Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre
1989
Editoriale
TENTATIVI DI RIFORMARE LA SANITA NON
NELL'INTERESSE DEI MALATI, MA PER FAVORIRE MEDICI E GRUPPI DI POTERE
Il primo atto del nuovo Ministro delta Sanità,
Francesco De Lorenzo, è stata la riproposizione quasi letterale, con la sola
esclusione dei ticket ospedalieri (1), del decreto legge 25 marzo 1989 n. 111
presentato a suo tempo dall'On. Carlo Donat Cattin.
Il
nuovo decreto legge del 28 luglio 1989 n. 265, stabilisce in particolare:
1) lo smantellamento di quasi tutte le attuali USL,
dovendo la nuova delimitazione rispondere a «ambiti
territoriali individuati in base a gruppi di popolazione compresi tra 200.000 e
400.000 abitanti. Nelle province con popolazione inferiore a 200.000 abitanti
la Unità sanitaria locale coincide con l'ambito provinciale. Nei comuni con popolazione
superiore a 500.000 abitanti l'ambito territoriale di ciascuna USL è
determinato dal Comune anche in deroga al limite massimo precedentemente
indicato. Sono fatte salve le USL che coincidono con le comunità montane. In condizioni
territoriali particolari, previo parere del Consiglio sanitario nazionale, è
consentita la delimitazione di una USL secondo ambiti con popolazione
inferiore a 200.000 abitanti e, comunque, non inferiore a 150.000»;
2) «l'attribuzione
alle USSL della natura di azienda di servizi con personalità giuridica e con
autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale e contabile»;
3)
«l'individuazione degli organi delle USL, costituiti dal Consiglio di
amministrazione (2), dal presidente,
dal direttore generale e dal collegio dei revisori (...). I presidenti ed i
membri dei consigli di amministrazione delle aziende USL sono nominati dai
consigli comunali o dalle assemblee delle associazioni dei comuni e dalle comunità
montane (...) con voto limitato per assicurare la rappresentanza della
minoranza dell'organo elettivo (...). Al consiglio di amministrazione spettano
i poteri di approvazione dei bilanci preventivi, dei conti consuntivi, dei
regolamenti e dei programmi, nonché i poteri di controllo di gestione e di
nomina del direttore generale»;
4) lo scorporo dalle USL e la creazione di aziende
ospedaliere autonome per gli «ospedali
pubblici di alta specializzazione e quelli di grandi dimensioni con almeno
600 posti letto e dotati d1 un complesso di almeno sedici divisioni a direzione
apicale alla data del 28 febbraio 1989, nonché gli ospedali clinicizzati (...)».
Le regioni e le province autonome possono individuare con propria legge
eventuali altri ospedali che, per condizioni particolari, sono costituiti in
aziende ospedaliere autonome (3). È consentita in via sperimentale, con legge
regionale o provinciale «la cessione in
comodato di stabilimenti ospedalieri pubblici a società di gestione a
prevalente capitale pubblico»;
5) la previsione della nuova figura del direttore
generale dell'azienda USL o dell'azienda ospedaliera, che diventa la vera e
propria unica autorità preposta alla gestione. Infatti il direttore generale,
scelto tra gli appartenenti ad apposito elenco nazionale, svolge le seguenti
funzioni:
a) è responsabile dell'attività gestionale dei
presidi, dei servizi e degli uffici dell'unità sanitaria locale;
b) ha tutti i poteri di amministrazione, fatti salvi
quelli riservati al consiglio di amministrazione;
c) provvede agli acquisti e alle spese necessarie
per il funzionamento dell'unità sanitaria locale;
d) provvede all'organizzazione del lavoro e adotta
gli atti relativi all'amministrazione del personale;
e) partecipa con voto consultivo, alle sedute del
consiglio di amministrazione e cura l'esecuzione delle relative deliberazioni;
f) coordina l'attività istruttoria dei progetti di
delibera da sottoporre all'approvazione, compresi quelli inerenti il bilancio
preventivo e consuntivo;
g) verifica il conseguimento degli obiettivi qualitativi
e quantitativi nelle prestazioni dei servizi, secondo criteri di efficienza e
di economicità della gestione;
h) può delegare l'adozione di singoli atti o categorie
di atti a responsabili di servizi o a dirigenti dei presidi ospedalieri;
i) è tenuto a consultare il direttore sanitario per
ogni decisione che riguardi le attività tecnicosanitarie e assistenziali, ivi
compresi gli investimenti in materia;
l) consulta il consiglio dei sanitari periodicamente
e ogni volta che sia previsto da disposizioni normative;
6) la trasformazione del fondo sanitario nazionale
in fondo sanitario interregionale. È inoltre stabilita che «le maggiori spese di gestione derivanti da prestazioni e servizi
eccedenti quelli uniformemente garantiti sul territorio nazionale (...) sono
finanziati dalle regioni e dalle province autonome con utilizzo di proprie
risorse»;
7) «L'istituzione
di camere a pagamento per l'esercizio della libera professione all'interno di
tutti gli ospedali e delle strutture ambulatoriali all'uopo riservando una
quota non superiore al 10 per cento dei posti letto e spazi adeguati nei poliambulatori».
