Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre
1989
I DIRITTI DEL CITTADINO DEBOLE: RIFERIMENTO PRIORITARIO DEL VOLONTARIATO PROMOZIONALE PRATICATO DALL'ANFAA, DALL'ULCES E DAL CSA
La realizzazione dei diritti fondamentali dei
cittadini deboli, in particolare di coloro che a causa delle loro condizioni psico-fisiche
non sono in grado di autodifendersi (1), è sempre stato l'obiettivo prioritario
del volontariato promozionale praticato dall'ANFAA (Associazione Nazionale
famiglie adottive e affidatarie), dall'ULCES (Unione per la lotta contro
l'emarginazione sociale) e del CSA (Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base di Torino) (2).
Volontariato: motivazioni e diritti
delle persone deboli
Oggi si parla e si scrive molto sul volontariato e
(volutamente?) si fa confusione fra volontariato vero (attività svolta
gratuitamente, salvo eventuali rimborsi delle spese vive sostenute), associazionismo
(insieme di persone che si riuniscono per la difesa dei propri interessi),
cooperazione (attività imprenditoriale svolta da soci-lavoratori), enti di
gestione senza fini di lucro (al riguardo, va però tenuto conto che non c'è
nessuna regolamentazione e non vi sono controlli sulla non esistenza di scopi
speculativi e sulla ripartizione dei profitti economici) (3).
Vi sono, purtroppo, posizioni che esaltano il
volontariato come attività valida in sé e per sé, senza tener conto degli
obiettivi perseguiti e del lavoro svolto.
A nostro avviso è semplicistico e fuorviante
riferirsi al privato-sociale e in particolare al volontariato facendo
esclusivamente riferimento agli «sforzi
di individui e gruppi che intenzionalmente e volontariamente si caricano di
responsabilità e di impegno, mossi da una carica interiore che ha le sue
radici e la sua motivazione solo nella individuale necessità di dare un senso
alla propria vita» (4).
Questa posizione è estremamente pericolosa in quanto
non tiene conto delle esigenze e dei diritti delle persone, in particolare di
quelle più deboli, ma valuta come positivo tutto ciò che il volontariato fa,
indipendentemente dai contenuti e dalle ripercussioni sull'utenza,
ripercussioni che possono anche essere negative.
Per quanto concerne le ricerche sul volontariato, è
stata giustamente riconosciuta come prioritaria l'esigenza di «sviluppare una analisi tipologica del volontariato
organizzato che consente (...) di distinguere il volontariato da altre forme di
azione sociale ad esso molto vicine (...). In assenza di tale convenzione il
rischio che si perpetua è di chiamare con lo stesso nome realtà diverse
ingenerando equivoci che sul piano legislativo potrebbero avere anche gravi
conseguenze» (5).
Se il volontariato deve essere valutato in base ai
risultati conseguiti, è evidente che le ricerche non dovrebbero essere
incentrate sugli aspetti motivazionali (6), ma sui programmi e sui metodi.
Promozione dei diritti e solidarietà
Il perseguimento dell'obiettivo della promozione dei
diritti delle persone deboli presenta notevoli difficoltà quando si interviene
affinché dalle affermazioni verbali si passi agli atti concreti.
Si tratta di difficoltà in genere non incontrate,
invece, dai gruppi di volontariato che scelgono di svolgere attività di
assistenza diretta.
È un fatto che dovrebbe far riflettere. È probabile
che, in certi casi, anche in completa buona fede; il volontariato gestionale
rappresenti un sostegno prezioso alle politiche di emarginazione sociale
praticate dagli enti pubblici. Spesso, troppo spesso, il volontariato porge un
aiuto ai singoli (ad esempio ai ricoverati in istituti di assistenza), senza
intervenire sulle cause che hanno costretto le persone a dover abbandonare le
loro abitazioni (mancanza di mezzi economici, inesistenza o insufficienza del
servizio di assistenza domiciliare, dimissioni illegali dagli ospedali, ecc.).
Al riguardo, vi è da segnalare che rarissimi sono i
documenti e gli articoli da cui risulta che il volontariato gestionale ha
provveduto a denunciare situazioni individuali o sociali lesive di diritti
fondamentali (7), oppure ha operato per la promozione di iniziative dirette
alla prevenzione del bisogno.
Va, inoltre, segnalato che, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA
si sono scontrati con gruppi di volontari, il cui scopo reale era quello di
sostenere le posizioni delle Amministrazioni (Regioni, Province, Comuni, USL,
ecc.), anche se nettamente contrastanti con le esigenze ed i diritti
dell'utenza.
