Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre
1989
Notizie
CONVEGNO
«A SOSTEGNO DI FAMIGLIE E PERSONE IN DIFFICOLTA’: PRIORITA’ DEGLI INTERVENTI
DOMICILIARI»
Organizzato da 10 organizzazioni di volontariato
(1), il 3 giugno 1989 si è svolto a Torino il convegno «A sostegno di famiglie
e persone in difficoltà: priorità degli interventi domiciliari» con lo scopo
di:
1. sottolineare che l'esperienza quotidiana delle
Organizzazioni promotrici, la priorità debba essere riservata agli interventi
di sostegno domiciliare (sanitari, sociali e assistenziali) qualora rispondano
alle reali necessità delle persone e delle famiglie;
2. promuovere l'apporto del volontariato come
integrativo dei servizi realizzati dal settore pubblico e privato;
3. approfondire i problemi delle famiglie e delle
persone in difficoltà (minori, anziani, ammalati, handicappati...) per
individuare in questo ambito soluzioni concrete e operative a breve e medio
termine.
Dopo l'intervento introduttivo dei promotori, sono
state svolte le seguenti relazioni:
- Fondamenti etici e culturali della priorità degli
interventi domiciliari (Don Giuseppe Anfossi);
- La posizione degli operatori sociali (Eleonora
Venesia);
- Aspetti giuridici delle prestazioni economiche di
natura assistenziale (Massimo Dogliotti). Nel pomeriggio ha avuto luogo una
tavola rotonda sul tema «Priorità degli interventi domiciliari: gli impegni
del Comune di Torino» con la partecipazione dei capi gruppo DC (Franco Pizzetti),
del PCI (Domenico Carpanini) e del PSI (Franca Prest).
L'Assessore all'assistenza del Comune di Torino,
Giuseppe Bracco, non ha voluto partecipare al congresso nemmeno come relatore.
Di notevole importanza la testimonianza che
trascriviamo integralmente: «Siamo due
persone con handicap fisico grave: Roberto, spastico, e Piero, focomelico, che
hanno alle spalle una lunga esperienza di istituto. Infatti siamo stati messi
al Cottolengo nei primi anni di vita e ne siamo usciti solo otto anni fa.
«Nel
settembre 1981, dopo due anni di lotta, il Comune di Torino ci assegna un
mini-alloggio, adeguato per le persone handicappate. Con l'aiuto dei nostri
amici siamo riusciti ad arredarlo a nostro piacimento. Il problema fondamentale
è stato quello di ricominciare una nuova vita, cioè non più come soggetti
passivi e assistiti ma come soggetti attivi che devono organizzarsi in due il
loro quotidiano. È chiaro che nei primi tempi la mancanza di una struttura
protettiva esisteva, perché eravamo abituati ad essere gestiti e quindi le
paure e le incertezze erano all'ordine del giorno. Un primo superamento dalle paure
ci è stato possibile frequentando l'istituto Magistrale e venendo comunque a
conoscenza di una realtà diversa da quella vissuta precedentemente; l'instaurazione
di nuovi rapporti sociali, la disponibilità dei professori, dei compagni di
scuola e soprattutto di alcuni amici ci hanno aiutati nei momenti più difficili
del nostro nuovo modo di vivere.
«Negli anni in
cui abbiamo frequentato l'Istituto Magistrale usufruivamo del servizio domiciliare
il quale ci garantiva un aiuto domestico di due ore giornaliere. Ora, invece,
disponiamo di un assegno mensile di 347.000 lire che ci permette di pagare -
in parte - una collaboratrice domestica.
«Questa
nostra esperienza può servire sia ai responsabili politici dell'assistenza,
affinché possano da essa verificare l'importanza degli investimenti per la
promozione umana e sociale dei portatori di handicap, sia, in seconda istanza,
agli operatori dei servizi socio-assistenziali perché possano calibrare con
maggiori strumenti di conoscenza i loro interventi, poiché a noi pare che in
questo settore ci siano conoscenze parziali e scarsa specializzazione.
«Concludiamo
invitando le organizzazioni politiche, sindacali e amministrative a considerare
la drammaticità dei tagli alla spesa pubblica per persone come noi, che
dovranno rinunciare a -costruirsi una vita normale e rimanere nelle
istituzioni dove viene negata ogni autonomia come persona.
«Solo ora
noi, che siamo fuori dall'istituto, possiamo finalmente assaporare il gusto
della libertà e quindi della vita».
In merito al convegno, i promotori hanno diffuso il
seguente documento:
«L'incontro ha ruotato intorno a quattro poli di
ragionamento: Famiglia - Assistenza - Ente Locale - Volontariato.
«Per quanto riguarda il rapporto Famiglia - Assistenza,
si è osservato che:
«1. Vi sono oneri assistenziali in nessun modo
caricabili sulla famiglia; in particolare non viene ritenuto legittimo il
ricorso all'istituto dell'obbligo alimentare dei parenti, quando tale obbligo
sia imposto dall'ente locale per sottrarsi ad una erogazione di assistenza
dovuta, sia di tipo economico che di ricovero (Massimo Dogliotti - giurista).
«2. La famiglia deve essere valorizzata in senso
proprio, come soggetto vitale, luogo di relazionalità fra le persone e di
mantenimento e sviluppo dei legami affettivi e di solidarietà. La famiglia in
altre parole è la sede primaria per la crescita di autonomia delle persone.
Essa perciò deve essere considerata, anche dalle politiche sociali, come fine,
e non come semplice strumento: "una risorsa da costruire e valorizzare,
non un mezzo da consumare e sostituire" (G. Anfossi).
