Prospettive assistenziali, n. 88, ottobre-dicembre
1989
OASI DI TROINA: GHETTO IN
PREOCCUPANTE ESPANSIONE
PIERO ROLLERO
Scrivere sull'istituto di Troina, può sembrare facile
data la mole di materiali, anche pubblicitari, che va diffondendo; ma nello
stesso tempo risulta difficile, tanto complessa e intrigante è l'atmosfera di
cui sa circondarsi: tra scientifica e religiosa; fra emarginazione di fatto e pseudoaperture verbali; fra richiami alla cultura del 2000 e radici profonde
nello spirito ottocentesco, e persino di secoli precedenti; fra potenti
protezioni locali e agganci internazionali; fra denominazioni varie e
suddivisioni più o meno reali dei suoi «reparti» e l'aziendalità manageriale e
accentratrice dell'impresa; tra sapore d'antico, di tradizione rassicurante
(quale si conviene in certi ambienti) e lo sfoggio di moderno avvenirismo,
soprattutto di attrezzature sofisticate, il cui uso ed utilità effettivi sono
messe in dubbio da esperti.
Intrigante, fin dal nome, ricercato e quasi magico,
di «Oasi di Maria SS.», rifugio solitario, quasi che tutto attorno, in Sicilia
e oltre, fosse deserto di attività sociali e di iniziative assistenziali: nome
certamente non modesto come quello scelto dal Cottolengo (il paragone e
l'attrazione fra il fondatore dell'istituto, don Ferlauto, e il Cottolengo
ricorrerà più volte), che si limitò a intitolare la sua opera «Piccola casa
della divina Provvidenza».
Una recente critica severa viene da un ordinario di
neuropsichiatria infantile dell'Università di Bari, M. Scarcella, che non ha
dubbi nel descrivere e definire l'istituto, in un articolo dal titolo «Un'oasi
o un lager?» (1).
Ma non è così semplice una risposta. Forse un'uscita
dall'oasi e un suo sbarco in una città come Torino, ha messo meglio a nudo
alcune delle gravi contraddizioni dell'istituto.
Troina punta su Torino
Circa un anno fa, su invito del SER.MI.G. (Servizio
missionario giovanile) e della consulta per le persone in difficoltà, una
équipe di Troina arriva a Torino, e si inserisce nella cornice - anche questa
intrigante ed equivoca - di una «Festa della pace». Il manifesto-invito a tale
«festa» è quanto mai significativo in proposito: con buona pace della
sintassi, vi si leggono, tra l'altro, queste edificanti espressioni:
FESTA DELLA PACE È IN MEZZO A NOI
MOMENTI DI FRATERNITA
ASCOLTO CONDIVISIONE
MADRE TERESA di CALCUTTA
PADRE FERLAUTO
JEAN VANIER
IL COTTOLENGO
DONNE E UOMINI DI PACE:
La loro esperienza testimonia che
ognuno è qualcuno da amare e rispettare sempre.
In realtà, solo il Ferlauto (e in quale ideale
compagnia viene collocato...) è effettivamente presente alla festa, senza che
prima non si sia svolto un seminario su «Promozione umana e handicap, prevenzione
e ricerca scientifica», durante il quale erano permessi, al massimo, alcuni
«brevi interventi per richiesta di chiarimenti ai relatori»...
Nello stesso manifesto campeggia il simbolo
grafico di Troina, e la scritta seducente dell'intitolazione dell'istituto,
per l'occasione tradotto dall'italiano in inglese:
OASI Istituto di ricerca e prevenzione del ritardo
mentale
OASI Institute for research and prevention of mental
retardation
Circa la denominazione dell'istituto, da altri
dépliant distribuiti durante la festa, notiamo queste varianti molto
interessanti: «Istituto di ricerca e prevenzione sul ritardo mentale e
invecchiamento - opera nell'entroterra della Sicilia, punta avanzata
dell'Europa, al centro dell'area mediterranea» (sic!).
Ma soprattutto il simbolo grafico è molto significativo:
quei raggi che partendo dall'oasi sicula si diffondono a illuminare tutto il
globo terrestre la dicono lunga sullo spirito del fondatore, dallo Scarcella
(2) diagnosticato come «paranoia pedagogica», ma da noi qualificato, entro
riferimenti religiosi, come alta stima di sé e spirito di «grandeur». Infatti il grafico ha almeno un doppio ascendente
storico che accentua tali intenzioni: il Cottolengo, anche qui più
modestamente, ha come simbolo l'occhio di Dio che irraggia attorno a sé luce e
provvidenza; ma anche la denominazione «oasi di Maria SS.» ha un parallelo nel
simbolo della Madonna di Fatima, in cui onore appunto si cantava alcuni decenni
fa: «quanta luce da Fatima spandi sul mondo ... ».
* * *
Durante la festa torinese, fu stupefacente la
mobilitazione politica: assessori del Comune, della Provincia, della Regione,
tutti accorrono a sentire il nuovo messaggio di cui Torino, a loro giudizio, ha
finalmente bisogno. Ma in questo entusiastico tributo, supera tutti gli
amministratori pubblici l'assessore all'istruzione del Comune di Torino, che
con apposita circolare (protocollo n. 52 del 21 marzo 1988) comunica temi e
relatori e invita gli insegnanti comunali d'appoggio a partecipare al
seminario, perché evidentemente vi possano attingere spunti utilissimi per
l'integrazione scolastica degli handicappati, quali sapranno offrire gli
esperti di Troina...
Il C.S.A. (Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base) con l'adesione della Lega per il diritto al lavoro degli
handicappati, nell'occasione ha diffuso un manifesto molto significativo: in
esso entra nel merito del problema della «pace» che si rivendica su più alti e
opposti livelli ideali, e ricorda ai politici immemori le realizzazioni
importanti attuate a Torino da tempo da parte degli Enti locali su
sollecitazioni delle associazioni più impegnate:
LA SOCIETÀ CHE RISPONDE ALL'HANDICAPPATO SOLO CON Il
RICOVERO IN ISTITUTO,
È UNA SOCIETÀ DISUMANA
Anche noi
siamo per la pace.
SAREMMO LIETI DI MANIFESTARE PER LA PACE, MA DOBBIAMO
MANIFESTARE
CONTRO UNA INTERPRETAZIONE DISTORTA DEL GRANDE SOGNO
DELLA PACE.
PACE non è creare cosiddette «città aperte» dove vivono
solo persone in difficoltà per la tranquillità, questo sì, e la
deresponsabilizzazione di enti pubblici e dei cittadini cosiddetti «normali».
