Prospettive assistenziali, n. 88, ottobre-dicembre
1989
SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUI DIRITTI DELLE LAVORATRICI CON MINORI IN AFFIDAMENTO PREADOTTIVO O EDUCATIVO
La Corte Costituzionale composta dal Presidente
Francesco Saja e dai Giudici Giovanni Conso, Ettore Gallo, Giuseppe Borzellino,
Francesco Greco, Renato Dell'Andro, Gabriele Pescatore, Ugo Spagnoli,
Francesco Paolo Casavola, Antonio Baldassarre, Vincenzo Caianiello, Mauro
Ferri, Luigi Mengoni, Enzo Cheli; ha pronunciato la seguente sentenza nei
giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4, primo comma, lett. c), 7,
12, 15, e 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela
delle lavoratrici madri), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 25 marzo 1980 dal Pretore di
Pistoia nel procedimento civile vertente tra Marri Lucia e l'I.N.A.M., iscritta
al n. 359 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 173 dell'anno 1980;
2) ordinanza emessa l'1 luglio 1983 dalla Corte di
Cassazione sul ricorso proposto dal Ministero del Tesoro - Ufficio
Liquidazioni contro Ferri Carmen, iscritta al n. 11 del registro ordinanze
1984 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 109 dell'anno 1984;
3) ordinanza emessa il 24 gennaio 1985 dalla Corte di
Cassazione - Sezioni Unite Civili, sul ricorso proposto dall'Union des
Assurances de Paris contro il Ministero del Tesoro ed altra, iscritta al n. 627
del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno
1986;
Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.M. e di
Ferri Carmen nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito
nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
Uditi l'avv. Franco Agostini per Ferri Carmen e l'Avvocato
dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1 - Il Pretore di Pistoia, giudice del lavoro, con
ordinanza del 25 marzo 1980 (no. n. 359/80) solleva questione di legittimità
costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost. - dell'art. 17,
secondo comma, L. 30 dicembre 1971, n. 1204 nella parte in cui, attribuendo
l'indennità giornaliera per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro
anche alle lavoratrici che all'inizio di tale periodo si trovino assenti dal
lavoro senza retribuzione da non più di sessanta giorni, non consente di
escludere dal computo di detti sessanta giorni, oltre alle assenze per malattia
o infortunio, anche quelle accordate per affidamento preadottivo di minore.
Il giudizio a
quo è stato instaurato da Lucia Marri per ottenere dall'INAM il pagamento
dell'indennità per assenza obbligatoria per gestazione, avendo fruito,
precedentemente a tale assenza, di un periodo di licenza straordinaria, senza
retribuzione, in applicazione del C.C.N.L., per accudire ad una bimba ricevuta
in affidamento preadottivo.
Il Pretore, ritenuto che la pretesa della parte
attrice non potrebbe essere soddisfatta - esclusa la possibilità di una
interpretazione analogica o estensiva del menzionato art. 17, secondo comma -
che a seguito di una pronunzia di accoglimento da parte di questa Corte,
motiva la non manifesta infondatezza della questione osservando che
l'affidamento preadottivo di un minore costituirebbe l'esercizio di una
facoltà inerente ai diritti garantiti dalle norme costituzionali invocate, sì
che sarebbe costituzionalmente ingiustificato negare all'assenza dal lavoro
accordata per rendere possibile detto esercizio il medesimo trattamento concesso
dalla legge all'assenza dal lavoro per malattia o infortunio.
Si è costituito in giudizio l'INAM, il quale, sottolineata
la lacunosità della motivazione della ordinanza di rimessione sulla non
manifesta infondatezza della questione, nega comunque il contrasto della norma
impugnata con l'art. 3 Cost., poiché la situazione della gestante che si
assenti dal lavoro per malattia o infortunio non sarebbe equiparabile a quella
di colei che si assenti per accudire a un minore in affidamento preadottivo:
infatti, argomenta, la prima «deve» assentarsi, essendo impossibilitata
fisicamente a prestare la propria attività lavorativa, mentre la seconda
«vuole» assentarsi perché «pur potendo lavorare benissimo, preferisce rimanere
a casa per sopperire meglio a certe esigenze familiari». Non chiaro sarebbe
inoltre il profilo di contrasto con l'art. 31 Cost. posto che la tutela
dettata dalla norma impugnata, pur non essendo priva di inevitabili lacune,
concilierebbe al meglio le esigenze della donna quale lavoratrice e quale
madre; né si potrebbe, per analoghe ragioni, fondatamente prospettare la
violazione dell'art. 37, primo comma, Cost.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto
in giudizio a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, conclude per l'infondatezza
della questione, atteso che, in presenza di precetti costituzionali generici
quali gli artt. 31 e 37, sarebbe rimessa al legislatore ordinario predisporne
i concreti istituti e le specifiche modalità di attuazione, sì che i limiti
posti dalla norma impugnata sarebbero frutto di scelte discrezionali non
censurabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale, essendo non
priva di ragionevolezza l'esclusione dal diritto all'indennità per la
lavoratrice che si assenti volontariamente, anche se legittimamente, dal
lavoro per un periodo superiore ai sessanta giorni precedenti l’astensione
obbligatoria.
