Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

UN CASO DI ADOZIONE INTERNAZIONALE (*) (parte seconda)

 

6. La difficoltà più grande (a incontrammo con l'ambiente esterno. Ambiente di cui c'era e c'è vitale bisogno per l'inserimento, la socializzazio­ne e la crescita completa di qualsiasi personalità.

È stato in genere difficile usufruire serenamen­te di rapporti con la gente.

Il primo problema, seppure ovvio, è venuto dall'eccesso di curiosità, che spinge tutti a dimenti­care ogni cautela e sensibilità.

La tendenza poi ad esorcizzare la situazione, relegando la nostra famiglia a particolare model­lo di efficienza, a caso di eccezionale bravura, a dedizione di genitori dalle doti eroiche, ha reso difficile collocarci fruttuosamente in quelle stes­se situazioni sociali, che da sempre ci vedevano elementi del gruppo.

Ed ancora, la media delle persone ha visto la situazione derivante da generosità di una fami­glia che bontà sua aveva accettato Anuradha ed a cui quindi quest'ultima era costantemente invi­tata a sentirsi riconoscente, a ricambiare con ge­sti di amabilità e sottomissione: niente in tutto ciò di dovuto ad Anuradha.

Della realtà del suo vissuto quasi nessuna trac­cia nella coscienza delle persone.

Il mondo infantile ha avuto difficoltà a rappor­tarsi con Anuradha non in quanto ragazzina adot­tiva o indiana, ma in quanto portatrice di handicap.

I bambini sia a scuola, massimo ambiente di socializzazione, che negli ambiti di gioco l'hanno accettata come compagna, lasciandola però poi istintivamente sola ogni volta che sciamavano velocemente da un posto ad un altro o che lascia­vano un gioco tranquillo per passare ad uno al di fuori della portata di Anuradha.

Questi ragazzini mancavano cioè della capacità di percepire certi limiti di un membro del gruppo e di conseguenza non avvertivano come emargi­nazione l'impossibilità di Anuradha a seguire il gruppo nella nuova attività scelta.

E tale atteggiamento si ripeterà un domani ver­so il meno intelligente o verso l'anziano, verso chiunque non viaggia con gli stessi parametri di vita. Si tenderà a scaricare sui servizi sociali a delegarli alla cura di quanti non abbiano il tem­po di aspettare nella nostra corsa affannosa, ina­ridendo così la ricchezza dei rapporti, la qualità della vita sociale.

Il contatto con le istituzioni fu un'altra fonte di problematiche, che riteniamo illuminante per fu­ture esperienze, senza volere generalizzare più che tanto esperienze particolari.

La normativa esistente sull'assistenza, l'istru­zione obbligatoria e l'inserimento nella società di soggetti in difficoltà ci faceva sentire abba­stanza supportati nel nostro compito.

Purtroppo la traduzione della norma in prassi non sempre si è dimostrata all'altezza della situa­zione e le deleghe di potere date a dirigenti della pubblica amministrazione, per interpretare re­sponsabilmente tutti quei casi non facilmente catalogabili, non si è sempre dimostrata capace di uscire dagli scogli burocratici.

I due problemi fondamentali da superare per portare Anarudha alla pienezza dei suoi diritti erano la cura dell'handicap e l'inserimento nella scuola, tutti e due certamente fondamentali per gestire l'inserimento nella comunità.

Visita e riconoscimento di invalidità civile, as­segno d'accompagnamento, interventi chirurgici richiesero l'appoggio personale di amministra­tori e medici al di fuori di uno standard già pianificato. Della cultura della poliomielite si è per­sa ormai quasi traccia e ciò ha reso più faticosa la ricerca di personale capace di valutare la situa­zione e diagnosticare gli interventi necessari, senza far entrare Anuradha in un circolo chiuso di ospedali ed operazioni, che l'avrebbero limita­ta nella sua crescita nella nuova famiglia.

Ed appena siamo usciti dalla cerchia delle conoscenze personali ci siamo dovuti arrangiare da soli.

E cosa succederebbe se la ragazzina si trovas­se con genitori migliori di noi come educatori, ma meno ginnasticati nel muoversi nel pubblico, nel districarsi tra uffici, tickets, leggi e leggine?

Alla disperata ricerca di un gruppo in cui Anu­radha potesse far esperienza giocando, al di là di oratori, catechismi o associazioni confessionali, ci rivolgemmo al mondo Scout in Venezia molto attivo e dotato di grande sensibilità sociale.

Inizialmente fu un'esperienza positiva ed an­che arricchente per tutti. Ma quando Anuradha cominciò a diventare sempre meno un caso «spe­ciale» e cercò di vivere una dinamica «normale», purtroppo impattò nella mentalità di fondo dei ragazzini, nella loro disabitudine a modificare comportamenti, a gestire diversità in modo meno eroico, ma più quotidiano. E la sensibilità dei capi non poté risolvere il problema.