Nel secolo scorso si creavano istituti perché i
diversi non dessero disturbo ali a pubblica quiete con la loro presenza che era
sinonimo di «peccato».
Non vogliamo che questa mentalità ci venga riproposta,
sia pure con la vernice pretestuosa deilla ricerca scientifica (fatta sulla
pelle degli handicappati e sottratta ad adeguati e doverosi controlli?!).
PACE è prevenire il bisogno della persona creando
strutture sanitarie, scolastiche, abitative e servizi in ogni Regione che siano
a misura della persona e che evitino deportazioni pseudo assistenziali.
PACE è tutelare i più deboli integrandoli e facendoli
vivere in mezzo agli altri e non «promuovendoli» in ghetti, sia pure di lusso.
Non è lecito sfruttare il simbolo della PACE per
supportare strutture arcaiche e ghettizzanti.
PACE è:
più aiuti alle famiglie
degli handicappati;
più affidamenti familiari ed adozioni; più comunità
alloggio e centri socioterapeutici;
più riabilitazione;
più integrazione scolastica;
più formazione prelavorativa per insufficienti mentali;
più inserimenti lavorativi;
eliminazione delle barriere e trasporti adeguati.
PACE è consentire anche agli handicappati di poter
vivere insieme con gli altri le esperienze di tutti i giorni.
* * *
L'istituto di Troina è situato in una zona isolata,
lontano dal centro abitato. Vi sono ricoverate 300 persone di cui 280 da tutta
la Sicilia e 20 dalle altre regioni.
I 300 ricoverati sì dividono in:
50 epilettici;
40 sindrome di down;
20 autistici;
altri insufficienti mentali di varia natura e
gravità.
NON TUTTI I RICOVERATI FREQUENTANO LA SCUOLA
DELL'OBBLIGO.
Ricerca
scientifica o esperimento?
Ricordiamo che a dei ricoverati di questo istituto
era stato somministrato, a titolo sperimentale, un farmaco (GABA) di cui era
stata attestata l'efficacia mentre il prodotto era stato poi ritirato dalla
ditta produttrice (cfr. Igiene mentale
n. 3/73).
La Regione
Piemonte, la Provincia, il Comune di Torino, su sollecitazione delle
associazioni, hanno realizzato:
- Assegnazioni di alloggi da parte del Comune di
Torino;
- contributi per adattamenti degli alloggi al fine di
renderli accessibili anche alle persone con handicap;
- istituzione del servizio taxi per le persone
impossibilitate ad usare i mezzi pubblici inaccessibili;
- eliminazione, quasi totale in Piemonte, delle
scuole e classi speciali per handicappati;
- intesa sull'inserimento scolastico degli
handicappati (16.7.86) tra Provveditorato, Presidente USL 1/23, Assessore
all'istruzione;
- apertura dei corsi prelavorativi per insufficienti
mentali;
- scuole per la formazione di educatori specializzati
e terapisti della riabilitazione;
- delibera del Comune di Torino diretta a favorire
l'affidamento familiare a scopo educativo dei minori handicappati;
- legge R. Piemonte 3.9.84 n. 54 che prevede
l'abolizione delle barriere architettoniche da tutti i nuovi alloggi costruiti
dallo IACP;
- servizio di consulenza educativa domiciliare
gestito dall'Assessorato all'Istruzione, che interviene nei confronti delle
famiglie che hanno bambini handicappati;
- gli affidamenti familiari di minori a scopo
educativo a parenti e terzi, realizzati dal Comune di Torino al 31.12.86
ammontano a n. 1510;
- assunzione di n. 100 handicappati fisici e 45
insufficienti mentali presso il Comune di Torino, di 60 insufficienti mentali
e 10 handicappati fisici presso le USL Torino 1/23 (da ultimare), di 20
insufficienti mentali e 5 handicappati fisici (da ultimare) presso la Provincia
di Torino;
- le comunità alloggio nel Comune di Torino, alla
data del 30.6.87 erano:
n. 26 per minori handicappati e non handicappati;
n. 5 per minori e adulti insufficienti mentali;
n. 2 per adulti handicappati fisici;
n. 5 per anziani;
n. 4 per gestanti madri;
- i centri socio terapeutici diurni per insufficienti
mentali gravi e gravissimi, non in grado a causa delle loro condizioni psichiche
di inserirsi nel mondo lavorativo, sono 20 (con 20-30 posti caduno);
- n. 200 handicappati inseriti nella attività
sportiva cittadina; il Comune ha promosso il 1° corso di formazione per
istruttori sportivi per handicappati;
per tutto
ciò
CHIEDIAMO AGLI AMMINISTRATORI DI CONTINUARE A
PROCEDERE RISOLUTAMENTE SULLA STRADA DELL'ALTERNATIVA AL RICOVERO IN ISTITUTO.
* * *
Contemporaneamente, una lettera ancora del C.S.A.,
datata 14 marzo 1988, veniva inviata agli amministratori (3), nella quale li si
metteva in guardia da una facile connivenza politica con la manifestazione e il
seminario:
Siamo
rimasti molto stupiti nel leggere il vostro nome tra i partecipanti al
Seminario: «Promozione umana e handicap» che si terrà il 27 marzo 1988
all'Arsenale della pace «Casa della speranza».
Il nostro
Coordinamento non ha certamente mai esitato nel sollecitare la vostra
attenzione nei confronti dei problemi che riguardano i portatori di handicap,
né ha risparmiato - anche solo ultimamente - critiche circa scelte ritenute
poco rispondenti alle esigenze e ai diritti di tale categoria di cittadini.
Tuttavia ci
sembra che la situazione dei servizi assistenziali e delle iniziative volte
alla promozione dell'integrazione scolastica e lavorativa, sociale e culturale
dei portatori di handicap (fisici, psichici, sensoriali e intellettivi) in Piemonte
e, in particolare, nella città di Torino, siano di gran lunga superiori in
qualità a quanto si riscontra nell'Istituto di Troina all'interno del quale
avvengono fatti che sono per lo meno discutibili.
L'Istituto
medico-psico-pedagogico di Troina (Enna), diretto da Don Ferlauto, è balzato
agli onori della cronaca proprio per alcune ricerche dirette ad accertare le
«modificazioni dell'età mentale in subnormali trattati con forti dosi di Gaba
di nucleotidi», ricerche svolte su ricoverati in detto istituto, che si spera
(ma non si è certi) che siano state autorizzate dagli esercenti i poteri
tutelari.