La solidarietà dovrebbe essere la molla del
volontariato non per compensare, spesso in modo inidoneo e in misura parziale,
le carenze degli enti pubblici, ma per promuovere ì diritti, personali,
familiari e sociali, soprattutto quelli concernenti le persone non in grado di
autodifendersi.
Ricordiamo a questo proposito le importanti
affermazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II:
1) «I diritti
delle persone, delle famiglie e dei gruppi e il loro esercizio devono essere
riconosciuti, rispettati e promossi, non meno dei doveri ai quali ogni
cittadino è tenuto» (Gaudium et Spes, 75);
2) «Siano
anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra
come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia»
(Apostolicam actuositatem, 8).
Limiti del volontariato
Per il riconoscimento effettivo dei diritti delle
persone, occorre che vi siano organismi tenuti a fornire le prestazioni che
concretizzano i diritti stessi.
È evidente che non esiste un vero e proprio diritto,
se la sua attuazione dipende dalla presenza o meno di personale disponibile a
titolo volontario e perciò con un impegno revocabile in qualsiasi momento.
D'altra parte non si può chiedere al volontariato di garantire tutti gli
strumenti (fondi, strutture, attrezzature, ecc.) necessari per l'attuazione
dei diritti.
D'altra parte, come osserva U. Ascoli, «la totalità degli osservatori sembra
concorde nel sottolineare che l'insieme delle organizzazioni volontarie non
sia in grado di far fronte in nessun contesto ad un sostanziale arretramento
del Welfare pubblico, colmandone i vuoti che si aprono nel sistema di
protezione sociale» (8).
Diritto all'autonomia personale,
familiare e sociale
Come è evidente, a tutte le persane dovrebbe essere
riconosciuto il diritto alla salute, ad una abitazione idonea, all'educazione e
formazione, al lavoro, alla cultura e ad una pensione dignitosa; in sostanza il
diritto al benessere fisico, psichico e sociale nella massima misura consentita
dalle situazioni personali e dalle condizioni socio-economiche esistenti in
quel determinata periodo.
L'attuazione piena e puntuale dei diritti fondamentali
del cittadino, quelli cioè che riguardano la personalità e la dignità dell'individuo,
assicurerebbe altresì una prevenzione idonea ad eliminare o ridurre le
situazioni di bisogno.
Una delle situazioni - di importanza non marginale -
che è stata ed è combattuta dall'ANFAA dall'ULCES e dal CSA riguarda la
separazione dei cittadini deboli dal resto della popolazione.
Gli istituti di ricovero per minori, handicappati
adulti e anziani (9) isolano i ricoverati dagli altri cittadini.
Questo isolamento viene spesso presentato come
inevitabile: e certamente lo diventa se non vengono predisposte iniziative di
prevenzione e interventi alternativi all'istituzionalizzazione.
Fra l'altro viene affermato che i bambini, gli
handicappati, gli anziani (non tutti, ma sola quelli da ricoverare!) hanno
bisogno dell'aria buona, di ampi spazi verdi, di tranquillità, ecc. Questo è
uno dei pretesti utilizzati per allontanare i più deboli dal loro contesto
sociale di appartenenza.
Ma l’emarginazione non si attua solo con il ricovero
in istituti di assistenza (ricovero che rimane la forma più grave e più lesiva
dei diritti fondamentali della persona, che incide negativamente sulla libertà
dell'individuo, sulla sua dignità, sul suo equilibrio psico-fisico e che
determina l'affievolimento e spesso la rottura dei legami familiari).
L'emarginazione si concretizza anche impedendo alla fascia più debole della
popolazione di poter utilizzare i servizi predisposti per gli altri cittadini,
oppure non creando le condizioni perché detta utilizzazione possa aver luogo.
Ed ecco che sono nate le classi speciali e differenziali,
le strutture di formazione professionale destinate esclusivamente agli
handicappati, le cooperative costituite interamente da invalidi, i centri di
incontro solo per anziani o solo per giovani, gli ospedali geriatrici.
C'è, inoltre, la tendenza - a volte anche su
richiesta di associazioni di utenti e di gruppi di volontariato - di attribuire
agli assessorati alla assistenza funzioni che detti organismi non svolgono per
gli altri cittadini, come se, ad esempio, essere handicappato o essere anziano
significasse per forza e in tutti i casi essere un assistito.
L'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre richiesto che
il settore assistenziale conservasse l'ambito di intervento stabilito dall'art.
38 della Costituzione (10).
