Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989

 

 

LA RIFORMA DELL'ASSETTO POLITICO E ORGANIZZATIVO DEI SERVIZI SOCIALI

GRUPPO PERMANENTE DI LAVORO PER GLI INTERVENTI ALTERNATIVI AL RICOVERO (*)

I

 

Il nodo non risolto nell'assetto dei servizi so­ciali nelle Regioni -e quindi anche in Piemonte - è dato dal rapporto fra organi gestionali (oggi prevalentemente collocati nelle USSL) e assetto dei poteri locali (Province e Comuni). Di fronte alla scissione fra gestione USSL e indirizzo poli­tico-amministrativo degli enti locali, il ruolo del­la Regione si limita ad una funzione di mediazio­ne notarile e di debole orientamento program­matorio, senza assumere iniziative per lo svi­luppo del sistema dei servizi nella direzione del­le territorialità e degli interventi domiciliari al­ternativi al ricovero.

Ribadiamo perciò che l'indirizzo politico e la gestione dei servizi di base devono trovare il massimo di armonizzazione e di responsabilità in capo al medesimo Ente di governo.

La gestione e l'organizzazione delle Unità so­cio-sanitarie locali (USSL) devono rispondere ad alcuni criteri di fondamentale importanza:

- tenere conto delle esigenze degli utenti dei servizi sanitari e assistenziali;

- essere coerenti con le esigenze dei citta­dini riferite agli altri servizi (ad esempio, dirit­ta allo studio, casa, servizi sportivi, culturali e ricreativi);

- superare la frammentazione e la dispersio­ne di servizi affidati a Comuni con pochi abitanti che non sono in grado di istituirli e gestirli sen­za sprechi;

- concorrere alla riduzione della spesa pub­blica parassitaria;

- razionalizzare gli aspetti burocratici, eli­minando incertezze, sovrapposizioni e ritardi.

 

Il nuovo Comune

Sulla base dei riferimenti di cui sopra, si ritie­ne che l'obiettivo finale da realizzare con la ne­cessaria gradualità, sia la rifondazione del Co­mune, in modo che il Comune stesso rifondato sostituisca le USSL.

Il Comune rappresenta infatti il riferimento più vicino ai cittadini; inoltre è l'ente al quale la popolazione si rivolge in prima istanza.

Al nuovo Comune devono quindi far capo le competenze dei servizi primari (sanità, casa, as­sistenza, cultura, sport, diritto allo studio, tem­po libero, ecc.) in modo che essi rispondano, nella misura più globale possibile, alle attese e alle domande della popolazione.

Occorre quindi che i nuovi Comuni abbiano una popolazione sufficiente a consentire l'isti­tuzione dei necessari servizi di base, tenendo conto delle condizioni del territorio e della in­tensità demografica.

Occorre evitare sia un sottodimensionamento del Comune rifondato (anche per gli evidenti costi supplementari), sia il sovradimensionamen­to che comporterebbe eccesso di burocratizza­zione e quindi anche sprechi economici.

Per quanto riguarda il Piemonte, l'attuale de­limitazione territoriale delle USSL è sostanzial­mente idonea non solo per i servizi sanitari e as­sistenziali, ma anche per gli altri servizi sopra indicati.

La maglia delle attuali USSL costituisce per­ciò il quadro di riferimento per istituire entità amministrative nuove (« nuovi Comuni u) con unici organi elettivi: consigli, giunte e sindaci.

Si tratta di un obiettivo istituzionale che com­porta forti innovazioni di natura culturale e che, perciò, richiede una forte iniziativa politica nelle varie fasi di attuazione.

Come momento intermedio proponiamo di as­sumere, come modello istituzionale di riferimen­to, quello che in Piemonte trova attuazione nel­le due comunità montane che coincidono con le USSL: ossia l'Associazione obbligatoria dei Co­muni che attraverso i propri organi elettivi (As­semblea, Giunta, Presidente) gestisce sia i ser­vizi sanitari e assistenziali, sia numerose altre attività sociali, economiche e culturali.

Proprio in ragione della globalità (anche se incompleta) delle funzioni svolte da un unico livello istituzionale, nelle due comunità monta­ne si è raggiunto un buon livello di efficienza.