I
ricercatori, G. Busacca Dollero e L. Salva, avevano accertato «su due gruppi di
30 ragazzi subnormali ciascuno, con sistema del doppio cieco, l'influenza
esercitata dalla somministrazione di una preparazione farmacologica, in cui
erano particolarmente importanti nucleotidi e Gaba in forti dosi, sull'età
mentale determinata con il test di Portens».
Nonostante che i ricercatori dichiarassero
(cfr. Igiene mentale, n. 3, luglio-settembre 1973) che «i risultati ottenuti
attestano la maggior efficacia delle dosi maggiori della stessa preparazione»
non è stato mai confermato il positivo effetto del Gaba, che da tempo è stato
ritirato dal commercio dalla ditta produttrice, la Glaxo.
Inoltre
Troina rappresenta il classico istituto a carattere di internato (sono 350
posti letto con utenti provenienti da tutta la Sicilia e da altre zone), con il
conseguente sradicamento degli handicappati dal loro contesto di vita, che non
può essere compensato dalla presenza di assistenti sociali, anche
preparatissime, che «fanno ininterrottamente da ponte con le famiglie». Detto
sradicamento, che Alfredo Carlo Moro definisce «deportazione assistenziale»,
deresponsabilizza la comunità locale e le autorità che trovano comodo
rinchiudere gli handicappati in gabbie anche di lusso, piuttosto che mettere a
disposizione degli handicappati e delle loro famiglie, tutte le prestazioni
sanitarie, scolastiche, abitative, sociali necessarie.
Per le
ragioni qui esposte troviamo inconciliabile approvare iniziative come quella
di questo seminario, che vanno in direzioni ben diverse da quelle espresse
finora dall'Amministrazione locale, e pertanto vi chiediamo di ponderare bene
l'opportunità di partecipare a tale incontro, in quanto non potrebbe non
assumere un significato politico e di scelta di intervento in questo settore
ben preciso.
Confidiamo
nella vostra responsabilità di amministratori affinché non sia tradita e
delusa la speranza che accompagna il cammino difficile di chi crede in una
società in cui ci sia posto per tutti; anche per gli handicappati. Le gabbie,
anche d'oro, sono e restano gabbie.
Il «gemellaggio» Troina-Rivarolo
Ma a tutti questi elementi importanti occorre
aggiungere un altro punto, forse il più essenziale: la puntata di Troina a
Torino era soprattutto in funzione di porre le basi per lanciare un'altra
«oasi» della provincia di Torino, anch'essa con un nome intrigante ed equivoco,
per nascondere la sua funzione di megastruttura emarginante: «Comunità La
Torre» di Rivarolo, inizialmente denominata senza ipocrisia «Villaggio del subnormale»: già fortemente contestata,
sembra di fatto languire, pur tentandosi anche in essa multiformi iniziative,
senza una coerenza programmatica, come appare dalla recente relazione della
sua coordinatrice (4). II progetto di attività 1989, ivi contenuto, appare, con
evidenza, un tentativo di riempire un vuoto istituzionale, e forse un vuoto
amministrativo della megastruttura con attività fra loro, a dir poco,
scoordinate, e quasi tutte ispirate all'esempio di Troina: corsi di aggiornamento
vari, tentativo di collegamento con l'IRRSAE Piemonte (sulla cui gravità torneremo più avanti in modo ampio), un
progetto di accesso alla Banca dati europea, un centro diagnostico di
audiometria infantile e per adulti (la cui inutilità è evidente in una zona già
servita da ospedali e ambulatori
specialistici), un centro odontoiatrico
in narcosi per persone handicappate (sic) con un'équipe medico-chirurgica
che garantisce l'assistenza sanitaria per 12 ore dopo l'intervento (inutile
doppione rispetto alle Cliniche universitarie torinesi).
Un'altra attività è costituita da soggiorni in comunità,
sul cui costo «Controcittà» (n. 5,
maggio 1989) aveva osato sollevare il velo: «Siamo stati informati che per 15
giorni di permanenza in una comunità aperta dall'ANFFAS, nel villaggio dei
subnormale di Rivarolo, i familiari hanno pagato la bella cifra di 2 milioni e
cioè 135 mila lire al giorno. È possibile?
È questo il risultato del versamento benefico di 3 miliardi e mezzo effettuato dall'Istituto Bancario S. Paolo
di Torino?».
La coordinatrice del «Villaggio» rispondeva con una
lettera irritata e astiosa, scaricando, fra l'altro la responsabilità delle
comunità alla cooperativa «Risorse», che risulta formata da soci ANFFAS, com'è detto nella citata relazione
della stessa coordinatrice. Purtroppo, come elemento che va ad aggravare la
posizione di questa struttura, dobbiamo riportare la lettera denuncia di un
genitore, indirizzata all'ANFFAS di Torino,
all'USSL di territorio, al direttore delle comunità:
«Il sottoscritto C.F., padre di C.E., desidera
esprimere le proprie lagnanze per il
trattamento ricevuto dal suo ragazzo nel periodo di permanenza in oggetto.
«Al termine di questo periodo il ragazzo presentava
piccoli ematomi alle braccia, micosi inguinale, dissenteria e dolori all'osso
sacro, come dimostrano i certificati medici allegati.
«Il sottoscritto, oltre all'aspetto emaciato e
sofferente dei proprio figlio, ha notato che la terapia farmacologica
consigliata, non è stata effettuata, se non parzialmente in quanto i farmaci sono stati restituiti quasi intatti.
«L'impressione ricevuta è che il ragazzo non sia
stato seguito a dovere sebbene il prezzo pagato per la sua permanenza non sia
stato indifferente.
«Con la speranza che episodi così incresciosi non
abbiano a ripetersi, invio distinti saluti».
La «ricerca scientifica» negli Istituti
e i suoi cospicui finanziamenti
Questo tentativo di «gemellaggio» fra Oasi di Troina
e Comunità di Rivarolo non poggia tanto su basi ideali o meramente
«scientifiche», ma su basi o fonti economiche a cui attingere tramite il
lustro della «ricerca». In proposito ogni dubbio può essere dissipato
consultando la rivista I.S.I.S.
(Informazione stampa interesse sanitario) che nel numero 33/34/35 del 1988
riporta la ripartizione, su parere favorevole del Consiglio sanitario nazionale,
del fondo sanitario nazionale 1988 «per il finanziamento della ricerca
corrente degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico»,
riconosciuti in base alla legge n. 833/1978.
