Prospettive assistenziali, n. 85, gennaio-marzo 1989

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

CONTESTATA LA CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DELL'ISTITUTO CASA BENEFICA

 

L'Istituto Benefica di Pianezza (Torino) ha tentato di rilanciare la propria immagine in occasione del centenario della sua fondazione. L'iniziativa è stata contestata dall'ANFAA.

Riproduciamo due lettere del Presidente dell'ANFAA stessa: la prima è stata scritta al Diret­tore de «La Stampa» il 6 ottobre 1988; la seconda è stata inviata il 15 novembre a Katia Ricciarelli, cui l'ANFAA aveva chiesto di non partecipare al concerto organizzato dall'Istituto per celebrare l'avvenimento.

 

I

 

Sulla Stampa del 2 ottobre u.s., ho letto l'arti­colo «I cent'anni della Benefica» e non so dirLe se sono rimasto più sconcertato o sbigottito. Sono ormai cinquant'anni che gli studi di Bowlby, Spitz, Aubry, per citare solo i nomi più prestigiosi, han­no dimostrato gli effetti devastanti, spesso irre­versibili, che il ricovero in istituto dei minori pro­voca sul loro sviluppo psico-fisico. È dal 1967 che il nostro Paese si è dato una legge sull'adozione che, ponendosi il principio della tutela prioritaria dei diritti dei minori, riconosce a questi ultimi il diritto ad avere una famiglia. È dal 1983 che il Parlamento ha approvato la Legge 184 che stabi­lisce anzitutto che il minore «ha diritto a crescere nella propria famiglia» e che - qualora questa di fatto non esista o sia incapace di corrispondere alle esigenze morali e materiali del minore - i servizi locali sono tenuti ad attuare gli interventi necessari: adozione o affidamento familiare a scopo educativo, comunità di tipo familiare, a seconda delle situazioni; questa legge ha speci­ficato, e qui sta il punto fondamentale, una scala di priorità in base alla quale l'intervento «ricove­ro in istituto» è messo non a caso all'ultimo po­sto. Dico non a caso in quanto è stato un preciso intento del legislatore, ben conscio di che cosa significhi l'istituzionalizzazione per il ragazzino, ribadire che l'istituto rappresenta una soluzione di ripiego e dannosa.

Su questo aspetto Le cito il giudizio di Mons. Giovanni Nervo della CEI, Presidente della Fon­dazione Zancan che ha affermato come «la comu­nità civile ed ecclesiale che ad un bambino senza famiglia non sa dare altro che un istituto, è poco civile ed è poco cristiana: è disumana».

Posso ricordarLe il dott. Alfredo Carlo Moro, già Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma che così si è espresso: «L'istituto non è in grado di dare risposte esaustive a quello che è il bisogno primario di un soggetto in età evolutiva: di realizzare cioè in modo compiuto un regolare processo di identificazione personale e di socia­lizzazione».

Potrei aggiungere dichiarazioni di tanti altri su questi temi, non ultimo l'attuale Ministro agli Af­fari Sociali Rosa Russo Jervolino e la Sen. Giglia Tedesco, ma mi fermo qui.

Letta questa lunga ma credo necessaria pre­messa, Lei capirà le ragioni del mio sconcerto e del mio sbigottimento: ed infatti mi sono chiesto come fosse possibile che un giornale che, come quello che Lei dirige, vuole essere aperto ai gran­di temi politici, civili e culturali del nostro tempo e che, proprio nei giorni scorsi, ha fornito ai suoi lettori un quadro preciso e corretto delle inizia­tive assunte dall'Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino in materia di affidamento fami­liare (una delle soluzioni alternative all'istituto), potesse pubblicare un articolo che, acriticamen­te, esalta la funzione dell'istituto della «Benefica»

