LUCI ED OMBRE NELLA PROPOSTA DI
PIANO SANITARIO NAZIONALE
Il 28 dicembre 1988 il Ministro della Sanità ha
varato la sua proposta di piano sanitario nazionale. La bozza comprende cinque
progetti obiettivo: tutela della salute degli anziani, prevenzione e cura
degli handicap, tutela della salute mentale, prevenzione e cura delle
tossicodipendenze, tutela materno-infantile.
Integrazione dei servizi sanitari,
sociali e assistenziali
I progetti obiettivo sono stati predisposti partendo
da un concetto di integrazione delle attività sanitarie e assistenziali, che
non condividiamo ritenendolo estremamente pericoloso. Ad avviso dell'estensore
della proposta di piano sanitario nazionale, si afferma addirittura che occorre
perseguire «il superamento della separazione
tra attività sanitarie e attività socio-assistenziali» e che «i due tipi di attività sono inscindibilmente
connessi e necessari per assicurare ai destinatari una tutela compiuta e adeguata».
Come abbiamo precisato nell'editoriale dello scorso
numero, se questa linea venisse accolta, le prestazioni assistenziali, oggi
neppure fornite alla fascia più debole della popolazione (2-3 milioni di
persone) in quantità e qualità accettabili, dovrebbero essere assicurate a
tutti i 57 milioni di cittadini, siano essi ricchi o poveri.
Dall'esame dei cinque progetti obiettivo, risulta
evidente la confusione fra servizi sociali (comprendenti la scuola, i
trasporti, le pensioni, la cultura, ecc.) ed i servizi assistenziali (a socioassistenziali)
«che si rivolgono ai cittadini in stato
di bisogno» (1).
Come vedremo in seguito, questa «confusione», voluta
o meno che sia, è anche il supporto per proporre l'assistenza domiciliare
integrata quale servizio sostitutivo dell'ospedalizzazione a domicilio.
Tutela della salute degli anziani
Il progetto obiettivo «tutela della salute degli
anziani» ribadisce giustamente che l'anziano cronico non autosufficiente è,
anzitutto, un malato rispetto al
quale il Servizio sanitario nazionale non può lavarsene le mani, delegando i
propri compiti al settore assistenziale (vedi i cronicari, comunque
denominati) o scaricando sulle famiglie problemi drammatici, che i parenti non
hanno certo capacità professionali e strumentali per risolvere a casa loro.
In questo contesto, la proposta di piano contempla
almeno tre interventi di primaria importanza:
1) provvidenze varie a sostegno delle famiglie che
accolgono anziani malati, in particolare non autosufficienti;
2) servizi di «spedalizzazione
domiciliare», che presentano «indubbi
vantaggi per i pazienti» e che, anche in termini economici, si dimostrano
«più convenienti» del ricovero in
corsia d'ospedale;
3) «residenze
sanitarie assistenziali», per anziani non autosufficienti che, per
molteplici ragioni, non possono essere curati attraverso forme di intervento
domiciliare.
A scanso di equivoci, il Ministro scrive nel piano
che «con l'aggettivo sanitaria si
sottolinea che si tratta di una struttura propria del Servizio sanitario
nazionale, finanziabile con il Fondo nazionale e di cui le Usi possono garantire
direttamente la gestione».
Le sopra citate affermazioni rappresentano un
importante traguardo per tutte le organizzazioni che hanno promosso il
riconoscimento del diritto degli anziani non autosufficienti alla prevenzione,
cura e riabilitazione.
I rilevanti interessi in gioco, soprattutto quelli
degli istituti di ricovero assistenziale che perderebbero la loro clientela,
fanno presumere che la previsione del Ministro della sanità incontrerà
numerose e forti opposizioni.
Fra l'altro il supporto alle famiglie è previsto non
salo mediante l'istituzione del servizio di ospedalizzazione a domicilio, ma - purtroppo
- anche con il cosiddetto intervento di «assistenza domiciliare integrata». A
parte l'allettante denominazione, si tratta, in realtà, delle prestazioni del
medico di base, così come dovrebbero già essere praticate oggi, a cui si
dovrebbero affiancare infermieri, riabilitatori e operatori dei servizi
assistenziali (2).
Gli interventi sanitari non sono quindi affidati ad
una équipe: ognuno continua ad agire per proprio conto: da un lato i medici di
base, dall'altro infermieri e riabilitatori.
Da notare che i medici specialisti non sono nemmeno
previsti e che fra i medici di base, gli infermieri ed i riabilitatori non è
istituzionalmente previsto alcun contatto: all'art. 26 dell'accordo
collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina
generale non si fa nemmeno cenno alla necessità di incontri programmati fra le
diverse figure sanitarie né per concordare gli interventi da svolgere, né per
verificare la loro efficacia ed efficienza.
Con queste premesse non è certamente ipotizzabile
che l'assistenza domiciliare integrata sia un servizio analogo all'ospedalizzazione
a domicilio e cioè «un servizio che
consente l'effettuazione nel luogo di vita del paziente dei principali
interventi diagnostici e terapeutici normalmente possibili in ospedale»
(3)
Inoltre, occorre tener presente che uno dei cardini
dell'ospedalizzazione a domicilio è la possibilità di brevi permanenze in
ospedale (compreso quello diurno) nel rispetto, per quanto possibile, dei
principio della continuità terapeutica. Detta permanenza deve aver luogo non
appena se ne presenti l'esigenza (ad esempio aggravamento del paziente o grave
malattia del familiare).
