Prospettive assistenziali, n. 86, aprile-giugno 1989

 

 

Editoriale

 

DIRITTI DEI MINORI E TENTATIVI DI STRAVOLGIMENTO DELL'ADOZIONE

 

 

Sembrava ormai acquisito a livello culturale e operativo che l'adozione dovesse rispondere all'interesse preminente dei minori, di tutti i minori italiani e stranieri, in situazioni di abbandono materiale e morale.

Le norme delle leggi 3 giugno 1967 n. 431 «Modifiche al titolo VIII del libro I del Codice civile "Dell'adozione" ed inserimento del nuovo capo III con il titolo "Dell'adozione speciale"» e 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori» approvate all'unanimità dal Parlamento, dettavano e dettano misure idonee a tutelare le esigenze ed i diritti dei bambini e dei fanciulli.

Partendo da tali esigenze, le disposizioni erano e sono finalizzate a garantire ai minori soli una famiglia valida sotto il profilo educativo e, nello stesso tempo, a stroncare il turpe mercato dei bambini, praticato dai mediatori prezzolati per rispondere alle richieste di coppie che vogliono un figlio ad ogni costo, anche se già giudicate inidonee all'adozione, compresi i soggetti con problemi psichiatrici o con disturbi anche gravi della personalità, oltre che da sadici e da pedofili.

Scoppiato il caso Serena, di fronte alla necessità di scegliere concretamente fra la difesa dei diritti dei minori in situazione di abbandono e l'accoglimento delle pretese degli adulti (i coniu­gi che si sono procurati un bambino, anche in mo­do illecito), si sono registrate prese di posizione in netto contrasto fra di loro.

Così è emerso che, tutt'oggi per molti, i bam­bini in situazione di abbandono (cioè, Serena e tutti gli altri minori nelle sue condizioni) non sono soggetti di diritto; anzi devono essere ben contenti se qualcuno, con mezzi leciti o no, li ac­coglie. Si ritorna quindi, all'adozione di vecchio stampo, e cioè ad un intervento finalizzato a sod­disfare le esigenze degli adulti, soddisfacimen­to che per alcuni dovrebbe addirittura essere conseguito indipendentemente dall'età degli adot­tanti e dalla loro idoneità educativa.

Osserviamo inoltre che, nonostante la rilevan­za della vicenda di Serena, non c'è stata alcuna presa di posizione ufficiale e ufficiosa da parte della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose. Ciò non tanto come pronunciamento sul caso singolo, ma in relazione ai riflessi gene­rali.

 

Responsabilità istituzionali

Le numerose persone, che si sono mosse a di­fesa dei presunti diritti dei coniugi di Racconigi, non solo hanno agito emotivamente (non si capi­rebbe altrimenti perché nulla hanno fatto e fanno per i 55 mila minori ancora ricoverati negli isti­tuti italiani), ma hanno anche ritenuto di operare correttamente, visto l'inopportuna presa di posi­zione del Capo dello Stato.

Il Presidente della Repubblica, infatti, andando ben oltre i suoi compiti istituzionali, è intervenu­to pesantemente fin dall'inizio della vicenda, scri­vendo al Ministro di grazia e giustizia una lettera in cui sollecitava che Serena venisse affidata ai coniugi che l'avevano introdotta illegalmente in Italia.

Al riguardo Cossiga chiedeva addirittura al Ministro di valutare «la proponibilità di interventi legislativi» (1).

La gravità dell'intervento del Presidente della Repubblica appare in tutta la sua ampiezza, allorquando si consideri che lo stesso Capo dello Stato presiede il Consiglio Superiore della Magistra­tura, organo preposto anche alla promozione ed ai trasferimenti dei giudici.

L'iniziativa senza precedenti del Presidente della Repubblica non solo ha rappresentato una in­debita interferenza sull'operato dei giudici (i quali erano chiamati a pronunciarsi ancora sul medesimo caso), che ai sensi dell'art. 101 della Costituzione «sono soggetti soltanto alla legge», ma ha anche dato un fortissimo appoggio a coloro che volevano che i giudici «interpretassero» la legge (o meglio la violassero) lasciando Serena presso la coppia di Racconigi.

La lettera del Capo dello Stato ha sortito un al­tro effetto: ha messo in moto il Ministro di grazia e giustizia il quale, come rileva P. Gosso nel suo articolo riportato in questo numero, «si è dato carico di condurre per così dire un suo "processo parallelo", affiancandolo a quello della magistra­tura».

Infatti, il Ministro Vassalli, oltre a ricevere il signor Giubergia (e cioè un cittadino che ha vio­lato la legge e che per mesi e mesi, insieme alla moglie, ha detto il falso al Tribunale per i mino­renni e alla Corte di appello danneggiando grave­mente il futuro di Serena) (2), ha fornito una se­rie di consigli alla stessa coppia in merito al loro reato, agendo come avvocato di parte e non co­me ministro (3).

Le numerose sortite del Ministro Vassalli a fa­vore della coppia di Racconigi (e quindi contrarie all'operato dei giudici) sono ancor più gravi, se si tiene conto che il Ministro stesso, in quanto tito­lare del dicastero di grazia e giustizia, può pro­muovere azioni disciplinari nei confronti dei ma­gistrati.

È da notare che il Ministro Vassalli, risponden­do in data 3 maggio 1989 alle interrogazioni pre­sentate, ha affermato: «I giudici avrebbero potu­to decidere diversamente ed avrebbero potuto farlo - e questo è un apprezzamento che va al di là di quello che dovrei dire - se avessero tenuto in maggior conto, anziché gli interessi di prevenzione generale, interessi specifici del mi­nore, così come compete ad un tribunale mino­rile» (4).

 

L'intervento di Nilde Iotti...

Circa le prese di posizione delle istituzioni, non si può tacere la gravissima affermazione dell'Ono­revole Nilde lotti, Presidente della Camera dei deputati che ha dichiarato a proposito della vicen­da di Serena: «Sono cose che gridano vendetta al cospetto di Dio (...). Ci troviamo di fronte a for­me di crudeltà che non so definire».

Nei giorni immediatamente successivi, molti giornali hanno parlato della «grande umanità di una madre adottiva», facendo riferimento alla «adozione» da parte di Palmiro Togliatti e di Nilde lotti di una bambina di nove anni. Non si tratta, invece, di una adozione, che data la loro situazio­ne familiare non era possibile, ma di una sem­plice affiliazione.

Infatti, poiché il legame fra Palmiro Togliatti e Nilde lotti era bersagliato da dure critiche anche all'interno del PCI (in quel periodo davano «scan­dalo» due persone che convivevano senza essere unite in matrimonio), il leader comunista e la sua compagna «desideravano molto avere un figlio, ma non potevano permetterselo per motivi poli­tici» (5).

A seguito della strage di Modena del 9.1.1950 (la polizia sparò ad altezza d'uomo durante uno sciopero), Togliatti e Iotti proposero alla famiglia Malagoli, che aveva perso uno dei nove figli negli incidenti, di prendere con loro la sorella più pic­cola del defunto per farla studiare, accogliendola in casa a Roma.

Non si tratta, dunque, di una adozione, ma di un intervento molto discutibile in quanto la bam­bina (che aveva entrambi i genitori viventi e pie­namente validi sul piano educativo!) e la sua fa­miglia potevano essere certamente aiutate senza separare la minore da papà e mamma, da fratelli e sorelle e dall'ambiente in cui fino ad allora era vissuta.

 

... e una lettera di 39 Parlamentari

In contrapposizione evidente con l'inaudito at­tacco della Nilde lotti, un gruppo di Parlamentari (6), quasi tutti del PCI, hanno inviato ai magistrati e agli operatori sociali del Piemonte la seguente lettera aperta: «Il vostro impegno per l'applica­zione di una legge civile e giusta, la 184, è in que­sti giorni oggetto di molti, gravi attacchi dettati soprattutto da scarsa informazione o da sentimen­ti, in sé apprezzabili, che non tengono però conto dell'effettiva esigenza di far prevalere l'interesse dei bambini su quello degli adulti, di assicurare ad ogni bambino prospettive per il futuro, garan­tire loro la fuoriuscita dagli istituti, stroncare il mercato che è stato fiorente fino all'entrata in vi­gore della legge e che continua ad esserlo là dove la legge è scarsamente applicata.

«Intendiamo esprimervi, come Parlamentari della Repubblica, il nostro apprezzamento per Il vostro lavoro, per la capacità di assumere deci­sioni giuste anche se difficili ed impopolari.

«Siete stati oggetto di minacce ed intimida­zioni: ma questo non vi ha distolto dal vostro la­voro, né vi ha indotti ad assumere atteggiamenti rinunciatari. Siamo solidali con voi e ci sentiamo impegnati a difendere, nella nostra attività, i va­lori che voi stessi difendete con la vostra opera.