Di conseguenza, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno
sempre richiesto che nelle leggi nazionali e regionali, nei regolamenti, nelle
deliberazioni degli enti locali, nell'impostazione e nell'organizzazione degli
interventi, venisse precisata che anche per le persone più deboli devono
intervenire i comparti della sanità, della scuola, della casa, dei trasporti,
ecc.
Alcuni esempi di intervento
Ad esempio, una azione continua, a partire dalla
fine degli anni 60, è stata diretta all'inserimento degli handicappati,
compresi quelli gravissimi, negli asili nido, nelle scuole materne, elementari
e medie inferiori. Infatti, dette scuole, avendo scopi di formazione e non di
professionalizzazione, non possono e non devono escludere nessun allievo,
qualsiasi sia la gravità delle sue condizioni psico-fisiche.
Fino alla fine degli anni '60, com'è noto, i bambini
con handicap intellettivi e/o sensoriali, e addirittura quelli con menomazioni
meramente fisiche, non erano ammessi negli asili nido e nelle scuole materne e
dell'obbligo.
Si tentava di giustificare l'emarginazione dei più
deboli nelle scuole speciali e nelle classi differenziali con varie e speciose
argomentazioni: impossibilità per gli handicappati di seguire i programmi,
ripercussioni negative per gli alunni più capaci, insufficienza numerica del
personale e sue carenze formative.
Le positive esperienze di inserimento prescolastico
e scolastico, molte delle quali promosse da gruppi di volontariato
promozionale, hanno dimostrato che, dove la scelta dell'integrazione scolastica
è stata fatta con intelligenza e impegno, ne hanno tratto vantaggio non solo
gli alunni handicappati, ma anche i minori considerati normali (11).
Ma l'integrazione, validamente programmata e attuata,
ha anche consentito il raggiungimento di un risultato, per molti assolutamente
insperato. La percentuale degli handicappati certificati ed inseriti nelle
istituzioni prescolastiche e nelle scuole materne, elementari e medie inferiori
è oggi intorno all'1,5 per cento.
Gli esperti avevano invece fornito cifre di gran
lunga superiore circa il numero degli handicappati. Ad esempio, il Prof.
Giovanni Bollea, allora la massima autorità italiana nel settore della neuropsichiatria
infantile, aveva dichiarato al 2° congresso italiano di medicina forense
(Roma, 10-12 ottobre 1962) che, per quanto concerne i minori, gli handicappati
mentali gravi erano 15.000, quelli medi certi 670.000, i casi limite 585.000,
gli epilettici 160.000, i colpiti da paralisi cerebrale infantile 100.000, i
disadattati del comportamento e del carattere 1,5 milioni, i sordi 20/25.000, i
sordastri 400.000, i ciechi 15/18.000, gli ambliopi 15/16.000.
Un'altra azione diretta a coinvolgere gli organismi
non assistenziali interessati è stata compiuta dal CSA in occasione della
predisposizione e approvazione della legge 23 agosto 1982 n. 20 «Indirizzi e
normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione
Piemonte» (12). In essa è previsto che le attività di prevenzione devono essere
svolte sia dalla Regione che dagli Enti locali (e non solo dagli Assessorati
all'assistenza). Dette attività comprendono:
1) art. 3 «Informazione, ricerca e progetti» (13);
2) art. 4 «Soddisfacimento delle esigenze relazionali».
Le norme hanno lo scopo di «prevenire fenomeni di emarginazione connessi a
carenze di natura socio-residenziale di soggetti o gruppi a rischio». Detta
attività deve essere svolta «mediante servizi aperti a tutta la popolazione,
incentivando, favorendo e realizzando interventi e iniziative di tipo
educativo, culturale ricreativo, sportivo e di tempo libero» (14);
3) art. 5 «Soddisfacimento di esigenze abitative». È
prevista «l'incentivazione, all'interno
dei piani di edilizia residenziale, della costruzione di alloggi abbinati, per
favorire l'aggregazione di nuclei parentali»; «l'assegnazione di alloggi di proprietà della Regione e degli enti
locali ad equo canone»; «il
miglioramento delle condizioni abitative, attraverso spese di manutenzione,
risanamento e adeguamento degli alloggi, o attraverso la concessione di contributi
economici» (15);
4) art. 6 «Promozione dell'inserimento lavorativo».
Detta attività comprende «iniziative
finalizzate all'adeguamento delle capacità professionali» per i «soggetti in particolari situazioni di debolezza
ed esposti a gravi rischi di emarginazione». Al riguardo è previsto che le
Regioni e gli Enti locali devono promuovere l'inserimento lavorativo «attuando facilitazioni ed eventualmente
favorendo l'adeguamento del posto di lavoro destinato a soggetti portatori di
handicap» (16).