Nella tabella B, riportata dalla rivista (a pag. 20),
in cui sono elencati gli istituti riconosciuti «di diritto privato», contro sei ospedali o cliniche troviamo ben quattro «istituti o fondazioni risalenti
a tali istituti» per il ricovero a internato di minori handicappati:
Istituto
Oasi - Troina - (Enna); finanziamento
di 500.000.000 per i settori di ricerca: - cause congenite ed acquisite del
ritardo mentale e della involuzione cerebrale senile: prevenzione, cura e
riabilitazione.
Fondazione
Stella Maris - Calambrone - (Pisa);
finanziamento di 1.200.000.000 per i
settori di ricerca:
- fisiopatologia dello sviluppo del linguaggio in età
evolutiva: messa a punto di tecniche di valutazione clinica e di analisi
automatica dei disturbi del linguaggio in età evolutiva e sperimentazioni di
tecniche riabilitative;
- prevenzione del danno neuropsichico precoce:
sviluppo e sperimentazione di tecnologie di valutazione automatica
computerizzata dell'attività bioelettrica cerebrale e dell'attività motoria
del neonato e del lattante;
- tecniche psicoterapiche nell'infanzia e nella
adolescenza: sperimentazione di protocolli di intervento psicoterapico
individuale, di gruppo e familiare nelle disarmonie evolutive precoci e nella
psicopatologia dell'adolescenza;
- studio della poligrafia nei più complessi disturbi
neuropsichici, nonché nello sviluppo della epilettologia, specie nelle forme
maligne e complesse;
- studio delle funzioni corticali nei diversi ambiti
patologici, sia congeniti che acquisiti in età evolutiva.
Centro
Eugenio Medea - Bosisio Parini - (Como);
finanziamento di 1.200.000.000 per i
settori di ricerca:
- evoluzione clinica degli stati deficitari con particolare
riguardo alla condizione di gravità/complessità;
- ricerche in tema di classificazione sindromica
delle epilessie su base lesionale in età evolutiva con particolare riguardo
agli aspetti funzionali neurofisiologici in soggetti con disturbi
neuropsichici concomitanti;
- determinazione di standard di valutazione in campo
neurofisiologico rispetto alle diverse tipologie minorative, con particolare
riguardo a nuove tecnologie elettrofisiologiche;
- puntualizzazione del criterio di diagnosi funzionale
nella prospettiva dei piani di intervento riabilitativo.
Centro
Auxologico Piancavallo - Milano;
finanziamento di 1.300.000.000 per i
settori di ricerca: - studi epidemiologici e funzionali sui fattori di rischio
e sulle alterazioni dell'età evolutiva con conseguenze patologiche in età
adulta.
Ma questi finanziamenti statali, che rappresentano
altrettante «garanzie scientifiche», vanno a giustificare e ad aprire le porte
ad altri finanziamenti degli Enti locali e dei privati (banche, imprese,...),
forse ben più cospicui di quelli elargiti dal Ministero della sanità: di fatto
«una legge regionale del 1986 - approvata
all'unanimità - assegna all'istituto di Troina centinaia di miliardi ponendolo
al centro dei servizi riabilitativi in Sicilia» (5).
È deprimente constatare questo facile avallo pubblico
di «scientificità» a istituti o holding di
istituti (facenti capo a un'unica «ragione sociale») il cui scopo finale -
quando non è anche speculativo - è quello dì incrementare l'emarginazione dei
più deboli, proprio a scopo di studio e di ricerca «in laboratorio».
Da una parte l'amministrazione pubblica avalla di
fatto tale politica emarginante, dall'altra sottrae cospicue risorse che
dovrebbero essere invece impiegate in una forte iniziativa sul territorio per
l'integrazione familiare, scolastica, lavorativa e sociale delle persone
handicappate.
Ma vi è un motivo «scientifico» ancora più fondamentale
che, a nostro avviso, può colpire al cuore questa pretesa ricerca e
scientificità all'interno di tali istituti: non ha proprio insegnato nulla
negli ultimi decenni la psichiatria moderna quando ha dimostrato
esaurientemente che proprio la scienza psichiatrica (per lo più organicistica)
fondata sullo studio degli internati nei manicomi era fuorviante, e
inattendibile, proprio perché doveva fare i conti non solo con la supposta
malattia mentale «endogena», ma anche, e soprattutto, con le gravi conseguenze
aggravanti dovute alla istituzionalizzazione, spesso violenta, dei soggetti?
(6).
Un fenomeno analogo, che si può indicare come «handicap più effetti dell'emarginazione,
dello sradicamento dalla propria famiglia, dal territorio», mette una
gravissima e serissima ipoteca sulle pretese ricerche scientifiche all'interno
degli istituti per handicappati, spesso internati per lunghi periodi.
Ci informa Scarcella (7) che, dopo varie vicissitudini,
«l'Oasi trovò un aggancio dimostratosi stabile e reciprocamente proficuo con l'Università
cattolica (Facoltà di medicina di Roma). Da allora tra Roma e Troina si è
consolidato un ponte (aereo) che ha consentito a molti studiosi di varie
discipline (ortopedia, cardiologia, fisiologia, ecc.) del Policlinico Gemelli
di usufruire di abbondante mút-3riale umano per molteplici ricerche che hanno
sfruttato le sofisticate attrezzature e la moderna e costosa tecnologia di cui
l'Oasi era dotata». E aggiunge a parziale consolazione: «È significativo che le
cattedre di psicologia e di psichiatria della Cattolica, dirette dal prof. L.
Ancona, non hanno "profittato" di questo ricco "materiale".
Solo uno psicologo sudamericano, il Fogliobonda, ha sfruttato le
"cavie" di Troina per una sua monografia, lasciando in ombra le
fonti delle indagini».
Lustro e copertura dagli IRRSAE
Aggiunge ancora lo Scarcella: «Ma la campagna
promozionale dell'Oasi per acquisire un prestigio (o una patina) di rinomanza
ha utilizzato ogni possibile canale e iniziativa, ospitando i corsi residenziali
dell'IRRSAE Sicilia (di cui è presidente il prof. Rapisarda, direttore della
Clinica psichiatrica di Catania), promuovendo corsi di formazione (non sembra,
peraltro, rivolti ai propri operatori), seminari, convegni anche internazionali».
Quando più sopra parlavamo di «gemellaggio» fra
Troina e Rivarolo non avanzavamo solo un sospetto: come si vede, la prassi e i
«consigli» di Troina di fare un centro di formazione, di seminari e di corsi
anche per l'IRRSAE Piemonte - per coprire una politica emarginante - sono
puntualmente riscontrabili nelle prime iniziative di Rivarolo, e nei progetti
della sua coordinatrice, riportati nella relazione sopracitata.