«Della legge e della sua applicazione si discu­terà in Parlamento nei prossimi giorni. Per noi, in ogni caso, deve restare ferma l'ispirazione di fon­do che intende assicurare non il predominio dei desideri degli adulti, ma l'assoluto primato dell'interesse e dei diritti propri dei bambini».

 

La protesta del sindacato Cgil-Funzione pubblica

La presa di posizione del Presidente della Ca­mera dei deputati ha anche sollevato la protesta del Sindacato CGIL Funzione pubblica del com­prensorio di Torino, che in un documento rileva che: «si sta passando dalla critica legittima a scelte della magistratura, critiche che non condi­vidiamo, al linciaggio (...), linciaggio che autoriz­za moltissimi cittadini a minacciare di morte, o nelle maniere più oscene giudici ed operatori so­ciali» e che «poche voci si sono levate ad invi­tare a riflettere e a discutere. Tutti, invece, sul piano dei sentimenti, invocano vendetta divina e magari giustizia sommaria. Dopo tutte queste di­chiarazioni, sempre più i cittadini si sentiranno autorizzati e giustificati ad insultare anonimamen­te e non i giudici e quando si rivolgono agli ope­ratori sociali a dare il giro alle loro scrivanie e a minacciarli se non faranno cose di loro gradimen­to. Tutto ciò è all'ordine del giorno nei servizi so­ciali del Comune di Torino, e da queste dichiara­zioni riceveranno nuove giustificazioni e impulsi».

 

La disinformazione dei mezzi di informazione

Nella vicenda della piccola Serena un ruolo fondamentale diretto a spingere l'opinione pub­blica contro l'operato dei magistrati è stato svolto da molti mezzi di informazione di massa, in parti­colare dalla televisione.

Si è, in particolare, distinto per la disinforma­zione Enzo Biagi (Cfr. Linea diretta del 20 marzo 1989) che, di fronte al pianto disperato della si­gnora Giubergia, che parlava della separazione da Serena, ha concluso: «Signora, spero che ri­vedrà presto la bambina», aggiungendo: «Io so­no sicuro; glielo assicuro io: lei la rivedrà».

È stato giustamente osservato: «Quel "Sono sicuro che la rivedrà" detto in faccia ad una leg­ge che c'è e che è stata rispettata, ha l'odore del­la demagogia televisiva. Con l'aggravante della presenza di una bimba abbandonata, che strappa le lacrime e gli applausi più facili» (7).

Analoga disinformazione è stata fornita dal servizio dello speciale TG 1 Sette del 21 marzo 1989, in cui è stata ripresa con insistenza e in primo piano la signora Giubergia mentre piange­va. Di tanto in tanto una famiglia affidataria inter­veniva per dare ragione alla signora stessa.

È ovvio che è facile suscitare emotività, an­che irrazionale, riprendendo alla televisione una persona che si dispera.

A nostro avviso, coloro che si preoccupano del­la correttezza dell'informazione dovrebbero for­nire le varie versioni sul problema trattato, senza favorire nessuna delle parti in causa.

Fra le numerose affermazioni insensate sulla vicenda di Serena, apparse sui giornali, ci sem­bra che le più negative e ingiustificate siano quel­le fatte da Furio Colombo su La Stampa del 18 aprile 1989 che è arrivato a scrivere: «D'ora in poi bisogna temere l'arrivo, accanto ad una scuo­la, una casa, una famiglia, di assistenti sociali accompagnate dai Carabinieri. La loro apparizione potrebbe indicare che intorno c'è un bambino che sta per scomparire senza lasciare traccia o no­tizie».

Le prese di posizione del Capo dello Stato, del Ministro di Grazia e Giustizia, della Presidente della Camera dei deputati, i servizi televisivi di Biagi e del TG 1 sette, le notizie spesso incom­plete se non false riportate da molti giornali co­stituiscono, a nostro avviso, la causa principale della emotività irrazionale che ha creato un clima di cui sono rimasti vittime i giudici del Tribunale per i minorenni e della Corte di appello di Torino e delle relative Procure, presentati fra l'altro co­me «l'uomo nero».

Insulti anche pesanti sono stati rivolti agli ope­ratori sociali e ai volontari dell'Associazione na­zionale famiglie adottive e affidatarie.

A causa delle suddette prese di posizione, moltissime persone - in perfetta buona fede - han­no ritenuto i magistrati e assistenti sociali colpe­voli della sofferenza di Serena, dei Giubergia e del loro figlio Nasario: sofferenza che sarebbe stata inflitta senza alcun serio motivo.

La situazione è degenerata al punto che i giu­dici e gli operatori sociali sono stati bersagliati da minacce telefoniche (8). A Milano, è stata tro­vata «una bomba inesplosa nella sede della Klm, compagnia olandese, che vanta fitti collegamenti con le Filippine» (9).

 

Le giuste rivendicazioni degli operatori

Da parte loro, 343 operatori dei servizi socio­sanitari del Piemonte (psicologi, assistenti so­ciali, educatori, neuropsichiatri infantili, coordi­natori dei servizi; sociologi, terapisti, psichiatri), estremamente preoccupati della situazione di lin­ciaggio praticata nei loro confronti anche da noti personaggi, hanno indirizzato all'opinione pubbli­ca il documento che riproduciamo integralmente (10): «Abbiamo assistito, in questo ultimo mese, ad una massiccia azione della stampa e dei mass media volta a condannare le scelte dei giudici del Tribunale per i minorenni di Torino.

«Ci sentiamo nel pieno diritto, come opera­tori delle UU.SS.LL. del Piemonte impegnati ad affrontare a fianco di quei Giudici la complessità delle problematiche minorili, a prendere una chia­ra e precisa posizione di fronte a tanto baccano che rischia di pregiudicare, forse irrimediabil­mente, il nostro lavoro.

«Non intendiamo riparlare di Serena e di Chri­stian poiché i problemi che ci preoccupano oggi vanno ben al di là dei casi singoli.

«Si è gettato discredito sull'operato dei magi­strati torinesi ed altrettanto si è fatto con noi operatori: basti pensare all'articolo di Furio Co­lombo apparso su La Stampa del 18.4.89 "d'ora in poi bisognerà temere l'arrivo, accanto ad una scuola, una casa, una famiglia, di assistenti so­ciali accompagnate dai Carabinieri. La loro appa­rizione potrebbe indicare che intorno c'è un bam­bino che sta per scomparire senza lasciare trac­cia o notizie...".

«Inutile dire che rifiutiamo categoricamente e nettamente rappresentazioni della realtà così fal­se e distorte.

«Cogliamo questa occasione per chiarire, una volta per tutte, che il compito principale degli operatori socio-sanitari è quello di prevenire l'allontanamento di un bambino dal nucleo fami­liare in cui vive.

«Siamo infatti convinti che il minore abbia di­ritto ad essere educato nella propria famiglia, così come sancito dall'art. 1 della legge 184/83, oggi tanto contestata. Ed è per vedere rispettato questo diritto che noi lavoriamo, erogando tutti quegli interventi che possono modificare una si­tuazione di disagio.

«Vorremmo però precisare a questo punto che gli strumenti a nostra disposizione sono spesso insufficienti ed inadeguati: manca una corretta politica della casa e del tempo libero, mancano strutture per la prima infanzia, scuole a tempo pieno, servizi domiciliari, infermieristici, educa­tivi, di assistenza economica; vi è carenza di per­sonale socio-sanitario, per non parlare poi di co­munità alloggio e di pronta accoglienza.

«Per fronteggiare queste carenze abbiamo bi­sogno della comprensione e della solidarietà del­la gente: quante volte ci basterebbe trovare una famiglia disponibile ad occuparsi, anche per po­che ore al giorno, di quei bambini i cui genitori sono in serie difficoltà.

«Non crediamo di sbagliarci se diciamo che il rifiuto a dare questa minima disponibilità ci è venuto anche da quelle famiglie che in questi giorni sono scese in piazza per esprimere soli­darietà.

«L'allontanamento del bambino è pertanto l'ul­timo anello di una lunga catena di interventi, di verifiche, di possibilità che si offrono ai genitori perché dimostrino di saper amare ed educare i propri figli.

«Poche volte è un intervento iniziale di asso­luta urgenza: si tratta in questi casi di situazioni di violenze e maltrattamenti gravi.

«Ma soprattutto - e ci teniamo a chiarirlo - l'allontanamento non sorprende i genitori, perché fin dall'inizio sanno perfettamente quello che ri­schiano; sanno, perché glielo diciamo, che da una parte saranno aiutati, ma che dall'altra saranno controllati. Anche il bambino sa: nessuno lo ra­pisce, nessuno lo inganna. Sa che su di noi e sui giudici può contare, sa che vogliamo progettargli un futuro migliore, sa che lo rispettiamo.

«Anche quando l'allontanamento avviene con l'intervento dei carabinieri.

«È una garanzia in più che si rende necessario in situazioni particolari a tutela dell'incolumità degli operatori.