5) art. 7 «Abolizione delle barriere architettoniche»
(17).
Secondo l'ANFAA, l'ULCES e il CSA, limiti alla
usufruibilità dei servizi rivolti a tutta la popolazione possono essere
stabiliti solo ed esclusivamente a salvaguardia dei diritti delle persone e
della comunità.
Ad esempio, è ovvio che agli insufficienti mentali
gravi non è di nessuna utilità la frequenza di corsi di formazione
professionale, poiché i soggetti stessi non sono in grado di conseguire le
relative qualificazioni e specializzazioni.
Ovviamente ogni esclusione deve avere motivazioni
certe e controllabili; devono inoltre essere fornite le necessarie garanzie
per il rispetto dei diritti delle persone e presentate le opportune
alternative meno emarginanti possibili.
Diritto all'assistenza
Da quanto è stato indicato nel paragrafo precedente,
risulta evidente che l'ANFAA, l'ULCES e il CSA non hanno mai ritenuto che
l'autonomia personale, familiare e sociale dei cittadini si dovesse e potesse
ottenere assistendo tutti, poveri e benestanti, tanto più che da secoli non si
è riusciti nemmeno a debellare le situazioni di bisogno più elementari,
comprese quelle meramente materiali (18).
Ad avviso delle suddette organizzazioni, è giocoforza
accettare la funzione «aggiuntiva» della assistenza e cioè limitarne
l'intervento esclusivamente ai soggetti che, a causa della mancanza di un
adeguato sostegno familiare e/o per difficoltà di vario genere
(disoccupazione, pensioni inadeguate, grave handicap intellettivo, ecc), non
sono in grado di provvedere autonomamente a loro stessi, pur usufruendo delle
prestazioni dei settori preposti alla sanità, alla casa, alla scuola, ai
trasporti, ecc.
È ovvio, infatti, che chi utilizza i servizi assistenziali,
non può e non deve essere isolato dal contesto sociale. Assistenza non
significa necessariamente esclusione dal contesto sociale.
In primo luogo, questa situazione di escludere si
realizza purtroppo ancora oggi, tramite le cosiddette istituzioni totali, in
cui il soggetto è praticamente rinchiuso come in una prigione, poiché nella
struttura si forniscono ricovero, cure sanitarie, attività ricreative e
culturali, e quant'altro i gestori delle strutture stesse ritengono sia necessario
per i ricoverati.
Invece, per rispettare le esigenze reali delle persone
che usufruiscono dei servizi assistenziali, è necessario, a nostro avviso, che
le prestazioni assistenziali si limitino a quelle che abbiamo definite essere
prestazioni «aggiuntive» (19) mentre gli interventi sanitari, scolastici,
abitativi, ecc. devono essere forniti a tutti i cittadini dai settori della
sanità, della scuola, della casa, e così via.
Anche per alcuni servizi alternativi al ricovero, c'è
il pericolo di una assistenza totalizzante, ad esempio nei casi di centri
diurni per handicappati ultraquattordicenni non inseribili nel lavoro, qualora
tutta l'attività si svolga all'interno del centro stesso, senza alcun rapporto
con il territorio, in particolare con persone non handicappate e nelle
normali strutture sociali destinate alla popolazione.
L'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre incontrato
fortissime resistenze da parte degli amministratori, e spesso anche da parte
degli operatori, nelle iniziative dirette a consentire agli assistiti di
fruire, come cittadini, dei servizi non assistenziali.
L'«handicappato» e l'«anziano» sono spesso marchiati
come «assistiti» ed alcuni vorrebbero che l'assistenza rispondesse a tutte le
loro esigenze; li trasportasse a scuola, nei luoghi di lavoro, ai servizi di
riabilitazione; li preparasse al lavoro; fornisse loro le attività di tempo
libero; predisponesse iniziative culturali; ecc.
Accanto alla funzione «aggiuntiva» dell'assistenza,
c'è quella che possiamo dire «sostitutiva». Ad esempio, la frequenza di centri
diurni per handicappati non inseribili nelle normali aziende a causa delle
gravità delle foro condizioni psicofisiche, è appunto sostitutiva dello
svolgimento di una normale attività lavorativa (20).
La funzione sostitutiva, com'è ovvio, va limitata
alle persone per le quali non sono realizzabili interventi di natura non
assistenziale. Comunque, anche in questi casi, deve essere assicurato, in tutta
la misura del possibile, l'uso delle normali strutture ricreative, culturali,
abitative, sanitarie, ecc.
