Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre
1989
DEGENZA OSPEDALIERA PROLUNGATA:
CARATTERISTICHE E PROSPETTIVE
VITTORIO LUMIA (*)
Il tema in discussione - la degenza prolungata in
ospedale - è tema importante per la sanità in generale (non fosse altro per
l'incombente rapporto costo/benefici); è tema di attualità (anche se
certamente non nasce oggi); è tema complesso per le molte variabili che vi si
inseriscono: Già la stessa definizione e valutazione di questo aspetto della
degenza non sono semplici. Degenza prolungata in sé e per sé non è sinonimo di
degenza inutile o impropria. Ad esempio, secondo il criterio clinico, una degenza
di cinque giorni può essere definita prolungata se il paziente è dimissibile
in terza giornata avendo esaurito il suo iter diagnostico ed eventualmente
terapeutico; di contro, una degenza di sei mesi può non definirsi prolungata se
sono ancora assolutamente necessari trattamenti ospedalieri.
Il criterio usato nell'indagine conoscitiva qui in
discussione è quello temporale: è degenza prolungata, si afferma, quella che
supera il valore medio del rispettivo reparto di appartenenza: ad esempio, 23
giorni per la medicina e geriatria, 14 giorni per l'ortopedia. Il criterio
temporale, in questo contesto, è valido ed usato in ricerche del genere, anche
se rischia di essere influenzato dai valori estremi del campione (ad esempio
vi sono in ospedale degenze di un giorno che il più delle volte riflettono non
condizioni cliniche ma psicosociali).
Il primo dato che emerge dalla ricerca è che i
pazienti a degenza prolungata (calcolata come sopra detto) costituiscono il
18,5% del totale dei degenti: è una percentuale elevata che influenza
significativamente di per sé l'economia di lavoro e il rendimento stesso
dell'ospedale (e della sanità in generale). È un elemento, tuttavia, che deve
essere interpretato ed analizzato. A tale fine le Autrici dell'indagine hanno
disaggregato il dato, effettuando un'opportuna distinzione tra i pazienti a
degenza prolungata, a seconda che siano risultati - a giudizio dei medici
curanti del Reparto - dimissibili o non dimissibili. Così operando, è
risultato che il 72% - cioè la grande maggioranza dei pazienti a degenza
protratta - non è dimissibile contro il 28% dei dimissibili. Rapportando questi
dati al complesso della popolazione ospedaliera, è risultato che i pazienti a
degenza prolungata che sarebbero immediatamente dimissibili sono il 5% del
totale. È una aliquota di pazienti che non può considerarsi irrilevante
perché qui si ha a che fare con grandi numeri; tuttavia in base a tale dato
viene sostanzialmente smentito il ricorrente rilievo - riportato ritualmente
dalla stampa d'informazione - dell'intasamento degli ospedali a causa di
persone (anziane) che non hanno alcuna patologia rilevante e che sarebbero
portatori solo di problemi sociali. Certamente queste risultanze dovranno essere
approfondite e confermate, anche in altra sede, ma comunque appaiono di per sé
significative; lo sono ancora più ove si consideri che nell'ambito del citato
5%, solo l'1% è riferito a degenti che hanno esclusivamente un fabbisogno di
assistenza sociale.
Sulla base di queste premesse, l'indagine è stata
estesa all'individuazione dei fattori che rendono non dimissibile la
maggioranza dei pazienti a degenza protratta. È risultato che:
a) nel 25% dei casi la non dimissibilità è connessa
all'esistenza di condizioni cliniche riconducibili ad uno stato di acuzie del
processo morboso (questo dato merita di essere sottolineato perché porta a
constatare che siamo, per malti casi, di fronte ad una patologia acuta protratta,
sotto molti aspetti diversa da quella ritenuta tipica dell'ospedale);
b) nel 15% dei casi si tratta di un caratteristico
lungo decorso naturale della malattia o di cause inerenti a particolari
trattamenti (pazienti ematologici, pazienti da riabilitare, etc.);
c)
nel 10% si tratta di pazienti che non hanno ancora completato l'iter
diagnostico;
d) nel 35% ci si riferisce ad eventi clinici relativi
al decorso post-operatorio; (questo dato merita un approfondimento).