«Da tempo lavoriamo con i giudici del Tribu­nale per i minorenni di Torino che sono stati og­getto di tante critiche.

«Ebbene, noi questi giudici li stimiamo, li ri­spettiamo, li riteniamo competenti.

«Hanno dato prova di serietà e di correttezza professionale veramente straordinarie, mantenen­do saldo il diritto alla riservatezza della vita pri­vata che spetta anche ai bambini.

«Perché pubblicando nomi, cognomi e foto­grafie, storie e perizie, qualcuno si è arrogato i1 diritto di compromettere il futuro dei minori coin­volti e di rendere difficile, se non impossibile, il lavoro delle coppie adottive il cui unico errore è quello di volere un bambino nel rispetto della legge.

«Troppi hanno voluto parlare assumendo posi­zioni arroganti, immotivate, di vero e proprio lin­ciaggio morale.

«A volte i cattivi hanno un colore politico, ma questa volta la tecnica del colore non ha funzio­nato: ne abbiamo sentite di tutti i colori; e tutti i colori politici si sono schierati.

«Pochi si sono fermati a riflettere e a pensare, ad informarsi almeno dei contenuti della legge prima di schierarsi.

«Pochi hanno capito che non si possono espri­mere giudizi su situazioni così delicate e com­plesse senza una conoscenza approfondita del caso.

«Ci troviamo oggi, noi operatori insieme ai giudici, a fare i conti con le conseguenze di tanto clamore a buon mercato.

«Il nostro lavoro sarà più difficile. Faremo più fatica a prevenire il disagio dei bambini, perché meno saranno le persone che si rivolgeranno spontaneamente ai servizi.

«Faremo più fatica a trovare famiglie disponi­bili all'affidamento familiare e forse anche all'ado­zione

«Faremo più fatica a far comprendere agli am­ministratori il nostro lavoro e già subiamo le loro ingiustificate ingerenze.

«Rischiamo di tornare indietro lasciando i bam­bini in istituto, dimenticandoci gli sforzi fatti, proprio dal Tribunale di Torino, per attuare solu­zioni alternative come l'affidamento a rischio giu­ridico.

«Si parla di stravolgere la legge 184/83 che solo sei anni fa abbiamo accolto come una delle migliori leggi nel campo della tutela dei minori.

«Ci rivolgiamo alla stampa, ai mass media, al­le personalità del mondo politico e culturale: a tutti chiediamo di riflettere.

«Se si vuole parlare dei problemi dei minori, noi siamo d'accordo. Ma lo si faccia correttamen­te e seriamente; si apra un dibattito che metta a confronto anche opinioni diverse, ma con lo scopo di far crescere e maturare un'autentica cul­tura del bambino.

«Non siamo più disponibili a tollerare linciaggi e diffamazioni, prese di posizione rigide, informa­zioni errate e distorte.

«Esigiamo rispetto per il nostro lavoro e per le nostre persone nonché per i giudici del Tribu­nale per i minorenni di Torino di cui continuiamo a condividere e sostenere le scelte sempre sof­ferte e difficili.

«In questo momento vorremmo lavorare se­riamente e non distrarci, vorremmo augurarci che a vincere siano i bambini».

Anche il Sindacato Funzione pubblica del Com­prensorio di Torino è intervenuto raccogliendo la voce di «operatori del settore e persone che nella CGIL operano a diretto contatto con i servizi sociali che quotidianamente gestiscono situazio­ni analoghe o peggiori di quella di Serena» espri­mendo «la più completa solidarietà all'operato dei giudici» e denunciando «il ruolo che gli organi d'informazione hanno giocato su questa vi­cenda».

Al riguardo viene precisato: «Pur preoccupan­dosi tutti, a parole, della serenità e della tranquil­lità della piccola Serena; il comportamento con­creto di giornalisti e cronisti è stato l'esatto con­trario di quanto si chiedeva. L'assedio di alcuni giorni alla comunità alloggio di Via Vespucci (11) è stato fatto infischiandosi non solo della tran­quillità di Serena, ma anche di tutti i bambini ospiti di quella comunità».

Infine viene precisato che «gli organi d'infor­mazione hanno sentito tutti, tranne gli operatori dei servizi socio-assistenziali (assistenti sociali ed educatori) che quotidianamente operano con i minori abbandonati o con situazioni familiari catastrofiche».

Altri documenti a sostegno dell'operato dei giudici del Tribunale per i minorenni e della Cor­te di appello di Torino sono stati sottoscritti dal Gruppo regionale piemontese dell'Associazione Nazionale Educatori, dal Gruppo interregionale Piemonte-Valle d'Aosta, dall'Associazione Nazio­nale Assistenti sociali, da 23 operatori sanitari e sociali dell'USSL piemontese n. 70 e del Comune di Alessandria.

In un comunicato stampa il CIAI, Centro italia­no per l'adozione internazionale, è intervenuto nei seguenti termini: «È doloroso prendere atto che la legge sull'adozione, voluta e difesa da as­sociazioni, magistrati, operatori sociali, genitori adottivi e cittadini sensibili, e tutt'ora oggetto di faticoso studio per eliminare le incoerenze e le lacune dovute a compromessi politici in sede dl approvazione nonché alle diversità di interpreta­zione e applicazione; sia presentata ora, grazie ai media e ai giornali, quale dittato del palazzo, inumano e inadatto strumento per gestire la tute­la dei minori.

«Al di là delle delicate problematiche di un razzismo latente e di uno stanco terzomondismo che non si vuole superare, ci pare importante protestare contro un giornalismo superficiale e avido di scoop che, cavalcando l'emozione e i sentimenti, distrae l'attenzione da una cultura più avanzata che concepisce l'adozione come di­ritto prioritario del minore ad avere una famiglia, la più idonea possibile. La legge 184/83 ne è il fondamento, ma è necessario da. parte di tutti molta sensibilità per promuovere finalmente i mi­nori dà oggetto a soggetto di diritto.

«Riteniamo infatti che l'adozione debba rap­presentare l'espressione più alta di una scelta di maternità e paternità responsabile, laddove il pri­mo impegno dell'adulto che si propone come ge­nitore adottivo, non può che essere il rispetto del bambino, delle sue origini, della sua storia, senza scendere a pietosi e mistificanti compro­messi che nulla hanno a che vedere con "il suo bene"».

 

Serena e gli altri bambini

In merito alla vicenda di Serena, le donne e gli uomini di cultura hanno fatto due scelte diame­tralmente opposte.

Alcuni (Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Alfredo Carlo Moro, Adolfo Beria d'Ar­gentine, Giorgio Battistacci, ecc.), hanno esami­nato la situazione della piccola filippina tenendo conto sia del sua futuro, sia di quello delle altre decine di migliaia di bambini italiani e stranieri in situazione di abbandono.

Altri invece (Natalia Ginzburg, Enzo Siciliano, Nico Orengo, Rosetta Loy, Gianni Vattimo, Fer­dinando Camon) hanno parlato di Serena, indi­pendentemente dalla situazione degli altri minori, per i quali non hanno né detto una parola né com­piuto alcun atto concreto per il loro futuro. Inoltre va ricordato che finora nessuno di essi ha saputo indicare una soluzione che consentisse l'attua­zione di quanto sopra e nello stesso tempo non favorisse il racket dei bambini italiani e stranieri e non permettesse - com'era avvenuto prima dell'approvazione della legge 184/83 - l'inseri­mento di minori presso famiglie e persone asso­lutamente inidonee. Le norme della legge 4 mag­gio 1983 n. 184 relative all'adozione e all'affida­mento familiare sono state richieste per garanti­re una idonea sistemazione familiare ai minori italiani e stranieri che in gran numero sono stati duramente segnati dall'abbandono e dalla trascu­ratezza dei loro genitori, dalla violenza insita nel ricovero in istituto s, a causa delle carenze della legge allora vigente, non sempre accolti da vali­de famiglie adottive e/o affidatarie.

Prima della legge 184/83, si erano verificate situazioni gravemente lesive per i minori, soprat­tutto quelli del terzo mondo, situazioni dovute allo sviluppo del mercato dei bambini che allora non poteva essere contrastato. In particolare, in quel periodo i minori stranieri erano quasi sem­pre inseriti presso persone singole o in famiglie adottive senza che la magistratura minorile, per mancanza di valide norme, potesse intervenire a controllare le loro capacità reali a soddisfare le esigenze affettive ed educative dei minori.

La Ginzburg ha addirittura sostenuto che «pri­ma di pensare agli altri infiniti bambini, sia neces­sario pensare invece al caso singolo e concreto di questa bambina e al male che già le è stato tatto» (12). In un successivo articolo (13) la Gin­zburg definisce «gli altri infiniti bambini» come «ideati nell'astratto, senza faccia e senza nome».

