Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989

 

 

L'ADOLESCENZA DIFFICILE DEI BAMBINI ADOTTATI

MARISA BIANCARDI

 

 

Mentre sembra farsi strada, nell'opinione pub­blica, un punto di vista estremamente discutibi­le, secondo cui bisognerebbe operare in favore di una «liberalizzazione» delle adozioni, ed esclu­dere qualsiasi modalità di accertamento o di for­mazione di idoneità negli aspiranti adottivi, la situazione dei ragazzi adottati sembra farsi più difficile, specie quando sono adolescenti.

I giornali hanno parlato fuggevolmente di una bambina dodicenne, «restituita» al Tribunale di Milano dai genitori adottivi, non più disposti ad assumersi la responsabilità della sua educazio­ne perché «ribelle».

Ma, per un caso che arriva ai giornali, dieci ne arrivano ai consultori, specie privati, dai quali le coppie «pentite» forse si attendono, s' periamo erroneamente, una maggiore comprensione, una più certa disponibilità all'omertà, a tenere il «ca­so» sotto silenzio e a risolverlo senza pubblicità.

 

Qualche caso significativo

Giorgio (naturalmente nomi e luoghi sono in­ventati) ha oggi 14 anni, è di origine filippina: trovato per strada a Manila e ricoverato in isti­tuto per circa un anno, viene adottato a Piacenza da una coppia piuttosto anziana e senza figli, iper­protettiva, insicura, rigida. Aveva fatto richiesta di adozione nazionale e, vedendo passare gli anni senza risultato, aveva ripiegato sull'internazio­nale. Dopo la prima, entusiasta accoglienza, era­no iniziati i problemi, dovuti all'eccessiva vivaci­tà di Giorgio e ai suoi complessi per la diversità dei tratti somatici, invano minimizzati dai geni­tori.

Negli ultimi tre anni il padre, a causa di non soddisfacenti condizioni di lavoro, aveva mani­festato una depressione che si è recentemente conclusa con il suicidio.

Nella fantasia della moglie e dei parenti più vicini, la causa del suicidio non poteva essere che Giorgio, nei confronti del quale è venuta ma­turando una sorta di ostilità, la convinzione che il soggetto fosse da a1lontanare dalla madre già troppo provata per la tragica morte del marito e bisognosa di serenità e di pace. La richiesta di allontanamento non è stata formulata nel modo brutale utilizzato dalla coppia milanese, ma con modalità più soft: la madre si rivolge al parroco, presentando la sua triste storia e manifestando la sua incapacità di sostenere la situazione: il circolo di ostilità e di diffidenza nei confronti di Giorgio si allarga e ottiene consensi sociali più ampi, che il ragazzino non può non sospettare, ponendo in atto reazioni aggressive che non fan­no che confermare la tesi del gruppo.

Il consultorio privato coinvolto nel caso ha su­scitato molte diffidenze per aver fornito una let­tura molto diversa della situazione; solo quando, con un'opportuna terapia alla madre, essa ha po­tuto elaborare il lutto per il trauma subito con la morte del marito, Giorgio, senza che si ravve­desse la necessità di alcun intervento terapeu­tico (il servizio non l'ha mai visto) ha assunto un comportamento «normale», ha superato l'an­no scolastico ed è uscito dal dramma che ha col­pito la sua famiglia più «uomo».

Monica, 18 anni, italiana, adottata a 2 mesi da una coppia matura, borghese e senza figli, non ha mai potuto realizzare con chiarezza il fatto di essere adottata finché, all'età di 15 anni, le viene brutalmente rivelato, in forma aggressiva (tra i ragazzini il termine «adottato» equivale a «figlio di puttana») da un compagno di scuola. Da quel momento il suo comportamento, prima esempla­re. diventa molto disturbato: non riesce più a studiare, è ribelle, e a 17 anni fugge da casa per convivere con un uomo sposato e separato, pa­dre di una bambina, gettando nella disperazione la coppia adottiva che immediatamente prende le distanze da lei. Dopo due-tre colloqui con l'operatore sociale, iniziati quando già la figlia è maggiorenne, e finalizzati soprattutto a dimostra­re di «aver fatto tutto il possibile» per la figlia, la coppia sospende gli incontri e lascia che tutto vada come va.              .

Giuseppe, 13 anni, è senegalese e la cosa è molto evidente dal colore della sua pelle, che i compagni di scuola non gli perdonano. Si chiude in casa, rifiuta di frequentare la scuola, dà segni di depressione: i genitori adottivi, disperati, si rivolgono al consultorio per sapere se c'è un collegio dove si potrebbe trovare meglio che nel condominio dove abita, almeno fino al termine della scuola dell'obbligo.

 

Il momento difficile dell'adolescenza

Se il problema trova riscontro in altre situa­zioni, è forse il caso di riprendere in considera­zione i criteri per l'accertamento dell'idoneità all'adozione.