2. - Con ordinanza del 1° luglio 1983 (r.o. n.
11/1984), la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, solleva questione di
legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo comma, 30,
primo, secondo e terzo comma, 31 e 37, primo comma Cost. - degli artt. 7 e 15
della I. 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui escludono il diritto
della lavoratrice che abbia ricevuto un minore in affidamento provvisorio ex
art. 314/6 c.c. ad assentarsi dal lavoro e a percepire la relativa indennità.
Il giudizio a
quo è originato dal ricorso dell’INAM (poi Ministero del Tesoro - Ufficio
liquidazioni) avverso la sentenza del Tribunale di Milano che - esclusa
l'applicabilità ratione temporis
della sopravvenuta L. 9 dicembre 1977, n. 903 - aveva riconosciuto tali diritti
a favore della lavoratrice sulla base di una interpretazione estensiva delle
disposizioni della L. n. 1204 del 1971.
L'autorità remittente in primo luogo nega, sulla
scorta di una pronunzia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
intervenute per derimere un precedente contrasto giurisprudenziale, la
possibilità di tale applicazione estensiva alla ipotesi di affidamento
provvisorio di minore ex art. 314/6 c.c., a motivo della particolare natura di
urgenza e precarietà di quest'ultimo che, a differenza dell'affidamento preadottivo
e della adozione, non instaurerebbe, per la lavoratrice, una situazione
equiparabile a quella della madre naturale. In secondo luogo, rileva che la
legge n. 1204 del 1971 e, in particolare, l'art. 7, secondo comma, avrebbero
ad oggetto immediato l'interesse del bambino e solo in funzione di questo
interverrebbero nel regolamento del rapporto di lavoro della madre.
Dalla equiparabilità tra madre adottiva e preadattiva,
e madre naturale e dalla considerazione che l'interesse del bambino riceve
nella L. n. 1204 del 1971, seguirebbe, ad avviso del giudice a quo, la
possibilità di applicazione alle prime di tutte le disposizioni di quest'ultima
non dirette alla sola tutela della donna ma altresì, o esclusivamente, a
quella del bambino, facendo coincidere, in un processo di integrazione logica
delle medesime, il momento della nascita con quello dell'ingresso effettivo del
minore nella famiglia adottiva (criterio poi seguito in linea di massima
dall'art. 6 I. n. 903 del 1877).
La medesima applicazione estensiva però non sarebbe
praticabile - sempre ad avviso della Suprema Corte - nell'ipotesi di affidamento
provvisorio a norma dell'art. 314/6 c.c., nel quale mancherebbe quel supporto
giuridico proprio dell'adozione e dell'affidamento preadottiva, poiché il
relativo provvedimento non sarebbe idoneo a creare un nuovo status nel bambino e neppure ad anticiparne
durevolmente gli effetti, né a determinare nella persona affidataria una posizione
giuridica caratterizzata dall'esistenza di specifici e sanzionabili doveri per
il cui adempimento tale persona possa avvalersi delle provvidenze apprestate dall'art.
4, lett. c), 7, primo comma, e 15 della I. n. 1204 del 1971.
Ma proprio tale impossibilità di applicazione
estensiva, enucleabile dal contesto delle norme richiamate, data la preminenza
della tutela dell'interesse del bambino ad una adeguata assistenza materiale e
affettiva, determinerebbe una evidente discriminazione a danno del minore che,
pur trovandosi nella stessa necessità, si differenzi dagli altri sol perché
ancora mancante di un adeguato status
giuridico, in violazione sia dell'art. 3, primo comma, Cost., sia delle norme
costituzionali di tutela dei diritti del minore al mantenimento e
all'educazione (art. 30), di protezione dell'infanzia e della famiglia (art.
31) e del principio in base al quale le condizioni del lavoro debbono consentire
alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e
assicurare al bambino una adeguata protezione (art. 37, primo comma).
