Prospettive assistenziali, n. 85, gennaio-marzo 1989

 

 

PER UNA CULTURA DEGLI INTERVENTI SOCIALI DOMICILIARI E TERRITORIALI IN ALTERNATIVA AL RICOVERO (1)

GRUPPO PERMANENTE DI LAVORO PER GLI INTERVENTI ALTERNATIVI AL RICOVERO (2)

 

 

1. Finalità del documento

Il presente documento - prodotto da un gruppo di lavoro a cui partecipano a titolo personale operatori sociali pubblici, esponenti di movimenti ed associazioni, studiosi ed esperti di formazione - intende formulare alcuni criteri essenziali di cultura politica e diritto, relativi all'intervento sociale e proporli a tutti i cittadini, in particolare a coloro che hanno responsabilità dirette di inter­vento.

In questo momento, infatti, sembrano tornare a prevalere visioni residuali, economicistiche e subalterne delle politiche sociali, e il contesto culturale in cui ciò avviene volge a favore del cosiddetto «pluralismo delle istituzioni assistenziali» e alla delimitazione burocratica e rigida dei trasferimenti monetari specie nell'assistenza economica.

Abbiamo perciò ritenuto opportuno riprendere gli elementi di una cultura dei servizi che sia de­mocratica, solidaristica, tesa alla liberazione, in tutta la misura del possibile, dei singoli e della collettività dal bisogno assistenziale.

 

2. Prevenire il bisogno assistenziale

Riteniamo che sia insufficiente e fuorviante ogni discorso sull'intervento sociale che conce­pisca l'assistenza ai bisogni della popolazione come un modo per mantenere quote più o meno ampie in condizioni di dipendenza e di margina­lità.

Occorre prevenire il bisogno assistenziale me­diante interventi adeguati nel campo della scuola e formazione professionale, della casa, dell'in­gresso al lavoro, del reddito di lavoro e di pen­sione ecc. Il riemergere di povertà tradizionali indica come rilevanti passi indietro sono stati compiuti sul terreno della sicurezza di vita e nel­le garanzie di benessere enunciate dal principio della cittadinanza sociale per tutti.

Ne consegue che gli interventi di tutela e pro­mozione della sicurezza di vita non possono e non debbano essere a carico del settore assisten­ziale, ma spettano ai settori politico-amministra­tivi della scuola, formazione professionale, casa, lavoro, previdenza ecc., secondo le loro specifi­che attribuzioni e in un quadro di coordinamento e disegno complessivo.

Detti settori devono altresì operare avendo una particolare attenzione alle esigenze e ai di­ritti della fascia più debole della popolazione, alla quale l'esercizio concreto dei diritti di citta­dinanza va assicurata mediante interventi aggiun­tivi e mirati. Si pensi, ad esempio, all'inserimen­to prescolastico e scolastico degli handicappati, ai corsi prelavorativi per insufficienti mentali, all'attuazione del collocamento obbligatorio, alla eliminazione delle barriere architettoniche in abi­tazioni, uffici, trasporti, ecc.

Solo un quadro complessivo e coordinato di in­tervento multisettoriale è in grado di conseguire più elevati livelli di educazione, prevenzione del disagio e promozione di migliore qualità della vita per tutti i cittadini.

 

3. Le tendenze negative nel settore assistenziale

Passiamo ora al settore socio-assistenziale regolato dalla legge regionale 20/1982 (e succes­sive modificazioni) e oggetto delle attività ammi­nistrative dei Comuni e, laddove le competenze siano state trasferite, delle Unità sociosanitarie locali.

Attualmente assistiamo all'effetto congiunto di due processi:

1) la stagnazione delle politiche di intervento assistenziale domiciliare e sul territorio;

2) la ripresa di pratiche di ricovero e istituzio­nalizzazione degli assistiti.

La tendenza al ricovero, dai dati relativi al Pie­monte per il periodo 1975-1986, risulta in forte decremento per i minori, in decremento più con­tenuto per gli handicappati, in incremento per gli anziani (Tabella 1).

Un totale di oltre 30 mila ricoverati costituisce tuttora una quota ragguardevole di persone, so­prattutto considerando che il 70% di essi appar­tiene a quelle classi di età più elevate che sono in continua espansione nella popolazione totale.