Le relative modalità verranno definite da leggi delle Regioni e delle Province
di Bolzano e Trento.
Principali aspetti negativi del decreto legge
265/1989
In
sintesi i principali aspetti negativi del decreto legge 265/1989 sono i seguenti:
- sottrazione di ogni competenza ai Comuni, ai quali
spetta esclusivamente la nomina dei componenti dei consigli di amministrazione
delle aziende USL e ospedaliere, senza avere alcun potere di intervento,
nemmeno quello di revocare i componenti di cui sopra che agiscono in contrasto
con gli interessi dei Comuni stessi;
-
conseguente riaccentramento di funzioni a livello statale e regionale;
- separazione degli ospedali più importanti dalle USL
e quindi dicotomia fra attività ospedaliere e territoriali. La prevalente
forza dei nosocomi rispetto alle attività territoriali renderà ancora più
deboli i servizi di base;
- creazione di una struttura che isola la sanità
rispetto ai servizi sociali e assistenziali, servizi che interagiscono con la
sanità stessa;
- istituzione di un vero e proprio «boss», il
direttore generale dell'azienda USL o ospedaliera, con rilevanti funzioni non
solo tecniche ma anche politiche. Come rileva giustamente Colajanni: «La separazione tra gestione e indirizzo è
equivoca, in quanto porterebbe ad una confusione di responsabilità. I gestori
si trincererebbero dietro gli errori e la confusione degli indirizzi, mentre
gli indirizzatori darebbero tutte le colpe alla gestione» (4);
- previsione di posti letto negli ospedali pubblici
e di spazi nei poliambulatori per l'esercizio di attività sanitaria privata,
con l'assegnazione a questi servizi anche di personale infermieristico,
nonostante la mancanza di questa figura professionale per i servizi pubblici
rivolti agli altri cittadini. Non solo si creano servizi di serie A e B, ma,
per favorire le persone con maggiori disponibilità economiche, si riduce la
qualità dei servizi per la stragrande maggioranza degli utenti.
Obiettivi veri del decreto legge 265/1989
Non vi sono dubbi su! fatto che lo scopo del decreto
legge 265/1989 (5) è il cambiamento
radicale dell'assetto istituzionale del Servizio sanitario nazionale.
Questo cambiamento viene giustificato con la
necessità di mettere ordine nel settore sanitario che sarebbe allo sfascio.
Certamente in questo comparto molti sono i problemi
non risolti, ma non ci pare che essi siano sostanzialmente diversi da quelli
esistenti nel campo della scuola, dell'urbanistica, dei lavori pubblici, dei
trasporti, del lavoro, della formazione professionale, ecc.
D'altra parte è noto che nel settore sanitario il
nostro paese spende molto meno degli altri Stati, mentre - occorre dirlo con
forza - la vita media degli italiani, i tassi di mortalità e di mobilità sono
uguali a quelli dei paesi ritenuti più avanzati di noi (6).
Dunque, sulla base di questo semplice ma importantissimo
fatto oggettivo, non è giustificata l'affermazione di sfascio della sanità,
anche se - com'è evidente - occorre operare per evitare disfunzioni, sprechi,
indebite ingerenze clientelari, incompetenze, corruzioni.
Va anche detto che se, come vogliono i controriformatori,
si prende come riferimento principale la spesa, l'inevitabile conseguenza sarà
l'espulsione dal settore sanitario degli adulti e degli anziani cronici non
autosufficienti e il progressivo indebolimento degli interventi concernenti i
cittadini più deboli (tossicodipendenti, Aids, ).
Non ci vuole, inoltre; un grosso intuito politico per
capire che la controriforma è diretta a favorire i medici ed i gruppi di
potere, in particolare il settore farmaceutico, le case di cura ed i laboratori
privati di analisi.
È incredibile come molti credano che, consegnando le
leve decisionali ai medici ed ai gruppi di potere, di cui i medici stessi sono
i principali collaboratori e beneficiari, essi opereranno a favore dei
cittadini malati e per la prevenzione delle infermità: è più che evidente,
invece, che essi dedicheranno le loro energie ad accumulare denaro, favorendo
il settore privato e utilizzando a questo scopo il comparto pubblico (7).