Evidentemente le problematiche sono molto diversificate, a seconda che si tratti di adozioni nazionali o internazionali, dal momento che la conduzione di queste ultime rivela ulteriori ca­ratteri di complessità, dovuti anche all'emergen­te tendenza all'emarginazione del diverso che sta innegabilmente attraversando, come un bri­vido sinistro, la nostra società occidentale opu­lenta e insicura.

Ma al di là di questa discriminante da non sot­tovalutare, il problema chiama in causa le moda­lità e i criteri attraverso i quali si giunge a dichia­rare idonea all'adozione una coppia.

Tra l'altro. l'età dei protagonisti dei casi citati ricorda che l'idoneità è stata riconosciuta ai foro genitori con le procedure piuttosto sbrigative e superficiali in atto prima della legge 184/83 (che oggi si vorrebbe attenuare o sopprimere!).

L'adolescenza è sempre e comunque un «mo­mento forte» per la vita non solo del ragazzo, ma di tutto il nucleo familiare: le difficoltà di iden­tità, l'accettazione della propria corporeità e di tutto se stessi, la conquista di un ruolo sociale, l'assunzione di nuove responsabilità, il muta­mento dei rapporti affettivi, la scoperta del mon­do oltre le mura domestiche, l'evoluzione della sessualità, tutto quell'insieme di trasformazioni bio-fisio-psico-sociologiche che gli esperti defini­scono una vera e propria «rivoluzione», ricevono ulteriori elementi di complessità dalla situazione di adozione.

La crisi di originalità giovanile con le relative esperienze di ribellione e di rifiuto dei genitori e degli adulti in generale, propria dell'adolescen­za, può essere più tempestosa, più inquietante, più lunga.

D'altra parte i genitori adottivi hanno anch'essi le loro insicurezze, sempre preoccupati di farsi perdonare la mancanza dei «legame del sangue», sempre sospettati di essere «famiglia artificia­le», quindi un po' falsa, un po' difettosa; sempre sospettosi sulle proprie e altrui reazioni, posso­no facilmente «scoppiare» proprio nel momento in cui viene maggiormente messa alla prova la foro capacità di assorbire le frustrazioni, di ela­borare il «lutto» provocato dalla presa di distan­za dell'«oggetto» del loro amore.

Il sospetto che dietro le prime, naturali inquie­tudini sessuali, dietro le pigrizie e gli improvvisi cambiamenti di umore, le «normali» bizzarrie che caratterizzano ogni «normale» adolescenza vi siano misteriosi vizi di origine, qualche oscura «ereditarietà», il richiamo ancestrale a condotte sconvenienti, può rendere i genitori adottivi più protettivi, più guardinghi, più sospettosi nel con­cedere fiducia, nel consentire con cordialità esperienze di autonomia, nel sostenere affettuo­samente le prime pene d'amore.

E questa sospetto, questa eccessiva «pruden­za», questo disperato tentativo di rimandare il momento del «distacco» provocano evidente­mente feed-back negativi nel giovane giusta­mente bisognoso di evasione.

Si instaura un circolo vizioso che non di rado porta la famiglia davanti allo psicologo e addirit­tura, talvolta, davanti al giudice.

Come tutelare il minore adottato dal rischio che i suoi genitori siano tentati di «restituirlo» come se fosse una «merce avariata», proprio nel momento più delicato del suo cammino evolu­tivo?

 

Il colloquio di selezione e i suoi limiti

La legge italiana prevede che la tutela del mi­nore adottato sia garantita preventivamente da una serie di colloqui condotti da esperti, attra­verso i quali si giunga ad una valutazione da con­segnare successivamente al giudice, che potrà, dopo opportune eventuali ulteriori verifiche, certificare o meno l'idoneità della coppia all'ado­zione.

Sono ben note le difficoltà e le ambiguità con­nesse a questo procedimento: l'operatore socia­le che vi si trova implicato prova l'imbarazzo di dover sottoporre a esame due persone sulle di­fensive, tutte impegnate a dire «le cose giuste»: spesso si instaura fra la coppia e l'operatore un gioco relazionale pesante, che però nessuna del­le due parti in causa riesce a rompere, essendo troppo alta la posta in gioco.

In questa situazione imbarazzante l'area dell'indagine resta angusta e stereotipata: il sesso e l'età ideali dell'adottando, la disponibilità degli altri parenti, l'accordo nella coppia, al massimo la proposta di sottoporsi a un test di personalità per rendere più seria l'istruttoria.

Difficile, per tutte le parti in causa, porsi il pro­blema in prospettiva ampia, giungere fina a pre­vedere (e a pretendere di misurare) anche la ca­pacità della coppia di sostenere i problemi che sorgeranno fra 10-15 anni. D'altra parte, dopo l'anno di affidamento preadottivo, non sono pre­visti ulteriori sostegni istituzionali al compito educativo della famiglia adottante.