Di qui, la proposta questione di legittimità costituzionale
limitatamente alle disposizioni applicabili al caso concreto e cioè a quelle
sulla assenza facoltativa dal lavoro (art. 7, primo e secondo comma) e relativa
indennità (art. 15), questione che conserverebbe la sua rilevanza, attesa la
non retroattività della successiva L. n. 184 del 1983, che ha dettato una nuova
disciplina dell'affidamento familiare, tra l'altro estendendo (art. 80) a
tale ipotesi le disposizioni della L. n. 1204 del 1971 sulle assenze dal
lavoro, obbligatorie o facoltative, e sulle connesse indennità.
Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita
la lavoratrice interessata, chiedendo, sulla base delle argomentazioni
dell'ordinanza di rimessione, una declaratoria di illegittimità costituzionale.
Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, sottolinea il rilievo,
attribuito dalla legge del 1971, all'interesse del minore, richiamando a tal
fine la sentenza di questa Corte n. 1 del 1987.
3. - Con ordinanza del 24 gennaio 1985 (r.o. n.
627/1985), la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, solleva questione di legittimità
costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost. - degli artt.
4, primo comma, lett. c) e 12, in relazione agli artt. 2 e 7, della I. 30 dicembre
1971, n. 1204, poiché non consentirebbero dì riconoscere alla lavoratrice
titolare di affidamento preadottivo di minore il diritto alla astensione
obbligatoria dal lavoro (art. 4; primo comma, lett. c) e alle indennità in caso
di dimissioni volontarie (art. 12) rese nel periodo coperto dal divieto di
licenziamento (art. 2).
Le Sezioni Unite, sono state investite del ricorso
del datore di lavoro - avverso la sentenza del Tribunale di Genova che tali
diritti aveva riconosciuto - a motivo del contrasto tra pronunzie della
Sezione Lavoro sul punto della spettanza o meno alle lavoratrici adottive o
affidatarie in preadozione della astensione obbligatoria.
Esclusa la possibilità di applicare al caso la
sopravvenuta I. n. 903 del 1977, la Suprema Corte nega la possibilità di
applicare la norma sulla astensione obbligatoria post partum alle ipotesi di maternità legale, in primo luogo perché
l'incertezza sulla identificazione del termine di decorrenza dei tre mesi (la
nascita del bambino, o il suo ingresso nella famiglia adottiva) non potrebbe
sciogliersi in sede di interpretazione estensiva o analogica; in secondo luogo
perché l'estensione della norma alla madre adottiva o affidataria in
preadozione urterebbe contro la ratio
della L. n. 1204 del 1971 intesa inequivocabilmente a tutelare, in modo
tassativo, la sola maternità biologica, con esclusione implicita di quella
legale, poi presa in considerazione dalla L. n. 903 del 1977.
Analoghe ragioni indurrebbero ad escludere
l'estensione del trattamento previsto per le dimissioni volontarie, essendo
contraria alla ratio legis ed esorbitando
dai limiti della mera interpretazione l'individuazione del relativo periodo di
riferimento (se cioè si tratti del primo anno di vita del bambino ovvero del
primo anno dopo il suo ingresso nella famiglia adottiva).
Dalla inidoneità delle norme in esame a garantire il
soddisfacimento dei diritti rivendicati dalla lavoratrice, seguirebbe la
rilevanza della relativa questione di costituzionalità nel giudizio a quo.
In punto di non manifesta infondatezza della
questione, 1a Suprema Corte osserva che il rapporto di adozione speciale
sarebbe del tutto equiparato dalla legge a quello di filiazione naturale e
che, a sua volta, l'affidamento preadottivo, in quanto prodromico all'adozione
speciale, sarebbe equiparato a quest'ultima.
Inoltre, le norme censurate sarebbero poste
nell'interesse non solo della madre, ma anche del bambino nel delicato periodo
dell'«ammaternamento» nel quale il bambino stesso (e segnatamente quello che
si sia trovato in stato di abbandono) avrebbe un particolare bisogno di assistenza
materiale ed affettiva: di qui la palese disparità di trattamento, contraria
all'art. 3 Cost., in danno del bambino adottato o in affidamento preadottivo,
rispetto a quello generato, malgrado la giuridica parificazione delle loro
posizioni. Tale discriminazione sarebbe altresì lesiva del diritto del minore
al mantenimento e all'educazione (art: 30, primo, secondo e terzo comma Cost.)
, del principio generale di tutela dell'infanzia e della famiglia (art. 31
Cost.), e di quello in base al quale le condizioni di lavoro debbono
consentire alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione
familiare e assicurare al bambino una speciale adeguata protezione (art. 37,
secondo comma, Cost.).