Quelle elencate sono tutte cause valide sotto
l'aspetto clinico anche se si deve dire (anticipando quanto sarà detto più
avanti) che una diversa e più efficiente assistenza sanitaria ospedaliera ed
extraospedaliera potrebbe portare a risultati diversi nell'interesse del
paziente e della stessa struttura.
Oltre a quanto detto; In :base a1 numerosi
dati riportati nell'indagine in discussione, è possibile - per riflettere ancor
più sulle caratteristiche della degenza prolungata - individuare una sorta di identikit del paziente di questo tipo:
a) il fenomeno sembra riguardare parimenti i due
sessi, con lieve preponderanza per le femmine che del resto - come è noto -
prevalgono sui maschi nella popolazione generale (al di là dei 30 anni di età);
b) quanto all'età, gli ultrasessantenni costituiscono
il 60% di questi degenti protratti, a conferma di un dato peraltro prevedibile
in misura ancora maggiore;
c) quanto a stato civile e convivenza, il 56% è
risultato vedovo, non coniugato o separato, ma solo il 24% vive solo;
d) quanto ad abitazione, il 62% vive in casa di
proprietà che per l'80% è risultata composta di almeno due vani;
e) sono pensionati circa la metà dei pazienti
esaminati (51%) e solo il 16% ha dichiarato di non avere reddito proprio;
f) le malattie sono di varia tipologia (raggruppandole
si ha: 30% tra malattie cardio-circolatorie o tumori; 30% di eventi clinici
riferibili a lesioni accidentali o fratture);
g) quanto all'autosufficienza, nel 12% dei casi manca
tale requisito in forma permanente, mentre è del tutto autosufficiente il 52%
dei degenti protratti; la non-autosufficienza (quando presente) era insorta da
meno di un mese prima del ricovero in quasi il 50% dei casi; nel 10% da più di
un anno;
h) quanto ai segni tipici della sindrome da immobilizzazione,
non vi era incontinenza nel 75% dei casi; non vi erano piaghe da decubito nel
90%;
i) quanto al fenomeno dei ricoveri plurimi, nel 61%
si trattava dell'unico ricovero negli ultimi 12 mesi.
Da questa minuta analisi si ha, sotto altri aspetti,
ulteriore conferma di quanto sopra detto, come sottolineano le Autrici
dell'indagine: l'utente ospedaliero a degenza prolungata, in alta percentuale,
non ha problemi sociali predominanti, non proviene da situazioni di abbandono
familiare, non versa in gravi condizioni economiche, non presenta uno stato di
non-autosufficienza cronica ma è di regola portatore di stati patologici complessi
richiedenti un intervento globale che tenga conto di particolari aspetti
clinici nonché assistenziali e riabilitativi: In breve non si tratta di
pazienti «sociali».
Per quanto riguarda, sotto un altro punto di vista,
le ipotesi di intervento nella fase che segue al ricovero, cioè il reale
fabbisogno dei pazienti a degenza prolungata, l'indagine ha messo in luce che
si registrano necessità di prestazioni sanitarie propriamente dette (mediche,
riabilitative o psichiatriche) a vari livelli (istituto di lunga degenza o di
riabilitazione, assistenza domiciliare, day-hospital) nel 70-75% dei degenti
protratti. Solo nel 14% dei non dimissibili è possibile ipotizzare il rientro
in famiglia più o meno a breve termine senza particolari prestazioni
aggiuntive.
Sulla base dei dati sin qui riferiti, sorgono alcuni
dubbi e alcune osservazioni critiche che spingono ad ulteriori approfondimenti
della ricerca in questo settore:
- quanti dei pazienti dichiarati non dimissibili lo
sarebbero se ci fossero validi servizi sanitari in sede extra-ospedaliera?
- il tempo di diagnosi è in molti casi prolungato
(10% di degenti protratti in attesa di completamento della diagnosi) solo per
reali difficoltà cliniche, per carenza di apparecchiature o anche per
inadeguata utilizzazione delle stesse?
- la percentuale del 35% di degenze protratte per
«decorso post-operatorio» non potrebbe essere ridimensionata utilizzando appieno
i servizi extra-ospedalieri e, in particolare, il day-hospital o lo stesso
ambulatorio?
- il 7% dei degenti protratti in attesa di intervento
operatorio non potrebbe essere ridotto dalla cosiddetta «preospedalizzazione»?
