Prospettive assistenziali, n. 88, ottobre-dicembre
1989
Notizie
PROTESTA DEL COORDINAMENTO
REGIONALE ABRUZZESE DEGLI OPERATORI CONTRO IL DISAGIO E L'EMARGINAZIONE
Pubblichiamo
integralmente il documento emesso dal Coordinamento regionale abruzzese degli
operatori contro il disagio e l'emarginazione a seguito dell'approvazione
della legge della Regione Abruzzo n. 15 del 14 febbraio 1989 «Norme per
l'organizzazione e la gestione di interventi e servizi socio-assistenziali in
favore dei minori».
Concordiamo
pienamente con le critiche del Coordinamento, ad esclusione del punto 9, ritenendo
positivo che le Province trasferiscano alle Unità locali socio-sanitarie !e
attività svolte in materia di assistenza alla maternità e all'infanzia.
Testo del documento
Il Coordinamento regionale degli operatori contro il
disagio e l'emarginazione esprime un giudizio fortemente negativo in ordine ai
contenuti della recente legge regionale n. 15 del 142- 1989, riguardante «Norme
per l'organizzazione e la gestione di interventi e servizi socio-assistenziali
in favore dei minori». Il giudizio è emerso da vari incontri avutisi tra gli
operatori regionali impegnati nelle problematiche minorili, i quali
sottolineano come la Regione si sia contraddistinta ancora una volta per
l'adozione di un metodo quantomeno scorretto.
Gli operatori non si riconoscono in una legge che
obbedisce a logiche estranee al corretto funzionamento dei servizi e protestano
per la esclusione, operata nei loro confronti nel momento in cui si è trattato
di delineare i contenuti strategico-operativi alla base del provvedimento in
questione.
Riguardo a detti contenuti, l'aspetto più grave e
macroscopico è dato dalla mancanza di destinazione aggiuntiva di fondi da
parte della Regione per il raggiungimento degli obiettivi della legge, il che,
di fatto, la svuota a priori di significato e di potenzialità operative,
lasciando i Comuni in una situazione di ristrettezza economica e di
sostanziale paralisi operativa, con una grossa penalizzazione del lavoro degli
operatori, nonché, soprattutto, dei bisogni dell'utenza.
Oltre a ciò, pur volendo riconoscere al Consiglio
regionale lo sforzo di dotarsi di uno strumento in grado di superare la
frammentarietà delle disposizioni in materia, stigmatizziamo di seguito alcuni
aspetti negativi:
1. la preminenza del momento preventivo per impedire
l'insorgenza di situazioni di disagio, come previsto dall'art. 2 della legge,
rischia di essere una vuota affermazione di principio, non supportata da
azioni concrete, nel momento in cui non vi è la pratica possibilità, soprattutto
finanziaria, di azioni coordinate di prevenzione;
2. rispetto al ruolo degli Enti locali, suscita molte
perplessità lo svuotamento completo dei consultori familiari (art. 5) delle
proprie competenze, senza il contestuale, indispensabile potenziamento
dell'organico dei servizi sociali dei Comuni. Senza contare la discutibile
scelta di cancellare l'esperienza maturata dagli operatori dei consultori
familiari nei campi della consulenza della coppia in crisi, della prevenzione
del disagio adolescenziale, ecc.;
3. rimane intatto il concetto di istituzionalizzazione
e, a proposito dell'art. 17, ci chiediamo se con la dicitura «istituto
educativo-assistenziale» non si voglia per caso riproporre nei fatti una
cultura della «custodializzazione» del minore a scapito della creazione di
concreti servizi in alternativa al ricovero;
4. nessun articolo della legge prende in considerazione
il fenomeno preoccupante della violenza sui minori, che rimane di totale competenza
degli organi giudiziari;
5. rispetto all'art. 13 (centro diurno), manca ogni
collegamento con il mondo della scuola rispetto ad obiettivi di prevenzione,
quale, per esempio, quello della lotta all'abbandono scolastico. In questo
settore non si fa alcun riferimento all'attività dei distretti scolastici, cui
principalmente competono le iniziative per saldare il rapporto
scuola/territorio (percorsi formativi integrati);
6. il provvedimento non specifica chi dovrebbe
gestire i vari servizi previsti (centro diurno, casa-famiglia, ecc.). A tale
proposito, va considerato che nella nostra Regione manca una adeguata
politica formativa rispetto alla esigenza di nuove professionalità; appare