In definitiva, le norme costituzionali, anche alla
stregua della disciplina legislativa ordinaria dell'adozione, non
consentirebbero di distinguere, in forza dell'art. 3, fra figlio di sangue e
figlio adottivo, ogni qual volta sia in questione, alla luce degli artt. 30, 31
e 37 Cost., l'interesse del bambino all'assistenza materna: di qui l'illegittimità
della normativa che non riconosce anche alla madre adottiva il diritto alle
assenze dal lavoro necessarie per provvedere alle esigenze del bambino, per il
periodo antecedente alla I. n. 903 del 1977, e delle disposizioni che servono a
rendere effettiva tale tutela, a tutto oggi.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte le parti private
non si sono costituite né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze di
rimessione riguardano tutte l'estensibilità - per il periodo precedente ai più
recenti e appositi interventi legislativi - di alcune delle provvidenze
previste dalla L. n. 1204 del 1971 ad ipotesi diverse dalia maternità
naturale; i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e decisi con unica
sentenza.
2.1. - Il Pretore di Pistoia, con l'ordinanza emessa
il 25 marzo 1980 (r.o. n. 359/1980) ha impugnato il secondo comma dell'art. 17
della legge 30 dicembre 1971, n. 1204. Questa disposizione prevede che le
lavoratrici gestanti che all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal
lavoro (intercedente tra il secondo mese precedente la data del parto e il
compimento del terzo mese successivo a questo) si trovino sospese, assenti dal
lavoro senza retribuzione ovvero disoccupate, siano ammesse al godimento
dell'indennità giornaliera di maternità purché tra l'inizio della sospensione,
della assenza o della disoccupazione e l'inizio del periodo di astensione
obbligatoria non siano decorsi più di sessanta giorni. Aggiunge il comma
impugnato che, ai fini del computo di quest'ultimo termine, non si tiene conto
delle assenze dovute a malattia e ad infortunio accertate e riconosciute dagli
enti gestori delle relative assicurazioni sociali.
Come esposto in narrativa, nel caso sottoposto
all'esame del giudice remittente, alla data di inizio del periodo di astensione
obbligatoria la lavoratrice ricorrente era assente dal lavoro; l'assenza era in
corso da tempo, e si era protratta per un periodo che, a quella data,
risultava essere più ampio di sessanta giorni. Una parte notevole - e comunque
decisiva ai fini del computo dei sessanta giorni - del periodo di assenza era
dovuta al fatto che la lavoratrice aveva fruito di una licenza straordinaria -
prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria - per provvedere alla
cura e all'assistenza di una bambina che le era stata affidata in preadozione.
Non potendosi, ad avviso del giudice a quo, attribuire tale assenza - neppure
in via di interpretazione analogica o estensiva - a malattia o infortunio, e
non potendosi quindi dedurre dal termine di legge il periodo di licenza
straordinaria, alla lavoratrice, ai sensi della disposizione impugnata, non
poteva riconoscersi il diritto alla indennità giornaliera relativa alla nuova
maternità.
In relazione a tali premesse lo stesso giudice
formula il dubbio che l'art. 17, secondo comma, limitando il diritto
all'indennità di maternità con l'escludere la possibilità di scomputo dai sessanta
giorni dell'assenza attribuibile ad affidamento preadottivo di minore,
confligga con gli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione in quanto non vi sarebbe
plausibile ragione per un diverso trattamento - ai fini del calcolo del termine
di legge e delle relative deduzioni consentite - dell'assenza necessaria per
adempiere ai doveri connessi all'affidamento preadottivo rispetto a quella
dovuta a malattia od infortunio: tale affidamento infatti costituirebbe
l'esercizio di una facoltà inerente ai diritti garantiti dalle richiamate
norme costituzionali, posti a fondamento della stessa previsione legislativa
dell'istituto dell'indennità.
2.2.
-La questione è fondata.