Certamente il servizio di ospedalizzazione a
domicilio attuato dall'Istituto di geriatria dell'Università di Torino non è «il»
modello, ma «un» modello.
Altre sperimentazioni non sono solo possibili, ma
vivamente auspicabili. Occorre solo, a nostro avviso, che siano tenute presenti
le seguenti condizioni:
- riaffermazione del ruolo insostituibile del medico
di base;
- costituzione di una équipe stabile composta da
medici, medici specialisti, infermieri, riabilitatori e, occorrendo,
assistenti sociali e operatori domiciliari;
- possibilità di usufruire con immediatezza
dell'ospedale diurno o del ricovero in ospedale;
- fornire a domicilio - come abbiamo scritto prima -
prestazioni di livello analogo a quanto praticato in ospedale;
- intervenire nei confronti di adulti e di anziani,
siano essi colpiti da malattia acuta oppure cronica, sempre che il paziente
riceva le cure necessarie, i familiari vi provvedano liberamente e siano
adeguati alle esigenze del soggetto, ed i costi non siano superiori a quelli di
un ricovero ospedaliero.
Per quanto riguarda l'assistenza domiciliare integrata,
la mancanza di coordinamento fra i vari medici di base, che continueranno ad
agire ciascuno per proprio conto, la non presenza dei medici specialisti,
l'assenza di rapporti organici fra medici, -infermieri e riabilitatori, sono
elementi che rischiano di provocare più danni che vantaggi ai pazienti ed ai
familiari (o terzi) che curano, a casa loro, malati acuti e cronici.
L'assistenza domiciliare integrata è, però, un vero e
proprio affare per i medici di base. Ad esempio, l'accordo stipulato dalla
Provincia autonoma di Trento con le organizzazioni mediche in attuazione del
citato DPR 289/1987, prevede un compenso suppletivo (4) di ben 400 mila lire al
mese per ciascun assistito. Dunque, se il medico di base ha dieci utenti in
assistenza domiciliare integrata, incasserà ben 4 milioni di più al mese!
A Trento, in base all'accordo suddetto. gli interventi
sono attivati nei seguenti casi: «malati
terminali, incidenti vascolari acuti, gravi fratture in anziani, forme
psichiatriche acute gravi. riabilitazione di vasculopatici, malattie acute temporaneamente
invalidanti nell'anziano (forme respiratorie e altro)» (5).
Nell'intesa intervenuta can la Regione Toscana, anche
in questo caso in attuazione del DPR 289/ 1987, è previsto il versamento di un
compenso suppletivo di L. 11.400 per ciascun accesso, e cioè per ciascun
intervento del medico di base con o senza visita del paziente, relativo agli
utenti (coincidenti con quelli indicati nell'accordo di Trento)
dell'assistenza domiciliare integrata, mentre il compenso è di L. 7.600 per
ciascun accesso concernente «pazienti
non ambulabili che per ragioni di età, invalidità, malattia cronica non siano
in grado di frequentare lo studio del medico di famiglia» (6).
Dunque più alto è il numero degli utenti e maggiori
sono i guadagni dei medici di base (7) che non hanno alcun interesse economico
a promuovere servizi sanitari, quali l'ospedalizzazione a domicilio e
l'ospedale di giorno, che rispondono più adeguatamente alle esigenze degli
utenti. Poiché non è stabilito alcun limite di reddito, c'è il pericolo che le prestazioni
vengano estese anche al ceto medio ed ai benestanti (8), proprio quando i
relativi servizi (ad esempio quelli di aiuto domiciliare) non sono in grado di
soddisfare le esigenze della popolazione priva dei mezzi economici necessari
per ricorrere al settore privato (9).
Il progetto relativo alla tutela della salute degli
anziani riveste anche altri aspetti inaccettabili:
1) tutti i malati (acuti compresi) ultrasettantacinquenni
a rischio devono far riferimento alle divisioni ospedaliere di geriatria e non
a quelle di competenza nosologica (cardiologie, urologie, chirurgie, ecc.);
2) sono largamente insufficienti le norme relative
alla riabilitazione con la conseguenza che - come avviene da anni - migliaia
saranno gli anziani riabilitabili in tutto o in parte che continueranno a
subire le nefaste conseguenze provocate dalla assenza di interventi di
riattivazione;
3) mancano indicazioni contro la cronicizzazione. Di
qui la prosecuzione dell'attuale tendenza, praticata da molti reparti
ospedalieri, di non fornire le cure necessarie agli anziani più debilitati,
accelerando in tal modo la cronicità e le conseguenti dimissioni;
4) nulla è previsto per gli anziani con problemi
psichiatrici, nonostante che, solo per quanto riguarda le demenze senili, il
problema interessi da 500 mila ad un milione di ultrasettantenni;
5) c'è una grossa confusione per quanto concerne le
competenze del comparto sanitario e quelle del settore assistenziale. Ad esempio,
fra i servizi socio-assistenziali di base è addirittura previsto l'ambulatorio
del medico di base- fra quelli socio-assistenziali di tipo specialistico sono
indicati il poliambulatorio, l'ospedale, il centro dialisi;
6) Te previsioni relative ai fabbisogni sono esagerate:
285 mila sarebbero gli anziani non autosufficienti, 750 mila gli anziani
parzialmente non autosufficienti, un milione e mezzo gli anziani
autosufficienti, ma comunque «abbisognevoli
di servizi socio-sanitari»., C'è il rischio (non crediamo infondato) che si
utilizzino questi dati per costruire strutture residenziali, sottraendo risorse
in personale e in denaro per i servizi domiciliari;
7) sono invece largamente insufficienti i fabbisogni
per gli interventi di ospedalizzazione a domicilio: solo 46 mila casi in tre
anni;
8) è ipotizzato il pagamento di un contributo
economico non solo da parte dei ricoverati nelle strutture paraospedaliere
(denominate residenze sanitarie assistenziali), ma anche da parte dei familiari.