L'inserimento nelle normali strutture prescolastiche
e scolastiche degli handicappati, l'assegnazione di appartamenti e comunità
alloggio nelle comuni strutture abitative, l'accesso anche alle persone con
difficoltà motorie ai normali mezzi di trasporto pubblico, l'inserimento
lavorativo degli handicappati e le altre iniziative analoghe hanno non solo lo
scopo di consentire ai singoli di avere una esistenza autonoma, ma anche quello
di favorire la crescita dei livelli di conoscenza diretta e di presa di
coscienza da parte dei cittadini che non hanno bisogno di ricorrere ai servizi
assistenziali.
Certamente, la conoscenza diretta non determina
autonomamente una positiva presa di coscienza e tanto meno un attivo
interessamento, ma è una condizione sine
qua non perché essi si possano realizzare.
È un mezzo molto limitato per combattere (a
emarginazione, la quale potrà essere estirpata solo quando (fra anni, fra
secoli, mai?) sarà attuata una politica economica e sociale non finalizzata solo
all’aumento del benessere della parte più forte della popolazione, ma che terrà
anche conto delle esigenze dei più deboli.
Nell'azione diretta ad ottenere concrete realizzazioni,
l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre cercato di individuare obiettivi
intermedi, coerenti can il quadro generale di riferimento. Ciò ha permesso,
anche in casi in cui la situazione consentiva solo di compiere piccoli passi,
di tracciare una strada per ulteriori avanzamenti.
Ad esempio, nella fase di maggior contestazione
della adozione speciale (1965-66), l'ANFAA aveva respinto la proposta di alcuni
parlamentari, molto influenti, riguardante la limitazione di efficacia delle
norme (dichiarazione dello stato di adottabilità, status di figlio legittimo
degli adottati, ecc.) ai nati nel matrimonio, in quanto l'Associazione riteneva
che le proposte suddette discriminavano i bambini che si trovavano nella
stessa condizione di fatto: l'abbandono materiale e morale, infatti, manifesta
le stesse deleterie conseguenze per i nati nel o fuori del matrimonio.
Sia pur a malincuore, l'ANFAA invece aveva accettato
la limitazione della dichiarazione di adottabilità ai minori di anni 8, nel
convincimento che non esistevano allora (1966-67) le condizioni per l'adozione
di tutti i minorenni (21), ma che, nello stesso tempo, l'azione culturale
intrapresa per l'adozione dei più piccoli sarebbe servita per l'estensione del
provvedimento a tutti i minorenni.
Diritti dei cittadini e Enti locali
Il riconoscimento concreto dei diritti della fascia
più debole della popolazione, in particolare dei cittadini non in grado di
autodifendersi, non si raggiunge solamente con la promulgazione di idonee leggi
(22).
Occorre, altresì, che esse siano adeguatamente e
tempestivamente applicate. E, spesso, è più difficile ottenere l'attuazione
delle leggi che la loro approvazione (23). Ovviamente, nemmeno le iniziative
degli enti locati dovrebbero estendere l'assistenza ai cittadini abbienti.
Inoltre, è necessario che le deliberazioni delle Regioni e degli Enti locali
(Comuni, USL, USSL, Comunità montane, ecc.) siano redatte in modo da indicare
in modo preciso, senza equivoci, gli aventi diritto, gli organismi tenuti ad
intervenire, le priorità ed i contenuti delle prestazioni, le procedure di erogazione
e quant'altro utile perché le prestazioni stesse siano idonee e tempestive.
In una comunità sociale rispettosa dei diritti delle
persone, le autorità preposte dovrebbero altresì prevedere i tempi entro i
quali verrà fornita al richiedente una risposta positiva o negativa (24).
Inoltre, dovrebbero essere definite le procedure di presentazione ed esame dei
ricorsi da parte di coloro che ritengono che le loro richieste siano state
ingiustamente respinte o accettate solo in parte.
Per il rispetto delle esigenze e dei diritti delle
persone, occorrono modalità di organizzazione fondate sul cittadino - avente
diritto e non sull'utente - oggetto dell'intervento (25). Pertanto gli
interventi non dovrebbero essere lasciati alla discrezionalità degli
amministratori e degli operatori, ma individuati, in tutta la misura
possibile, in norme che tengano conto delle esigenze e dei diritti del
cittadino richiedente e, d'altro canto, dell'autonomia professionale degli
operatori.
La definizione degli aventi diritto, degli interventi
forniti e delle modalità di erogazione sono i capisaldi per i servizi non
clientelari.