Questa Corte, con la sentenza n. 106 del 1980 ha già
dichiarato costituzionalmente illegittimo il secondo comma dell'art. 17 della
legge n. 1204 del 1971, nella parte in cui non escludeva dal computa dei
sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione
obbligatoria dal lavoro l'assenza facoltativa non retribuita di cui la
lavoratrice gestante avesse fruito in seguito ad una precedente maternità ai
sensi dell'art. 7, primo e secondo comma, della stessa legge. A tenore di tale
sentenza detta assenza facoltativa, costituendo l'esercizio di un diritto connesso
alla speciale situazione della madre e dell'infante nei primi anni di vita,
non può essere assimilata alle altre assenze di carattere volontario, estranee
alle esigenze proprie della maternità. Pertanto, la mancata considerazione di
tale situazione ai fini della esclusione del calcolo dell'assenza dai sessanta
giorni «integra indubbiamente una irrazionale discriminazione e penalizzazione
per la lavoratrice madre in palese contraddizione con le finalità perseguite
dall'art. 7 della stessa legge mediante l'istituto della astensione o assenza
facoltativa e confligge con i principi costituzionali sia sotto il profilo
della ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle altre ipotesi in
cui l'art. 17 riconosce il diritto all'indennità di maternità, sia in relazione
alla speciale adeguata protezione che l'art. 37 vuole assicurata alla madre e
al bambino».
2.3. - Le medesime considerazioni valgono a pieno
titolo anche per il caso in cui la mancata esclusione dal computo dei sessanta
giorni si riferisca alle assenze per la cura di un minore affidato in
preadozione alla lavoratrice, oltre che - come nel caso della sentenza n. 106
del 1980 - per la cura di un bambino da essa generato.
Infatti, già con riferimento al periodo anteriore
all'entrata in vigore della legge n. 903 del 1977, la giurisprudenza prevalente
aveva rilevato come numerose disposizioni della legge n. 1204 del 1971 avessero
di mira l'interesse del bambino e solo in funzione di questo intervenissero nel
regolamento del rapporto di lavoro della madre; la stessa giurisprudenza poneva
in rilievo, d'altra parte, la somiglianza dei rapporti con l'infante per le
madri naturali, per quelle adottive e per quelle titolari di affidamento
preadottivo, tutte assumendo o dovendo assumere, agli occhi della legge, il
ruolo di madre: e ciò al di là della diversità delle opinioni relative alla
possibilità di operare, con lo strumento interpretativo, l'estensione degli
istituti previsti dalla legge stessa alle ipotesi diverse dalla maternità naturale.
Successivamente, la legge 9 dicembre 1977, n. 903 ha
equilibrato - ai fini del conseguimento di quasi tutti i benefici previsti
dalla legge n. 1204 del 1971 - le lavoratrici che abbiano adottato bambini o
che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo alle lavoratrici madri naturali
(art. 6). Anche se irretroattiva - e quindi non applicabile al caso oggetto del
giudizio principale - la legge n. 903 del 1977 ha sottolineato in modo ancor
più netto che le finalità degli istituti realizzati dalla legge n. 1204
andavano soprattutto ravvisate nella tutela dell'interesse del minore, a
prescindere dal fatto che questi fosse figlio generato o adottivo, o affidato
in preadozione.
L'essenziale rilievo di tale interesse, nel
complessivo disegno risultante da queste due leggi, è stato riconosciuto anche
nella sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte, che ha messo in risalto il
valore centrale del rapporto madrebambino, visto sotto il profilo della
assidua partecipazione della prima allo sviluppo fisico e psichico del
secondo, sia questo da essa generato, oppure adottato.
2.4. - Ciò premesso, appaiono evidenti le ragioni
che inducono a ritenere la norma impugnata non rispettosa delle disposizioni
costituzionali invocate. Questa norma infatti, irrazionalmente assimila alle
ipotesi di assenza volontaria, non connessa alle esigenze di assistenza e cura
del minore, l'assenza di cui la lavoratrice abbia fruito per accudire ad un
bambino affidatole in preadozione. In questo modo sottopone tale assenza ad una
ingiustificata diversità di trattamento rispetto a quelle che, anche in conseguenza
della richiamata sentenza n. 106 del 1980 di questa Corte, la norma stessa
esclude dal calcolo del periodo massimo di sessanta giorni consentito per poter
usufruire, in coincidenza con l'astensione obbligatoria dal lavoro per nuova
maternità, della relativa indennità giornaliera. E ciò in contrasto con il
principio costituzionale di eguaglianza e le garanzie di tutela degli
interessi dei minore, della famiglia e della maternità assicurate dagli artt.
31 e 37 Cost.
3.1.- La questione sollevata dalla ordinanza della
Corte di Cassazione 1° luglio 1983 (r.o. 11/1984) riguarda gli articoli 7 e 15
della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui, attribuendo alle lavoratrici
madri il diritto di assentarsi facoltativamente dal lavoro, con la relativa
indennità, non contemplano anche le lavoratrici alle quali il bambino sia stato
affidato provvisoriamente ai sensi dell'art. 314/6 c.c.