Allargando il discorso al di là del freddo linguaggio
dei dati statistici (che pur hanno un significato) dobbiamo constatare - in
sostanza - la inadeguatezza dell'attuale sistema sanitario di fronte a
situazioni complesse e particolari. Alla base di quanto è stato si qui detto sta
- sotto molti aspetti - un dato demografico-epidemiologico ben noto ma ancora
non recepito: da alcuni decenni, in forma graduale, è radicalmente mutata la
patologia umana prevalente: prevalevano nel 1940 le malattie infettive a
decorso acuto; prevalgono oggi e prevarranno sempre più negli anni futuri (AIDS
a parte), le malattie degenerative e dismetaboliche a decorso protratto o cronico,
tendenzialmente invalidanti. Le cause di tale profonda variazione stanno
nell'aumento della vita media e quindi nell'invecchiamento (assoluto e
relativo) della popolazione. Il nostro sistema sanitario però è rimasto di
fatto fermo a 50 anni fa; non si è adattato alle variazioni nosografiche che
sono intervenute.
Vi è stato un certo adeguamento tecnologico: ma il
modello assistenziale - nonostante le ripetute invocazioni a cambiare e i
tanti programmi e piani - è sempre quello degli anni passati, incentrato
sull’ospedale con il suo tradizionale repertorio.
Per la nuova patologia prevalente, ben diverse sono
invece le soluzioni operative che trovano certamente anche nell'ospedale un
momento applicativo ma che si avvalgono soprattutto di strutture e servizi
alternativi.
In particolare, nel settore geriatrico, è necessario
che il sistema sanitario adotti modelli di tipo radicalmente diverso da quelli
tradizionali. L'ospedale gioca in questo settore un ruolo importante e ben
definito che è quello di rendere possibile il cosiddetto «assessment», vale a dire una valutazione globale del paziente
sotto l'aspetto clinico, psicologico e sociale ai fini di individuare tempi,
luoghi e modi di un intervento terapeutico assistenziale specifico di tipo
ospedaliero o non ospedaliero. È quanto nel recentissimo Piano nazionale
sanitario viene attribuito alle Unità Valutative Geriatriche, un neologismo che
si rifà a quanto già 30 anni fa veniva detto e proposto.
L'extra-ospedale, nello stesso settore geriatrico,
deve essere particolarmente sviluppato, in special modo a livello domiciliare,
ambulatoriale e di day-hospital. Ma
il problema base in questa moderna visione del problema sta nella selezione,
preparazione e qualificazione del personale (sia non medico che medico di
specializzazione geriatrica).
Analogo discorso - con le opportune varianti - deve
essere fatto per la psichiatria e l'oncologia.
Occorre, in definitiva, un cambio di modello di
lavoro da parte degli operatori sanitari, così come preliminarmente occorrono
programmi organizzativi chiari e attuabili. Ma fino a quando - ad esempio - si
continuerà a ritenere che il problema dei cosiddetti lungo-degenti si risolve
con il reperimento dei posti-letto per questi pazienti, si darà dimostrazione
lampante di non aver capita nulla riguardo a questo problema della patologia
umana e del conseguente migliore e più razionale modo per risolverlo.
L'esempio che ci viene dagli organi istituzionali è del tutto negativo se si
considera che la legge finanziaria 1988 destina varie migliaia di miliardi a
favore dell'edilizia residenziale per anziani non autosufficienti (140.000
posti letto!). Questi soldi, questi nostri soldi, potrebbero avere un destino
migliore ed essere finalizzati per questi stessi sventurati pazienti ma per
interventi in gran parte diversi, più efficaci, più moderni.
(*) Primario Geriatra USL RM/4.
Relazione tenuta al convegno che ha avuto luogo a Roma il 3 marzo 1989 in
occasione della presentazione dell'indagine conoscitiva «La degenza ospedaliera
prolungata», indagine svolta da Marilde Bezzi, Franca Bottazzi, Felicita Di
Franco, Paola Giorgi, Luisa Napoleoni, Assistenti sociali dell'Ospedale
Addolorata di Roma.
La suddetta indagine fa seguito alla
ricerca «Il malato dichiarato cronico in ospedale e nel territorio», effettuata
dalle stesse Assistenti sociali.
Per avere copia delle suddette ricerche rivolgersi al
Servizio sociale dell'Ospedale Addolorata.
www.fondazionepromozionesociale.it