Partendo da quanto sopra esposto si propone che:

1) sia rafforzata, in particolare nell'emananda legge sulle autonomie locali, l'associazione ob­bligatoria fra Comuni non solo per la gestione dei servizi sanitari e assistenziali, ma anche di quelli inerenti il diritto allo studio, la cultura, le attività sportive e ricreative, ecc.;

2) la Regione Piemonte deleghi alle Associa­zioni intercomunali competenze in materia di di­ritta allo studio, cultura, sport, tempo libero, ecc.;

3) sia rivalutato il ruolo delle Assemblee in­tercomunali, alle quali devono essere sottoposti tutti i provvedimenti adottati dai Comitati di ge­stione. Pertanto i Comuni singoli potrebbero, tramite i propri rappresentanti nelle assemblee, effettuare un costante controllo sulle decisioni dei Comitati di gestione;

4) nella gestione sia chiaro il ruolo di scelta politica della maggioranza e quello di controllo della minoranza;

5) siano potenziate le responsabilità specifi­che degli apparati tecnici chiamati a dare realiz­zazione alle decisioni assunte.

L'assetto ipotizzato richiede nuovi criteri di elezione delle Assemblee intercomunali, affinché siano in tutta la misura del possibile espressione diretta dei Comuni.

Si propone che la Regione Piemonte emani una legge attuativa dei seguenti criteri:

a) i Consigli dei Comuni superiori ai 10 mila abitanti designano direttamente i propri rappre­sentanti. Ai Comuni stessi deve essere ricono­sciuto il diritto di revocare e sostituire in qual­siasi momento i propri rappresentanti;

b) i Comuni di ciascuna Associazione, aventi una popolazione inferiore ai 10 mila abitanti, de­signano i propri rappresentanti nell'Assemblea intercomunale tramite la costituzione di un uni­co collegio elettorale, così come avviene attual­mente;

c) sia rispettato il criterio del numero degli abitanti per la definizione dei posti da attribuire ai sensi delle precedenti lettere a) e b).

Per la città di Torino, l'assetto istituzionale deve prevedere:

- un livello centrale: Consiglio, Giunta e Sin­daco, che svolge funzioni di indirizzo politico, coordinamento e controllo;

- un livello decentrato: le 10 circoscrizioni, ciascuna con un Consiglio, una Giunta ed un Pre­sidente, le quali gestiscono tutti i servizi di ba­se del rispettivo territorio.

Funzioni sovrazonali vanno affidate a singole Circoscrizioni indicate dal livello centrale, men­tre le funzioni di sostegno all'attività di tutte le Circoscrizioni vanno conservate a livello centra­le e ivi potenziate.

Nella rifondazione del Comune sulla base del­le attuali Associazioni intercomunali può venire a soluzione anche la questione tuttora non risol­ta del distretto di base.

 

Il distretto di base

Nonostante che la vigente normativa conside­ri il distretto il punto cardine di tutta la nuova organizzazione socio-sanitaria (i cui compiti fon­damentali, oltre alle prestazioni di base e pronto intervento, sono quelli di promuovere preven­zione, partecipazione e attività integrate di rispo­sta ai bisogni di un territorio), lo stato di attua­zione dei distretti nel territorio piemontese in­contra forti difficoltà di ordine culturale, strut­turale ed organizzativo.

Il distretto, infatti, oltre che un territorio ade­guato a localizzare tutti i servizi di base (10-20 mila abitanti), deve comportare:

- la valorizzazione di un'area territoriale de­finita in base a chiarì aspetti geografici, cultura­li, demografici e socio-economici;

- un'unità operativa stabile pluridisciplinare che consenta un approccio globale alle proble­matiche;

- una sede che costituisca facile e immedia­to riferimento per gli operatori e la popolazione. Va sottolineato che l'obiettivo non è genera­lizzare un modello univoco di organizzazione dei servizi da applicarsi in modo standardizzato alle varie realtà territoriali, ma organizzare le rispo­ste adattandole ai bisogni negli specifici conte­sti territoriali dove il bisogno nasce.