Ma come si può pensare, ad esempio, che un chirurgo
operi per lo sviluppo del settore pubblico, dove il suo stipendio per forza di
cose è in larga misura prestabilito qualsiasi sia il volume del lavoro svolto e
non preferisca quello privato in cui in mezza giornata di lavoro riesce ad accumulare
più denaro dello stipendio mensile percepito dall'USL?
D'altra parte va osservato che già attualmente c'è
una rilevante occupazione di posti di responsabilità nelle Regioni e nelle USL
da parte di medici. Abbastanza frequente è la loro presenza in una USL come
presidenti o componenti del comitato di gestione e nell'USL confinante come
coordinatori sanitari o responsabili di servizio. Forse è proprio a questa
occupazione che si devono tante carenze del Servizio sanitario nazionale.
Certo, i medici non vogliono che il settore pubblico
venga completamente smantellato: le spese per l'aggiornamento professionale,
per la ricerca e la sperimentazione non sarebbero sostenibili dal privato,
che non realizza né può realizzare profitti in questo campo.
È ovvio che non tutti i medici operano mossi
prioritariamente dal proprio tornaconto personale. Vi sono delle eccezioni,
che però - se si fa una valutazione oggettiva - restano tali. Si tratta di una
esigua minoranza che conta poco o nulla quando la corporazione medica decide le
linee di intervento: contratti, appoggi elettorali, pressioni sui livelli
istituzionali, ecc.
La sanità per i cittadini
La sanità non deve essere un affare dei medici e dei
gruppi di potere: essa deve essere considerata sempre e in tutti gli atti come
una attività diretta alla prevenzione delle malattie e alla loro cura.
I riferimenti essenziali sono dunque tutta la
popolazione in generale ed i cittadini malati in particolare (8).
Questo riferimento essenziale non può non essere
preso in considerazione, secondo una vecchia prassi mistificatoria, solo per
aspetti marginali, come avviene ad esempio quando viene detto a scritto che
il Servizio sanitario nazionale si fonda sulla partecipazione dei cittadini.
I cittadini devono essere i protagonisti, nel modo
più diretto possibile, del servizio sanitario nazionale.
Di qui l'esigenza che le USL non siano una agenzia in
cui i medici la fanno da padroni, ma siano l'espressione dell'organo più a
diretto contatto dei cittadini, il Comune, organo su cui la popolazione ha una
influenza determinante tramite il voto. Pertanto essa può esercitare anche un
vero controllo sulle proposte, le decisioni, le modalità ed i tempi di
intervento.
Invece, i consigli di amministrazione delle aziende
USL e delle aziende ospedaliere non hanno alcun reale potere e nemmeno alcun
rapporto con il personale. Gli addetti delle USL e degli ospedali dipendono dal
direttore generale, al quale è attribuito anche il compito di intervenire in
merito al pasto di lavoro, quindi anche con conseguenze dirette sulla carriera
di tutti i dipendenti.
La gestione da parte del Comune singolo o associato,
non esclude - giustamente - la partecipazione attiva dei medici e dei gruppi
di potere, ma tale partecipazione viene messa su un piano non difforme -
almeno in linea di principio - rispetto a quella dei cittadini e delle loro
organizzazioni.
Invece, con la riforma riproposta dal nuovo Ministro
della sanità, i cittadini e le loro organizzazioni, in effetti, contano
assolutamente nulla: i loro eletti si limitano a designare i componenti dei
consigli di amministrazione delle aziende delle USL e degli ospedali
scorporati, componenti - e questo fatto è gravissimo e antidemocratico - che
continuano a restare in carica nei cinque anni del loro mandato anche nei casi
in cui esprimano linee politiche del tutto difformi rispetto a quelle
dell'organismo che li ha nominati.
Se si ritiene che i Comuni, nemmeno se riformati,
non siano in grado di gestire la sanità, non si capisce perché possano essere
capaci di amministrare l'urbanistica, l'agricoltura, il commercio, i servizi
relativi al diritto allo studio, l'assistenza.
Oppure, si vuole forse attribuire le competenze in
materia di urbanistica a ingegneri e architetti, dare il commercio ai
commercianti, l'agricoltura agli agricoltori, l'industria agli industriali e
così via, creando tante aziende quante sono le funzioni attualmente spettanti
ai Comuni?
