Libri
C.
IMPRUDENTE, A. ANTINI, Handicap e Chiesa
- Una ricerca nella realtà bolognese, Rassegna Stampa Handicap, supplemento
al n. 2/87, Bologna, 1987, L. 5.000.
«Questa ricerca è importante perché è stata fatta»,
così l'Arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi focalizza, nella sua nota
introduttiva, il lavoro svolto da Claudio Imprudente e Antonella Antini.
Per chi, handicappato, è emarginato dalla cultura,
dalla possibilità di «sperimentare» se stesso e la realtà esterna, è
importantissimo «poter fare», al di là della bontà o meno dei risultati. E per
poter fare, occorrono spazi e tempi per la propria vita. È questo il filo
conduttore della prefazione curata da Andrea Pancaldi che colloca la ricerca
sullo sfondo dei temi fondamentali che hanno dato vita all'esperienza, ormai
quinquennle, del Centro di Documentazione sull'handicap AIAS di Bologna.
Antonella Antini fornisce una prima lettura dei
risultati della ricerca commentando l'immagine che la comunità ecclesiale
bolognese ha nei confronti dell'handicap attraverso la decodifica e le tabelle
riassuntive dei 250 questionari.
Claudio Imprudente inquadra questo lavoro alla luce
di un cammino in cui la persona handicappata non vuole essere «né angelo né
demonio» ma persona come le altre, uguale e diversa dalle altre, su una
medesima strada di solidarietà e verità.
Completano il volume alcune interessanti interviste
curate in margine alla ricerca ed infine una breve bibliografia, un invito alla
lettura perché da questa «prima mietitura», come ricorda Monsignor Biffi,
nascano nuove riflessioni, nuove proposte, nuovi impegni.
L'opera di Imprudente e Antini può essere uno stimolo
affinché anche la Chiesa accolga nel suo interno la problematica «handicappati».
Al riguardo ricordiamo che il vecchio codice di
diritto canonico (vigente fino al 24 gennaio 1983) definiva «irregolari per difetto (...) coloro che,
menomati nel corpo, non possono svolgere il ministero dell'altare con
sicurezza per la loro invalidità o con sufficiente decoro a causa della loro
deformità».
Nel nuovo codice di diritto canonico è previsto: «Siano promossi agli ordini soltanto quelli
che, per prudente giudizio del Vescovo proprio o del Superiore maggiore
competente (...) sono dotati di quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti
con l'ordine che deve essere ricevuto» (can. 1029).
AA.VV., Famiglia e salute, Vita e pensiero, Milano, 1987, pp. 382, L.
32.000
La pubblicazione raccoglie gli atti del convegno
internazionale «Famiglia e salute: nuovi orientamenti nelle scienze psico-medico-sociali
e nelle organizzazioni sanitarie», promosso dal Centro Studi e Ricerche sulla
Famiglia e tenutosi a Milano, presso l'Università Cattolica, nei giorni 3-4-5
novembre 1986.
Il convegno ha avuto come filo conduttore il fatto
che con sempre maggiore evidenza è emersa l'importanza della famiglia agli
effetti della salute personale e collettiva. Afferma Eugenia Scabici «La salute di una comunità locale dipende in
buona misura dalla salute psico-fisico-sociale delle sue “reti familiari”. Inoltre
la famiglia, così come è importante per la prevenzione della malattia e la
promozione della salute, è essenziale per la cura, la riabilitazione e
l'assistenza».
Secondo P. Donati, «le indicazioni operative emergenti possono essere così sintetizzate:
«a) si
tratta di riportare le famiglie nel Servizio sanitario nazionale come
preoccupazione prioritaria e quindi come “fuoco” delle analisi, degli
interventi, nonché della preparazione professionale degli operatori e della
riorganizzazione dei servizi (...);
«b)
nell'assumere tale consapevolezza e nel riorientare il Servizio sanitario
nazionale bisogna però guardarsi dallo scaricare i problemi sulla famiglia, o
peggio ancora incorrere in atteggiamenti di colpevolizzazione. Al contrario
occorre ribilanciare le responsabilità tra Stato e famiglia, in modo equo, dal
momento che oggi le relazioni sono poco chiare e spesso distorte: in linea di
principio, infatti; sembra che lo Stato si assicuri una gran quantità di oneri
per la salute delle famiglie ed i relativi servizi, ma non è così. Queste
sopportano ancora il maggior peso e spesso non trovano nei servizi pubblici
(come in quelli privati) un partner efficace, efficiente, sensibile e
dialogante, ma invece strutture facili burocratismo, inefficaci, inefficienti,
insensibili e poco disposte a relazioni minimamente reprocicanti».
Dunque conclude P. Donati «il ruolo della famiglia come tale deve essere presente nei progetti
obiettivo e nelle azioni programmate dei piani socio-sanitari».
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