Se, quindi, nell'individuazione di nuovi modelli organizzativi l'elemento determinante è dato dal territorio con le sue diverse componenti (la cul­tura, la storia, i bisogni, la presenza/assenza di servizi, gli ambiti di aggregazione, i rischi.....), è essenziale che non si operi in base alle logiche per servizi, ma per programmi e problemi.

È infine necessaria riprendere mano, nel ridi­segno dell'assetto istituzionale ed organizzativa dei servizi sociali sul territorio, al problema del­la partecipazione delle forze della società civile.

Tale partecipazione deve ritrovare procedure adeguate per essere riconosciuta e valorizzata e vanno introdotti a livello di Associazione inter­comunale e Città di Torino luoghi formali in cui la partecipazione dei cittadini assuma il peso di un potere che concorre alle scelte dei servizi ed al controllo sul loro funzionamento.

 

Le tendenze della legislazione nazionale

Non vanno in queste direzioni le proposte di legge avanzate a livello nazionale. Esse infatti non favoriscono né la ricomposizione territoria­le dei servizi, né livelli più elevati di responsabi­lità, organizzazione, controllo sociale dei me­desimi.

 

Proposta di legge sulle autonomie locali

Il Governo ha presentato il disegno di legge n. 2924 « Ordinamento delle autonomie locali », che non contiene alcun riferimento né alle Unità socio-sanitarie (e nemmeno sanitarie), né alle ricomposizioni delle funzioni sociali (diritto allo studio, cultura, attività sportive e ricreative, for­mazione professionale, ecc.) che i Comuni con pochi abitanti non sono in grado di gestire sen­za sprechi di denari e di personale.

In particolare il testo approvato il 27 luglio 1988 dalla 1a Commissione permanente tende a scindere le funzioni politiche e di indirizzo degli enti locali dalle funzioni di erogazione dei servizi affidando queste ultime a organismi di tipo aziendale.

Nel testo suddetto è solamente previsto che:

«I Comuni e le Province per la gestione as­sociata di uno o più servizi possono costituire un consorzio» (art. 10).

«Due o più Comuni contermini, appartenenti alla stessa provincia, ciascuno con popolazione non superiore a 5 mila abitanti, possono costitui­re una unione per l'esercizio di pluralità di fun­zioni. Entro dieci anni dalla costituzione della unione deve procedersi alla fusione.

«Qualora non si pervenga alla fusione, l'unio­ne è sciolta» (art. 11).

«I Comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti articolano il territorio per istituire le circoscrizioni di decentramento, quali organi­smi di partecipazione, di consultazione e di ge­stione dei servizi di base, nonché di esercizio delegate dal comune» (art. 17).

«Le comunità montane sono enti costituiti della stessa provincia, allo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane, l'esercizio associato delle funzioni comunali, nonché la fu­sione di tutto o parte dei Comuni associati» (art. 18).

«I Comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

a) in economia quando per le modeste dimen­sioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azien­da;

b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;

c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;

d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;

e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale» (art. 23).

«1. L'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.

«2. L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, do­tato di autonomia gestionale.

«3. Organi dell'azienda e dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e l'amministratore delegato, al quale compete la responsibilità gestionale (...).

«6. L'ente locale conferisce il capitale di do­tazione, determina le finalità e gli indirizzi, ap­prova gli atti fondamentali; esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali» (art. 24).

 

Proposte di legge in materia di sanità e assi­stenza

Nell'ambito della sanità, il ddl n. 1942 «Modi­fiche all'ordinamento del Servizio sanitario na­zionale» ripreso nel recentissimo decreto legge n. 111 del 25.3.1989, riforma Unità sanitarie (non socio-sanitarie) di ampie dimensioni (da 200 a 400 mila abitanti), intese come aziende ammini­strative regionali. Anche se i Consigli di ammi­nistrazione di dette aziende sono nominati con deliberazione del Consiglio comunale o dall'As­semblea dell'Associazione dei Comuni o delle Comunità montane, le previste aziende sono or­gani del tutto separati dai Comuni.