A nostro avviso l'organizzazione della sanità e
quella di tutti gli altri servizi comunali non può essere definita competenza
per competenza: il problema vero è, dunque, come molti ripetono da anni, la
riforma delle autonomie locali, riforma che dovrebbe non solo conservare ma
accentuare le caratteristiche democratiche dell'ente locale di base e, nello
stesso tempo, creare le condizioni per una gestione corretta e unitaria delle
funzioni.
Gli organi del Comune rifondato dovrebbero operare
con la massima trasparenza possibile. In particolare dovrà continuare ad essere
assicurata la caratteristica pubblica alle sedute di consigli comunali, a
differenza della chiusura delle riunioni degli attuali consigli di gestione
delle USL.
La rivalutazione delle funzioni dei consigli comunali,
e quindi il riconoscimento della centralità del cittadino, esige - a nostro
avviso - l'attribuzione di funzioni esclusivamente esecutive ai comitati di
gestione delle USL, mentre i compiti decisionali dovrebbero essere affidati al
Consiglio del Comune rifondato.
Pertanto, come avviene in tutti gli organismi
(Parlamento, Governo, Regioni, Province) le minoranze non dovrebbero essere
presenti nelle strutture esecutive, ma solo in quelle di controllo (consigli
regionali, provinciali e comunali).
Ciò consentirebbe di dare maggiore spazio al
dibattito politico e garantirebbe ai cittadini una corretta informazione ed
assicurerebbe effettive possibilità di partecipazione delle forze sociali.
Altre argomentazioni a favore del Comune rifondato,
da noi pienamente condivise, sono contenute nel documento «La riforma
dell'assetto politico e organizzativo dei servizi sociali» pubblicato in questo
numero, argomentazioni che sono valide anche sul piano nazionale.
Puntare sul Comune, a nostro avviso, significa anche
responsabilizzare amministratori e cittadini. Uno degli strumenti per
raggiungere questo obiettivo consiste, a nostro avviso, nell'attribuire agli
amministratori stessi una diretta responsabilità finanziaria obbligando gli
stessi a chiudere i bilanci in pareggio utilizzando i fondi dello Stato e
tassando i cittadini per la parte altrimenti in passivo. Non si tratterebbe di
creare nuove tasse, ma, come viene già attuato in altri paesi, di dare ai
Comuni la facoltà d'imporre - ovviamente fino ad un certo livello
predeterminato dal Parlamento - addizionali sulle tasse esistenti. D'altra
parte sembra del tutto logico che, se i cittadini vogliono avere servizi
supplettivi rispetto a quelli garantiti dallo Stato, siano tenuti a pagarli
con il metodo delle imposte.
Carenza di risorse o evasione fiscale
sterminata?
Quando si fanno critiche ai servizi sanitari, sociali
e assistenziali, sempre viene avanzato il problema della carenza di risorse.
Ma è un problema reale? Lo sarebbe se l'evasione
fiscale fosse perseguita sul serio. Così non è. Lo afferma autorevolmente
Emidio Di Giambattista, Procuratore Generale della Corte dei Conti.
Nella requisitoria sul bilancio dello Stato per il
1988 ha denunciato il dilagare dell'evasione fiscale, che ha assunto, secondo
il Procuratore, «dimensioni sterminate».
A sua volta l'allora Ministro delle Finanze Gava,
dichiarò nel marzo 1988 che l'evasione fiscale ammontava a 40 mila miliardi
annui.
Altri dati. Il Secit, il Servizio centrale degli
ispettori tributari, ha rilevato che l'83,2% dei lavoratori autonomi ha
denunciato nel 1985 un reddito medio di 8,6 milioni a cui corrispondono ricavi
non superiori ai 36 milioni annui.
Secondo il Fondo monetario internazionale l'Italia
presenta il livello di evasione più alto in materia di IVA: è stato infatti
calcolato nel 40% del gettito potenziale complessivo.
Ad avviso del giornale «Il Sole-24 ore», l'evasione
dei lavoratori autonomi tra l'83 e l'87, e cioè nei cinque anni coperti dal
condono, è stata di 200 mila miliardi.
A nostro avviso permettere un'evasione fiscale (o
favorirla, visto che si tratta di un problema che è noto da anni?) è funzionale
ad un sistema politico-economico che privilegia il ceto medio.
Ad esempio - lo ripetiamo - è scandaloso che
l'esenzione dai ticket sanitari venga concessa indipendentemente dal valore -
anche rilevante - dei beni mobili ed immobili posseduti.
Inoltre non pagano una lira, o versano contributi
ridotti, i genitori, anche molto ricchi, che inviano i figli negli asili nido e
nelle scuole materne e che denunciano redditi non troppo elevati. Anche in
questo caso l'esenzione o la riduzione sono concesse senza tenere in nessuna
considerazione i patrimoni posseduti.