No, signora Ginzburg. Non siamo assolutamen­te d'accordo con lei. «Gli altri infiniti bambini» e cioè i 55 mila minori ricoverati negli istituti del nostro paese e le decine di migliaia di bam­bini del terzo mondo in situazione di abbandono «non sono ideati nell'astratto», sono esseri vi­venti che non possono essere ignorati. Occorre pensare contemporaneamente a Serena e a tutti gli altri bambini. Le soluzioni devono essere vali­de per tutti. Se si stabilisse che per Serena vale il principio dell'usucapione (14), perché essa non può poi valere per tutti?

La Ginzburg, che evidentemente non conosce l'adozione ed i suoi problemi, afferma che «quan­do è vivo e appassionato il desiderio di un'adozio­ne, un simile desiderio dovrà pure significare qualche cosa» (15).

Purtroppo chi opera nel campo dell'adozione sa benissimo che vi sono molte persone e molte coppie, le quali, pur fortemente desiderose di adottare, sono assolutamente inidonee. Questo problema è stato assunto come elemento essen­ziale per la reale difesa dei minori dalla Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie fin dalla sua costituzione (16).

 

Il desiderio di adottare non significa capacità educativa

Alla Ginzburg e a tutte le persone che credono che il desiderio di adottare coincida con capacità educative, segnaliamo alcuni casi di adozioni fal­lite, fallimenti che arrecano danni terribili ai mi­nori, anche perché molto spesso durano anni e anni.

Fra i casi più eclatanti, ricordiamo la vicenda dei due minori ecuadoriani (di 4 e di 8 anni alla epoca dei fatti), allontanati con provvedimento del Tribunale per i minorenni di Torino dagli adot­tanti, di cui uno poi condannato a dieci mesi di reclusione e l'altro assolto per insufficienza di prove (sentenza definitiva in quanto non è stato presentato alcun ricorso) per lesioni inferte ai bambini stessi. Come risulta dalla sentenza, le indagini mediche accertarono per uno dei minori: «Condizioni generali scadenti - stato di denutri­zione mediocre - sanguificazione discreta -­ facies sofferente - cute: ecchimosi diffuse, di­strofia cutanea al volto e agli arti - temperatu­ra ascellare 38 - lingua arida - addome teso, poco trattabile, dolente - frattura del tratto an­teriore della VII costa, ascellare della VIII e IX, dell'arco posteriore della X, XI e XII a sinistra - presenza di callo osseo di tenue densità di circa 20 giorni - gomito destro: infrazione a livello del processo olecranico del gomito destro - frat­tura della base della falange prossimale del IV dito mano sinistra, segni iniziali di callo osseo - la cute è ricoperta di cicatrici di varia età - al dorso del piede sinistro lesioni crostose ed ema­toma - ecchimosi non recenti anche alle ginoc­chia - cicatrici allo scroto - alla parete addo­minale a destra una lesione circolare con soffu­sione emorragica e circondata da escoriazione rotonda - all'orecchio sinistro escoriazione - alla base del collo, anteriormente, linea più pig­mentata e croste a distanza regolare - analoga­mente sotto il mento - al cuoio capelluto ancora lesioni crostose - ecchimosi allo zigomo sini­stro - unghia dell'indice della mano destra sol­levata - sotto l'unghia del dito medio della mano destra soffusione emorragica recente - ritardo della crescita».

Un altro esempio di adozione da parte di per­sone assolutamente inidonee, anche questa - come la precedente - realizzata prima dell'en­trata in vigore della legge 184/1983 con il metodo «fai da te» (17), è rappresentata dalla vicenda della signorina Margherita B., insegnante, che accolse ben quattro bambini di nazionalità india­na e che venne ricoverata con trattamento sani­tario obbligatorio per «stato delirante, agitazio­ne psicomotoria e mania di persecuzione».

A seguito dell'aggravamento dei suoi disturbi psichici, peraltro presenti prima dell'accoglimen­to dei quattro minori, i ragazzi furono allontanati da Margherita B: dopo essere rimasti anni in una situazione familiare negativa.

L'abuso del minore adottato può arrivare alla costrizione alla prostituzione come faceva A.D.M. di Caserta nei confronti della figlia adottiva di 17 anni (18).

Scalpore ha sollevato il caso di Maria, presa nello Zaire con il sistema del «fai da te» dai coniugi di Gorgonzola, ancora una volta prima dell'entrata in vigore della legge 184/1983, e re­stituita come un pacco al Tribunale per i mino­renni di Milano all'età di 15 anni, dopo 9 anni di permanenza presso la famiglia adottiva (19).

A seguito di interventi dell'autorità giudiziaria, negli scorsi anni vennero disposti altri allontana­menti di minori (che spesso subirono maltratta­menti per anni) da famiglie e persone che li ave­vano adottati nonostante che gli adottanti stessi soffrissero di gravi problemi (malati di mente, sa­dici, pedofìli, con profondi disturbi della perso­nalità; ecc.). In altri casi, prima della legge 184/1983, l'adozione, soprattutto di bambini stranieri, veniva perseguita da persone, anche molto an­ziane, con il preciso scopo di assicurarsi una compensazione ai loro problemi personali e addi­rittura personale di servizio gratuito.

Al recente convegno «II bambino colorato», svoltosi a Castiglioncello il 21-22-23 aprile 1989, sono stati riferiti altri casi di bambini adottati da persone incapaci.

A sua volta, Francesca Ichino del CAM di Mi­lano ha affermato che vi sono state decine di mi­nori adottati e poi rifiutati: «I bambini vengono adottati quando sono piccoli, carini, fotogenici e poi... Poi arrivano i problemi perché sono diversi da come ci si aspettava, deludono le attese. E l'impatto con l'adolescenza diventa traumatico per queste famiglie, che alla fine scelgono l'ab­bandono» (20).

Fatti gravi avvengono anche in altri passi, com­presi gli Stati Uniti, dove, secondo Furio Colom­bo, non si sarebbe potuta verificare una vicenda come quella di Serena, in quanto i giudici agireb­bero sempre nell'interesse dei minori. Citiamo la condanna al massimo della pena per omicidio preterintenzionale (25 anni di carcere) a Joel Ste­inberg, l'intellettuale statunitense che nel 1987 uccise di botte la figlia adottiva di 6 anni (21).

Per l'effettiva tutela dei minori adottabili, vi è dunque l'esigenza di una severa selezione delle famiglie aspiranti adottive e di una loro adegua­ta preparazione.

 

Ripartire dalle esigenze dei bambini in situazione di abbandono

La vicenda di Serena e le sofferenze inflitte ai bambini adottati da famiglie inidonee dovrebbero portare ad una maggiore severità delle procedure relative all'adozione.

Tale severità deve riguardare in primo luogo la sussistenza di un reale abbandono materiale e morale del minore da parte dei suoi genitori. La pressione delle famiglie desiderose di adottare non può consentire, né per ì bambini italiani né per quelli stranieri, la messa in moto di procedu­re dirette a strappare i figli ai genitori «colpe­voli» solo di essere in condizioni di miseria. Al riguardo è estremamente preoccupante quanto ha dichiarato il Ministro di grazia e giustizia alla Camera dei deputati il 3 maggio 1989: «Quando leggo all'art. 8 della legge n. 184 che sono dichia­rati anche d'ufficio, in stato di adattabilità dal Tri­bunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano i minori in situazione di abbandono e poi vedo che la situazione di abbandono consiste nel fatto che questi sono privi dell'assistenza mate­riale e morale da parte dei parenti tenuti a prov­vedere loro, mi convinco che tutta la materia de­ve essere riveduta».

Per quanto riguarda il nostro paese, Il Mattino afferma:. «A Napoli i figli si comprano. Fino a qualche anno fa l'operazione non era difficile: ba­stava pagare e l'acquisto era fatto. Ora il Tribu­nale per i minorenni ha assunto un nuovo orien­tamento: quando l'imbroglio è accertato, toglie il bambino alla famiglia che ha pagato per trapian­tarlo in un ambiente che offra maggiori garanzie anche dal punto di vista morale. È forse per que­sto che fioriscono le adozioni internazionali: pas­sando per la Columbia, il Brasile o le Filippine imbrogliare è più facile» (21).

Circa l'adozione di bambini del terzo mondo, Don Oreste Benzi, animatore della Comunità Pa­pa Giovanni XXIII di Rimini afferma: «Nel 1987 ben 7.700 famiglie hanno fatto domanda di ado­zione internazionale; perché queste famiglie non si impegnano ad assistere altrettante famiglie del terzo mondo perché tengano i loro figli a ca­sa? O se si tratta di orfani, perché non sostenere l'adozione di essi da parte di famiglie della loro stessa terra? (...).

«L'adozione ha lo scopo di dare una famiglia a chi non ce l'ha e non un figlio o più figli alla fa­miglia che non ne può avere di propri. Purtroppo sono 20.000 le coppie del mondo occidentale che vanno a cercare bambini nel terzo mondo per compensare la frustrazione del non avere figli.