indispensabile, pertanto, un raccordo con il settore della formazione
professionale per l'istituzione dì corsi per operatori di comunità, educatori,
operatori socio-culturali, ecc. Bisogna, altresì, tener presente che il
Ministero degli interni ha già dato utili indirizzi in tal senso, stabilendo
con i «Progetti adolescenti» i criteri per la programmazione degli interventi,
la formazione del personale e la creazione di servizi e strutture di carattere
innovativo sul piano pedagogico e culturale;
7. allo stato attuale permane una situazione, per
niente scalfita dal provvedimento, per cui l'unica possibilità operativa data
ai Comuni è quella dell'assistenza economica, peraltro limitata, che non
contribuisce di certo a migliorare e qualificare le risposte a fronte di una
crescente complessità problematica del mondo minorile e lascia in uno stato di
colpevole abbandono gli operatori del settore;
8. è assente dal provvedimento una reale volontà di
attribuzione all'Ente pubblico di compiti di coordinamento, programmazione e
verifica degli interventi;
9. al riguardo all'art. 5, si è proceduto a snaturare
di fatto il ruolo delle Province, che prive di beni e personale, possono fare
ben poco. Anche in questo caso ci chiediamo qual è l'alternativa reale al
ruolo svolto dalle Province in questi anni nel settore in argomento;
10. rispetto alla creazione della Consulta regionale
e dell'Osservatorio permanente sulla condizione minorile (artt. 20 e 21), è da
rilevare come tra i componenti non sia prevista la presenza di operatori dei
servizi territoriali; sono anche assenti figure importanti come lo statistico,
ed anzi, come avviene in altre leggi analoghe, questi sembrano essere
organismi di pura facciata che non hanno nessuna reale potenzialità anche per
il fatto che, per compiere studi e ricerche sulle problematiche minorili,
occorrono professionalità, competenze e disponibilità finanziaria.
Gli operatori che hanno sottoscritto il presente
documento, nel constatare la latitanza della maggior parte degli amministratori
locali sull'argomento, si impegneranno nella Regione Abruzzo in un'opera di
sensibilizzazione sui contenuti sopraespressi, anche evidenziando le responsabilità
politiche che hanno portato ad un siffatto provvedimento, che rischia di creare
solo confusione in un settore già segnato da gravi disfunzioni.
Il Coordinamento regionale degli operatori contro il
disagio e l'emarginazione chiede con la presente un incontro con l'Assessore
Giffi per sollecitare l'adozione dei necessari correttivi al provvedimento in
questione e per discutere un serio programma di razionalizzazione dei servizi
per i minori.
IL CONGRESSO FNP-CISL SUGLI
ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI
Dal 13 al 16 giugno 1989 si è svolto a Roma l’XI
Congresso della Federazione Nazionale Pensionati (FNP) CISL.
La relazione del Segretario Generale, Gianfranco
Chiapella, contiene alcuni spunti interessanti. Ricordato il «grido d'allarme» lanciato dalla FNP «attraverso l'inchiesta sulle istituzioni
geriatriche e le relativa pubblicazione di "Cronicari fuorilegge"»,
ha affermato che «il grave stato di
condizioni umane di alcune case di lungo-degenza, ha posto anche in risalto le
immense responsabilità del pubblico potere che, tra assenze o connivenze,
consentono l'esistenza di veri e propri "lager" dove malattia e morte
alimentano le tasche dei "mercanti della vecchiaia"».
Questa situazione è stata favorita - come ha
giustamente dichiarato il Chiappella - dalla «carenza di solidarietà e socialità del sindacato degli addetti,
preoccupato, come accade troppo spesso, esclusivamente degli interessi di
categoria».
Mentre concordiamo con il Segretario generale della
FNP-CISL sul fatto che «l'anziano ha gli
stessi diritti di tutti i cittadini», ci sembra - purtroppo - che il
Congresso non abbia deciso la assunzione di iniziative concrete per evitare che
agli anziani cronici non autosufficienti continuino ad essere negate le cure
sanitarie a cui hanno diritto e per ottenere che la priorità degli interventi
curativi e riabilitativi sia effettivamente assegnata all'ospedalizzazione a
domicilio.
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