«3. Gli interventi domiciliari consentono di
realizzare un rapporto coerente e valido con la famiglia, perciò possono anche
essere definiti interventi familiari o parafamiliari, e permettono di aiutare
la persona conservandola nel suo ordinario sistema di vita e di relazione.
L'esperienza del volontariato conferma questa
importanza, aggettiva e soggettiva, dell'intervento
familiare-domiciliare-territoriale, rispetto al ricovero ed alla segregazione
che ne consegue.
«4. L'intervento familiare-domiciliare-territoriale
è da preferire per criteri
- di costo e di qualità dell'intervento
- di integrazione sociale dei soggetti e integrazione
nei servizi sanitari e socio-assistenziali. Esperienze positive si vanno
facendo anche nella sanità can la cultura dell'ospedalizzazione a domicilio
(home-care).
L'intervento domiciliare richiede una più elevata
capacità di coordinamento e relazione fra le istituzioni e le risorse sociali
territoriali; sarebbe perciò sterile un'opposizione di principio fra
"istituzione" e "famiglia". Occorre invece ricercare la
cooperazione fra istituzioni efficaci e qualificate e servizi territoriali
competenti, accoglienti e personalizzati.
«5. II volontariato è da proporsi come risorsa da
inserire in una rete complessa di aiuti e di servizi nello spirito della
cooperazione.
Il volontariato perciò è da considerarsi integrativo
dei servizi dell'Ente locale, non sostitutivo; nel rapporto migliore tra
famiglie ed ente locale, trova la sua collocazione più valida e socialmente
utile.
Il volontariato rifiuta perciò quella implicita
"divisione del lavoro assistenziale" che affida ad esso la cura dei
bisogni primari di soggetti deboli, che non possono accedere all'assistenza
pubblica. Impegnato a rifiutare sia una logica di esibizione (del rapporto
"buon cuore"), sia una logica di sostituzione alle inadempienze e
insufficienze dell'intervento istituzionale, spera che l'Ente pubblico arrivi
a garantire la soddisfazione dei bisogni primari in clima di sicurezza sociale.
Salo così il volontariato potrà svolgere il suo ruolo di sostegno familiare, di
accoglienza e solidarietà, di miglioramento della qualità di relazione.
«6. La valutazione è fortemente critica sulla
situazione delle attività assistenziali nell'ambito del Comune di Torino per
- l'assistenza economica, con la riduzione delle
erogazioni e l'introduzione di criteri restrittivi nonché illegittimi;
- il blocco dello sviluppo dei servizi di assistenza
domiciliare, con diminuzione di personale e di investimenti, mancata
formazione, limitazione degli orari;
- la riattivazione implicita o esplicita di politiche
che privilegiano il ricovero;
- il ritorno ad una cultura della "povertà marginale"
da assistere o/e da esentare, anziché l'affermazione della cultura di una
sicurezza sociale per tutti i cittadini.
«In questo contesto è inevitabile che le iniziative
di assistenza familiare-domiciliare-territoriale siano ritenute elementi
secondari e irrilevanti di politiche diversamente orientate.
Non si comprende che è necessario attuare
gradualmente gli interventi, per occuparsi da subito di soggetti che sono in
numero non elevato (anziani cronici non autosufficienti, handicappati gravi,
minori con famiglie problematiche, ecc.),, e quindi con interventi dai costi
contenuti, ma in grado di limitare e prevenire future istituzionalizzazioni o
costi economici e umani assai più gravosi.
Un primo passo necessario per- rovesciare
l'attuale negativa tendenza, sarebbe quello di incrementare il numero degli
operatori domiciliari, passando dagli attuali 100 ai 500 previsti dai parametri
regionali e di estendere a tutta la settimana, festività comprese, l'orario
effettivo di servizio.
«Si chiede ai politici, che governano il Consiglio
comunale:
- di non attardarsi su questioni di principio (Torino
metropoli o comunità) che in definitiva segnalano la non priorità assegnata ai
temi dell'intervento sociale, rispetto ad altre scelte ritenute più
importanti, ma di sostenere attivamente la priorità degli interventi
familiari-domiciliari-territoriali come un dato di cultura e di sensibilità,
prima ancora che di organizzazione e di spesa;
- di non prorogare oltre il passaggio delle
competenze assistenziali alle 10 UUSSLL.
«Lo stato precario, e in alcuni casi, drammatico dei
servizi socio-assistenziali richiede che si proceda senza indugio sulla strada
del decentramento, dell'integrazione sanità-assistenza, della programmazione a
livello cittadino, e della responsabilizzazione professionale e organizzativa
dei funzionari e degli operatori dei servizi, nonché delle forze del
volontariato e della società civile torinese».
IL
COMUNE DI FIRENZE ASSUME INVALIDI: UN ESEMPIO PER TUTTI GLI ENTI PUBBLICI
Riceviamo
dal Comitato Unitario Invalidi la seguente nota:
«Il Comune di Firenze si sta apprestando all'assunzione
di una quota di invalidi. È il risultato di una ferma battaglia portata avanti
con tenacia dalle associazioni delle categorie protette.
«È un risultato da valorizzare tanto più in quanto
vi è un impegno dell'Amministrazione di organizzare corsi di formazione
professionale specifici per gli invalidi, finalizzati a preparare un'ulteriore
fase di assunzioni nei prossimi mesi.
«Siamo in una fase nuova - concordata con
l'Amministrazione - tale da superare il mero assistenzialismo ma che, al
contrario, punta ad un inserimento reale e produttivo degli invalidi negli
ambienti di lavoro.
«Questa decisione incoraggia le associazioni degli
invalidi a continuare la propria azione a sostegno della occupazione degli
invalidi nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche e private perché
non venga negato il diritto al lavoro per i portatori di handicap».
www.fondazionepromozionesociale.it