«Dobbiamo gridare forte che ogni bambino del terzo mondo ha diritto di rimanere nella sua pro­pria famiglia di origine, e che noi popoli bene­stanti dobbiamo restituire almeno una piccola parte di ciò che rubiamo, aiutando le famiglie po­vere del terzo mondo a tenere un figlio e nutrire i loro figli (...).

«In Italia ci sono 8.000 minori handicappati psichici e fisici negli istituti, di essi circa 3.000 sono sotto i cinque anni.

«Perché gli italiani non adottano o prendono in affidamento questi minori?

«Tutte le case famiglia costituite da una figu­ra paterna o materna e numerose famiglie aperte, accolgono anche minori handicappati fisici e psi­chici, orfani non adottabili e bimbi sieropositivi.

«Queste creature, trovando nelle figure geni­toriali, gratuite, uniche, definitive, un rapporto personalizzato e individualizzato, rinascono, per­ché vengono rigenerate dall'amore» (23).

Una attuazione della legge rispettosa dei diritti dei minori in situazione di abbandono esige an­che la valorizzazione dei Tribunali per i minorenni e delle Sezioni per i minorenni delle Corti di ap­pello. Al riguardo deploriamo l'intervento di G. Vitiello, apparso su «L'Unità» del 9 aprile 1989, in cui si sostiene senza alcun fondamento che «attualmente i poteri discrezionali dei Tribunali per i minorenni sono tali e tanti che chiunque - a giudizio insindacabile di questi ultimi - può es­sere definito un genitore inidoneo ai compiti e agli obblighi che i giudici minorili ritengono es­sere propri dei genitori». Il Vitiello sostiene ad­dirittura l'esigenza di abolire i Tribunali per i mi­norenni.

 

La strumentalizzazione di Serena da parte dei Giubergia e dei mezzi di informazione

Da quanto risulta dalle sentenze, i Giubergia non avevano alcun legame giuridico con la bam­bina. Anche il falso riconoscimento della bambi­na da parte del signor Giubergia non è mai esi­stito (24).

Dunque i Giubergia erano persone totalmente estranee a Serena quando nove giorni dopo l'in­gresso della bambina in Italia vengono interro­gati dal Tribunale per i minorenni. Se veramente avessero voluto il bene di Serena e del loro figlio adottivo Nasario, avrebbero potuto e dovuto fa­vorire l'inserimento della bambina in un'altra fa­miglia, ritenuta idonea dal Tribunale per i mino­renni.

Ma i Giubergia hanno pensato esclusivamente a se stessi, si sano autonominati come i soli veri difensori della bambina, nascondendo la verità all'autorità giudiziaria (25), inventando cavilli, cambiando ben cinque avvocati.

I Giubergia non possono nemmeno sostenere di aver salvato la vita di Serena. Quando sono stati informati dalle Filippine della situazione della bimba potevano avvertire le organizzazioni italiane autorizzate ad operare in materia di ado­zione internazionale, le quali non avrebbero avuto alcuna difficoltà a reperire una famiglia ricono­sciuta idonea dall'Autorità giudiziaria minori­le (26).

Almeno avrebbero dovuto informare il Tribu­nale per i minorenni.

Ma quel che più stupisce e allarma sono le prese di posizione del Capo dello Stato, del Mini­stro di grazia e giustizia, del Presidente della Ca­mera dei deputati, prese di posizione che danno spazio a scoop televisivi e giornalistici, i quali hanno usato Serena non per aiutarla, ma solo per fare spettacolo (27).

Mancanza di rispetto della dignità della bam­bina, creazione di difficoltà gravissime per il suo futuro inserimento familiare e scolastico (28), strumentalizzazione del dolore dei Giubergia e di Nasario, sono i rilievi che muoviamo ai mezzi di informazione di massa, sperando - almeno - in una loro valutazione autocritica.

Scrive giustamente Michele Marziani: «Serena Cruz. Forse la bambina più nota dell'anno. La bambina che ha fatto discutere, piangere, indignare, dividere tutti. Dai columnist dei giornali, ai politici, ai magistrati, alle massaie, ai bagnini, ai lattai, agli impiegati comunali. Sulla storia di questa bambina si è divisa l'Italia. La stessa Ita­lia che dei 60.000 minori abbandonati negli istitu­ti se ne frega altamente, non si muove, non si indigna, non fa una piega.

«Perché? Si potrebbe liquidare la questione con l'antico assioma giornalistico che dice che un morto è un delitto e diecimila morti una sta­tistica.

«Ma sai-ebbe troppo semplice e soprattutto laverebbe tutte le coscienze, individuali e collet­tive.

«Invece un accento va posto e va posto sui mass-media che sono sempre pronti allo sciacal­laggio del singolo caso, a volte senza rispetto dei più elementari diritti di una bambina di pochi anni.

«Stampa e tv si accorgono sempre della storia che fa notizia e mai dei drammi collettivi che non sanno far versare al lettore spettatore una lacri­ma di pietà.

«È facile fare così questo mestiere: di storie tristi il mondo è pieno, basta seguire l'onda emo­tiva e il gioco è fatto. D'altra parte però si difen­dono il diritto all'informazione, il ruolo dei media come cani da guardia della società civile, l'impe­gno dei giornali a favore di un mondo migliore.

«Certo è vero che "nessuno fa il giornalista per cambiare il mondo", ma è altrettanto vero che "un buon giornale lo cambia". Invece, salvo lodevolissime eccezioni, Serena è diventato il simbolo della stupidità dei media, della corsa ad uno scoopismo da quattro soldi, alla lacrima della massaia, all'indignazione del pensionato. Di tutto il pianeta dell'infanzia abbandonata c'era solo Se­rena di cui parlare. E ci saranno solo Serene, una alla volta, mai un dramma collettivo, reale, di proporzioni colossali, sul quale promuovere cam­pagne di stampa.

«E adesso, spenti i riflettori su Serena Cruz, finita l'onda emotiva, tutto rimane come prima. Altro che libera stampa a servizio della società» (29).

Se rari sono stati i servizi televisivi che hanno fornito agli spettatori una informazione completa, vi sono stati alcuni interventi positivi dei com­mentatori dei quotidiani (30). Migliori in genere, i servizi dei giornalisti di riviste (Oggi, L'Europeo, Epoca, Famiglia Cristiana, ecc.) e della RAI (citia­mo particolarmente la rubrica 3131).

È positivo, inoltre, il fatto che finora non una sola rivista specializzata nel settore dell'assisten­za, dei servizi sociali, dell'emarginazione, della adozione, abbia contestato l'operato dei magi­strati del Tribunale per i minorenni e della Corte di appello.

Fra i giornalisti che hanno fornito disinforma­zione, ricordiamo nuovamente Furio Colombo che su «La Stampa» del 16 aprile 1989 in relazione al dibattito organizzato dal CSA, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, svol­tosi a Torino il 14 aprile 1989 ha scritto quanto segue: «I genitori di Serena, qualunque sia il rea­to di cui si sono macchiati, sono morti all'improv­viso per la bambina.

«Ad alcuni è sembrato un evento così lieto che si sono riuniti a celebrarlo, a Torino, tutto da soli, senza cercare una voce di dissenso, che pu­re avrebbero facilmente trovato, senza ospitare chi avrebbe potuto rappresentare un altro punto di vista. O, sì, hanno formalmente invitato il co­mitato di Racconigi, che ha fatto bene a non in­tervenire. Gli invitati contavano, io credo, sul di­slivello di specifica competenza intorno alle pa­role della legge».

In merito riportiamo una lettera che Giorgio Pallavicini, Presidente nazionale dell'Associazio­ne nazionale famiglie adottive e affidatarie ha inviato a «La Stampa» in data 19 aprile 1989 (31).

«Chiamati in causa da Furio Colombo sul suo giornale del 16 u.s., Le chiediamo ospitalità per una replica doverosa.

«Nell'organizzare l'incontro del 14 u.s., presso il salone della CRT sul tema "La drammatica vi­cenda di Serena Cruz: la verità dei fatti e il futu­ro dell'adozione nazionale e internazionale" 1'ANFAA, Associazione Nazionale Famiglie Adot­tive e Affidatarie, si è preoccupata prioritariamen­te di invitare il Comitato di solidarietà di Racconi­gi inserendo tra i relatori un rappresentante dele­gato dallo stesso Comitato, nonché il Sindaco della Città, animatore dell'iniziativa, allo scopo di consentire loro di far conoscere, anche in que­sta occasione, il loro punto di vista sul tema dell'incontro: l'invito fu accettato e la loro parteci­pazione fu quindi riportata sul programma.

«Dovendo conciliare una prevedibilmente ele­vata partecipazione di persone con la capacità ricettiva della sala e dell'annesso saloncino con schermo televisivo, 1'ANFAA ha adottato il crite­rio della prenotazione aperta fino a coprire tutti i posti disponibili; sono stati quindi inviati 3.000 inviti a: Comitato di solidarietà di Racconigi, Sin­daco di Racconigi, soci dell'Associazione, tutti gli operatori sociali del Piemonte, sindaci dei Co­muni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, amministratori della Regione, delle USL, delle province piemontesi, giudici, tutte le associazio­ni che si occupano di tali problemi minorili, gior­nalisti che si erano occupati della vicenda; tutti i giornalisti, comunque, avevano il diritto a par­tecipare senza l'obbligo di prenotazione. Non si sono più accettate prenotazioni, una volta rag­giunto il numero consentito dalla capienza di­sponibile.