 

Tab. 1 - Dati sul ricoverati in istituto in Piemonte (fonte: Istat)

 

Alla data del

1.1.1975

1.1.1985

% 75/86

Soggetti:

 

 

 

minori normali (a)

9.358

2.847

-70%

ciechi (minori e adulti)

220

71

-68%

sordomuti (minori e adulti)

563

163

-71%

handicappati fisici (minori e adulti)

457

312

-32%

handicappati psichici (minori e adulti)

3.534

2.035

-42%

adulti inabili e anziani

23.738

23.671

=

altri (minori, adulti e anziani)

889

1.473

+64%

Totale

38.759

30.572

-21%

Con più di 65 anni

20.950

21.824

+ 4%

Con meno di 65 anni

17.809

8.748

-51%

 

(a) ricoverati in colonie permanenti, In istituti per minori normali, nei brefotrofi (limitatamente all'«allevamento in­terno» secondo la terminologia dell'Istat).

 

 

Appaiono perciò di decisiva importanza le scelte che le amministrazioni pubbliche (Regione, Pro­vince e Comuni) vengono compiendo e ancor più si apprestano a compiere in futuro. Per limitarci al solo Comune di Torino, è stato rilevato nella seconda metà del 1988 un deciso crollo nelle spese per i contributi economici, l'assistenza do­miciliare e l'appoggio educativo ai minori, in con­seguenza dell'emanazione dì delibere e circolari più restrittive e vincolistiche in materia.

Questo avviene mentre le stesse Amministra­zioni non risparmiano riconoscimenti di principio alla superiorità civile di quell'assistenza che con­sente di mantenere le persone nel loro ambiente di esistenza rispetto a quella che le isola negli istituti.

 

4. Contro l'istituto non per partito preso

Occorre essere chiari. Il ricovero, se in certe situazioni può apparire come una strada obbliga­ta o priva di alternative soprattutto dal punto di vista delle persone coinvolte, presenta in ogni caso limiti oggettivi e insuperabili, quand'anche la gestione dell'istituto (ma non sempre accade) realizzi criteri organizzativi e tecnici corretti.

Il ricovero in istituti di assistenza è negativo perché:

- determina quasi sempre l'allontanamento delle persone dal loro contesto familiare e so­ciale;

- riduce gli spazi di libertà dei ricoverati;

- spesso trascura e riduce i diritti fondamen­tali delle persone (alla salute, all'autonomia, al rispetto della propria dignità, ecc.);

- nel caso del ricovero assistenziale di anzia­ni malati cronici non autosufficienti, viene illegit­timamente richiesto ai pazienti e ai loro familiari il pagamento di rette non dovute (ad esempio la retta «alberghiera» dell'Istituto per anziani Carlo Alberto di Torino è di lire 36.400 al giorno);

- quasi sempre i costi dei ricovero in istituto sono nettamente superiori ai costi degli inter­venti domiciliari.

Al contrario dell'istituto, l'assistenza domici­liare e di territorio è in grado di realizzare inter­venti di aiuto che consentono alle persone di mantenere il massimo possibile di significato della propria vita e le abituali relazioni familiari e sociali. Al tempo stesso detti interventi deter­minano una maggior efficacia di risposta rispetto a bisogni specifici.

Gli interventi alternativi al ricovero, individuati con chiarezza nelle esperienze degli ultimi 10-15 anni, devono essere finalizzati alla massima au­tonomia possibile dei singoli e dei nuclei fami­liari e sono riconducibili alla tipologia seguente:

1) interventi economici e prestazioni dirette di appoggio alla persona nel suo ambiente di vita (famiglia, abitazione, vicinato ecc.);

2) comunità di accoglienza e convivenza che realizzano funzioni parafamiliari (comunità al­loggio);

3) servizi locali accessibili e ben distribuiti sul territorio e con orari adeguati alle esigenze dell'utenza;

4) prestazioni già rese entro istituzioni di rico­vero che vengono trasferite sul territorio e a do­micilio. Assai eloquente al riguardo appare l'es­perienza torinese della ospedalizzazione a domi­cilio.

 

5. Le priorità che proponiamo

I soggetti a cui devono in primo luogo orien­tarsi gli interventi domiciliari e territoriali sono i minori, gli handicappati, gli anziani.