7. Ancora più pesante il discorso sul mondo della scuola. Esso rappresentava e rappresenta la possibilità massima di vivere con i coetanei, di crescere con loro ed assimilarne la vita quoti­diana; valida alternativa alla TV fortemente pre­sente tra i ragazzini. Rappresentava anche il so­gno della bambina, a suo dire una delle molle che la spinse ad accettare di lasciare il mondo dell'istituto per studiare anche lei come le ra­gazzine che a Bombay vedeva passare in divisa di college. Chiedemmo subito di attuare per lei un iter scolastico interclasse, dovendo riprende­re dalla prima elementare per l'apprendimento della lingua, ma non potendo sviluppare il pro­prio quotidiano solo con bambini di sei anni, aven­done lei quasi nove e ben stagionati dalla dura esperienza di vita; di avere un'insegnante di so­stegno, che integrasse l'insegnamento di base con un particolare programma.

Fu una grande fatica ottenere deroghe ai piani d'insegnamento standardizzati, attenere un so­stegno, in Italia finalizzato solo per chi ha ritardi mentali, interpretare lo spirito della norma più che la lettera.

E ciò fu ottenuto per particolare nostra destrez­za e per l'appassionata partecipazione non di di­rettori didattici, ma di insegnanti generose ed en­tusiaste, che agirono con responsabilità ed ini­ziative proprie.

Non ottenemmo invece l'inserimento nella se­conda classe anziché la prima!

E quando giunse il momento adatto per un re­cupero scolastico, al fine di migliorare l'inseri­mento in classe più adeguata all'età, la scuola pubblica si dichiarò impotente. Dovemmo ricor­rere alla scuola paterna prima ed alla scuola pri­vata poi.

Oggi Anuradha è inserita in una scuola supe­riore a pieno titolo, ha recuperato due anni avvi­cinandosi in età ai suoi coetanei, vive con gioia ed entusiasmo la frequenza, anche se è costretta a sopperire con l'impegno a certe carenze di fon­do. Frequenta un liceo sperimentale, i cui pro­grammi sono particolarmente adatti per imposta­zione alla didattica e articolazione dei corsi nei cinque anni. Purtroppo tale sperimentazione sta trovando molte difficoltà da parte dello stesso Ministero, che tende ormai ad una scuola più standardizzata e più fondata sul competitivo e che ha riveduto il suo atteggiamento solo per in­teressamento di tutti i genitori e docenti e di po­litici della zona.

Eppure è un'impostazione di studi severa, ma tendente a coinvolgere ed entusiasmare l'alunno più che a discriminarlo che ha maturato Anura­dha, dimostrandosi particolarmente adatta per ragazzini che, nati perdenti, non devono ancora

essere bastonati, ma rassicurati nei loro sfarzi, premiandone buona volontà e determinazione.

A questo si aggiunge poi un problema delicato, anche se non strettamente legato al fatto adot­tiva: la ragazzina non ha potuto scegliere l'indi­rizzo scolastico che più avrebbe gradito, per la presenza in quell'istituto di barriere architettoni­che per lei insormontabili ed era il liceo artistico!

8. Di Anuradha cresciuta, nell'età difficile dei tredici-sedici anni non abbiamo niente da dire e ciò è per noi una bella notizia.

Ci pare cioè che l'adozione, pur iniziata da una bimba ad ormai otto anni, non influisca nel nor­male comportamento di una adolescente.

Certo noi tutti con Anuradha camminiamo nor­malmente, ma pur sempre come fossimo in una cristalleria, sempre pronti a captare quelle esi­genze ad essa indispensabili di silenzio, di riti­rarsi in sé, di leccarsi le ferite.

Ma leggiamo con gioia sul suo viso gli entu­siasmi per i ragazzini, i vezzi per i trucchi ed il vestire, l'intenso cicalare con le coetanee, la gioia di tanti piccoli segreti.

9. In questi giorni si sono completati otto anni di vita insieme, tanti quanti ne aveva già vissuti in India. Proprio in questi giorni ci ha espresso il desiderio di condividere con noi come turisti, l'esperienza di un ritorno nella sua terra, di cui sa di conoscere poco come noi. Una richiesta che ci pare emotivamente complessa, ma sentita anche in modo semplice e che lei vuole garantita dalla condivisione con noi e i fratelli e ciò ci ras­serena.

Emerge però un'angoscia di fondo, quando pen­siamo al suo futuro prossimo, futuro in cui si do­vrà realizzare il suo inserimento nel mondo degli adulti. Sarà e saremo capaci di renderla comple­tamente autonoma? Come affronterà il problema di una propria famiglia, reso probabilmente così aleatorio dall'handicap fisico oltre che dalla raz­za? Sarà fortunata nel suo desiderio di sposa e madre? E se sceglierà una vita di «single», sarà per scelta o per rinuncia a tentare un approccio che potrebbe deluderla e ferirla? Rimane la pro­blematica di prossimi interventi chirurgici che rompono il ritmo e la serenità di vita.

Forse sono problemi che ci creiamo da soli, visto che in fondo sappiamo che sta vivendo co­munque una vita «la meglio possibile»; non per­ché in Italia sia meglio che in India, vista che in India per Anuradha, ora come ora, sicuramente non c'era avvenire.

Avvenire indiano che auguriamo a tanti bambi­ni in abbandono e che già oggi quel popolo comin­cia a rendere possibile anche per loro.

LUCIO e BARBARA MONTAGNI

 

www.fondazionepromozionesociale.it