«Si sottolinea che, come assicurato da me personalmente per telefono ad un componente del Comitato di Racconigi, il Comitato stesso ed il Sindaco della cittadina potevano delegare qual­siasi persona avessero voluto a rappresentarli.

«La sera del 13 il Comitato decise di non ade­rire al nostro invito ed inviò una lettera che venne letta all'inizio del dibattito e, fotocopiata, distri­buita ai presenti: in essa il Comitato affermava che la legge sull'adozione è una buona legge e confermava il suo dissenso sull'operato dei giu­dici torinesi.

«Il dibattito si è mantenuto su un livello serio e costruttivo ed ognuno è stato libero di esprime­re la propria opinione: tutte le persone che hanno chiesto di intervenire hanno avuto il modo di farlo.

«Se questi sono i fatti, come i 450 partecipan­ti all'incontro possono testimoniare, mi domando come Furio Colombo abbia potuto affermare di un presunto rito celebrativo di autocompiacimen­to (non abbiamo capito di che cosa) riservato agli amici degli amici, visto e considerato che, per quanto ne so, lui non c'era e le sue insinuazioni (meschinette, non le pare?) sono prive di una qualsiasi pezza d'appoggio che non sia, forse, il solito sentito dire.

«Sì, è vero, noi, e per tali intendo dire tutti quelli che si battono perché i minori siano trattati da persone, abbiamo "una specifica competenza intorno alle parole della legge", ma aggiungo, anche intorno ai problemi dei minori in difficoltà ed alle soluzioni più adatte per affrontarli: questa specifica competenza è la nostra forza e ce la siamo costruita negli ultimi trent'anni non solo attraverso lo studio, il confronto, la riflessione, ma anche, e direi soprattutto, vivendo quotidia­namente nelle nostre famiglie l'esperienza della adozione e/o dell'affidamento di ragazzi a cui, molto spesso, il destino aveva riservato fardelli troppo pesanti. Sotto questo profilo l'osservazio­ne di Furio Colombo di non trovare "alcun riferi­mento alla vita", "nei commenti e nelle spiega­zioni ad essa seguiti", si giustifica solo con il fatto che non è stato capace di leggere né sen­tenza, né commenti, né tanto meno la legge 184/ 83, né tanto meno di capire quali disponibilità queste "aride" norme di legge hanno attivato in tante famiglie, al servizio della vita dl tanti mino­ri soli o in difficoltà.

«Non starò a dilungarmi ma, domando, che cosa significano delle norme il cui fine dichiarato ed esclusivo è quello di assicurare una famiglia ad ogni minore che ne sia privo, se non l'impe­gno di garantire una risposta reale e completa alle fondamentali esigenze sia materiali che mo­rali per la crescita umana del minore?

«Furio Colombo afferma anche che in America una vicenda come quella di Racconigi "non ci sa­rebbe mai stata": può anche essere, considerando che in quel Paese, "il riferimento" non è il bam­bino ma l'adulto, così come avveniva in Italia più di vent'anni fa. Da noi, e lo diciamo con gioia, le cose sono cambiate anche se purtroppo resta ancora tanto da fare.

«Sorprende che una persona sicuramente do­tata di una grande intelligenza, si rifiuti di capire che ammettere un'eccezione all'applicazione car­retta della legge, significa creare un precedente pericolosissimo che apre la via al traffico dei bambini sottraendoli ad ogni controllo dell'auto­rità giudiziaria preposta alla tutela dei loro diritti.

«Noi abbiamo sempre chiesto che ci fosse in­dicata una soluzione che consentisse di evitare le immaginabili sofferenze di Serena e che, al tempo stesso, non potesse rappresentare una elusione dei principi sacrosanti della legge: ma la risposta non è stata trovata.

«Il fatto che ad aggirare lo spirito e le norme della legge sia stato un ferroviere di Racconigi piuttosto che un famigerato boss della mala, non toglie nulla alla gravità del fatto, come non taglie nulla alle potenzialità destabilizzanti che una sen­tenza di tipo opposto a quella emessa dal Tribu­nale per i minorenni di Torino, avrebbe avuto conseguenze gravissime per le migliaia di altri bambini che saranno adottati in Italia; questo in parole povere, è stato anche l'insegnamento che i vecchi Maestri del diritto del Dottor Furio Co­lombo, hanno voluto dare nei loro interventi senza dimenticare (e come sarebbe stato possibile?) la dimensione affettiva della questione: peccato che l'allievo di allora non li abbia voluti capire».

 

Un tutore inesistente

Nella vicenda di Serena, si è distinto per disin­teresse il tutore.

Non un richiamo ai Giubergia a non usare l'im­magine della bambina, non un monito alla televi­sione e ai giornalisti per informarli circa le previ­dibilissime difficoltà per un positivo inserimento di Serena in un'altra famiglia, tenuto conto anche che la riservatezza dell'immagine è indispensa­bile per la riservatezza della propria vita privata e del proprio status personale e sociale.

Non ci risulta nemmeno che il tutore abbia in­tentato o almeno minacciato cause civili per i danni causati a Serena dall'uso non autorizzato della sua immagine e della sua vicenda.

Franco Marzachi, Procuratore aggiunto della Repubblica di Torino, ha precisato che: «L'ordi­namento giuridico tutela il diritto all'immagine, altrettanto quanto quello alla riservatezza, in mo­do penetrante e diffuso a favore di ogni persona. È questo il diritto al riserbo nei riguardi della propria immagine, del proprio aspetto fisico, così com'è visibilmente percepibile. È diritto alla non conoscenza altrui della propria immagine ed è violato dalla arbitraria conoscenza e diffusione di questa, laddove per arbitraria deve intendersi al di fuori di ogni ipotesi di consenso espresso o tacito, legittimamente prestato e di ogni altra li­mitazione prevista dalla stessa legge (art. 97 leg­ge 22.4.1941 n. 633), come la notorietà della per­sona, l'ufficio pubblico eventualmente ricoperto, necessità di giustizia o di polizia, scopi scientifi­ci o culturali, eccetera» (32).

Marzachi ricorda inoltre che l'art. 10 del codice civile «è ben chiaro e categorico nell'affermare che l'immagine di una persona non può essere esposta o pubblicata da altri soggetti, sia perché qualunque persona di buon senso ed in buona fe­de ben comprende come siano cose del tutto di­verse la semplice diretta e non eliminabile espo­sizione della propria immagine al pubblico sguar­do e la riproduzione diffusiva, ripetuta ed osten­tata di questa.

«Infatti, suscitare o ravvivare o, addirittura, ripetere in modo ossessivo, il ricordo di una per­sona e delle sue fattezze presso gli altri, rinno­vando sentimenti di simpatia o di antipatia, quan­do non anche di odio, di riprovazione o di ripu­gnanza, costituisce un vero e proprio arbitrio» (33).

Ricordiamo inoltre che l'art. 73 della legge 184 1983 recita quanto segue: «Chiunque essendone a conoscenza in ragione del proprio ufficio forni­sce qualsiasi notizia atta a rintracciare un minore nei cui confronti sia stata pronunciata adozione o rivela in qualsiasi modo notizie circa lo stato di figlio legittimo per adozione è punito con la re­clusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire 900.000.

«Se il fatto è commesso da un pubblico ufficia­le o da un incaricato di pubblico servizio, si ap­plica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

«Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche a chi fornisce tali notizie succes­sivamente all'affidamento preadottivo e senza la autorizzazione del tribunale per i minorenni».

 

Conclusioni

Per 1’effettiva tutela di minori stranieri e per stroncare il turpe mercato di bambini l'Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie ha rivolto «un pressante appello al Governo affinché non solo impartisca alle Ambasciate e ai Conso­lati italiani all'estero disposizioni per evitare che vengano considerati come riconoscimenti di mi­nori atti privi di qualsiasi valore giuridico (34), ma si adoperi anche per la stipula di accordi bila­terali con gli Stati da cui provengono i bambini stranieri adottati in Italia. Tali accordi bilaterali dovrebbero, nel pieno rispetto della legge 184/83, definire le condizioni e le procedure per l'adozio­ne di bambini in reale situazione di abbandono da parte di coniugi italiani previamente riconosciuti idonei dai nostri Tribunali per i minorenni» (35).