Prevenzione e cura dell'handicap
In primo luogo va rilevato che nel programma
concernente «la prevenzione e cura dell'handicap», non c'è nulla che riguardi
proprio la prevenzione (10).
Ciò è molto grave tenuto conto che gran parte degli handicap insorgono nell'età adulta
(infortuni sul lavoro, sulla strada, in casa) e al sopraggiungere della
vecchiaia (malattie invalidanti).
In secondo luogo, il programma relativo all'handicap
risente negativamente della confusione fra servizi sanitari, sociali e
assistenziali, cui abbiamo già accennato.
In terzo luogo riteniamo che non sia, opportuno far
riferimento alla terminologia proposta dall'OMS.
Infatti, non riteniamo che il «portatore di handicap» possa essere definito come individuo «soggetto ad uno svantaggio sociale ed
esistenziale e a dinamiche di emarginazione».
Decine di migliaia sono gli handicappati, ad esempio,
quelli fisici, per i quali la definizione di cui sopra, non solo non è
applicabile, ma appare come dispregiativa. Per tutti citiamo l'ex Presidente
degli Stati Uniti Roosevelt.
È altresì inaccettabile la definizione di incapacità
quale «riduzione parziale o totale della
capacità di compiere azioni in modo normale o nei limiti considerati normali»,
incapacità che riguarderebbe tutti gli handicappati.
In alternativa proponiamo i seguenti riferimenti
(11):
a) per handicap
si intende una menomazione organica permanente che determina una compromissione
di natura fisica, intellettiva, sensoriale. Le menomazioni e le relative compromissioni
possono presentarsi singolarmente o associate;
b) per i soggetti colpiti, le menomazioni e le
relative compromissioni comportano difficoltà nella loro autonomia personale e
limitazioni nelle scelte professionali. Tali difficoltà e limitazioni sono
legate alla capacità dei soggetti di utilizzare tutte le loro potenzialità,
agli strumenti tecnologici disponibili e alla situazione familiare e sociale in
cui la persona è inserita;
c) mediante adeguati servizi, molte persone
portatrici di handicap fisici e sensoriali possono raggiungere livelli di
professionalità e conseguire capacità lavorative pari a quelle degli altri
cittadini;
d) per le persone colpite parzialmente sul piano
intellettivo, idonei interventi sono in grado di assicurare livelli di
autonomia e capacità lavorative per lo svolgimento di mansioni semplici nei
normali posti di lavoro;
e) per le persone con gravi compromissioni sul piano
intellettivo, essendo di conseguenza esclusa ogni possibilità di inserimento
lavorativo, è necessario assicurare prestazioni finalizzate al raggiungimento
della massima autonomia possibile e comunque dirette a garantire condizioni di
vita adeguate alle loro esigenze.
Partendo dalle suddette premesse, è evidente che per
le persone colpite da handicap, sarebbe necessaria una concertazione fra vari
settori (sanità, prescuola, scuola dell'obbligo e superiore, formazione
professionale, lavoro, casa, trasporti, ecc.) per creare le condizioni
favorevoli non solo per la cura e la riabilitazione, ma anche per un adeguato
inserimento sociale, inserimento che, a nostro avviso, deve essere fondato non
sull'assistenzialismo (12), ma sulla massima autonomia possibile dei soggetti.
Questa autonomia si raggiunge non solo mediante una
attiva collaborazione dei soggetti interessati e dei loro familiari e con la
messa a disposizione delle necessarie tecnologie, ma anche consentendo alle
persane colpite da handicap di utilizzare i servizi e le strutture disponibili
per i cittadini non handicappati.
Di qui l'esigenza dell'inserimento prescolastico,
scolastico e lavorativo, l'uso delle normali abitazioni, dei trasporti
pubblici, ecc.
In contrasto con queste esigenze di fondo, il
programma del Ministero della sanità afferma che «le forme più gravi di handicap (sono) difficilmente suscettibili di
inserimento scolastico» nonostante vi siano concrete realizzazioni che
dimostrano il contrario (si veda, ad esempio, il volume a cura di P. Rollero e
M. Faloppa, Handicap grave e scuola -
Esperienze e proposte per l'integrazione, Rosenberg & Sellier, Torino
1988).
Circa il numero delle persone coinvolte, nel
programma è scritto che «depurando le
stime di alcune duplicazioni, il dato quantitativo del bisogno da fronteggiare
in questo delicato settore è di almeno due milioni di persone portatori di handicap,
di cui almeno 200 mila gravi e gravissimi» (13).
Nel progetto obiettivo «Prevenzione e cura
dell'handicap», vengono indicati i seguenti obiettivi strategici:
1) conoscere la situazione attuale e prevederne
l'evoluzione;
2) aggiungere vita agli anni;
3) aggiungere salute alla vita;
4) incrementare il potenziale d'offerta (qualità
professionale delle risorse umane, allargamento del fronte della solidarietà
umana e sociale, costituzione dei distretti socio-sanitari di base, ecc.).
Osserviamo che l'obiettivo della massima autonomia
passibile delle persone colpite da handicap non è previsto. D'altra parte - e
l'omissione, a nostro avviso, è gravissima - nulla viene detto circa la
priorità della permanenza dei soggetti a casa loro.