Ad avviso della Suprema Corte, confortato dalla
giurisprudenza delle Sezioni Unite, la provvidenza in questione - per il
periodo anteriore all'entrata in vigore della L. n. 903 del 1977, nel quale
ricade il caso oggetto del giudizio principale - potrebbe, con procedimento
interpretativo logico-sistematico, ritenersi assicurata anche alle
lavoratrici adottive o affidatarie in preadozione, ma non potrebbe estendersi,
con il solo ausilio ermeneutico, anche alle lavoratrici titolari di affidamento
provvisorio ex art. 314/6 c.c., attesa la particolare funzione di quest'ultimo;
né, d'altra parte, il caso controverso potrebbe trovare soluzione facendo applicazione
dell'art. 80 della L. 4 maggio 1983, n. 184, che ha espressamente riconosciuto
questo beneficio a favore dei soggetti affidatari, trattandosi palesemente di
una disciplina priva di efficacia retroattiva.
Di conseguenza, il giudice remittente prospetta,
d'ufficio, il dubbio che la norma impugnata sia costituzionalmente illegittima,
in quanto, nel disciplinare un istituto volto a provvedere alla diretta
tutela del bambino in un periodo in cui ha particolarmente bisogno di cura
materiale ed affettiva, assoggetta - nella medesima situazione di necessità -
i minori affidati ai sensi dell'art. 314/6 c.c. ad un trattamento deteriore
rispetto ai figli naturali od adottivi, negando solo ad essi la possibilità di
avvalersi di una adeguata presenza ed assistenza della lavoratrice
affidataria, impossibilitata - a differenza delle madri naturali od adottive -
ad assentarsi facoltativamente dal lavoro, percependo la relativa indennità. E
ciò in violazione non solo del principio di eguaglianza, ma anche delle norme
costituzionali che prescrivono che si provveda al mantenimento, istruzione ed
educazione del minore anche nel caso di incapacità dei genitori (art. 30), che
assicurano la tutela dell'infanzia e della famiglia (art. 31) e che
stabiliscono che le condizioni di lavoro della donna debbono consentirle di
svolgere la sua essenziale funzione familiare ed assicurare al bambino una adeguata
protezione (art. 37).
3.2. - L'art. 314/6 c.c. - introdotto con la legge
sull'adozione n. 431 del 1967 - dispone che il Tribunale, nel caso di
segnalazione o di rapporto su situazioni di abbandono dei bambini, può ordinare
il ricovero del minore in istituto idoneo e disporre di ogni altro opportuno
provvedimento temporaneo nell'interesse di costui, ivi compresa, occorrendo,
la sospensione della potestà dei genitori.
In sede di attuazione, il ricovero è stato disposto
soprattutto presso famiglie: e la prassi è stata recepita dalla legge 4 maggio
1983, n. 184 che, all'art. 2, privilegia l'affidamento familiare rispetto al
ricovero in istituti di assistenza, considerato come ipotesi limite, ove
difetti la possibilità dell'affidamento alle famiglie.
La dottrina e la giurisprudenza hanno sottolineato il
carattere temporaneo dell'affidamento provvisorio di cui all'art. 314/6 c.c. e
la sua funzione essenzialmente cautelare. L'ordinanza di rimessione mette in
luce la sostanziale diversità di tale affidamento rispetto a quello
preadottivo: a differenza di quest'ultimo, infatti, esso prescinde dalla
dichiarazione di adottabilità, non instaura una fase prodromica della adozione,
non attribuisce un nuovo status al bambina e neppure ne anticipa durevolmente
gli effetti.
Ciò premesso, non vi è dubbio che l'istituto
dell'affidamento provvisorio abbia svolto - al di là di ogni discussione sul
modo in cui in concreto vi si è fatta ricorso - in misura crescente una
peculiare funzione sino ad indurre il legislatore a dare ad esso una rinnovata
e organica disciplina con la legge n. 184 del 1983. Nell'affidamento
provvisorio assume infatti predominante rilievo la situazione concreta del
bambino che si trova in una condizione - sia pur transitoria - di abbandono,
cui corrispondono, per l'affidatario, particolari doveri di cura e di
assistenza, indipendentemente dagli sviluppi che l'affidamento potrà assumere
in funzione della costituzione di un rapporto preadottivo. La transitorietà
della situazione e la incertezza dei suoi esiti, anziché attenuare,
accrescono le esigenze di protezione del minore. L'affidamento provvisorio
determina perciò in ogni caso tra il minore medesimo e il soggetto
affidatario un rapporto degno di tutela, tanto che, secondo un consistente
orientamento giurisdizionale, il periodo di affidamento provvisorio sarebbe
cumulabile col periodo di affidamento preadottivo ai fini del computo della
durata di quest'ultimo.