Quando ero bambino, parlo quindi di cinquanta anni fa, anno più, anno meno, feci le elementari alla Vittorio Alfieri, proprio di fianco alla «Bene­fica». In ogni classe maschile c'erano 5-6 ragazzi­ni di questo istituto. Io li ricordo bene, potrei an­che dirLe i loro cognomi, erano ragazzini grigi come la loro divisa di panno scadente, che li fa­ceva assomigliare a tanti piccoli marmittoni, sem­pre impauriti ed affamati; d'inverno le loro mani erano tutte un «gelone». I maestri li mettevano sempre negli ultimi banchi ed io, che non ero piccolo di statura, in genere li avevo alle spalle e si faceva amicizia, e mi raccontavano del fred­do, del cibo scadente, delle botte che il direttore ed «assistenti» propinavano loro, botte che la­sciavano il segno, ed erano bernoccoli vistosi.

Noi ragazzini fortunati, si dava loro un po' del­la nostra colazione e c'era stato un periodo in cui ricordo, se era cioccolato, alcuni di loro legati da un accordo, lo riponevano in una scatola di latta: era una grossa scatola di lucido da scarpe Brill, ben ripulita. Il cioccolato, nel caldo delle tasche, si fondeva e si stratificava; al latte più chiaro, amaro più scuro; a me avevano detto che era la loro riserva per i momenti di quiete, una leccata per uno da amici solidali: era il loro lusso.

In questi cinquant'anni anche la «Benefica» si è trasformata, credo però non del tutto se si leggono le testimonianze raccolte dall'ANFAA (As­sociazione nazionale famiglie adottive e affidata­rie) e dall'ULCES (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) e presentate nel gennaio 1981 sotto forma di esposto alla Procura della Repubblica di Torino, da chi Le scrive, nella sua qualità di Presidente dell'ANFAA e da Francesco Santanera, allora segretario dell'ULCES. Il quadro che emerge dalle dichiarazioni dei ragazzini rico­verati, di giovani dimessi dall'istituto e di ex di­pendenti è inquietante per i frequenti casi di vio­lenze sui minori, le omissioni e le carenze edu­cative e gestionali. Presentato questo dossier, tuttavia, non fu purtroppo celebrato alcun pro­cesso, in quanto l'esposto stesso venne archi­viato (1).

Ho la fondata convinzione che tale archiviazio­ne sia stata almeno molto frettolosa e le spiego il perché: secondo l'inquirente, l'unico episodio accertato, tra i numerosi segnalati, era quello avvenuto nel novembre 1980, al riguardo del quale così si espresse testualmente il Tenente Colon­nello comandante del Nucleo di Polizia giudizia­ria che svolse le indagini: ...«Infatti durante la trasmissione televisiva di una TV privata nel me­se di novembre 1980, che trasmetteva un film sul­le atrocità naziste, l'educatore G., di servizio al suo reparto, per sdrammatizzare la tensione crea­tasi nel ragazzo che con lui assisteva alla visione di alcune scene orgiastiche, dava una “manata” sui genitali di questo pronunciando le frasi: Que­ste cose servono a farlo venir duro; però il rap­porto sessuale affettivo non si deve vederlo in questo modo. L'intenzione dell'educatore era quella di intraprendere con il ragazzo un serio discorso sull'educazione sessuale» (2).

A commento Le ripeto quello che scrissi all'e­poca: «Senza stare ad approfondire come e quan­to le “manate” sui genitali possano essere edu­cative e a quale filone cinematografico potesse appartenere un film “sulle atrocità naziste” in cui comparivano “scene orgiastiche”, quello che sal­ta all'occhio è come il bravo ufficiale inquirente concepisca “un serio discorso sull'educazione sessuale”; se tanto mi dà tanto, si spiega come detto ufficiale inquirente non abbia potuto riscon­trare “concreti elementi di violazione delle leggi penali a carico degli amministratori dell'istituto ‘Benefica’ né dell'attuale personale preposto al­la custodia di ambo i sessi” tanto più che le prin­cipali fonti di informazione per l'inchiesta sono rappresentate dalle relazioni della direttrice dell'istituto, dallo psicologo dell'istituto, dal verbale di una seduta del Consiglio di amministrazione dell'istituto. Non si fa un solo cenno delle dichia­razioni di ex dipendenti, come non sembra si sia tenuto conto delle dichiarazioni di ragazzini rico­verati e neppure di quanto affermato da uomini fatti, già “ospiti” dell'istituto.