In merito all'eventuale coinvolgimento dello IRRSAE
Piemonte, riportiamo da «Handicap & Scuola» (n. 9/10 del 1989) una netta
opposizione dal titolo «I corsi IRRSAE per docenti "emarginati" a
Rivarolo nel villaggio del subnormale?»:
«La fonte è ufficiale: Esistenza, mensile della Anffas di Torino e Provincia, nel numero
del 15 maggio 1989, pagine 8-9, pubblica la relazione sulla attività
1987/1988 della «Comunità La Torre» di Rivarolo Canavese (già «Villaggio del
Subnormale»), stesa dalla coordinatrice professoressa Rosina Zandano.
«Nel "programma di attività 1989" si legge testualmente: “In seguito a
contatti presi precedentemente con il Presidente ing. Panaro dell'IRRSAE
(Istituto Regionale Ricerca e Sperimentazione Addestramento Educazione) si è
concordato di presentare un progetto per l'utilizzo della struttura edilizia
di Rivarolo come sede dei Corsi,
Seminari e Convegni che l'IRRSAE organizza per i suoi insegnanti. Se il
progetto sarà realizzato occorrerà predisporre una maggiore capacità ricettiva
che si potrà ottenere solo con la ristrutturazione del II° lotto”.
«A parte il fatto che l'IRRSAE non si occupa di
“addestramento” (IRRSAE sta per “Istituto Regionale Ricerca Sperimentazione ed
Aggiornamento Educativi”), il
“progetto Anffas per l'IRRSAE-Piemonte” dà tutta l'impressione di essere
l'ennesimo tentativo per trovare una ragione d'esistere per la maxi-struttura
di Rivarolo Canavese, nata come “villaggio del subnormale” e poi costretta a
ridimensionare la sua capacità residenziale dalla forte pressione esercitata
in questi anni dalle altre Associazioni, dalle Organizzazioni sindacali e degli
operatori.
«Davvero non si comprende la ragione per la quale l'IRRSAE-Piemonte
debba concordare con l'Anffas l'utilizzo della struttura edilizia di Rivarolo
come sede di tutti i suoi Corsi, Seminari e Convegni, costringendo gli
insegnanti ed i capi istituto di tutta la regione a raggiungere non un luogo
centrale e servito di mezzi di trasporto, ma una località periferica con tutte
le scomodità che ciò comporta. Senza contare l'aggravio di spesa per il
pagamento delle “indennità di missione”.
«Che il "progetto" Anffas sia più una
occasione per risolvere problemi ancora aperti della struttura di Rivarolo e
non una iniziativa nell'effettivo interesse degli alunni handicappati e dei
docenti, lo dimostra la frase finale del brano citato: “Se il progetto sarà
realizzato... occorrerà predisporre una maggior capacità ricettiva che si potrà
ottenere solo con la ristrutturazione del II° lotto”.
«L'Anffas si pone il problema dell'aggiornamento dei
docenti o quello di creare le condizioni per completare la sua maxi e
contestata struttura?
«L'auspicio è che il Presidente dell'IRRSAE-Piemonte
non sigli alcuna intesa con l'Anffas in questo senso e che, semmai, si possa
impegnare in prima persona perché l'IRRSAE stesso promuova finalmente una
iniziativa non occasionale ma sistematica di ricerca-sperimentazione-aggiornamento
relativa all'integrazione scolastica degli handicappati.
«Sotto questo profilo, l'IRRSAE-Piemonte è in ritardo
rispetto ad altri Istituti Regionali italiani (basti, per tutti, il confronto
con quello della Lombardia) e questa latitanza non può continuare a lungo».
L'uso politico della fede
La puntata di Troina a Torino è stata quindi, a
nostro avviso, un test di verità e una cartina di tornasole per mettere allo
scoperto le contraddizioni di fondo di tale istituzione: dalla scienza come
lustro e copertura di altre finalità, al forte richiamo e aggancio politico e
all'uso politico della fede.
Sotto quest'ultimo aspetto, abbiamo già accennato
alla presentazione del Ferlauto accomunato, nel manifesto del SERMIG, in modo
talmente enfatico da rasentare il ridicolo, con Maria Teresa di Calcutta, ma
anche in modo ingenuamente contraddittorio col Cottolengo, la cui opera è
oggetto di forti critiche sulla base di documentate prove di emarginazione e
di pressioni psicologiche sulle persone (8).
Proprio questo raffronto col Cottolengo rivela
l'arretratezza di fondo dell'iniziativa di Troina: se agli inizi dei 1800, nel gravissimo disinteresse pubblico e
nella politica conservatrice dei governi sabaudi, poteva trovare una sua
giustificazione storica l'iniziativa del Cottolengo, tale giustificazione
(antistorica) più non si ritrova oggi quando leggi perentorie impongono
l'obbligo di un intervento pubblico nel settore, e prescrivono, in particolare,
una precisa «priorità» di interventi in cui l'istituzionalizzazione è giustamente
collocata, come residuo, all'ultimo posto.
L'espansione abnorme del Cottolengo ha poi una sua
precisa causa ancora nella politica conservatrice dei governi sabaudi prima e
italiani poi del 1800; l'espansione
abnorme oggi di Troina; quale viene progettata, getta una luce conturbante
sulle gravi responsabilità, ancora dì fatto arretrate e conservatrici, di
molti amministratori pubblici, soprattutto locali.
Ma quanto sia intrigante
(mi pare che questo termine ricorrente dia bene il senso di disagio
profondo, e dell'attrazione-repulsione verso questa iniziativa), quanto sia
intrigante l'uso politico della fede, si può vedere nell'intervista concessa
dal Ferlauto alla rivista del SERMIG in occasione della sua venuta a Torino
(cfr. «Progetto», aprile 1988): «È l'Oasi Maria SS., un centro
testimonianza dell'amore fraterno verso i sofferenti, i deboli, i disabili,
gli ultimi, specie gli handicappati con ritardo mentale. Sono proprio loro i
silenziosi collaboratori dell'Oasi. Giorno dopo giorno essi costruiscono la
città dove l'amore è legge e testimonianza della carità di Dio». E ancora: «Il
sogno non stette nel cassetto, divenne subito azione, sostenuto dalia fiducia
in Dio e sotto la protezione della Madonna»; «Per capire l'Oasi bisogna prima
di tutto capire il Cristo ...». Naturalmente «la cappella: è tetto alla casa
dell'Oasi, a indicare la protezione di Dio e la fiducia nella Provvidenza». E
con un audace miscuglio di fede e di management
(quest'ultimo pregio riconosciuto da tutti al Ferlauto): «Certamente
rappresenta un'avventura ad alto rischio, ma del resto tutto il cammino
dell'Oasi è stata e resta un'avventura, anche se coronata di successa». Ma qual
è il segreto di questo successo? Don Ferlauto dà la risposta che è quella dei
semplici di cui parla il Vangelo: «Siamo riusciti a coinvolgere nella
"società" un Socio di assoluto rispetto, che è il buon Dio. È lui
che nella "società" ha il pacchetto di maggioranza. Fino ad oggi è
stato fedele agli impegni» (sic!).