Proponiamo perciò come prioritari i seguenti interventi:

a) assistenza economica che garantisca ai nu­clei familiari le condizioni finanziarie indispen­sabili per vivere a quelli che hanno redditi insuf­ficienti;

b) attività di sostegno e appoggio, materiale e relazionale, ai nuclei familiari e ai singoli, al fine di risolvere per quanto possibile le difficoltà personali e sociali;

c) aiuto domiciliare alle persone con limitata autonomia, al fine di assicurare le prestazioni necessarie per la gestione della casa, delle per­sone stesse e dei rapporti sociali;

d) affidamento familiare dei minori a scopo educativo, per quei minori i cui nuclei familiari in difficoltà non sono in grado di provvedere ade­guatamente ai loro figli, nemmeno con gli inter­venti di cui ai punti precedenti;

e) adozione dei minori in situazione di abban­dono materiale e morale;

f) comunità alloggio per minori, per handicap­pati adulti e per anziani, per i quali non sono at­tuabili gli interventi di cui ai punti precedenti;

g) servizi diurni per gli handicappati i quali, a causa della gravità delle loro condizioni, non pos­sono essere inseriti nella scuola post-obbligato­ria o nei corsi di formazione professionale o pre­lavorativa e nel lavoro presso aziende pubbliche o private.

 

6. Anziani cronici non autosufficienti

Particolare attenzione va dedicata agli anziani cronici non autosufficienti. Per queste persone la tendenza al ricovero di tipo assistenziale com­porta una duplice negazione di diritti:

1) il diritto a permanere, fin dove sia social­mente e tecnicamente possibile, nel loro ambien­te vitale di esistenza;

2) il diritto ad essere considerati come utenti a tutti gli effetti delle prestazioni del servizio sa­nitario nazionale.

Lottare contro il ricovero assistenziale degli anziani cronici non autosufficienti significa dun­que perseguire la tutela su entrambi i versanti dei diritti negati.

Noi proponiamo perciò quanto segue:

a) estensione a tutte le Ussl del servizio di ospedalizzazione a domicilio;

b) istituzione di ospedali di giorno senza rico­vero;

c) incentivazione delle attività riabilitative presso gli ospedali e i servizi territoriali;

d) umanizzazione del trattamento sanitario, in particolare quello svolto in ospedale.

Le iniziative di cui ai punti precedenti riguar­dano non solo gli anziani, ma tutti i cittadini che ne abbisognano, ma si evidenziano come parti­colarmente urgenti per gli anziani cronici.

Per i casi in cui non siano attuabili gli inter­venti proposti, occorre creare posti letto per an­ziani in strutture residenziali sanitarie, utilizzan­do per quanto possibile l'esistente.

Per gli anziani cronici non autosufficienti rico­verati in istituti di assistenza a causa dell'insuf­ficienza di strutture sanitarie adeguate, si propo­ne che gli attuali posti letto assistenziali siano trasformati in letti sanitari a carico del S.S.N., con adeguamento del personale e delle strutture.

In ogni caso devono essere garantite condizio­ni di vita che, per quanto possibile, non si disco­stino dalle caratteristiche della normale vita fa­miliare.

 

7. Il problema dei costi e del personale

Gli oppositori delle politiche di intervento do­miciliare e territoriale spesso accampano ragioni di costo (i ricoveri costerebbero di meno) e di risorse umane (mancanza quantitativa a carenze qualitative del personale). Si deve rispondere che:

a) vi sono forme di intervento domiciliare - ad esempio l'ospedalizzazione a domicilio - i cui costi sono nettamente inferiori a qualsiasi tipo di ricovero, sono relativamente costanti nel tempo e di facile controllo;

b) il ritorno al ricovero comporta non soltanto costi di gestione degli istituti, ma anche spese di investimento in strutture, con ingentissimi co­sti finanziari che sottraggono per anni futuri ri­sorse preziose per gli interventi alternativi;

c) l'intervento domiciliare e territoriale preve­de l'impiego, la formazione, la qualificazione e la riconversione di risorse umane già presenti nei servizi pubblici, affinché non si limitino a compiti routinari, ma siano in grado di pensare, organiz­zare e valutare progetti complessivi di lavoro.

Si tratta di un investimento che aumenta la qualità dei servizi, specie se si considera che nei servizi domiciliari e territoriali hanno trovato occupazione soggetti più giovani e scolarizzati, che hanno uno specifico interesse allo sviluppo professionale e culturale del loro lavoro.

Diventa di fondamentale importanza il ruolo delle Pubbliche Amministrazioni e delle forze sin­dacali per l'istituzione e il potenziamento dei ser­vizi alternativi al ricovero attraverso:

a) l'individuazione di nuove risorse finanziarie e di personale;

b) lo spostamento di risorse e personale all'interno delle stesse Pubbliche Amministrazioni.

 

8. Il volontariato

È certamente rilevante l'apporto che i gruppi di volontariato possono fornire agli interventi domiciliari e territoriali, specialmente se si rap­portano alle reti primarie di solidarietà (famiglia, parentela, vicinato, ecc.) e ne aumentano la capa­cità di dare risposta ai bisogni nei contesti dì vita dei soggetti.