La precisazione di questi criteri è ancora più
necessaria nel settore assistenziale, i cui soggetti hanno, quasi sempre, uno
scarso o nullo potere contrattuale (26).
Funzioni improprie attribuite al
settore assistenziale
La
situazione di disimpegno delle forze politiche e dei sindacati nei confronti
della fascia più debole della popolazione (27) determina sovente un vero e
proprio stato di necessità. Si deve perciò accettare un intervento di natura
assistenziale, perché il settore competente (sanità, scuola, ecc.) non è
assolutamente disponibile.
Si tratta di situazioni difficili da districare: da
un lato c'è l'urgenza del bisogno; d'altro canto il rifiuto di intervenire da
parte del settore competente costituisce una vera e propria emarginazione ed
è quasi sempre la base di partenza per la estensione dell'esclusione ad altri
soggetti.
Al riguardo l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre
fatto il possibile affinché venissero evitati i vuoti di intervento e, nello
stesso tempo, fossero eliminate le situazioni di emarginazione.
(1) L'attività ha riguardato e
riguarda in primo luogo i minori in situazione di abbandono o con genitori
gravemente carenti, gli insufficienti mentali con limitata o nulla autonomia,
gli adulti e gli anziani cronici non autosufficienti.
(2) Sull'argomento sono finora
comparsi su Prospettive assistenziali
gli articoli : «Esperienze di volontariato promozionale», n. 79,
luglio-settembre 1987 e «Obiettivi, strumenti e criteri di intervento del
volontariato promozionale attuato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA», n. 83,
luglio-settembre 1988.
(3) Ricordiamo, ad esempio, che la
Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, comunemente denominata
«Cottolengo», ente che viene definito senza fini di lucro, ha investito
nell'acquisto degli alberghi di lusso di Ischia ben 44 miliardi (Cfr. «Nuovi
istituti, vecchia emarginazione e gli stessi danni - La storia di Roberto e
Pino per continuare a riflettere», in Prospettive
assistenziali, n. 78, aprile-giugno 1987).
(4) V. Masini, «Volontariato: quale
futuro?», in Volontariato oggi, n.
4, giugno 1988.
(5) I. Colozzi, «La ricerca sul
volontariato», in Volontariato oggi,
n. 4, giugno 1988.
(6) Ibidem.
(7) Fra le centinala di articoli che
hanno trattato il tema della solidarietà senza far alcun cenno ai diritti delle
persone, citiamo: M. Giacomantonio, «Per una carta della solidarietà», in «Quaderni di azione sociale», n. 45,
maggio-giugno 1986.
(8) U. Ascoli (a cura di), Azione volontaria e Welfare State, Il
Mulino, Bologna, 1987.
(9) Secondo il volume 25, edizione
1987 dell'ISTAT, Statistiche della
previdenza, della sanità e dell'assistenza sociale, alla data del 1°
gennaio 1986 (ultimi dati disponibili) erano ricoverati in istituti di assistenza:
50.773 minori, 4.918 handicappati sensoriali, 3.897 handicappati fisici, 17.049
handicappati psichici, 147.678 anziani e adulti inabili, 8.010 non
classificati, per un totale di 232.325 persone.
(10) L'art. 38, 1° comma della
Costituzione, stabilendo che «ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha
diritto al mantenimento e all'assistenza sociale», limita l'intervento
assistenziale alle persone in situazioni di bisogno sociale ed economico.
(11) Cfr. P. Rollero e M. Faloppa (a
cura di), Handicap grave e scuola -
Esperienze e proposte per l'integrazione, Rosenberg & Sellier, Torino,
1988.
(12) La prima stesura della legge
20/1982 è stata fatta proprio dal CSA.
(13) In particolare è previsto che la
Regione e gli enti locali promuovano le iniziative opportune per la diffusione
dell'informazione, la realizzazione di studi e ricerche volti a identificare le
cause degli stati di bisogno, la predisposizione di progetti mirati per
interventi diretti ad eliminare le cause individuate di emarginazione.
(14) Sulla base delle indicazioni di
cui sopra, si è ottenuto dal Comune di Torino il trasferimento della gestione
dei soggiorni per minori e anziani dall'Assessorato all'assistenza a quello
per il tempo libero.
(15) II Comune di Torino, Assessorato
alla casa, provvede all'assegnazione di alloggi di risulta ad anziani, handicappati
e casi sociali. Lo stesso Assessorato provvede, sulla base di delibere
richieste dal CSA, all'adattamento di alloggi di proprietà del Comune stesso o
dell'istituto autonomo case popolari al fine di renderli accessibili e
rispondenti alle esigenze degli handicappati e degli anziani. Un'altra delibera
prevede l'erogazione di contributi per gli adattamenti degli alloggi di
proprietà privata.