Certamente un notevole passo innanzi si rea­lizzerebbe se le persone di cultura (pensiamo an­che a Natalia Ginzburg, Enzo Siciliano, Nico Oren­ga, Gianni Vattimo, Ferdinando Camon, Furio Co­lombo) sostenessero:

- la messa in atto di misure per la preven­zione del bisogno. Moltissime sono infatti le per­sone ed i nuclei familiari che vivono nel nostro paese in condizioni inaccettabili;

- l'approvazione da parte del Parlamento del­la legge quadro nazionale sull'assistenza, ritenu­ta urgente già nel 1955 dalla Commissione sulla miseria;

- l'approvazione da parte delle Regioni di leg­gi di riordino delle competenze assistenziali, con il conseguente superamento di confusione, inef­ficienza, omissioni;

- l'istituzione in ogni Regione di un'anagrafe dei ricoverati (minori, handicappati, anziani), stru­mento di basso costo indispensabile per cono­scere l'andamento degli interventi di deistituzio­nalizzazione. Attualmente solo il Piemonte e in parte la Lombardia dispongono di un'anagrafe, li­mitatamente ai minori;

- la promozione, a seconda dei casi, dell'aiuto alla famiglia d'origine, dell'affidamento familiare a scopo educativo e dell'adozione. Migliaia di en­ti locali, a cui compete l'obbligo di attuare quanto prescrive la legge, cioè interventi di assistenza­ ai minori soli o in difficoltà, non emarginanti, non hanno fatto niente con il pretesto, ad esempio, che non ci sono famiglie disponibili all'affida­mento. Che il pretesto sia falso è dimostrato dal fatto che laddove (Torino, Milano, Bologna, Val Pellice, ecc.) si è manifestata una concreta volon­tà politica di sviluppare l'affidamento, sono state trovate migliaia di famiglie e altrettanti bambini hanno evitato l'istituto con risultati spesso ottimi e comunque sempre migliori di quelli che si sa­rebbero avuti con il ricovero. Si pensi che non pochi dei minori affidati (come d'altronde anche di quelli adottati), sono spesso afflitti da handi­cap psichici o fisici o sensoriali;

- il sostegno all'operato dei giudici che non militano sotto la bandiera del «tengo famiglia e non cerco grane» e di quelli che hanno accettato il principio secondo cui il legame parentale più forte tra l'adulto e il minore «non è di natura bio­logica (la voce del sangue, tanto per intenderci), ma si sostanzia nel rapporto educativo ed affet­tivo» (36).

 

 

Allegato 1

 

La vicenda di Serena Cruz: i fatti

In base a quanto risulta da documenti vari e dalla sentenza della Corte di appello di Torino del 14 mar­zo 1989, i fatti relativi a Serena (finora non smentiti dai coniugi Giubergia) si sono svolti come segue:

20 maggio 1986 - Serena nasce a Manila. Nulla si sa circa la vita di Serena dalla nascita fino al gennaio 1988 (quasi 18 mesi).

7 gennaio 1988 - Francesco Giubergia si presenta all'Ambasciata italiana di Manila dichiarando fal­samente di aver generato Serena insieme a Mar­lene Vito Cruz che ha smentito di aver partorito la bambina (cfr. «La Stampa» del 29 marzo 1989).

13 gennaio 1988 - Serena arriva a Racconigi con il signor Giubergia.

22 gennaio 1988 - Il Tribunale per i minorenni di Torino convoca i coniugi Giubergia. La signora dichiara che la bambina è nata da una relazione adulterina del marito.

29 gennaio 1988 - I1 signor Giubergia dichiara personalmente al Tribunale per i minorenni di Torino di essere il padre di Serena e per rendere credibile la relazione con la donna filippina «fornì alcuni particolari sul modo con cui aveva sa­puto della nascita di Serena e sui motivi per cui aveva tardato ad andare a prendere la bimba» (*).

22/29 gennaio 1988 - «I1 Tribunale per i mino­renni fece presente ai coniugi le gravi conseguen­ze che avrebbe avuto il loro comportamento qua­lora fosse risultato contrario alla legge».

dal 29 gennaio 1988 al 14 marzo 1989 - « I Giu­bergia incominciarono ad attuare una tattica vol­ta a prendere tempo e a consolidare di fatto una situazione giuridicamente insostenibile. Quando il Tribunale per i minorenni dispose la perizia ematologica per accertare se realmente Serena fos­se figlia del Giubergia, quest'ultimo, dopo aver impugnato il provvedimento (poi confermato in Appello), non si presentò per il prelievo del san­gue. Successivamente cambiò avvocato, chieden­do rinvio. Il nuovo avvocato eccepì l'incompeten­za del Tribunale per i minorenni a disporre la perizia ematologica. Il Tribunale respinse l'ec­cezione, richiamandosi all'art. 74 della legge n. 184/1983, e dispose darsi corso alla perizia. Il perito riconvocò il Giubergia, ma quest'ultimo non si presentò. I1 perito si dichiarò impossibili­tato a procedere alle operazioni peritali».

27 ottobre 1988 - Il Pubblico Ministero del Tri­bunale per i minorenni di Torino «prospettando l'inevitabilità che Serena venga in futuro allonta­nata dal nucleo Giubergia (data la probabilissima falsità del riconoscimento), chiede che la bimba venga inserita in una famiglia affidataria, ovvia­mente diversa dai Giubergia».

7 novembre 1988 - Il Tribunale per i minorenni «accoglie la richiesta del Pubblico Ministero con un ampio e motivato provvedimento».

21 novembre 1988 - «I coniugi Giubergia ripe­tono al Giudice che il Giubergia è davvero il padre della minore e impugnano il provvedimen­to del Tribunale per i minorenni, presentando re­clamo alla Corte di appello».

6 dicembre 1988 - La Corte di appello di To­rino, per accertare tutta la verità, dispone l'acqui­sizione di numerosi atti.

31 gennaio 1989 - La Corte di appello di Torino, sulla base della documentazione pervenuta nel frattempo, dopo aver accertato che non esisteva nessun atto ufficiale che comprovasse l'avvenuto riconoscimento da parte dei Giubergia, conferma in sostanza il provvedimento del Tribunale per i minorenni del 7 novembre 1988.

21 febbraio 1989 - Il Tribunale per i minorenni di Torino dispone l'allontanamento di Serena dai coniugi Giubergia.

14 marzo 1989 - La Corte di appello di Torino conferma la suddetta decisione.

16 marzo 1989 - Serena viene consegnata dalla Signora Giubergia agli educatori di una comunità alloggio di Torino.

31 marzo 1989 - I1 Tribunale per i minorenni di Torino respinge la richiesta di affidamento di Se­rena presentata dai coniugi Giubergia.

7 aprile 1989 - Serena viene inserita in una nuova famiglia.

18 aprile 1989 - La Corte di appello di Torino respinge il ricorso dei coniugi Giubergia. La sen­tenza è pubblicata integralmente in questo numero.

 

 

Allegato 2

 

Testo integrale della lettera dell'11.3.1989 in­viata, per incarico del Capo dello Stato, dal Segre­tario Generale della Presidenza della Repubblica al Ministro di grazia e giustizia.

 

Il Presidente della Repubblica ha ricevuto una lettera di Cesare Lanza, direttore del quotidiano La Notte di Milano che, facendosi interprete di una ampia campagna di stampa e di appelli for­mulati anche da privati cittadini, invoca un inter­vento in merito alla questione della piccola filip­pina che una famiglia italiana ha chiesto in ado­zione.

Per incarico del Presidente Le invio copia della lettera con la preghiera di voler esaminare se e quali possibilità vi siano, per questo e per gli altri casi che la cronaca riporta con una certa frequenza, di far sì che il rispetto della legge possa avvenire in modo da non provocare traumi nei minori e da non suscitare tanto negative ri­percussioni nell'opinione pubblica:

Tengo a precisare che, come è ovvio, con ciò non si intende assolutamente interferire con le decisioni dell'autorità giudiziaria, che sono sem­pre prese, in casi del genere, con attenta consi­derazione anche dei riflessi sul piano dei rapporti tra genitori e figli adottivi, ma solo rappresentare alla Sua sensibilità l'opportunità di valutare la proponibilità di interventi legislativi che possano, in situazioni del genere, in qualche modo evitare o attutire le drammatiche conseguenze sulla vita dei minori.

Le sarò grato se vorrà cortesemente informar­mi delle iniziative che saranno eventualmente as­sunte riguardo al problema segnalato.

 

 

Allegato 3

 

Testo integrale del telegramma dell'ANFAA inviato al Capo dello Stato in data 12.3.1989.

 

Delusi, stupefatti, indignati abbiamo appreso suo inopportuno intervento su Ministro Vassalli da Lei fatto come Presidente Italiani, tra cui noi comprendiamo anche 55.000 minori ricoverati in istituto che meriterebbero Sua attenzione prio­ritaria.

