Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre
1989
IL DIRITTO ALLA FAMIGLIA DEI BAMBINI IN DIFFICOLTA’ O IN SITUAZIONE DI ABBANDONO: UN APPELLO ALLA COLLABORAZIONE ED ALLA SOLIDARIETA’
Nei mesi
scorsi si è riunito presso l'ISTISSS (Istituto per gli studi sui Servizi
Sociali) di Roma un gruppo informale composto da: Giorgio Battistacci,
magistrato, Procuratore della Repubblica di Perugia, Oreste Benzi,
Responsabile Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini, Celso Coppola,
Funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, componente del Consiglio
direttivo dell'ISTISSS; Grazia Maria Dente, Vice-Presidente del MOVI, Aurelia
Florea, Direttore ISTISSS, Francesca Ichino Pellizzi, Componente del Consiglio
direttivo del Centro Ausiliario Minorile (CAM) di Milano, Alfredo Carlo Moro,
Consigliere di Cassazione, Direttore della Rivista «Bambino incompiuto»,
Marisa Musu, Presidente Nazionale Coordinamento Genitori Democratici (CGD);
Giovanni Nervo, Presidente Fondazione «E. Zancan», Giorgio Pallavicini,
Presidente Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie (ANFAA);
Ernesta Rogers, Docente di Servizio Sociale della Scuola C.E.P.A.S. di Roma -
Componente Consiglio Direttivo dell'ISTISSS, Milena Santerini, Responsabile
dell'Associazione Cultura Assistenza Popolare (ACAP) e componente della
Comunità di S. Egidio di Roma; Maria Teresa Tavassi, della Caritas Italiana,
Frida Tonizzo, Rappresentante del Coordinamento Sanità Assistenza fra i
movimenti di base di Torino, Tiziano Vecchiato, Coordinatore tecnico scientifico
della Fondazione «E. Zancan».
Il gruppo ha
elaborato, dopo un approfondito confronto, il documento sul tema «Il diritto
alla famiglia dei bambini in difficoltà o in situazione di abbandono: un appello
alla collaborazione ed alla solidarietà», che pubblichiamo integralmente.
Le persone e le associazioni o i gruppi che intendono
aderire al documento sono pregate di comunicarlo per iscritto all'ISTISSS,
Viale Villa Pamphili 84, 00152 Roma RM.
Premessa
Con l'approvazione da parte del Parlamento italiano
della legge 431 del 5/6/1967 che introdusse l'adozione speciale (legittimante)
nel nostro Paese, venne giuridicamente sancito il principio profondamente rivoluzionario
per la cultura dell'epoca che il bambino non è una proprietà dei genitori che
ne possono fare quello che a loro aggrada; che si è genitori non tanto per aver
dato biologicamente la vita quanto per aver saputo, nell'affetto, contribuire
alla costruzione di una personalità matura; che il ragazzo non è solo un
oggetto del diritto ma anche soggetto e titolare di autonomi diritti; che nel
conflitto tra interessi del minore e quelli dell'adulto sono quelli del primo,
cittadino in formazione, che devono prevalere.
Le leggi successive - da quelle di riforma del
diritto di famiglia a quelle sull'affidamento familiare - hanno ribadito ed
ampliato questi principi, riconoscendo un globale diritto del minore
all'educazione - e cioè a tutti gli aiuti positivi indispensabili per
sviluppare la propria personalità ed aprirsi in libertà alla socialità - che
l'ordinamento deve garantire e per cui la Repubblica richiede un concreto
apporto di solidarietà di tutti i membri della nostra comunità nazionale.
In questi vent'anni - per l'incidenza delle affermazioni
normative, per l'opera della giurisprudenza degli organi giudiziari minorili,
per l'acuta attenzione ai bisogni dell'infanzia della dottrina non solo
giuridica, per una più puntuale sensibilizzazione dei servizi - molti
progressi sono stati compiuti per riconoscere al minore lo status di persona e
per garantirne effettivamente i suoi fondamentali diritti.
Ma non possiamo non rilevare che ancora permangono
gravi ombre. Non solo perché permane una diffusa violenza - non esclusivamente
nelle forme del maltrattamento fisico o dell'abuso sessuale ma anche in quella
della violenza psicologica o della trascuratezza - che si abbatte sui nostri
ragazzi, spesso considerati cose e non persone, merce e non soggetti di un
rapporto interpersonale, contenitori entro cui versare un contenuto
predeterminato dell'adulto e non portatori di autonome potenzialità da
rispettare. Ma anche perché continuamente riemergono, e la stampa e la
televisione spesso se ne fanno eco diffondendoli ed avallandoli, atteggiamenti
che enfatizzano i diritti degli adulti e sostanzialmente misconoscono quelli
dei ragazzi mentre va accentuandosi, attraverso la utilizzazione spettacolare
dei casi, uno sfruttamento del bambino esclusivamente in funzione degli
interessi o delle curiosità dell'adulto.