Il disegno di legge 1942 prevede inoltre una netta separazione fra gli ospedali: da una parte gli ospedali ex regionali, clinicizzati, riconosciuti ad alta specializzazione (e in certi casi anche quelli con più di 500 posti letto e utenza multi­regionale) per i quali prevede che siano resi au­tonomi rispetto alle USSL e gestiti da appositi Consigli di amministrazione; dall'altra parte, gli ospedali rimanenti che dovrebbero continuare a far parte dei presidi gestiti dalle USSL.

Infine l'art. 5 del disegno di legge n. 1942 sta­bilisce che le nuove Unità sanitarie provvedono altresì « agli interventi di carattere sociale di­rettamente connessi a quelli sanitari nei con­fronti degli anziani non autosufficienti, degli han­dicappati, dei tossicodipendenti, dei disabili psi­chici, nonché agli interventi riguardanti l'area materno-infantile », senza indicare modalità di organizzazione e di inquadramento del personale.

Nulla viene detto rispetto alle altre prestazio­ni socio-assistenziali, can la conseguenza di sta­bilire di fatto una separazione fra i compiti sani­tari e socio-assistenziali.

Per quanto riguarda l'assistenza sono state presentate alla Camera le proposte di legge n. 246 (On. Foschi), n. 683 (On. Martinazzoli), n. 259 (On. Aniasi - bozza). Inoltre è stato predi­sposto da alcune Regioni un testo finora non presentato al Parlamento.

Per quanto riguarda le proposte e bozze di ri­forma dell'assistenza, le carenze principali sono:

- la non obbligatorietà della gestione dei ser­vizi a livello dell'USSL;

- la non obbligatorietà per i Comuni singoli o associati di istituire i servizi entro un termine prefissato. Ne deriva che, nel pieno rispetto della legge, i Comuni singoli o associati possono rifiutare l'istituzione di qualsiasi servizio;

- la mancata previsione di un vero e proprio diritto esigibile da parte degli utenti nei con­fronti degli organismi preposti alla gestione. La conseguenza inevitabile è la discrezionalità de­gli interventi e la indeterminatezza dei tempi di erogazione delle relative prestazioni, discrezio­nalità degli interventi e indeterminatezza dei tempi che favoriscono certamente il ricovero in istituto anche di coloro che sceglierebbero di vivere a casa se supportati da idonei servizi;

- l'attribuzione di compiti alle Province, com­piti che possono bloccare ogni attività degli enti gestori;

- l'assenza di norme dirette a definire che cosa si debba intendere per R organizzazioni senza fini di lucro n ed a prevedere effettivi con­trolli, con il conseguente pericolo di sviluppo di iniziative speculative;

- la possibilità di erogare i servizi anche al­le persone in grado di provvedervi con i propri mezzi.

È significativo osservare che le quattro inizia­tive legislative stabiliscono che il fondo di finan­ziamento delle attività assistenziali è costituito anche «da una quota non superiore al 5% dello stanziamento annuale del fondo sanitario nazio­nale», e quindi anche zero.

Per quanto riguarda le IPAB, le proposte non garantiscono, con norme esplicite, che i patri­moni delle IPAB stesse, anche nei casi di priva­tizzazione o di trasferimento ai Comuni, siano vincolati all'assistenza.

Leggendo in modo combinato le tendenze de­scritte - che riguardano la riforma delle autono­mie locali, quella della sanità e quella dell'assi­stenza - si ricava la prospettiva di:

- enti locali politicamente precari, con forti differenze tra zone forti (aree metropolitane) e zone deboli e periferiche;

- servizi di interesse generale gestiti solo con criteri imprenditoriali-produttivistici ma fuo­ri di quadri organici di programmazione del ter­ritorio;

- servizi sanitari separati dal potere locale e sospinti in una logica più tecnica che sociale, con abbandono delle finalità di prevenzione e riequilibrio;

- interventi assistenziali lasciati alla spon­taneità delle singole amministrazioni, mal finan­ziati e scarsamente o per nulla integrati con in­terventi volti ad elevare in generale e per tutti la qualità della vita; mancanza nel contempo, di un chiaro impegno, sostenuto dalla legge, per tutelare e difendere la condizione dei realmente deboli, in una garanzia effettiva dei loro diritti di cittadinanza.