Gli interventi previsti dal Ministero della sanità
per il triennio 1989-1991 sono i seguenti:
- istituire a regime almeno una unità operativa fisiatrica
ogni 100 mila abitanti
- attivare servizi per il trasporto degli handicappati
dal domicilio alla sede dei servizi semiresidenziali, con un minimo di 150
iniziative nel triennio;
- mettere a disposizione delle USL le informazioni
sulle protesi e sugli ausili;
- attivare iniziative di formazione speciale per
handicappati adulti e promuovere forme di agevolazione dell'inserimento degli
stessi nel lavoro, con un minimo di 150 iniziative nel triennio. Ogni
iniziativa formativa riguarda 20 handicappati ed ha una durata di 37 settimane
di formazione. Si tratta, dunque, di una previsione quantitativamente
irrisoria, poiché riguarda solo 3 mila handicappati in tre anni su tutto il
territorio nazionale. È anche qualitativamente ridicola: com'è possibile
realizzare una formazione professionale in 37 settimane? E, poi, sarà il personale
sanitario che formerà gli handicappati? E, infine, gli handicappati saranno
preparati in strutture ad essi riservate, visto che la sanità non ha -
giustamente - competenza sui normali centri di formazione professionale?
- realizzare a regime almeno un laboratorio protetto
per 15 handicappati ogni 100 mila abitanti con un obiettivo minimo di 150
laboratori protetti nel primo triennio. Rileviamo che si vorrebbero
ripristinare i laboratori protetti, caricature delle normali aziende, in cui
gli handicappati sono costretti a svolgere attività ripetitive e quindi non
idonee a sviluppare o conservare la massima autonomia possibile (14);
- attuare strutture semiresidenziali (ospedali diurni
o centri di servizi socio-sanitari) ad alta intensità assistenziale per
handicappati gravi, con 20/40 posti ciascuno, per un minimo di 150 strutture
nel triennio, con complessivi 4 500 posti. Gli obiettivi di queste strutture,
le caratteristiche degli utenti (si tratta di handicappati fisici o
sensoriali o intellettivi?), il personale da impiegare, sono tutti elementi che
non vengono precisati nel programma;
- realizzare a regime una struttura residenziale
(RSA), monofunzionale o aggregata ad altra RSA polifunzionale, ogni 100 mila
abitanti, da destinare a disabili psichici, con 20 posti residenziali
ciascuna, con un obiettivo minimo di 150 strutture residenziali nel primo
triennio, per un complessivo di 3 mila posti residenziali. A nostro avviso si
tratta di strutture troppo dimensionate; 8-10 posti secondo noi rappresentano
la massima capienza opportuna se si vuol consentire una vita di tipo
parafamiliare e non massificata. e se si riconoscono gli indubbi vantaggi di
veri rapporti con il contesto sociale;
- promuovere a regime l'allestimento di un alloggio
protetto ogni 100 mila abitanti di 8 posti ciascuno, da destinare a 6
handicappati autosufficienti e 2 non autosufficienti, can un obiettivo minimo
di 150 alloggi nel triennio, con 1.200 posti complessivi. Valgono le nostre
osservazioni sopra riportate. Aggiungiamo che, anche in termini quantitativi,
la priorità è data non agli alloggi protetti (o comunità alloggio) ma alle
RSA, strutture modellate sull'istituto tradizionale;
- svolgere a regime una iniziativa di formazione e
di aggiornamento professionale ogni 100 mila abitanti, da riservare a 60
operatori con corsi della durata di 400 ore;
- attivare n. 4 osservatori permanenti esterni al
Servizio sanitario nazionale su aspetti funzionali, economici e di qualità dell'assistenza
erogata ai portatori di handicap;
- far studiare da una Commissione di esperti i
requisiti e le specifiche tecniche per l'attivazione all'interno del sistema
informativo sanitario del modulo relativo all'handicap negli aspetti
epidemiologici, di gestione e di governo.
Tutela della salute mentale
Il programma relativo alla tutela della salute
mentale prende in esame i dati forniti dalla ricerca condotta dal Censis nel
1985, da cui emerge che «nell'insieme del
Paese ben il 78,5% delle USL risultano sprovviste di strutture intermedie»
residenziali e semiresidenziali (comunità alloggio, centri diurni di riabilitazione-socializzazione)
e che «alla data del 31 dicembre 1984 solo
11 delle 696 USL dispongono dell'intero complesso di servizi» (centri di
salute mentale, servizi psichiatrici di diagnosi e cura, strutture intermedie).
Alla stessa data risultavano ancora ricoverati, nei 103 ospedali psichiatrici
ben 36.700 persone.
Al riguardo, osserviamo con viva soddisfazione che -
finalmente - viene messo in rilievo il fatto che la riforma psichiatrica è in
larghissima misura da attuare.