Quest'ultimo aspetto dell'inchiesta a noi sem­bra particolarmente inquietante e mi pongo la do­manda: se le testimonianze dei ragazzini ricove­rati e persino quelle degli ex ragazzini già ricove­rati non vengono prese in considerazione per principio, se non contano niente le dichiarazioni degli ex dipendenti; se contano solo quanto dico­no direttori e dipendenti in servizio, come mai si potrà, mi domando, acclarare eventuali disfun­zioni, carenze, violenze compiute negli istituti?».

Questo episodio, a me sembra, se da un lato è significativo della scarsa attenzione dei pubblici poteri per la tutela dei minori ricoverati (devo ri­cordare a proposito come gli obblighi di controllo su tutti gli istituti pubblici e privati di assistenza all'infanzia da parte della Regione e degli Enti pubblici siano ancora oggi ampiamente disattesi), dall'altro non allontana certo le ombre che gra­vano ancora oggi sulla qualità del servizio reso dall'istituto «Benefica».

In queste circostanze, non Le sembra, Signor Direttore, che l'articolo encomiastico comparso su «La Stampa» sia fuori luogo? A me sembra proprio di sì, non fosse altro per il rispetto che si deve alle sofferenze, morali e materiali, subite dai miei infelici compagni di scuola di allora e da tanti altri ragazzini che li hanno seguiti fino ad oggi.

Attualmente in Piemonte i ragazzini ricoverati sono ancora circa 1500: a me piacerebbe, a tanti piacerebbe, che il Suo giornale invece di elogiare, attingendo superficialmente fonti interessate, una istituzione che comunque è oggettivamente supe­rata sotto il profilo tecnico, si impegnasse perché ad essi venga riconosciuto quel diritto «alla fa­miglia» sancito dalla legge 184/1983.

 

II

 

Quando sabato «La Stampa», ha diffuso la noti­zia che era stato annullato il Suo concerto all'Au­ditorium di domenica 6 novembre organizzato per festeggiare il 100° anniversario della fondazione di un istituto per minori, «Casa Benefica», abbia­mo provato una grande emozione.

Per tutti quelli che, come noi dell'ANFAA, sono impegnati a costruire prospettive di vita migliori per i ragazzini, l'annullamento di questo concerto ha avuto il significato che quando spieghiamo le nostre proposte alle persone sensibili, queste persone non solo le capiscono subito ma, come è stato nel Suo caso, sono disposte ad affrontare situazioni spiacevoli e difficili, pur di dare una mano. E Lei con la Sua decisione, ci ha dato una grossa mano, perché ha detto a tutti, Amministra­tori, operatori, giudici minorili che anche Lei è con noi, dalla parte dei bambini.

Per questo io, a nome di tutti i bambini ancora rinchiusi negli istituti o che comunque soffrono per l'indifferenza dei parenti ai loro problemi, a nome dei soci dell'ANFAA e di quanti ci seguono nel nostro lavoro, Le dico grazie e le confesso che se prima l'ammiravo come artista, oggi Le vogliamo anche bene.

 

 

(1) Cfr. La cruda realtà di un istituto di assistenza alla Infanzia - Documenti e testimonianze su Casa Benefica, in Prospettive assistenziali, n. 54, aprile-giugno 1981.

(2) Cfr. G. Pallavicini, Violenza sui minori e manate edu­cative, in Prospettive assistenziali, n. 72, ottobre-dicembre 1985.

 

 

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