(16) In attuazione della norma
suddetta, il CSA ha richiesto e ottenuto dalla Regione Piemonte e dal Comune
di Torino, Assessorato al lavoro e alla formazione professionale,
l'istituzione di corsi prelavorativi per handicappati intellettivi. Si veda in Prospettive assistenziali: F. SANTANERA,
Esperienze in materia di formazione professionale e di inserimento lavorativo
di handicappati (n. 70); G. CALLEGARI, Riflessioni sull'inserimento nei ruoli
del Comune di Torino di persone con handicap (n. 71); L'inserimento lavorativo
degli handicappati: l'esperienza della Provincia di Torino (n. 73); Intesa tra
Comune di Torino, Sindacati e CSA sui corsi prelavorativi per insufficienti
mentali (n. 74); M.G. BREDA - A. SERAFINO, I corsi prelavorativi per insufficienti
mentali: l'interessante esperienza del Comune di Torino (n. 83).
(17) Significativa la legge della
Regione Piemonte 3 settembre 1984, n. 54 «Disposizioni per l'eliminazione
delle barriere architettoniche negli edifici di edilizia residenziale pubblica
da realizzarsi da parte degli istituti autonomi per le case popolari e dei
Comuni», in Prospettive assistenziali,
n. 69, gennaio-marzo 1985. La suddetta legge è stata varata sulla base della
«Bozza di proposta di legge sulla abolizione delle barriere architettoniche e
sulle assegnazioni "speciali" di alloggi» (Ibidem, n. 63,
luglio-settembre 1983), predisposta dal CSA.
(18) «Il numero stimato di famiglie comprese entro l'area della povertà
risulta quindi essere 2.114.000, pari al1'11,3% delle famiglie italiane; le
famiglie invece che appartengono all'area della povertà estrema ammontano a
1.023.000 pari al 5,5% delle famiglie italiane. All'insieme delle famiglie in
condizione di povertà si possono aggiungere altre 1.427.000 famiglie (7,6% del
totale) che vivono in quasi povertà, giungendo così a precisare la stima del
numero di famiglie che, complessivamente e con intensità diversa, vivono in
condizione di disagio economico: 3.541.000 famiglie, corrispondenti al 18,9%
del totale delle famiglie. Questi dati possono poi essere trasformati in quelli
corrispondenti relativi alle persone; le persone che vivono in povertà sono
6.238.000 (11,1%) e di queste 2.982.000 (5,3%) vivono in povertà estrema. Se
alle persone povere si aggiungono le 4.485.000 (7,9%) persone quasi povere, si
arriva al totale di 10.723.000 (19,0%) persone che vivono in condizioni di più
o meno grave disagio economico». Dalla relazione tenuta da Giovanni
Serpellon al convegno sul volontariato svoltosi a Lucca dal 21 al 23 ottobre
1988, in Volontariato oggi, n. 8,
novembre 1988.
Si veda anche il paragrafo «Assistere
il ceto medio?» dell'editoriale del n. 84, ottobre-dicembre 1988, di Prospettive assistenziali.
(19) Ad esempio, l'assistenza
economica finalizzata ad assicurare il minimo vitale, è aggiuntiva rispetto
alle pensioni insufficienti. Parimenti le attività svolte per l'affidamento
familiare a scopo educativo sono aggiuntive rispetto alle normali funzioni
educative dei genitori di origine che provvedono autonomamente all'allevamento
dei propri figli.