Non vi è chi non veda che tale uso della fede possa
produrre un suo intrigante fascino in certi credenti, e soprattutto in giovani
ancora inesperti (a cui il SERMIG si rivolge con tali messaggi), e possa
servire anche di copertura ideale per certi politici che a questa fede possono
richiamarsi.
A nostro avviso, una seduzione mistificante e
diseducativa può nascondersi in simili appelli irrazionali, soprattutto se
messi a confronto con iniziative di fede avanzate e antiemarginanti di altri
religiosi come Don Oreste Benzi, fondatore dell'associazione Giovanni XXIII
(9), oppure se messi a paragone delle parole illuminate del Cardinal Martini
(10). Siamo di fronte a due fedi, a due culture, a due tipi di impegno distanti
millenni fra di loro.
Ma questo scambio interagente fra fede e politica ha
pure altri risvolti negativi: l'uso politico della fede da parte di una
istituzione ha un riscontro nell'uso da parte dei politici, o almeno di alcuni
politici, della «occasione di fede» che viene offerta, per uno scarico di
coscienza nei confronti dei propri doveri di legislatori e amministratori, con
una grave conseguenza che può tradursi nel blocco o nel rallentamento delle
iniziative pubbliche e territoriali, che pure sono imposte dalle leggi e
rappresentano il primo dovere dei politici. Certamente è molto più facile
elargire miliardi, sotto i fascinosi pretesti congiunti di scienza e di fede,
riconosciuti in un'opera privata, che non organizzare servizi sociali,
sanitari e assistenziali adeguati e gestirli giorno dopo giorno, senza facili
deleghe; sotto il controllo dell'opinione pubblica e degli utenti; è molto più
facile, per le stesse pseudomotivazioni, «nascondere» l'handicappato in una
qualche oasi, che non averlo tutti i giorni davanti agli occhi e alla
coscienza, perché in quest'ultimo caso la sua presenza impegnerebbe non solo a
istituire servizi specifici per l'handicappato, ma anche a riformare e
rifondare tutta, la politica del territorio. È molto più
rassicurante rifugiarsi nella delega di fatto, senza oneri di controllo, a
istituzioni private, di cui si è contribuito ad aumentare il prestigio, che non
prendere atto di una politica di fatto conservatrice la quale, nel concorso fra
pubblico e privato, perpetua e consolida la stasi e il rallentamento dello
sviluppo civile e sociale di intere regioni meridionali.
Possiamo citare almeno alcune delle gravissime
inadempienze dello Stato e degli Enti locali che concorrono all'emarginazione
dei più deboli nel Meridione e soprattutto in Sicilia: a tutti sono noti i
dati sulla persistenza a tutt'oggi dei doppi, e anche tripli turni nelle scuole
dell'obbligo; le percentuali allarmanti degli alunni respinti fin dalle prime
classi elementari, con conseguenze disastrose sulla mortalità scolastica; Io
scarso numero di alunni handicappati effettivamente inseriti nelle classi
comuni, rispetto a quelli integrati nelle scuole del Centro-Nord. Tutte queste
croniche inadempienze dello Stato e degli Enti locali vanno a favorire e
incrementare le iniziative più emarginanti.
Ma vi è un ulteriore aspetto «sommerso», e non meno
doloroso, da sottolineare, per le fasce più deboli della popolazione
scolastica. La Commissione Giustizia del Senato aveva condotto, a suo tempo,
un'indagine conoscitiva molto ampia, in vista dell'approvazione della nuova
legge sull'adozione e sull'affidamento dei minori (L. 4-5-83, n. 184),
convocando gli Assessori all'assistenza delle Regioni, delle Province e dei Comuni
principali, i Presidenti dei Tribunali per i minorenni, Associazioni e
Movimenti.
Fra gli altri, i rappresentanti della Regione Sicilia,
delle città di Catania e di Napoli, nonché il Presidente del Tribunale per i
minorenni di Palermo, nell'occasione, hanno rappresentato una situazione
drammatica in merito all'assistenza dei minori: un costante aumento di
richieste di ricovero in istituto (fino a migliaia e migliaia di bambini),
praticamente come unica risorsa assistenziale: anche a causa della «carenza
delle strutture pubbliche nel campo della pubblica istruzione», mentre «una
scuola a tempo pieno potrebbe alleviare l'esigenza del loro ricovero» (cfr. Prospettive assistenziali, nn.
45-47-48/'79).
Dall'enfasi
delle parole all'ipertrofia delle opere
Se abbiamo segnalato l'intrigante connubio, che
diventa anche mistificazione, fra scienza, fede e politica, non possiamo non
rilevare anche un altrettanto mistificante uso di un linguaggio pseudosociale
di finta «apertura» dell'istituto.
Di fronte all'emarginazione di fatto di centinaia di
persone, in un luogo impervio e poco accessibile della profonda Sicilia (forse
che l'eliporto installato nell'oasi può annullare l'isolamento o non ne
accentua maggiormente la solitudine?); di fronte ai diritti, di fatto, negati
alla integrazione reale sociale e scolastica di tutti i soggetti nel proprio
territorio; di fronte alle separazioni fra figli e genitori, e alle
conseguenze comunque traumatiche di tali separazioni: ci producono
un'impressione un po' agghiacciante le affermazioni di pseudoapertura
dell'istituto sparse in vari scritti, dépliant pubblicitari, e in particolare
nell'intervista già citata del Ferlauto alla rivista del SERMIG.