Secondo il programma del Ministero della sanità, i
servizi per la tutela della salute mentale da istituire ed i relativi fabbisogni
complessivi, non tutti soddisfacibili nel triennio 1989-91, sono i seguenti:
- centri di salute mentale per lo svolgimento della «attività psichiatrica ambulatoriale (visite
specialistiche, consulenza farmacologica) e domiciliare, consulenza e filtro
dei ricoveri, psicoterapia individuale e familiare, eventuale ospitalità
diurna e/o notturna in casi di emergenza, visite socio-ambientali». È
prevista l'apertura di detti centri per almeno 12 ore al giorno. Se ne prevede
una «ogni 50 mila abitanti»;
- servizi psichiatrici di diagnosi e cura da
istituire presso gli ospedali generali per la «terapia dei pazienti in fase acuta affrontabile con il ricovero
ospedaliero». Sono previsti 15 posti ogni 10 mila abitanti. È probabile un
errore (15 posti ogni 100 mila abitanti e non 10 mila abitanti) in quanto,
altrimenti, detti posti sarebbero assurdamente ben 85.500;
- servizi residenziali e semiresidenziali di terapia
e di risocializzazione. I primi, in particolare, sono previsti «per trattamenti intensivi nei confronti di
soggetti che non possono risiedere in famiglia». Il fabbisogno di detti
servizi è di 10 posti per ogni 100 mila abitanti (5.700 posti in totale);
- comunità protette, definite «residenze sanitarie assistenziali monofunzionali ad indirizzo psichiatrico».
Detta struttura «è rivolta ai pazienti
di ex ospedali psichiatrici che presentano problematiche di carattere
psichiatrico e che, in relazione al livello di risocializzazione, possono
lasciare la struttura di assistenza continuativa (...). La dimensione massima è
di 20 pazienti, nel rapporto di 20 posti letto per ogni 100 mila abitanti».
È evidente che una struttura di 20 posti letto ha le caratteristiche delle
istituzioni totali e non consente né una vita interna né rapporti esterni
socializzanti. A nostro avviso, la capienza massima dovrebbe essere ridotta a
5-8 posti.
Anche per il programma sulla tutela della salute
mentale riemerge la confusione fra i servizi sanitari, sociali e
socio-assistenziali. Ad esempio, è previsto che compete ai servizi socio-assistenziali
l'erogazione di prestazioni economiche a carattere straordinario (15) e
addirittura «l'offerta di opportunità
alloggiative» (comunità alloggio, gruppi appartamento, case famiglia). Al
settore assistenziale impropriamente è anche attribuito il compito di
provvedere all'inserimento lavorativo.
Per il «residuo
degli ex ospedali psichiatrici (...) laddove il trasferimento dei pazienti che
sono ancora ricoverati non appare possibile o consigliabile» è prevista «la riconversione della struttura in più
unità residenziali correlate ai bisogni dei degenti. Si tratterà di comunità
terapeutiche per i degenti con prevalenti problemi psichiatrici, di comunità
alloggio per i degenti con prevalenti problemi socio-assistenziali».
Non essendo prevista l'attribuzione dei suddetti
pazienti alle USL di appartenenza per la stragrande maggioranza dei ricoverati,
la soluzione proposta significa in pratica l'internamento fino al decesso. È
infatti impensabile che le USL in cui hanno sede gli ex ospedali psichiatrici
si facciano carico della deistituzionalizzazione dei 37.500 utenti con la
ricerca delle necessarie strutture e la messa a disposizione del relativo
personale nella prospettiva di un intervento a termine, non essendo giustamente
ipotizzabile il ricambio degli utenti stessi.
Nel triennio 1989-91 sono previste dal Ministero
della sanità le seguenti realizzazioni:
- 4.000 posti in strutture semiresidenziali e di
riabilitazione;
- 600 comunità alloggio per un totale di 4.200 posti,
la cui istituzione dovrebbe aver luogo mediante «l'erogazione di contributi agli enti locali». Resta da chiarire
chi dovrà mettere a disposizione gli appartamenti (gli Istituti Autonomi per
le Case popolari, Comuni, le IPAB?);
- 250 residenze sanitarie assistenziali (RSA)
mono-funzionali o aggregate a RSA polifunzionali per un totale di 5.000 posti.
Altri 2.000 sono previsti con ricorso a istituzioni private.
Nel triennio sono inoltre individuati i seguenti
interventi:
- «300
progetti interistituzionali di prevenzione del disagio psichico nell'infanzia
e nella adolescenza»;
- «300
iniziative formative e di aggiornamento professionale degli operatori da
impiegare nel programma»;
- «4
osservatori permanenti esterni al Servizio sanitario nazionale su aspetti funzionali,
economici e di qualità dell'assistenza erogata nel settore psichiatrico».
In conclusione si tratta, finalmente, di un programma
attuativo della legge 180/1978 (a nostro avviso ancora valida).
Le nostre preoccupazioni riguardano il pericola dello
scarico al settore assistenziale dei pazienti più gravi (non si fa cenno agli
anziani non autosufficienti a causa di disturbi psichiatrici) o il loro
internamento nelle cosiddette residenze sanitarie assistenziali, la scarsa
rilevanza attribuita agli interventi di natura domiciliare e ambulatoriale e
alle iniziative - a nostro avviso prioritarie - di prevenzione.
Infine, rileviamo che, a parte i non meglio definiti «progetti interistituzionali di prevenzione
del disagio psichico nell'infanzia e nell'adolescenza», nulla è previsto
per la cura, riabilitazione e reinserimento dei minori con disturbi psichici.
Tutela materno-infantile
Nel programma relativo alla tutela materno-infantile,
mentre viene rilevato giustamente che per i minori è stata «presa coscienza che lo sradicamento dall'ambiente familiare, sia pur
un temporaneo ricovero in ambiente ospedaliero, costituisce sempre un trauma,
da evitare per quanto possibile», non si fa alcun cenno alla situazione
dei 55 mila bambini e adolescenti ancora ricoverati in istituti di assistenza,
nonostante siano arcinote le deleterie conseguenze sulla loro salute
psico-fisica.