E non può non essere sottolineato che, mentre si va
cercando di suscitare e sviluppare una nuova cultura dell'infanzia, i mezzi di
comunicazione di massa e la pubblicità veicolano messaggi non corretti sul modo
con cui impostare un soddisfacente e rispettoso rapporto adulto-bambino.
Né possiamo trascurare il fatto inquietante che non
in tutte le realtà territoriali del nostro Paese i servizi della comunità sono
attrezzati in modo da assicurare adeguato sostegno al bambino a rischio ed alla
famiglia in difficoltà.
1) La istituzionalizzazione costituisce un abuso
Tra gli abusi perpetrati ai danni dei minori assume
particolare rilievo quello della loro istituzionalizzazione quando versano in
situazioni di difficoltà derivanti generalmente dall'assenza o dalla
inadeguatezza morale e/o materiale della loro famiglia.
Nonostante che la legge 184/83 prescriva perentoriamente
che si può ricorrere al ricovero in istituto di un minore solo quando sia
dimostrata l'impossibilità di utilizzare le altre forme di intervento
assistenziale (aiuto alla famiglia d'origine, affidamento, adozione), in base
ai più recenti dati ISTAT, risulta che attualmente in Italia sono almeno
55.000 i minori ricoverati a spese degli enti locali e/o delle famiglie, negli
istituti assistenziali pubblici e privati di cui circa il 30% di età superiore
a 14 anni. A questi vanno aggiunti 8000 minori handicappati di cui 3000 di età
inferiore ai cinque anni.
L'istituzionalizzazione di un minore specie nella
prima infanzia costituisce un abuso in quanto è scientificamente dimostrato che
la mancanza o anche solo la insufficienza di rapporti stabili e personalizzati
provocano carenze affettive che inducono nel minore effetti estremamente
negativi, capaci di pregiudicare, spesso in modo irrimediabile, la sua
evoluzione psichica e, spesso, anche fisica.
L'istituto, per la sua intrinseca natura, non è in
grado di soddisfare le esigenze affettive dei minori indipendentemente
dall'impegno e dalla professionalità di quanti operano nell'istituto stesso.
Ne consegue che il ricovero di un minore, soprattutto
se prolungato, significa pregiudicarne in grave misura la strutturazione della
personalità e la possibilità di un armonico sviluppo nonché una sua articolata
maturazione; ricoveri, anche se brevi nel tempo, rischiano comunque di deresponsabilizzare
egualmente la famiglia e di ritardare nel tempo l'avvio di altre soluzioni
alternative.
Non
si dimentichi inoltre che il ricovero in istituto, anche se ben strutturato e
riorganizzato:
- affievolisce i rapporti bambino-genitori, specie
quando la sede dell'istituto è fontana dal domicilio della famiglia;
- induce g1i operatori socio-assistenziali, ché
dovrebbero lavorare a reperire soluzioni più adeguate in tempi brevi, a
rallentare l'impegno, anche perché pressati da nuove emergenze;
- deresponsabilizza la famiglia d'origine e la stessa
comunità locale nei confronti del nucleo in difficoltà.
Di fatto il ricovero in istituto, anche quando sia
inizialmente previsto come temporaneo, si trasforma quasi sempre in anni di
permanenza in una struttura pedagogicamente negativa. E non è questione - va
ripetuto - di «qualità» delle persone che vi lavorano in quanto a disponibilità
e dedizione, ma è questione di «struttura» pedagogicamente inidonea.
Al numero dei minori assistiti negli istituti vanno
aggiunti gli allievi della scuola dell'obbligo che, in numero imprecisato, ma
non trascurabile sono ricoverati in collegi ed in convitti. Anche per loro
valgono le considerazioni prima svolte, giacché in quanto a carenza di cure
familiari, la loro situazione non si discosta sostanzialmente da quella dei
foro coetanei istituzionalizzati.
2) Le priorità d'intervento nella legge 4 maggio
1983, n. 184
La legge 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione
e dell'affidamento dei minori», ha codificato un consolidato orientamento
della politica sociale già fatto proprio dalla Costituzione repubblicana,
considerando la famiglia come diritto fondamentale del minore e, più in
generale, come risorsa per la comunità e per quanti, nella comunità, ne siano
temporaneamente o definitivamente privi.
Al tempo stesso la legge, ribadendo il principio
della preminenza del diritto del minore, amplia il campo di intervento della
Magistratura minorile e attribuisce maggiori competenze ai Servizi locali
stabilendo in modo inequivocabile, come già detto in precedenza, una precisa
scala di priorità secondo la quale devono essere attuati gli interventi a
favore dei minori in difficoltà per effetto delle carenze familiari.