Parimenti
le pensioni sono integrate al minimo qualsiasi sia l'importo dei beni.
In conclusione, le risorse ci sono: occorre solo che
lo Stato si organizzi per scovarle e cessi - nello stesso tempo - di assistere
i ceti benestanti.
(1) L'abolizione della quota a carico
dei cittadini sui ricoveri ospedalieri è stata compensata dall'aumento per le
ricette farmaceutiche, le prestazioni specialistiche e le cure termali.
L'esenzione del ticket, secondo una assurda modalità da sempre attuata dal
Governo e dal Parlamento riguarda le persone con redditi inferiori a certi
limiti, indipendentemente dal valore del
beni posseduti.
(2) Il consiglio di amministrazione è composto da un massimo
di nove membri e dura in carica cinque anni.
(3) È previsto dal decreto legge
265/1989 che «gli altri ospedali pubblici
svolgano funzioni dl presidi delle aziende USL (...). Essi sono dotati di
autonomia funzionale con propria contabilità all'interno del bilancio
dell'azienda USL e gestiscono gli appositi finanziamenti ad esso destinati».
Tutti gli ospedali, compresi quelli scorporati, devono prevedere la figura del
direttore sanitario.
(4) Napoleone Colajanni, «I due volti
della sanità», in La Repubblica del
15 aprile 1989.
(5) Il decreto legge 265/1989 ha le
stesse caratteristiche di fondo del disegno di legge n. 1942 «Modifiche
all'ordinamento del Servizio sanitario nazionale», presentato dal Ministro
della sanità, Donat Cattin, alla Camera dei Deputati il 24 novembre 1987. Una
critica al disegno di legge è contenuta nell'articolo di G. Perico, «Anziani
"cronici" non autosufficienti. Rilievi giuridico-legislativi e note
etico sociali» in Aggiornamenti sociali,
n. 7-8, luglio-agosto 1988 e in AA.VV., Eutanasia
da abbandono - Anziani cronici non autosufficienti: nuovi orientamenti
culturali e operativi, Rosenberg & Sellier, Torino, 1988.
(6) Dalla pubblicazione di AA.VV., Santé pubblique et pays industrialisés, Gouvernement du Quebec, 2° trimestre 1989, riportiamo i seguenti dati:
Paese |
Percentuale per la sanità del
prodotto interno lordo |
Tasso di mortalità per 1000 abitanti |
Speranze di vita alla nascita |
Mortalità infantile per 1000 abitanti |
||||||
uomini |
donne |
|||||||||
Italia |
6,6 |
(1986) |
9,5 |
(1986) |
71,5 |
(1982) |
78,2 |
(1982) |
9,8 |
(1986) |
Francia |
8,5 |
(1982) |
9,9 |
(1986) |
71,2 |
(1985) |
79,3 |
(1985) |
8,3 |
(1985) |
Germania
Federale |
9,5 |
(1986) |
11,5 |
(1986) |
70,5 |
(1986) |
77,1 |
(1986) |
8,7 |
(1986) |
Inghilterra |
6,8 |
(1985) |
11,7 |
(1984 |
69,8 |
(1981) |
76,2 |
(1981) |
10 |
(1983) |
Stati
Uniti |
10,7 |
(1985) |
8,6 |
(1983) |
71,2 |
(1984) |
78,2 |
(1984) |
11,2 |
(1983) |
Svezia |
9,2 |
(1987) |
11,1 |
(1986) |
74,2 |
(1987) |
80,2 |
(1987) |
5,9 |
(1986) |
Quebec |
9,1 |
(1985) |
7,2 |
(1986) |
72,1 |
(1986) |
79,5 |
(1986) |
7;1 |
(1986) |
Si veda inoltre AA.VV., Governare la
spesa sanitaria - Un confronto internazionale, Angeli (Collana CIRIEC), Milano,
1987: «L'Italia, con una delle più basse
spese pro-capite, ha uno dei migliori tassi di mortalità generale».
(7) Su questo e su altri aspetti, cfr. I. Illich, Nemesi medica - L'espropriazione della
salute, Mondadori, Milano, '77.
(8) Un aspetto importante riveste
anche il nucleo familiare. Al riguardo si veda P. Donati (a cura di), Salute, famiglia e decentramento dei
servizi, Franco Angeli Editore, Milano, 1988. Cfr., inoltre, I. Illich,
cit., parte quarta, pp. 227 e segg.
www.fondazionepromozionesociale.it