Purtroppo, non sono rari i casi in cui il ricovero
viene pretestuosamente motivato da esigenze riabilitative, con la conseguenza di
migliorare, se tutto va bene, le condizioni fisiche dei soggetti a scapito di
quelle psicologiche, familiari e sociali. Un esempio emblematico di tale linea
emarginante è l'istituto Oasi di Troina (Enna) in cui sono ricoverate 300
persone provenienti da tutta la Sicilia e di cui è previsto l'ampliamento a 2
mila ricoverati. Nonostante ciò, l'Oasi di Troina è stato riconosciuto dal
Ministero della sanità quale ente a carattere scientifico ed ha ricevuto nel
1988 dallo stesso Ministero un contributo di ben oltre 500 milioni.
Nella proposta del Ministero della sanità è altresì
completamente ignorata l'indispensabile collaborazione del Servizio sanitario
nazionale e del relativo personale (pediatri, psicologi, neuropsichiatri
infantili, psichiatri, ecc.) in materia di affidamenti a scopo educativo,
adozioni, comunità di tipo familiare.
Questa collaborazione è particolarmente necessaria
per l'adozione e l'affidamento educativo dei minori handicappati, tema
anch'esso che non compare sia nel programma materno-infantile, sia in quello
relativo alla prevenzione e cura dell'handicap.
Parimenti omessi dal Ministero della sanità sono gli
interventi riguardanti il segreto del parto (le donne non coniugate, che non
intendono riconoscere i propri nati, hanno il diritto di tenere celata la
propria identità ed i bambini risultano «figli di ignoti»).
Al riguardo va rilevata l'importanza di una idonea
assistenza prima e dopo il parto alle gestanti e madri in modo che, attraverso
l'intervento di operatori qualificati, esse possano essere aiutate a scegliere
responsabilmente se riconoscere o non riconoscere il bambino. Ciò anche per evitare
che le situazioni di abbandono vengano accertate quando il bambino ha già
subìto, magari per anni, le conseguenze del disinteresse o delle violenze dei
suoi genitori.
Infine sottolineiamo l'esigenza che nel programma
relativo alla tutela materno-infantile sia inserito il problema della vigilanza
igienico-sanitaria sulle strutture e sui minori ricoverati in istituto.
Le strategie di intervento per il progetto relativo
alla tutela materno-infantile sano così indicate:
a) una forte accentuazione dei servizi territoriali,
e tra essi, del consultorio familiare;
b) un maggiore coordinamento delle componenti che
operano per la protezione materno-infantile, sia socio-assistenziali che
sanitarie, «cogliendo l'occasione per
sperimentare modalità concrete di dipartimento materno-infantile»;
c) il potenziamento dei servizi semiresidenziali
(ospedali di giorno, centri di riabilitazione, ecc.);
d) una sensibile riduzione numerica delle strutture
pediatriche di ricovero;
e) una netta accentuazione delle misure tendenti a
prevenire le malformazioni e la mortalità infantile e materna o, in presenza di
handicap infantili, a conseguire can tempestività il massimo recupero
possibile.
Ciò premesso, il programma indica i seguenti
interventi da compiere per il triennio 1989/1991;
1. attivare o potenziare servizi di genetica clinica,
di laboratorio e di genetica molecolare prevedendo 2 servizi di riferimento
nell'Italia settentrionale, 2 nell'Italia centrale, 2 nell'Italia meridionale
e 2 nelle isole maggiori;
2. attivare una rete diffusa di consulenza genetica
presso presidi specializzati, realizzando almeno un punto di informazione genetica
ogni 100 mila abitanti;
3. erogare forme di assistenza particolare alle
gestanti colpite da diabete mellito;
4. attivare a regime almeno un servizio di riabilitazione
infantile ogni 100 mila, abitanti destinato ai pazienti di età 0-14 anni, con
obiettivo minimo di 150 servizi nel triennio;
5. attivare o potenziare i servizi di assistenza
domiciliare integrata (16) in favore delle famiglie can congiunti colpiti da
handicap gravi in età 0-14 anni, realizzando a regime almeno un servizio ogni
100 mila abitanti, con un obiettivo minimo di 150 iniziative nel triennio per
un numero minimo di 2.750 assistiti all'anno;
6. sperimentare, a scala operativa e n cura degli
ospedali pediatrici, iniziative di ospedalizzazione domiciliare pediatrica per
un totale di 6.000 casi all'anno. A nostro avviso, si tratta della proposta
più innovativa e valida (17). Osserviamo solo che detto servizio dovrebbe far
riferimento sia agli ospedali pediatrici, sia a équipes territoriali di
medici, infermieri, riabilitatori;
7. generalizzare, rendendole obbligatorie, le
vaccinazioni contro il morbillo, la rosolia e la parotite;
8. completare la rete dei consultori familiari in
modo da assicurarne uno ogni 10 mila abitanti nelle zone rurali e uno ogni 23
mila abitanti nelle zone urbane, con l'obiettivo di realizzarne 200 nel
triennio di cui 130 in zone totalmente prive e 70 in zone carenti di presidi di
questa tipo;
9. sperimentare un nuovo modello di organizzazione
dei consultori familiari, funzionale ad obiettivi integrati di natura
socio-sanitaria, con dotazione potenziata degli organici, da realizzare nel 5%
dei consultori esistenti, per un totale di 150 interventi;
10. attivare 8 unità per grandi ustionati in età pediatrica,
da ubicare 2 in Italia settentrionale, 2 nell'Italia centrale, 2 in Italia
meridionale ed 1 in ciascuna delle isole maggiori;