(20) Come è stato scritto
nell'editoriale del n. 84, ottobre-dicembre 1988 di Prospettive assistenziali, si ritiene che oltre l’80% dell'utenza
del settore assistenziale sia costituita da disoccupati e sottoccupati;
lavoratori con pensioni insufficienti; ragazzi respinti dalla scuola a causa
della selettività della scuola stessa; persone, soprattutto anziane che,
definite malate croniche non autosufficienti, non sono ammesse a fruire dei
normali servizi sanitari; famiglie o persone prive di un'abitazione adeguata o
che non sono in grado di pagare affitti speculativi; invalidi che gli enti
pubblici e le aziende private rifiutano di assumere; minori in stato di
abbandono o con famiglie aventi difficoltà economiche (disoccupazione e
sottoccupazione) o abitative. Nello stesso editoriale viene affermato che «per i suddetti soggetti, gli interventi di
competenza del settore assistenziale possono essere indicati nei seguenti:
analisi qualitativa e quantitativa dei bisogni e definizione delle risposte
che, se attuate dai settori preposti al lavoro, alla casa, alla scuola, alla
sanità, ai trasporti, alla cultura, allo sport, al tempo libero, ecc.,
prevengono il bisogno assistenziale, azione promozionale nel confronti dei
settori sopra indicati al fine dl evitare che al cittadini più deboli non siano
fornite le dovute prestazioni per l'occupazione, la casa, la scuola, ecc.;
informazione di massa ai cittadini e alle forze sociali e sindacali sui
problemi generali e specifici della emarginazione; programmazione degli
interventi assistenziali con scelta delle relative priorità e verifica
dell'efficacia ed efficienza degli interventi stessi; raccolta ed elaborazione
del dati relativi alle esigenze e alle risposte; attività di sostegno dirette
al superamento di difficoltà personali e familiari; assistenza economica
continuativa e straordinaria; aiuto domestico; affidamenti educativi di minori
e inserimenti di persone adulte o anziane, Incapaci dl una vita autonoma,
presso famiglie, nuclei parafamiliari e persone singole; comunità alloggio;
istituti di ricovero fino al loro completo superamento; segnalazione dei minori
in situazione di abbandono; rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di
tutela e curatela; autorizzazione preventiva a funzionare degli Istituti
pubblici e privati di ricovero per minori, anziani, handicappati; vigilanza
sulle istituzioni pubbliche e private di assistenza; Interventi nei confronti
dei minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili;
prestazioni di protezione sociale nel confronti delle persone dedite alla
prostituzione o al vagabondaggio; assistenza post-penitenziaria; servizi diurni
per handicappati psichici e pluriminorati gravissimi non Inseribili nel
lavoro; assistenza alle gestanti e madri nubili o coniugate in difficoltà,
comprese le attività dirette a garantire il segreto del parto alle donne che
non intendono riconoscere i propri nati».
(21) In quel periodo la maggiore età
era prevista al compimento dei 21 anni.
(22) Per quanto riguarda le persone
non in grado di autodifendersi, una valida definizione dei diritti è stabilita
dalla legge 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento
dei minori»:
- diritto del minore di essere
educato nell'ambito della propria famiglia;
- affidamento familiare a scopo
educativo dei minori con famiglie in difficoltà;
- adozione dei minori in situazione
di abbandono materiale e morale.
Anche le procedure sono chiare e
adeguate:
- segnalazione dei minori ricoverati
in. istituto;
- invio degli elenchi semestrali dei
ricoverati in istituto;
- ispezioni semestrali dei giudici
tutelar] sulle strutture di ricovero.
(23) Si pensi, ad esempio, alla quasi
totale disapplicazione, ancora oggi estremamente estesa, del R.D. 3 marzo
1934, n. 383, il quale stabilisce che «sono
obbligatorie per i Comuni le spese concernenti gli oggetti ed I servizi appresso
indicati: (...) mantenimento degli Inabili al lavoro». L'attuazione di
questa norma, che obbligava ed obbliga i Comuni a provvedere agli inabili al
lavoro e perciò ai bambini, agli handicappati minori e adulti ed agli anziani,
avrebbe evitato e può evitare sofferenze spesso gravissime a migliaia di
persone.
(24) Segnaliamo che il Presidente
dell'Unità sanitaria locale n. 24, con sede in Collegno (Torino) invia
giustamente una comunicazione scritta nei casi di non accoglimento della
richiesta. Un esempio: «Con la presente
Le comunichiamo che con delibera del Comitato di gestione n.... del... è stato
dato parere sfavorevole all'erogazione del contributo economico da Lei
richiesto, poiché la sua situazione non rientra nei criteri stabiliti dalla
delibera n. 24 del 27-31985 "Assistenza economica - Criteri per la
determinazione del contributi economici e procedure per l'erogazione -
Approvazione"».
(25) È significativa l'enfasi
inaccettabile che viene data al concetto di «decodificazione delle richieste
degli utenti», come se gli utenti stessi, in principio, non fossero mai in
grado di esprimere le loro esigenze.
(26) L'autonomia professionale degli operatori
deve essere non solo salvaguardata ma anche valorizzata; non deve però
sconfinare nell'ambito delle decisioni politiche. Mentre molti affermano, e
giustamente, che i politici non devono interferire nelle decisioni
tecnico-operative, è anche vero il contrario.
(27) Non sono rari i casi in cui
traspare una azione programmata, diretta ad emarginare i più indifesi.
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