 

 

II

 

CHE COSA FARE IN PIEMONTE

 

Anche in Piemonte le tendenze ora descritte non mancano di proiettare conseguenze negati­ve sulle prestazioni e la qualità dei servizi:

La normativa regionale vigente aveva dise­gnato linee di riordino dei servizi socio-assisten­ziali, piani socio-sanitari e legge 20/82 che, nelle realtà che hanno attivato interventi, hanno con­sentito alle comunità locali piemontesi di misu­rarsi con problemi concreti delle attività socio­assistenziali. In questa fase:

- da un lato si assiste al faticoso processo di definizione del soggetto istituzionale designa­to a gestire i servizi socio-assistenziali: il pro­cesso è tutt'altro che compiuto, ed appare su­scettibile di grosse deformazioni, quali la fran­tumazione di competenze tra le USSL ed i Co­muni singoli, la progressiva separazione delle USSL dai Comuni, diventando le prime più «aziende autonome» che strumento di Enti locali;

- dall'altra si assiste oggi a frequenti battute di arresto nella realizzazione di una politica dei servizi aderente ai bisogni delle fasce più emar­ginate di popolazione: le risposte date dai ser­vizi ai bisogni socio-sanitari privilegiano il mo­mento curativo e riparatorio a svantaggio di quello preventivo;

- le scelte politiche non privilegiano gli in­terventi domiciliari e l'attuazione di una rete territoriale di risorse. Sono indicativi di ciò,. ad esempio, l'ampliarsi dei finanziamenti regionali per le strutture di ricovero e l'assenza di vincoli alla realizzazione di servizi domiciliari nell'asse­gnazione di finanziamenti per la gestione dei servizi.

È quindi indispensabile affermare alcune prio­rità politiche, culturali e organizzative per frena­re l'involuzione e favorire la ripresa di sviluppo del sistema dei servizi.

 

Ricomporre al massimo possibile in capo alle attuali USSL la babele delle competenze socio­assistenziali

Il quadro attuate delle competenze è il se­guente:

 

Nessuna competenza

La Regione Piemonte e gli enti locali non han­no competenza (art. 24 del DPR 61G/1977) per gli interventi di protezione sociale riguardanti gli appartenenti alle forze armate, all'arma dei cara­binieri, agli altri corpi di polizia, al corpo nazio­nale di vigili del fuoco ed ai familiari degli orga­nismi sopra indicati.

 

Competenza delle Province

- Per i minori riconosciuti o esposti, la com­petenza è della Provincia;

- Per i minori riconosciuti dalla sola madre, la competenza è della Provincia se il minore non aveva ancora compiuto il sesto anno di età al momento della prima richiesta di assistenza;

- Le Province esercitano funzioni in materia di assistenza sociale alle gestanti e madri (nu­bili e coniugate), di ciechi e sordi poveri riedu­cabili e di insufficienti mentali.

 

Competenze disputate tra Comuni e Province

Per i minori (legittimi, legittimati, ricono­sciuti dai due genitori o solo dal padre) già di competenza dell'ONMI, l'ente tenuto ad interve­nire è:

- il Comune associato, nei casi in cui si con­sideri prevalentemente la competenza del Co­mune ai sensi dell'art. 91, lettera H, del R.D. 3 marzo 1934 n. 383 (testo unico della legge co­munale e provinciale);

- la Provincia a cui sono state trasferite dal­la legge 23.12.1975 n. 698 le funzioni dell'ex ONMI. Infatti l'art. 4 del R.D. 24.12 1934 n. 2316 stabiliva che le funzioni dell'ONMI erano inte­grative e non sostitutive delle «opere già esi­stenti di protezione della maternità e dell'in­fanzia».

 

Competenze delle USSL (versante sanitario)

Anziani e adulti cronici non autosufficienti.

 

Competenze delle USSL (servizi socio-assisten­ziali)

Le USSL sono competenti in materia di mino­ri (escluse le competenze attribuite dalle leggi vigenti alle Province), di ciechi e sordi (esclusi quelli poveri rieducabili) e di insufficienti men­tali (in sovrapposizione alle funzioni provinciali), di handicappati fisici, di persane senza fissa di­mora.