11. riorganizzare e potenziare la rete dei servizi
di oncoematologia pediatrica, individuando 12 centri di riferimento;
12. potenziamento di 3 servizi dedicati alla nefrologia
e dialisi pediatrica ai fini dell'attivazione presso di essi del trapianto
renale in età pediatrica, localizzandoli uno al nord, uno al centro e uno al
sud;
13. istituzione di tre servizi di riferimento per l'epatologia
pediatrica medica e chirurgica in funzione dell'attivazione presso di essi del
trapianto d'organo in età pediatrica, localizzandoli uno al nord, uno al
centro, una al sud;
14. sperimentare un nuovo modello di servizio di
soccorso e trasporto neonatale di emergenza, in collegamento con le terapie
intensive neonatali delle grandi aree urbane, da attuare in 13 località
opportunamente distribuite nel territorio nazionale;
15. svolgere una indagine epidemiologica nazionale
sugli esiti delle gravidanze complicate da epilessia o ipertensione arteriosa
materna, diabete, iposviluppo fetale, parto prematuro, all'uopo ricomprendendo
all'interno dell'iniziativa l'indagine policentrica sulle malformazioni congenite
già da tempo avviata presso l'Università cattolica di Roma, ai fini della
determinazione del rischio e della valutazione dell'efficacia dei servizi
ostetrico-pediatrici;
16. diffondere a scala nazionale un opuscolo per la
protezione della gravidanza e svolgere una campagna nazionale di informazione
sull'argomento, can iniziative annuali di richiamo e di rafforzamento dei
contenuti dell'opuscolo;
17. svolgere una iniziativa di formazione e di
aggiornamento professionale ogni 100 mila abitanti, destinata al personale dei
consultori familiari;
18. svolgere a regime una iniziativa di formazione e
di aggiornamento professionale ogni 100 mila abitanti, da riservare a 50
operatori del settore, con 200 ore di corso per ciascuna iniziativa, can un
obiettivo minimo di 150 iniziative nel triennio;
19. attivare 4 osservatori permanenti, esterni al Servizio
sanitario nazionale, su aspetti funzionali, economici e di qualità della
protezione materno-infantile;
20. far studiare da una commissione di esperti i
requisiti e le specifiche tecniche per l'attivazione all'interno del sistema
informativo sanitario del modulo relativo alla protezione materno-infantile
negli aspetti epidemiologici, di gestione e di governo.
Conclusioni
Con dieci anni di ritardo, il Ministro della sanità
ha presentato la proposta di piano sanitario nazionale. Giustamente, al primo
posto, c'è il progetto obiettivo relativo alla tutela della salute degli
anziani.
Finalmente viene riconosciuto, anche da parte del
Ministro della sanità, che un anziano malato è un malato, affermazione
apparentemente ovvia, ma contrastata fino ad oggi (e farse anche domani)
soprattutto dai gestori delle strutture assistenziali di ricovero, i cui
clienti tradizionali (bambini, adolescenti, handicappati minori e adulti,
anziani autosufficienti), scarseggiano sempre di più.
Abbiamo esposto le nostre critiche e le nostre
proposte ai progetti obiettivo relativi agli anziani, agli handicappati, alla
salute mentale e al settore materno-infantile, confidando che gli organi preposti
(Parlamento, Ministro della sanità, Consiglio sanitario nazionale) approvino
norme dirette a tutelare effettivamente la salute dei cittadini, in primo luogo
dei più deboli e, finalmente, dispongano interventi per le famiglie e persone
che - spesso con gravissimi sacrifici economici, fisici e psicologici -
provvedono a casa loro a congiunti gravemente non autosufficienti, interventi
- lo ricordiamo ancora una volta - che sono non solo più idonei per i pazienti,
ma anche meno costosi per lo Stato.
(1) Cfr. Fondazione Zancan,
Osservazioni e proposte per la riforma dell'assistenza, in Prospettive assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988.
(2) Cfr. l'art. 26 del DPR 8 giugno
1987 n. 289 «Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con 1
medici di medicina generale», il quale stabilisce quanto segue: «Assistenza programmata ad assistiti non
ambulabili.
«L'assistenza programmata si articola in tre forme di interventi:
a) assistenza domiciliare nei confronti dei pazienti non ambulabili;
b) assistenza nei confronti di pazienti ospiti in residenze protette;
c) assistenza domiciliare integrata.
«L'assistenza programmata viene erogata sulla base dl intese normative
ed economiche raggiunte a livello regionale con i sindacati medici di
categoria maggiormente rappresentativi In sede regionale, sentito il comitato
ex art. 37.
«Laddove in qualche Regione non siasi proceduto alla stipula delle
suddette intese entro sei mesi dalla pubblicazione del D.P.R. che rende
esecutivo il presente accordo, l'erogazione di questa forma di assistenza sarà
disciplinata nelle suddette regioni in conformità ai contenuti di una intesa
da concordarsi a livello nazionale sulla base della media degli specifici
accordi raggiunti nelle altre Regioni.
«In particolare:
A) l'assistenza domiciliare nei confronti d1 pazienti non ambulabili si
rivolge agli anziani, invalidi o ammalati cronici che non sono in grado di
frequentare lo studio del proprio medico. La loro identificazione, viene
concordata tra il medico di famiglia e il competente servizio sanitario della
U.S.L.