Secondo tale scala di priorità, giova ripeterlo, il
ricovero di un minore in un istituto pubblico o privato è considerato un
doloroso ripiego a cui ricorrere in ultima istanza solo quando si sia dimostrata
l'impossibilità di attuare gli altri interventi.
Sottrarre le migliaia di bambini, compresi quelli
portatori di handicap, ancora istituzionalizzati, alle gravissime conseguenze
delle carenze di cure familiari conseguenti al loro stato di ricoverati,
rappresenta innanzitutto, ed ai di là di ogni altra considerazione, la pura e
semplice attuazione di una legge dello Stato italiano.
3) Un obiettivo che si può raggiungere
Per conseguire questo obiettivo in conformità alle
indicazioni contenute nella legge 184/83, occorre un impegno coordinato degli
amministratori, degli operatori e dei magistrati minorili affinché siano
attuati i seguenti impegni:
a) garantire l'aiuto alle famiglie per crescere i
figli, attraverso la messa a disposizione di servizi primari (ad esempio: casa,
scuola, strutture dei tempo libero, ecc...) e di interventi socio-assistenziali
adeguati (aiuti economici, assistenza domiciliare, sostegno psicologico e
pedagogico alle famiglie-problema);
b) promuovere l'affidamento familiare dei minori che
non possono continuare a vivere nella propria famiglia e che non sono
adottabili;
c) segnalare tempestivamente da parte degli operatori
sociali, sanitari e scolastici, e dei cittadini i minori in situazione di
potenziale abbandona alla autorità giudiziaria competente;
d) ricorrere in modo più deciso alla dichiarazione
di adottabilità da parte dei Tribunali per i minorenni quando appaia evidente
il disinteresse dei genitori nei confronti del figlio e la irrecuperabilità di
un adeguato rapporto genitoriale, senza dilazioni che segnano traumaticamente
il bambino e rendono poi difficile un inserimento adottivo;
e) sviluppare le esperienze di comunità stabili di
tipo familiare, nonché di comunità alloggio o case famiglia di pronto
intervento: le une e le altre devono essere intese come strutture in cui vive,
in una normale casa di abitazione, un piccolo numero di minori (non più di
6-8) con significative figure adulte di riferimento. Non possono rientrare in
queste tipologie le ristrutturazioni dei vecchi istituti in gruppi cosiddetti
autonomi all'interno della stessa struttura.
Si rileva inoltre che devono essere assunte le
necessarie iniziative affinché la durata dell'accoglimento in comunità
alloggio e case famiglie sia la più breve possibile in modo da assicurare al
più presto situazioni familiari stabili ai minori in difficoltà.
4) Interventi prioritari per i bambini più piccoli
Si ritiene che debbano essere privilegiati gli
interventi a favore dei minori più piccoli (0-10 anni), in considerazione del
carattere preventivo che in questo caso vengono ad assumere i corretti
interventi assistenziali e delle conseguenze particolarmente negative del
ricovero in istituto dei minori di questa fascia di età.
Una particolare attenzione deve essere rivolta anche
ai piccoli sieropositivi e rifugiati. Particolarmente grave, perché costituisce
un fenomeno in espansione, è l'istituzionalizzazione dei figli degli stranieri
per i quali vanno attivati particolari interventi di sostegno ai nuclei familiari
di origine e più articolati aiuti per evitare 1a separazione dai genitori.
5) Iniziative specifiche per gli handicappati
Le proposte di cui ai paragrafi precedenti riguardano
ovviamente anche i minori handicappati, siano essi fisici, psichici o
sensoriali. In particolare si sottolinea che non é accettabile il ricovero di
handicappati in istituto, motivato da esigenze riabilitative: è assurdo
migliorare le condizioni fisiche dei minori e danneggiare - a seguito dell'istituzionalizzazione
- quelle psichiche. Per una reale promozione umana e sociale degli handicappati,
è necessario operare per il loro inserimento a tutti i livelli (scuole
materne, dell'obbligo e superiori, formazione professionale, lavoro, casa,
trasporti, ecc.).
6) Che cosa può e deve fare la comunità
La realizzazione degli interventi finora delineati
comporta la necessità fondamentale di attribuire ad un unico organo locale le
funzioni relative alla programmazione e alla gestione dei servizi.
Va rilevato che tale organo di governo unificato,
pur precisato dal DPR 24 luglio 1977 n. 616, stenta però a trovare una
applicazione concreta per i vari interessi coinvolti.