 

Competenze delle IPAB

Non chiare sono le norme sulla nomina dei rappresentanti nei consigli di amministrazione delle IPAB in quanto c'è conflitto fra Comuni singoli e USSL.

Poco chiare sono altresì le disposizioni con­cernenti la vigilanza sulle istituzioni pubbliche e private di assistenza.

 

Competenze dei Comuni singoli

In base alla legge regionale 20/1982 e succes­siva modifiche e integrazioni, i Comuni possono conservare fino al 30 settembre 1989 funzioni in materia di assistenza economica e domiciliare, e di gestione delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale, escluse quelle per non autosufficienti e per i minori.

In proposito, va rilevato che la legge regiona­le n. 20,/1982 e successive modifiche obbligava i Comuni a trasferire alle USSL, entro 90 giorni dall'entrata in vigore, i loro beni e il loro perso­nale concernenti il settore assistenziale. Tutta­via, mentre la legge suddetta impone alle USSL di istituire i servizi (assistenza economica e do­miciliare, affidamenti familiari, ecc.), finora la Regione non è mai intervenuta nei confronti del­le USSL inadempienti perché rispettassero quanto previsto dalla legge.

Va altresì osservato che la Regione non ha finora preso alcuna iniziativa nei confronti dei Comuni singoli che si sono avvalsi della facoltà di non trasferire alle USSL l'assistenza econo­mica e/o quella domiciliare senza dare concreta attuazione ai relativi servizi.

 

Al fine di consentire una gestione globale de­gli interventi e per eliminare la babele attuale delle competenze, occorre che:

1) non vi siano ulteriori proroghe alla scaden­za del 30 settembre 1989, in modo che tutti i ser­vizi assistenziali siano gestiti dalle USSL in mo­do integrato con quelli sanitari;

2) la Regione assuma le necessarie iniziative affinché le USSL istituiscano i servizi previsti dalle leggi regionali, in modo che gli utenti pos­sano ricevere le prestazioni a cui hanno diritto;

3) venga data attuazione alla convenzione pre­vista dall'art. 13 della legge 20/1982 per l'attri­buzione alle USSL dei compiti di gestione rela­tivi alle competenze assistenziali attribuite alle Province dalle leggi vigenti. Detta attribuzione deve comprendere anche il personale, i finanzia­menti, le strutture e le attrezzature;

4) sia disposto il trasferimento alle USSL del­le funzioni assistenziali in materia di insufficien­ti mentali, funzione che le Province avrebbero dovuto trasferire dal 1° gennaio 1978 sulla base di quanto previsto dal DPR 616/1977. Anche det­to trasferimento deve comprendere il personale, i finanziamenti, le strutture e le attrezzature.

 

Realizzare in tutte le zone il processo program­matorio

L'esplicazione degli obiettivi e delle strategie, oltre che rappresentare un metodo corretto di governo per realizzare processi di cambiamento, consente di porre in discussione situazioni- po­litico-organizzative, dove, di fatto, scelte di sta­tus quo o di restaurazione avanzano. Pretendere che vengano dichiarati sia gli obiettivi delle po­litiche, sia il modo per sceglierli, consente di evitare la semplice gestione passiva dell'esi­stente.

Una più corretta e intelligente programmazio­ne consentirà di valorizzare l'indispensabile in­cremento dei finanziamenti al settore socio-assi­stenziale in generale; e all'interno del settore ai servizi alternativi al ricovero in istituto, nell'ambito di progetti fattibili e realizzazioni docu­mentate, non avendo timore di a favorire N chi sperimenta e innova con passione e competenza.

 

Una migliore politica quantitativa e qualitativa sul personale dei servizi

L'attuazione della vigente normativa sulla pianta organica del servizio socio-assistenziale (prevista dalla L.R. 20/82 e successive modifi­cazioni sino alla L.R. 31/88) è carente. Va quindi ribadito che questa normativa deve essere radi­calmente rivista.