Tale assistenza deve prevedere, al di fuori delle normali richieste di
visita domiciliare per fatti acuti, un accesso periodico del medico di
famiglia e la possibilità per lo stesso di attivare per il paziente visite
specialistiche, ricerche diagnostiche domiciliari e assistenza infermieristica.
È opportuno, ove questi pazienti usufruiscano di attività assistenziali dl
tipo sociale, uno stretto collegamento tra il medico dl famiglia e gli addetti
a questo tipo d1 assistenza. Presso il domicilio del paziente il medico
attiverà un diario clinico che serva da collegamento tra f vari interventi
sanitari.
8) L'assistenza domiciliare integrata può essere attivata in fase
sperimentale nel caso in cui sia possibile garantire la assistenza sanitaria e
sociale nel proprio domicilio a pazienti ai quali si voglia evitare un
ricovero determinato da ragioni sociali (anziani affetti da forme morbose
acute) o da motivi di organizzazione sanitaria (terminali, riabilitazione di
vasculopatici, ecc.).
«I pazienti di cui al precedente comma sono individuati dal medico
generale oppure, in caso di degenza, dal primario ospedaliero il quale deve
sentire il parere del medico generale.
«Il medico generale provvede a segnalare il caso alla U.S.L. di
competenza al fine dell'inizio dell'assistenza e la fornitura dei necessari
supporti infermieristici e sociali.
«L'esperimento non può avvenire senza il consenso dei familiari
dell'infermo.
«Il medico generale mantiene la responsabilità unica e complessiva del
paziente. Lo visita secondo un calendario d1 massima precedentemente segnalato
alla U.S.L.: tiene un diario clinico sul quale ogni specialista riporta i
propri Interventi; attiva le consulenze specialistiche e gli interventi
Infermieristici e sociali, coordina l'équipe funzionale che si attiva per
rispondere ai bisogni del paziente».
Si veda inoltre l'art. 28 «Interventi socio-assistenziali».
«Il medico di famiglia sulla base della conoscenza del quadro
anamnesistico complessivo dell'assistito derivante dall'osservazione prolungata
dello stesso anche in rapporto al contesta familiare, riferito oltreché alle
condizioni sanitarie anche a quelle sociali ed economiche, ove lo ritenga necessario
segnala al servizi sociali Individuati dall'U.S.L. l'esigenza di particolari
interventi socio-assistenziali».
(3) Cfr. F. Fabris e L. Pernigotti,
«Ospedalizzazione a domicilio - Curare a casa malati acuti e cronici: come e
perché», Rosenberg & Sellier, Torino, 1a Ristampa 1988.
(4) I pazienti dell'assistenza
domiciliare integrata continuano ad essere conteggiati ai fini del compenso
forfettario stabilito per i medici di base.
(5) Nell'accordo sono previsti anche
compensi di lire 15.000 per ciascun accesso a domicilio dei pazienti non
deambulanti e L. 5.000 per ogni prestazione eseguita nelle residenze protette.
(6) Da segnalare che, a conferma
della scarsa considerazione della Regione e delle organizzazioni mediche della
Toscana per gli anziani non autosufficienti ricoverati in case protette. è
previsto «un compenso onnicomprensivo
mensile per soggetto di L. 15.200» corrispondente ad appena un accesso
ogni due settimane per ricoverato!
(7) Per i medici, gli infermieri ed i
riabilitatori del servizio di ospedalizzazione a domicilio non è previsto -
giustamente - alcun compenso aggiuntivo per le prestazioni rese a casa del
paziente.
(8) Cfr. il paragrafo «Assistere il
ceto medio?» dell'editoriale del n. 84, ottobre-dicembre 1988, di Prospettive assistenziali.
(9) Poiché manca il personale
necessario per soddisfare le esigenze della popolazione meno abbiente, è estremamente
ingiusta l'assunzione di personale da destinare non a chi ne ha più bisogno, ma
al ceto medio. Questa ingiustizia si manifesterebbe anche se al ceto medio si
richiedesse un compenso, compenso che, per essere competitivo con le tariffe
del servizi privati, non può certamente coprire tutti gli oneri a carico degli
enti pubblici.
(10) Per quanto riguarda gli
interventi di prevenzione della fascia minorile, il testo rinvia «alle specifiche indicazioni del programma
5 - Tutela materno-infantile».
(11) Queste indicazioni sono state
individuate da un gruppo di lavoro composto da operatori di centri diurni per
insufficienti mentali ultraquattordicenni delle USSL torinesi e da
rappresentanti del CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base.
(12) Ovviamente l'assistenza deve
essere riservata alle persone incapaci di provvedere autonomamente a se stesse.
(13) Dai dati relativi alle persone
che attualmente beneficiano di pensioni e assegni di invalidità, riteniamo che
i dati quantitativi del Ministero della sanità siano di gran lunga superiori
alla realtà.
(14) Riteniamo che la gestione di
centri diurni per handicappati intellettivi ultraquattordicenni, non in grado
dl svolgere attività lavorative proficue a causa della gravità delle loro condizioni,
spetti al settore assistenziale e non a quello sanitario.
(15) Ricordiamo che queste
prestazioni sono già oggi a completo carico del settore sanitario. Cfr. la
delibera del Consiglio regionale piemontese n. 245-11964 del 31 luglio 1986.
(16) Si vedano le osservazioni sul
servizio di assistenza domiciliare integrata che abbiamo fatto a proposito del
programma riguardante gli anziani.
(17) Estremamente positiva è
l'indicazione contenuta nella proposta del Ministro della sanità circa la
presenza in ospedale dei familiari dei bambini ricoverati.
www.fondazionepromozionesociale.it