A mani giunte La invitiamo a voler rimeditare sua posizione su caso piccola Serena Cruz valu­tando a fondo catastrofiche conseguenze derivan­ti per migliaia di bambini qualora venisse sancito principio che attraverso una sorta usucapione est possibile infrangere principio che adozione - proprio perché finalizzata assicurare famiglia a minore et non minore a famiglia - deve essere decisa sempre et solo, sottolineiamo sempre et solo, da Autorità giudiziaria minorile tenuta per legge 184/83 a tutelare prioritariamente diritto minore et evitare che destino minori soli sia af­fidato a decisioni, spesso non edificanti di privati cittadini.

 

 

 

 

(1) Il testo integrale della lettera dell'11 marzo 1989, inviata per incarico del Capo dello Stato dal Segretario generale alla Presidenza della Repubblica al Ministro dl grazia e giustizia, è riportata integralmente nell'allegato 2. II telegramma di protesta dell'ANFAA, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, si trova nell'al­legato 3.

 (2) Si veda la cronistoria della vicenda riportata nell'allegato 1. Con lodevole tempestività, il Tribunale per i minorenni di Torino ha convocato i coniugi Giubergia ad appena 9 giorni dall'ingresso di Serena in Italia. Se i co­niugi Giubergia non avessero detto il falso e non aves­sero messo in atto varie manovre dilazionatrici, dopo 10-12 giorni Serena poteva essere accolta da una fami­glia in possesso dei requisiti richiesti dalla legge 4 mag­gio 1983 n. 184.

(3) «II Ministro Vassalli sull'adozione respinta: "Per Serena i giudici possono ripensarci"» (Titolo de La Stam­pa del 22.3.1989); «Il colloquio con il Ministro Vassalli ha dato una speranza: si potrebbe ripercorrere la strada dell'affído o quella di una perizia psicologica della bam­bina» (Il Giorno del 23 marzo 1989); «Vassalli: il caso non è chiuso» (La Stampa del 5 aprile 1989).

(4) Se il Ministro riconosce di andare al di là di quello che deve dire, perché non tace? Perché insiste, tanto più che riconosce che la permanenza di Serena presso i Giu­bergia «era illegittimamente acquisita e conservata?».

(5) Cfr. Neera Fallaci, «Di mamma ce n'è una sola - Voci di figli adottivi che raccontano la loro storia», Rizzoli, Milano 1982.

(6) La lettera aperta è stata firmata dai seguenti Par­lamentari: Giglia Tedesco, Teresa Angela Migliasso, Bian­ca Guidetti Serra, Pinuccia Bertone, Giorgio Cardetti, An­na Pedrazzi, Romana Bianchi, Bruno Fracchia, Maria Tad­dei, Gianna Schelotto, Nicoletta Orlandi, Diego Novelli; Anna Finocchiaro, Antonio Bargone, Enrico Testa, Silvia Barbieri, Neide Umidi Sala, Ivana Pellegatti, Enzo Ciconte, Salvatore Sanfilippo, Elena Montecchi, Benedetto Sannel­la; Vincenzo Recchia, Nadia Masini, Francesco Nerli, Na­tia Mammone, Gigliola Lo Cascio, Novello Pallanti, Adria­na Ceci Bonifazi, Giordano Angelini, Anna Bernasconi; Maria Bonfatti, Luigi Benevelli, Isa Ferraguti, Francesco Macis, Giovanni Berlinguer, Pier Luigi Onorato, Giovanni Correnti, Ferdinando Imposimato.

(7) Cfr. Stampa Sera del 21 marzo 1989.

(8) Cfr. Il Giornale del 30 marzo 1989.

(9) Cfr. La Repubblica, del 6 aprile 1989. Nella te­lefonata di rivendicazione, una voce anonima ha intimato: «Restituite la bambina ai Giubergia o sarà la strage».

(10) Al documento hanno aderito il CAM, Centro Ausi­liario per i problemi minorili, il Gruppo Abele, l'Associa­zione Nazionale Assistenti sociali, l'Associazione Nazio­nale Famiglie Adottive e Affidatarie, il NOVA e il CIFA.

(11) Si tratta della struttura che ha accolto Serena su­bito dopo il suo allontanamento dalla famiglia Giubergia.

(12) Cfr. l'Unità del 31 marzo 1989.

(13) Cfr. l'Unità del 1° maggio 1989.

(14) Per usucapione (Cfr. art. 1158 e segg. del codice civile) si intende l'acquisizione della proprietà dei beni non sulla base dell'acquisto, ma dal semplice possesso continuato per un certo numero di anni.

Il principio dell'usucapione, e cioè del pieno riconosci­mento della paternità e della maternità adottiva decorso un certo periodo di tempo di possesso del bambino co­munque avvenuto, è stato assunto dalla proposta di leg­ge n. 3753 «Modifiche ed integrazioni alla legge 4 maggio 1983 n. 184, in materia di adozione e di affidamento di minori», presentata alla Camera dei Deputati in data 21 marzo 1989 dall'On. Berselli e da altri parlamentari del MSI. Infatti la suddetta proposta prevede che, per i mino­ri anche non dichiarati in stato di adottabilità, l'adozione possa essere pronunciata a favore di «persone unite al minore da rapporti significativi, anche successivi allo stato di abbandono». Quindi, coloro che non possono seguire la normale procedura di adozione perché anziani o inidonei sul piano educativo, potrebbero ottenere l'ado­zione denominata «adozione in casi particolari», acca­parrandosi un bambino e poi mettendo in moto artifici vari perché decorra un periodo sufficiente a giustificare l'esistenza di «rapporti significativi».

(15) Cfr. l'Unità del 31 marzo 1989.

(16) Si veda ad esempio la pubblicazione «La selezio­ne dei genitori adottivi», di M. Soulé, J. Noel e F. Bou­chard, apparsa sul n. 7/8 luglio-agosto 1967 di Maternità e infanzia (traduzione a cura dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), pubblicazione che ancora oggi è pienamente valida sul piano umano e scientifico.

(17) I bambini venivano presi nel loro paese d'origine dal o dai genitori adottivi la cui idoneità era accertata da nessuno. In Italia veniva semplicemente riconosciuta dal­la Corte d'appello la validità giuridica dei provvedimento straniero di adozione, senza poter prendere in alcuna con­siderazione la capacità educativa della singola persona o della coppia adottiva (la cosiddetta «delibazione»).

(18) Cfr. La Repubblica del 28 aprile 1989:

(19) Cfr. La Repubblica del 19 aprile 1989 «Milano, sto­ria della quindicenne di colore abbandonata in Tribunale - I genitori adottivi la ripudiano».

(20) Cfr. La Stampa del 19 aprile 1989.

(21) Cfr. Corriere della sera del 26 marzo 1989.

(22) Cfr. Il Mattino del 16.3.1989 «Bambini da mercato - A Napoli tanti comprati e venduti».

(23) Cfr. Sempre, n. 4, aprile 1989 «Non rubiamo anche i bambini al Terzo Mondo».

(24) Cfr. la sentenza della Corte di appello di Torino del 14 marzo 1989 pubblicata a pag. 19.

(25) Fra l'altro i Giubergia non hanno mai fornito alcuna notizia circa la situazione di Serena a Manila, per cui non si sa se era in situazione di abbandono, se è sta­ta sottratta legalmente ai genitori, chi ha svolto le funzio­ni di mediatore fra la famiglia d'origine e i Giubergia, se vi è stato esborso di denaro.

(26) Secondo il Corriere della Sera del 24 marzo 1989, nell'istanza presentata dai legali dei Giubergia alla Corte di appello si sostiene che «i Giubergia hanno salvato la vita della bambina tirandola fuori da un lager (ma quale? n.d.r.) delle Filippine dove era destinata ad una morte si­cura».

(27) Il linciaggio morale di Serena è analogo a quello del genitore di Limbiate sbattuto in prima pagina come «mostro» e «violentatore» della figlia di due anni e poi riconosciuto del tutto innocente.

(28) Chissà per quanti anni c'è il rischio che Serena venga riconosciuta (per strada, a scuola, ecc.) e che la vita privata sua e della sua famiglia non venga rispettata.

(29) Cfr. Sempre, n. 4, aprile 1989 «Serena Cruz? Uno scoop di basso profilo».

(30) Quasi sempre squallidi, alla ricerca dello scoop i servizi giornalistici di cronaca.

(31) Finora La Stampa non ha pubblicato la lettera di Pallavicini.

(32) Cfr. Stampa sera del 10 aprile 1989.

(33) Ibidem.

(34) Nella sentenza della Corte di appello di Torino del 31 gennaio 1989 viene rilevato che «non si compren­de» come l'Ambasciata italiana abbia potuto desumere il riconoscimento di Serena da parte del Giubergia, stante la mancanza della documentazione che comprovasse il rico­noscimento stesso.

(35) Cfr. Bollettino d'informazione e discussione del­l'ANFAA, n. 1, 1989, dedicato alla vicenda di Serena.

(36) Cfr. Giorgio Pallavicini, Diritti del minore: virtuali o reali? in Aspe, n. 11 del 4 maggio 1989.

(*) Fra virgolette sono riportate frasi della citata sen­tenza della Corte di appello di Torino.

 

 

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