Eccone alcune fra le più significative: «Facciamo
una casa per loro. Una casa, non un
istituto, perché il portatore di handicap potesse trovare amicizia, calore,
aiuto e, soprattutto, dignità (...) Si iniziò a costruire un ambiente ricco di
stimoli per gli ammalati a testimonianza di solidarietà e amore: non semplice
assistenza, ma cammino per tentare le riabilitazione e il reinserimento nella società (...). Qui li aiutiamo ad adattarsi (sic) positivamente, sia sotto il profilo psicologico che sotto
quello sociale, offrendo loro prima di tutto un ambiente amichevole e stimolante,
e rendendo la famiglia e la città più
sensibile alle loro esigenze (sic) (...). Ma tutte le strutture sono a servizio
del territorio (sic), rispondendo alle
necessità delle famiglie che non sono in grado di farsi totalmente carico del
parente handicappato: le strutture, cioè, non vogliono sostituirsi alla
famiglia, ma ne integrano e sostengono la capacità di accoglienza di fronte a
problemi spesso più grandi di lei».
Ma il colmo della mistificazione, e insieme della
ipermania, è il progetto avveniristico dell'ampliamento ulteriore dell'Oasi in
«Oasi Città aperta» con la previsione di 2000 abitanti, ancora e sempre allo scopo
di «spianare il cammino dell'integrazione e dimostrare che questa non è una
utopia!» Riportiamo dalla citata intervista i passi più salienti ed
allarmanti: «Ma il traguardo per il 2000 di don Ferlauto e dei suoi amici punta
molto in alto. Poiché la società non fa un gran che per gli handicappati che
hanno esaurito in istituto o altrove il ciclo educativo e che la mentalità
pietistica ed assistenziale è dura a morire, l'Oasi, per spianare il cammino
dell'integrazione e dimostrare che questa non è utopia, ha avviato la
costruzione, destinandole 300 ettari,
di una città «telematica», l'«Oasi Città aperta», che conterà duemila abitanti:
qui handicappati e no potranno vivere assieme senza essere più separati da
steccati architettonici, morali e spirituali, in una autentica integrazione.
L'intero progetto, dalla distribuzione planimetrica ai percorsi, dai tipi di
abitazioni ai servizi, tiene presente le esigenze particolari dei disabili. Su
questo terreno si tratterà di fare un notevole sforzo di elaborazione di una
nuova «dimensione urbana» all'interno della quale i disabili si possano
muovere agevolmente, vivere e lavorare: sono previsti istituti di formazione
professionale, officine artigianali, unità produttive, comunità agricole, etc.
«Non è possibile, in poche righe, presentare in modo
dettagliato questo progetto molto complesso. Ci limitiamo a sottolineare che
non è rivolto a costruire un "villaggio dell'handicappato", perché
è articolato in modo che si crei un rapporto stabile tra la città
"normale" con quella "speciale", nella prospettiva che
tutti possano proficuamente vivere insieme e non semplicemente convivere. I
disabili infatti non sono, in questa città, "istituzionalizzati", in
blocchi collettivi, ma vivono in una comunità all'interno della quale hanno un
loro spazio privato. "Naturalmente l'obiettivo di rendere possibile
l'instaurazione di rapporti amichevoli, equilibrati e sereni tra tutti coloro
che vivono in queste comunità non si raggiunge soltanto tramite un intelligente
progetto ingegneristico, giacché altri problemi, primi tra tutti quelli di
ordine socio-psicologico, richiedono un ricorso massiccio alle scienze e alle
più moderne tecnologie". L'informatica, la telematica, i controlli
automatizzati assumono quindi una importanza rilevante: ad esempio una rete
telematica eviterebbe tutti gli spostamenti non strettamente necessari,
sollecitando e facilitando, viceversa, quelli necessari: "si pensi ai soli
aspetti connessi al controllo dello stato di apprendimento dei disabili,
esercitato senza richiedere spostamenti, e che possono essere effettuati in
tempi che nessun progetto architettonico riguardante una estensione di 300
ettari e quasi un milione di metri cubi di strutture può garantire"; si
pensi a edifici dotati di dispositivi per il telecontrollo e il telecomando
degli impianti tecnologici e di quelli di sicurezza; si pensi a un piccolo
trasmettitore di messaggi per ogni persona, che può utilizzarlo per richiedere
supporti o inviare messaggi, in modo da evitare protezioni fisiche con muri e
porte o controlli di assistenti o vicini; etc.».
«L'Oasi Città aperta - sostiene padre Ferlauto - è
realizzata guardando al domani e anticipando il domani; per far toccare con
mano che l'integrazione non è utopia se si sanno accettare gli ammalati così
come seno e se sappiamo creare attorno a loro un ambiente idoneo. pretendendo
da loro quello che possono e intervenendo per quello che non possono.
«Una realizzazione di questa portata (che sta
coinvolgendo in continuità numerosi e qualificati operatori del campo sociale,
scientifico, tecnico, medico, etc.), in una zona particolarmente depressa
dell'Italia e della Comunità Europea può permettere lo sviluppo stesso della
zona, ma pur sempre è una sfida alla società di oggi che spesso non è attenta
all'uomo quando non cammina in direzione opposta. "Certamente rappresenta
un'avventura ad alto rischio, ma del resto tutto il cammino dell'Oasi è stata e
resta una avventura, anche se coronata di successo". Ma qual è il segreto
di questo successo? Don Ferlauto dà la risposta che è quella dei semplici di
cui parla il Vangelo: "Siamo riusciti a coinvolgere nella
"società" un Socio di assoluto rispetto, che è il buon Dio. È Lui che
nella "società" ha il pacchetto di maggioranza. Fino ad oggi è stato
fedele agli impegni"».
In questo progetto futuribile, telematico, telecontrollato
e telecomandato, e con quant'altri aggettivi lo si voglia mistificare, non vi è
spirito razionale che non vi scorga un allucinante miscuglio di un
fantascientifico «mondo nuovo» alla Huxley, e di un megaghetto che ci riporterebbero
indietro di secoli a quelle concentrazioni subumane di poveri, di mentecatti,
di ciechi, di storpi e di quant'altri infelici disturbavano la società
«civile».
Ci auguriamo che gli spiriti razionali e saggi che
pure vi sono in loco fermino tale impresa. Per parte nostra, aggiungiamo due
ultime osservazioni. La prima riguarda una diffusa insensibilità verso le
reali condizioni di sofferenza psichica dell'handicappato, nonostante certi
conclamati richiami alla fede religiosa: infatti 1a frequente
istituzionalizzazione degli handicappati - e dei gravi in particolare - nasconde
un radicato pregiudizio e una mancanza di sensibilità: si pensa, più o meno
consciamente che l'handicappato grave per le sue condizioni psichiche soffra
meno l'abbandono e l'allontanamento dall'ambiente affettivo familiare. In
realtà, noi scambiamo le sue difficoltà di espressione esteriore, insite in
certe forme di handicap, con la mancanza di una reale sofferenza interiore che
invece l'handicappato pure percepisce, anche se non riesce spesso a
comunicarci.
