sarebbe in fondo una struttura accettabile solo «con alcuni tratti tipici di una istituzione totale».

Trattando il tema «Volontariato e marginalità», G. Rossi non parla mai di diritti delle persone, ma si limita sempre e solo a far riferimento alla solidarietà. Ma come può la solidarietà sostituire i diritti (ad esempio il diritto alle cure sanitarie, all'istruzione, all'abitazione)?

 

 

RALPH M. KRAMER, Volontariato e stato sociale, Edizioni Lavoro, Roma, 1987, pp. 405, L. 32.000.

 

L'Autore, docente di scienze sociali dell'Uni­versità della California di Berkeley, ha scritto il libro sulla base di dati empirici ricavati da una analisi comparativa di settantacinque agenzie vo­lontarie al servizio degli handicappati fisici e men­tali, operanti negli Stati Uniti, Inghilterra, Olan­da e Israele.

Nella prefazione, R.M. Kramer precisa che «questo studio e le sue conclusioni non sono che ipotesi da discutere, da valutare e da controllare in altri contesti o in altri tipi di servizi» essendo il suo lavoro «centrato sulle agenzie volontarie come organizzazioni e sulle somiglianze e le dif­ferenze dei rispettivi contesti socio-politici, non include alcun accertamento dei bisogni e delle risorse della comunità, né un'analisi dei proble­mi e delle opinioni degli utenti».

In primo luogo segnaliamo che la definizione di volontariato assunta da Kramer è molto diver­sa da quella che in genere viene data nel nostro paese. Per l'Autore il «settore volontario com­prende ogni tipo di organizzazione non statale che non si ponga fini di lucro». Sono pertanto in­cluse nelle organizzazioni di volontariato anche quelle che erogano servizi alla popolazione e ri­cevono dallo Stato un compenso economico che copre in tutto o in parte le spese sostenute. Da notare che, in nessuna parte del libro, l'Autore fornisce indicazioni in merito alla definizione del­la «assenza di fini di lucro», né cita elementi su­gli accertamenti previsti o compiuti per evitare abusi.

In relazione alle inconsistenti speranze di al­cuni, secondo cui il volontariato gestionale risol­verebbe tutti i problemi, il curatore dell'edizio­ne italiana, Ugo Ascoli, afferma che dalla ricerca svolta da Kramer emerge che «il comparto delle organizzazioni volontarie in nessun paese appare in grado di sostituire lo Stato, né tanto meno di fornire una risposta decisiva alle difficoltà della finanza pubblica, pena un forte arretramento del­la frontiera della cittadinanza sociale».

La ricerca di Kramer dimostra che, accanto a benefici indubbi che il volontariato gestionale ar­reca alle singole persone e nuclei nei cui con­fronti interviene, «poche organizzazioni volontarie - come scrive l'Autore - si sono distinte per le loro attitudini pionieristiche, né i servizi da esse generalmente erogati costituiscono una rea­le alternativa all'azione pubblica. L'esiguo nume­ro di programmi realmente nuovi cui si è dato l'avvio non fa altro che riflettere il particolare li­vello dei servizi sviluppatosi in ogni nazione, gli interessi professionali di chi opera nell'agenzia e di coloro che gestiscono l'organizzazione (di vo­lontariato, n.d.r.), nonché la disponibilità di finan­ziamenti governativi per programmi particolari».

L'Autore precisa inoltre che «le agenzie vo­lontarie sono veri e propri gruppi di interesse sia in senso letterale che politico».

Dalla lettura del libro emerge inoltre che scar­sissima, per non dire nulla, è stata l'azione del­le agenzie di volontariato per la prevenzione del­le cause sociali di emarginazione e per la loro ri­mozione.

 

 

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