Qualche operatore però - proprio per tentare di formulare una risposta all'emergere di situa­zioni di adozione apparentemente «tranquille», che diventano difficili nel momento dell'adole­scenza e che sono sempre più numerose - sta cominciando a porsi il problema e a tentare la formulazione di qualche risposta.

A un recente convegno di psicologi sistemici (Salice Terme, maggio 1989), un operatore, lo psicologo Maura Favaloro, ha presentato, insie­me ad un esame acuto delle difficoltà che si re­gistrano nel colloquio di selezione, anche qualche tentativo di superamento proprio in vista di una prospettiva da aprire sul futuro delle: coppie adottive e dei loro bambini.

 

Verso una metodologia alternativa

Lo psicologo bolognese, adattando al proble­ma del colloquio per l'accertamento di idoneità altre ricerche condotte in ambiti diversi, è giunto a formulare qualche strumento di indagine che da un lato potesse aiutarlo a ridimensionare in senso positivo il suo rapporto con la coppia aspi­rante adottiva e quindi ad «alleggerire» il collo­quio, e che dall'altro potesse introdurre la dimen­sione del futuro.

Il Disegno della Famiglia Futura Commentato (DFFC), consiste nel chiedere a ciascun membro della coppia, seduto davanti all'operatore in mo­do però che l'uno non possa vedere ciò che fa l'altra, di disegnare quella che secondo lui sarà la sua famiglia fra 5 (ma non si potrebbe fare an­che 10?) anni.

L'operatore è naturalmente in grado di seguire e registrare i commenti verbali e analogici che seguono la proposta, le modalità di esecuzione del compito, gli imbarazzi, ecc.; terminato il di­segno, ciascun partner dovrà commentare con l'operatore il disegno dell'altra, e successiva­mente potrà spiegare anche il proprio.

Evidentemente sia l'esecuzione del compito che i contenuti e il commento forniscono elemen­ti interessanti di valutazione.

Il Diario Futuro Commentato (DFC) consiste invece nel far scrivere, sempre davanti allo psi­cologo, a ciascun membro della coppia aspirante adottiva, una pagina di diario relativa a una gior­nata come immagina che si potrà svolgere cinque anni (perché non 10?) più tardi. Anche questa prova, evidentemente, fornirà utili notizie in or­dine alla disponibilità della coppia e alla sua coe­sione interna.

Queste iniziative, frutto di un'appassionata ri­cerca finalizzata a evitare alle coppie aspiranti adottive l'imbarazzo dell'«esame» e insieme ad ottenere un quadro quanto meno possibile arte­fatto della loro situazione, potrebbero essere utilizzate, magari con eventuali ulteriori adatta­menti, per conoscere la disponibilità e l'atteggia­mento della coppia nei confronti dell'adolescen­za, quale immagine si fa di essa ciascun partner, quale «disturbo» prevede che possa arrecare alla famiglia, e come lo vede superabile.

È prevedibile che la maggior parte delle coppie non tenga alcun conto del «fattore adolescenza» nel disegnare o descrivere la famiglia futura, e anche questo sarebbe un dato sul quale l'opera­tore potrebbe lavorare con la coppia.

Evidentemente, una volta acquisita la consa­pevolezza del problema, sia da parte delle fami­glie che degli operatori, si tratterà di mettere all'opera la creatività di tutti, e sicuramente emer­geranno strumenti idonei a non lasciare nell'om­bra, come è avvenuto finora, la previsione delle difficoltà che l'adolescente può trovarsi a vivere, quando è adottato.

L'esperienza comunque sembra insegnare che le difficoltà si possono superare non solo preve­dendole, ma anche gestendole coscientemente durante il loro evolversi.

In questo senso, lo strumento più idoneo sia a prevenirle che a gestirle sembra comunque es­sere il gruppo di autoselezione e sostegno, nel quale coppie che già stanno facendo l'esperienza e coppie che intenderebbero intraprenderla, si incontrano insieme periodicamente, con la guida di un facilitatore, e mettono in comune i loro problemi.

In questo modo i genitori degli adolescenti tro­vano un contesto di riferimento nel quale far emergere ed elaborare le difficoltà, e i futuri ge­nitori di adolescenti sono posti in condizione di fare un «bagno di realtà», di trovarsi cioè coin­volti nei problemi che prima o poi toccheranno anche a loro.

È infatti il confronto realistico con le difficoltà in atto che consente agli aspiranti genitori la pos­sibilità di valutare concretamente le difficoltà che li aspettano, ma, nell'attesa che questo diventi una pratica diffusa, ben vengano tutti gli espe­dienti orientati a rendere più vero ed efficace il «colloquio di selezione».

In ogni caso, tutto fa pensare che non è per la strada della «liberalizzazione» che si può prepa­rare all'istituto dell'adozione e soprattutto ai ge­nitori e ai ragazzi che vi ricorrono, un futura me­no problematico.

 

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