Infine, un'ultima osservazione: lavorare effettivamente
contro l'emarginazione è un'opera molto più umile, più difficile, più lunga,
che reca poco «onore» e crea molti nemici; costruire l'emarginazione sembra
un'opera molto più facile che crea lustro e onori, e procura, a quanto pare,
molti «amici», di cui si finisce per essere in definitiva gli strumenti.
(1) M. SCARCELLA, Un'oasi o un
lager?, in «Formazione psichiatrica» n. 1-2/1988.
(2) M. SCARCELLA, Ibid.;
e M. SCARCELLA, I diritti del bambino:
esigenze ed esperienze di trasformazione nella legislazione e
nell'organizzazione socio-sanitaria, scolastica e giudiziaria, in «Dalla psichiatria alla salute mentale.
Scienza, politica, liberazione dell'uomo», Roma, C. Salemi ed., 1987, pp.
524-525.
(3) La lettera era indirizzata agli Assessori regionali
all'istruzione, all'assistenza, alla sanità; agli Assessori provinciali alla
sicurezza sociale e all'istruzione; agli Assessori del Comune di Torino alla
sanità e assistenza, all'istruzione e al lavoro; ai Capi gruppo dei Consigli
regionale, comunale e provinciale.
(4) In «Esistenza», 15 maggio 1989,
pp. 8-9.
(5) M. SCARCELLA, I diritti del bambino..., cit.
(6) Si veda in questo stesso numero
di Prospettive assistenziali la recensione di E. Pascal agli Atti del convegno
«Un altro diritto per il malato mentale -
Esperienze e soggetti della trasformazione», e in particolare il rimando
alle importanti ricerche sul «grave danno psichico» riscontrato nelle «lunghe
istituzionalizzazioni . (Mangoni e Scala) e nella «carriera» dei malati di
mente «che hanno subito in vario modo la violenza istituzionale» (Dell'Acqua e
altri).
(7) M. SCARCELLA, Un oasi o un lager?..., cit.
(8) G. TEDESCO, Diritti dei minori privi di idonea famiglia e rilancio degli istituti
d1 ricovero, in «Prospettive assistenziali»,
n. 76, ottobre-dicembre 1986; «Nuovi»
istituti, vecchia emarginazione e gli stessi danni: la storia di Roberto e
Piero per continuare a riflettere, ivi,
n. 78, aprile-giugno 1987, pp. 8 segg.
(9) Ecco un suo appassionato e
argomentato «no agli istituti di ricovero per minori»:
«Non ci stancheremo mai di affermare
che l'istituto rappresenta la risposta più inadeguata e negativa per i pro
blemi dei minori abbandonati o allontanati dalla famiglia.
«Ricordiamoci che la maggioranza dei
giovani che hanno problemi con la giustizia provengono da esperienze di istituzionalizzazione.
«L'istituto per sua natura,
indipendentemente dalle persone che vi lavorano (ne ho incontrate anche di
ottime e volenterose), è una struttura anonima ed emarginante per i bambini,
il segno di un rifiuto di amore e, per imparare ad amare, il bambino ha bisogno
di vedere persone che amano. L'istituto crea nell'animo del ragazzo una rabbia
repressa più o meno latente che prima o poi qualcuno dovrà pagare.
«Non sono soltanto le ricerche
sociologiche a dirci che il bambino ha in sé un bisogno disperato di una
famiglia e comunque di precise figure di riferimento da amare, alle quali
affidare la propria vita. Il bambino ha bisogno di una figura paterna e di una
materna affettivamente disponibili, sempre presenti, premurose, attente. Esse
rappresentano una garanzia di sicurezza, una risposta positiva al bisogno di
conferma che è presente nel bambino in tutto l'arco della sua prima età. Il
loro ruolo è dunque insostituibile, l'amore che le figure dei genitori sanno
elargire al bambino non può trovare surrogati in nessun'altra struttura, sia
negli istituti che nei gruppi appartamento sperimentati in Italia come
alternativa agli istituti. La vera alternativa è la famiglia; è l'unico luogo
dove il bambino è accettato per quello che è e dove può trovare l'affetto che
desidera». (cfr. Don Oreste Benzi, Una
disperata ricerca d'amore per sessantamila bambini, Sempre, n. 9, ottobre
1988).
(10) Con riferimento specifico-
agli handicappati psichici gravi così
si esprime:
«È vero che si sono realizzate molte
esperienze di condivisione e di aiuto ma sono insufficienti per rappresentare
una reale inversione di tendenza al processo di emarginazione o di affidamento
(troppe volte ancora necessario) del soggetto grave all'istituto, come unica
risposta alla mancanza di risorse adeguate sul territorio.
«Vanno allora valorizzate modalità di
intervento quali: comunità di vita, comunità-alloggio, comunità di pronto intervento,
famiglie affidatarie, piano di assistenza domiciliare, centri educativi
diurni, collegamento di famiglie con amici, nello spirito ad esempio di
"Fede e Luce". Tali interventi hanno il merito culturale e sociale
di riportare sul territorio le problematiche dei l'handicappato grave, di non
sradicarlo dal suo contesto di vita, di creare adeguata solidarietà alle
famiglie, di sviluppare una forte creatività e integrazione, di porre in primo
piano interrogativi che cercano di capire cause e responsabilità per poter
sviluppare un concreto progetto di prevenzione. E, soprattutto, rispondono à
una visione di umanità, solidarietà, rispetto della vita, che raggiunge una
profonda radicalità.
«Una comunità che non si pone questi
obiettivi, pur se sono di difficile attuazione, non esprime e non interpreta
tutta la carica di solidarietà che l'umanità sofferente invoca e che può
sorprendentemente aiutare a scoprire.
«Ho più volte affermato l'urgenza di
"dare voce a chi non ha voce": nel nostro caso significa aprire e
difendere, per i fratelli con handicap gravi e per le loro famiglie, orizzonti
di vita proprio sul luogo e nell'ambiente, in cui vivono.
«Tutto questo ha evidentemente
bisogno di un supporto legislativo e istituzionale, di un trasferimento di
risorse economiche indirizzate a tale priorità sociale e a1 decisivo criterio
di salvaguardare e proteggere maggiormente i più deboli»
(Cfr. Carlo Maria Martini, Handicappati, società e lavoro, in «Prospettive assistenziali», n. 76,
ottobre-dicembre 1986, pp. 3-5).
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