La normativa citata non aiuta a costituire una pianta organica socio-assistenziale delle USSL. Soprattutto fuori Torino, le USSL possono tro­varsi a gestire sino a cinque diverse collocazioni istituzionali del personale (comandato dai Co­muni, dalle Province, dalle Comunità montane. dalle IPAB, assunto direttamente dall'Associa­zione dei Comuni).

Occorre quindi una nuova normativa che con­senta (come peraltro già legiferato dalla Regio­ne in passato) un governo unitario del personale.

Ma ciò non basta, se mancano iniziative di for­mazione che privilegino l'approfondimento delle tematiche connesse ai processi di integrazione dei servizi e alla nuova organizzazione dei servizi coerente agli obiettivi di riforma e mettano ope­ratori con diversa cultura in grado di superare settorialità, corporativismi, frammentazioni. Nel­la nostra Regione, gli investimenti nel settore della formazione sono stati modesti, Poco idonei al compito di favorire il cambiamento.

 

Sperimentare l’innovazione a livello di base

Si richiede maggiore attenzione politico-orga­nizzativa ai servizi di base superando il rischio di concentrare investimenti solo sui servizi inte­grativi come l'ospedale o la casa di riposo.

Più sperimentazione sistematica dell'organiz­zazione distrettuale anche nelle grandi città do­ve l'organizzazione del distretto deve misurarsi con caratteristiche peculiari.

Interventi efficaci di alternativa al ricovero richiedono un'organizzazione del lavoro adegua­ta come, ad esempio, servizi domiciliari in fasce di orario più ampie, con turnazione degli opera­tori e con presenze significative di personale sanitario e socio-assistenziale, nonché collega­mento e coinvolgimento con tutte le risorse pre­senti sul territorio e con gli altri settori opera­tivi (scuola, tempo libero, casa, lavoro, ecc.).

Per rendere davvero efficaci le prestazioni a livello distrettuale, è decisiva la costruzione di una modalità di lavoro fra tutti gli operatori e i) coinvolgimento attivo dei medici di base a par­tire da:

- una sufficiente dotazione di personale in­fermieristico e per la riabilitazione a livello di base;

- una corretta distribuzione nel territorio dei medici di medicina generale e pediatri;

- la disponibilità di supporti integrativi da parte dei presidi ospedalieri o utilizzando le con­sulenze domiciliari dei medici specialisti.

Significativi interventi domiciliari alternativi all'ospedalizzazione si possono realizzare solo con interventi congiunti del medico di base e di altri operatori.

Nuovi spazi alla sperimentazione distrettuale vanno introdotti sia nelle convenzioni uniche nazionali per la medicina di base, sia nella loro gestione a livello locale.

 

Valorizzare le risorse dell'azione associativo-vo­lontaria e delle reti sociali primarie

Si tratta di concepire il sistema dei servizi come interconnessione fra almeno tre reti di interventi: quella dei servizi istituzionali dell'en­te pubblico; quella dell'aiuto informale espresso dalle reti primarie (famigliare, parentale, vici­nale); quella dell'aiuto organizzato dalle inizia­tive volontarie in ambito locale e associativo.

Ciò comporta di fare assumere ai decisori po­litici ed agli operatori dei servizi un corretto atteggiamento di «accoglienza» nei confronti di risorse esterne evitando sia le chiusure buro­cratiche (più proprie forse ad una fase passata), sia l'apertura acritica e talvolta strumentale che sembra prevalere oggi. Va ribadito, infatti, che il rapporto tra istituzioni e volontariato non può in alcun caso configurare forme di scarico e non assunzione di responsabilità nei confronti dei cittadini che hanno diritto alle prestazioni, e tra­scuratezza nei confronti delle fasce sociali più deboli ed emarginate.

 

 

(*) II primo documento sul tema «Per una cultura degli interventi sociali domiciliari e territoriali in alternativa al ricovero» è stato pubblicato sul n. 85, gennaio-marzo 1989 di Prospettive assistenziali.

Le organizzazioni e le persone che intendono aderire al documento riportato in questo numero (o a quello pre­cedente) sono pregate di segnalarlo per iscritto al Grup­po permanente di lavoro per gli interventi alternativi al ricovero c/o FIRAS, Via Cottolengo 22, 10152 Torino.

 

www.fondazionepromozionesociale.it