Riteniamo invece negativo, oltre che per l'effi­cacia dell'intervento anche per l'identità stessa del volontariato, che ad esso si affidino compiti sostitutivi delle prestazioni dovute ai cittadini: fatto che può alimentare attese sproporzionate da parte della popolazione e dei volontari stessi.

Un ruolo positivo del volontariato, oltre la for­nitura di prestazioni dirette, potrebbe essere quello di promuovere i diritti della fascia più debole della popolazione, in particolare dei soggetti che non sono in grado di autodifendersi (bambini privi di adeguato sostegno familiare, insufficienti mentali gravi e gravissimi, anziani cronici non autosufficienti). Sarebbe pertanto au­spicabile che i gruppi di volontariato si ponesse­ro, nei confronti delle istituzioni che realizzano la politica dei servizi, come soggetti autonomi, critici e propositivi, soprattutto per i problemi relativi alla prevenzione del bisogno e alle alter­native al ricovero.

 

9. La ricomposizione dei livelli istituzionali

Nell'arresto delle politiche alternative al rico­vero e nella ripresa delle prassi tradizionali, gran­de peso ha esercitato il blocco dei processi di ricomposizione delle competenze in capo a un unico livello istituzionale.

Attualmente vi sono funzioni ancora esercitate dai singoli Comuni: assistenza economica e do­miciliare, comunità alloggio, istituti di ricovero; dalle Ussl: assistenza economica e domiciliare, comunità alloggio, istituti di ricovero, affidamenti familiari a scopo educativo, servizi diurni per insufficienti mentali; dalle Province: servizi per insufficienti mentali, ciechi e sordomuti; inter­venti per gestanti e madri; attività nei confronti dei minori (in particolare di quelli non riconosciu­ti o riconosciuti solo dalla madre).

Questa frammentazione di competenze è nega­tiva sia per gli utenti che per gli operatori, in quanto determina conflitti di competenze, vuoti di intervento, difficoltà o impossibilità di predi­sporre piani unitari di intervento nei riguardi del­le famiglie e delle persone in difficoltà.

Noi pensiamo che il livello istituzionale com­petente, già individuato dalle leggi di riforma degli anni 70, sia l'Unità sociosanitaria locale, espressione diretta dei Comuni. Ad essa vanno affidate sia le competenze sanitarie, sia quelle socioassistenziali, sia l'integrazione organizzati­va sanità-assistenza, necessaria soprattutto alla realizzazione di efficaci interventi domiciliari e territoriali.

L'Unità sociosanitaria locale deve attrezzarsi per rispondere ai compiti consolidati e a quelli emergenti, sviluppando attività sistematiche in tema di programmazione pluriennale degli inter­venti e valutazione costante dei risultati conse­guiti. In prospettiva l'Unità sociosanitaria locale deve essere ridefinita dalla legislazione regio­nale e nazionale in modo da esercitare tutte le funzioni sociali di base non adeguatamente ge­stibili dai singoli Comuni, in particolare quelli con poche centinaia di abitanti.

Nell'area metropolitana di Torino, completato al più presto il trasferimento alle 10 Ussl delle competenze in materia socioassistenziale, si do­vranno attuare forme di coordinamento fra gli in­terventi delle 10 Ussl che garantiscano:

a) omogeneità di trattamento fra i cittadini qualunque sia la zona di Torino in cui risiedono;

b) distribuzione equilibrata delle risorse finan­ziarie e di personale, assumendo come criterio il rapporto fra composizione sociale, bisogni e ri­sorse esistenti, e non semplicemente il costo storico delle strutture sanitarie e ospedaliere;

c) autonomia e responsabilità di programma­zione da parte di ciascuna singola Ussl, conser­vando e sviluppando un rapporto politico e pro­gettuale con la rispettiva Circoscrizione di com­petenza.

 

 

(1) Le organizzazioni e le persone che intendono aderire al documento sono pregate di segnalarlo per iscritto al Gruppo permanente di lavoro per gli interventi alternativi al ricovero c/o FIRAS, Via Cottolengo 22, 10152 Torino.

(2) Il Gruppo è costituito da Anfossi Renza, Arduino Giulia, Buzzigoli Antonio, Chiolero Mariangela, Cottino Silvana, Cravero Tommaso, Crema Pierino, Merlo Roberto, Motta Maurizio, Peirone Mariella, Pistone Andrea, Quaro­na Gianni, Rei Dario, Ronda Leonor, Santanera Francesco, Serafino Adriano, Venesia Eleonora.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it