Solo se si arriverà ad una gestione unificata (che
superi l'attuale frammentazione delle competenze svolte dai Comuni singoli,
dalle Province, dalle USSL), le prestazioni assistenziali potranno essere
riferite ai nuclei familiari, evitando che nei riguardi delle stesse persone
intervengano operatori diversi, con competenze e pi Enti di riferimento
politico-amministrativi diversi. Altrimenti non si potranno progettare
interventi globali, integrati, verificabili periodicamente in base agli
obiettivi individuati, e solo così sì eviteranno vuoti di intervento o
preoccupanti disorientamenti per la confusione tra coloro che intervengono
settorialmente (e quindi spesso incoerentemente) nella vita del bambino e
della sua famiglia d'origine.
È anche fondamentale sottolineare quanto sia
indispensabile per assicurare al minore in difficoltà un adeguato aiuto la
partecipazione di persone, gruppi e associazioni sia alla programmazione
generale degli interventi sia alla loro attuazione.
7) Un appello
I firmatari di questo documento; alla luce di quanto
esposto, lanciano un appello per la riforma dell'attuale sistema assistenziale
e per la corretta applicazione della legislazione vigente.
Concretamente ciò significa:
1) creare un sistema di informazione regionale sulla
situazione di minori in difficoltà, attraverso il censimento degli istituti e
l'anagrafe dei minori ivi ricoverati. Dette informazioni devono essere
continuamente aggiornate, e riportare anche la analisi delle cause e della
durata del ricovero;
2) assicurare una migliore vigilanza e controllo
anche sulle nuove strutture di ricovero, e una più adeguata formazione e
qualificazione del personale in esse operante;
3) promuovere, se possibile unitariamente
(magistratura, amministratori, operatori, associazioni, gruppi di
volontariato), la sensibilizzazione dei cittadini affinché le famiglie e le
persone possano conoscere la situazione dei minori in difficoltà e segnalare
agli enti locali la loro disponibilità per l'affidamento familiare;
4) valorizzare l'azione del volontariato sia per
prevenire le situazioni rischio sia per superarle;
5) provvedere alla selezione-preparazione delle
famiglie e persone disponibili, e assicurare ai bambini e ragazzi, alle
famiglie d'origine e affidatarie tutte le prestazioni necessarie per la buona
riuscita dell'affidamento. Interventi analoghi devono essere previsti per la
realizzazione delle adozioni, con particolare riferimento ai bambini grandi o
handicappati;
6) garantire le risorse necessarie, sia come disponibilità
economica che come personale, per l'istituzione e lo sviluppo delle soluzioni
alternative al ricovero in istituto e per l'aiuto, non solo economico, alla
famiglia d'origine;
7) predisporre programmi di formazione e aggiornamento
degli operatori perché acquisiscano competenze adeguate a rendere efficaci le
soluzioni alternative all'istituto;
8) coinvolgere la comunità (scuola, cultura, mondo
del lavoro, mass media, ecc.), perché contribuisca utilmente all'avanzamento
dei programmi educativi e di socializzazione per i ragazzi in difficoltà.
Un appello particolarmente pressante deve essere
rivolto alle famiglie che hanno già avuto la gioia di avere figli propri e che
hanno così vissuto la esaltante esperienza di vedere fiorire nell'affetto un
nuovo essere umano e nel contempo di vedere profondamente arricchita dal
continuo contatto con lui la propria umanità.
Un appello perché si aprano alla solidarietà verso i
più deboli e indifesi, perché diano un concreto aiuto ad impedire i tanti
aborti psicologici di bambini nati all'esistenza ma non alla vita vera e
piena; perché si prendano carico non solo un bambino a rischio ma anche una
famiglia spesso solo sventurata e in grave difficoltà.
È stato detto, con eccessiva precipitazione, che
l'istituto dell'affidamento familiare è ormai fallito: riteniamo che esso stia
lentamente avviandosi, e non poteva che essere così, perché non si tratta di
un intervento facile che richiede solo una generica disponibilità.
Perché esso possa dare una risposta, l'unica
risposta, adeguata per le esigenze di tanti bambini, è necessaria non solo una
generosa disponibilità sociale delle famiglie ma anche una adeguata
comprensione da parte dei servizi del ruolo che deve essere da loro svolto a
sostegno della famiglia affidante e del nucleo affidatario.
Ed è necessario che i mezzi di comunicazione sociale
sappiano correttamente riferire su questa affascinante esperienza di
solidarietà, senza lanciare messaggi ambigui e talvolta mistificanti.
Vi è stata una emotiva mobilitazione dell'opinione
pubblica sul caso di Serena Cruz: ci auguriamo che tanta gente commossa per le
sofferenze di un piccolo essere umano sappia guardare ai molti piccoli che non
troveranno mai una famiglia capace di dare calore e sicurezza alla propria
vita se ci si limiterà a parlare delle sofferenze dell'infanzia ma non si farà
nulla, che impegni se stessi, per lenirne qualcuna.
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