Da tali considerazioni, e dalla ricordata tendenza
della legislazione e della giurisprudenza di questa Corte ad attribuire, sulla
scorta di chiari indirizzi costituzionali, rilievo crescente e centrale alla
tutela dell'interesse dell'infante, discende l'evidente inammissibilità, alla
luce delle norme costituzionali invocate, della diversa considerazione
dell'interesse del bambino in relazione al suo status giuridico, nonché
l'impossibilità di ritenere che la provvisorietà dell'affidamento possa
giustificare la esclusione della operatività di istituti che - consentendo una
maggiore presenza e attenzione del soggetto affídatario - sono volti
essenzialmente, quando non esclusivamente, ad agevolare il processo di
sviluppo anche relazionale ed affettivo del bambino, soprattutto in
situazioni particolarmente delicate, quale è quella dell'affidamento
provvisorio.
Ciò, del resto, è stato riconosciuto dallo stesso
legislatore che, con l'art. 80 della ripetuta legge 4 maggio 1983, n. 184, ha
esteso ai soggetti affidatari (madre o padre) le misure previste dagli artt.
6 e 7 della legge n. 903 del 1977 e quindi i benefici di cui agli artt. 4, 7 e
15 della legge n. 1204 del 1971.
La questione sollevata dall'ordinanza della Carte di
Cassazione è fondata. La pronunzia di incostituzionalità, anche se l'incidente
riguarda l'intero art. 7, deve però essere limitata al primo comma di detto
articolo, in quanto oggetto del giudizio principale è la richiesta della
lavoratrice di vedersi riconosciuto soltanto il diritto alla astensione
facoltativa di cui a tale comma e non il diritta alla assenza per la malattia
del bambino di cui al successivo secondo comma: la questione relativa a
quest'ultimo è pertanto inammissibile.
Tenendo altresì conto della specificità dell'affidamento
provvisorio rispetto alla filiazione naturale per quanto attiene al periodo
entro il quale è possibile avvalersi dell'assenza facoltativa, il primo comma
dell'art. 7 della legge n. 1204 del 1971 va dichiarato costituzionalmente illegittimo
nella parte in cui non prevede che il diritto della lavoratrice madre ad
assentarsi facoltativamente dal lavoro spetti altresì alla lavoratrice cui
sia stato affidato provvisoriamente un bambino ai sensi dell'art. 314/6 c.c.
entro un anno dall'effettivo ingresso di lui nella famiglia affidataria.
Nella medesima dichiarazione di illegittimità
costituzionale è coinvolto pure l'art. 15, secondo comma, impugnato, poiché
dalla estensione alle lavoratrici titolari di affidamento provvisorio del
diritta di cui all'art. 7, primo comma, consegue automaticamente l'estensione.
a favore delle medesime, del connesso diritto all'indennità giornaliera.
4.1. - Considerazioni in buona parte analoghe a
quelle svolte relativamente alle questioni
sopra esaminate, inducono a ritenere fondata anche la questione di
costituzionalità sollevata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con
l'ordinanza emessa il 24 gennaio 1985 (r.o. 627/1985).
Fondati debbano infatti essere ritenuti i dubbi sulla
costituzionalità dell'art. 4, primo comma, lett. c) e dell'art. 12 della legge
30 dicembre 1971, n. 1204 nella parte in cui non riconoscono alla lavoratrice
affidataria in preadozione il diritto all'astensione obbligatoria dal lavoro e
alla corresponsione, in caso di dimissioni presentate durante tale periodo,
delle indennità dovute nel caso di licenziamento, diritti che le norme impugnate
prevedono solo a favore della madre naturale.
Come afferma il giudice remittente, una volta escluso
che si possano estendere in via interpretativa alle lavoratrici adottive o
affidatarie in preadozione gli istituti disciplinati dalle citate norme,
queste risultano chiaramente confliggenti con gli artt. 3, 30, 31 e 37, della
Costituzione.
Va peraltro precisato che la questione, nei limiti
della sua rilevanza, deve essere circoscritta, nonostante i ripetuti e congiunti
riferimenti dell'ordinanza di remissione all'adozione, alla sola ipotesi
dell'affidamento preadottivo.
4.2. - Per quanto specificatamente riguarda
l'astensione obbligatoria, prevista dall'art. 4, primo comma, lett. c), va
ribadito che essa - secondo la ricordata giurisprudenza di questa Corte (sent.
1/1987) - oltre ad essere volta a tutelare la salute della donna nel periodo
immediatamente successivo al parto, considera e protegge anche il rapporto
che, in tale periodo, necessariamente si svolge tra madre e figlio, anche in
riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono
collegate allo sviluppo della personalità del bambino. Questa natura
dell'istituto dell'astensione obbligatoria post
partum, già rilevata dalla giurisprudenza ordinaria antecedente alla L. n.
903 del 1977, ha trovato ulteriore conferma nell'art. 6 di quest'ultima, che
ha attribuito il diritto di avvalersene anche alle lavoratrici adottive o
affidatarie in preadozione - con soluzioni che si riferiscono alla
particolarità del rapporto adottivo o preadottivo - nell'attuazione della
ricordata tendenza alla equiparazione, in vista dell'interesse del bambino,
del rapporto di adozione, e quindi dell'affidamento preadottivo prodromico
dell'adozione, alla filiazione naturale.
In relazione a tali premesse, è evidente il difetto
di razionalità dei diverso trattamento che l'art. 4, primo comma, lett. c) -
per il periodo antecedente alla legge n. 903 del 1977 - riserva ai bambini
affidati in preadozione rispetto ai figli naturali, privando i primi della
assidua presenza materna (o paterna) in un momento decisivo per lo sviluppo
della loro personalità, garantita invece, in analoga situazione, ai secondi.
Ne consegue la incostituzionalità della norma
impugnata non solo con riferimento all'art. 3 Cost., ma anche, per le stesse
ragioni enunziate sub 3.2. a proposito della incostituzionalità dell'art. 7,
primo comma, della stessa legge, agli artt. 30, 31 e 37 della Costituzione.
L'art. 4, primo comma, lett. c) della legge 30
dicembre 1971, n. 1204 deve essere perciò dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui non prevede che l'istituto della astensione
obbligatoria e della relativa indennità giornaliera sia esteso all'affidamento
preadottivo. In ordine alla operatività dell'istituto e ai relativi termini, la
specificità della situazione connessa all'affidamento preadottivo richiede che
concerna i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella
famiglia affidataria.
4.3. - L'art. 12 della legge n. 1204 del 1971
stabilisce che la lavoratrice che ha presentato dimissioni volontarie durante
il periodo per cui è previsto, a norma del precedente art. 2, il divieto di
licenziamento, ha diritto alla indennità prevista da disposizioni di legge o contrattuali
per il caso di licenziamento. L'art. 2 dispone - al primo comma - che le
lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di
gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto
dall'art. 4 della legge stessa, nonché fino al compimento di un anno di età
del bambino (divieto che non si applica nei casi previsti dal terzo comma dello
stesso articolo).
L'art. 12 tende a contenere - in caso di dimissioni
volontarie della lavoratrice madre - il danno che le deriverebbe dalla scelta
di lasciare il posto di lavoro per occuparsi esclusivamente del bambino,
assicurandole, in tal caso, lo stesso trattamento di fine rapporto previsto per
il licenziamento.
Dalle ragioni già esposte e dalle conseguenze che se
ne sono tratte in ordine alla estensione dell'istituto dell'assenza
obbligatoria alle lavoratrici affidatarie in preadozione, discende altresì la
illegittimità di fine rapporto nel caso di dimissioni volontarie presentate
durante il periodo in cui - a norma dell'art. 2 - è vietato il licenziamento.
Le stesse ragioni di tutela del posto di lavoro della madre durante il periodo
corrispondente alle fasi iniziali del rapporto col bambino debbono valere,
infatti, sia nel caso di filiazione naturale, sia in quello di affidamento
preadottivo, e, di conseguenza, identica disciplina, sotto il profilo
economico, deve essere prevista nel caso in cui la madre intenda dimettersi,
nel corso di tale periodo, per meglio accudire al minore. Adattando altresì
alla particolarità delle situazioni relative al rapporto preadottivo il
riferimento all'art. 2, l'art. 12 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 va
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che
il diritto della lavoratrice a percepire, nel caso di dimissioni volontarie
presentate durante il periodo di divieto di licenziamento, le indennità
stabilite da disposizioni legislative e contrattuali in caso di licenziamento,
sia riconosciuto anche alla lavoratrice affidataria in preadozione che abbia
presentato la dimissioni entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino
nella famiglia affidataria.
Per questi motivi la Corte Costituzionale
Dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 17, secondo comma, della legge 30
dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) nella parte in cui non
esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio
del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, il periodo di assenza di cui
la lavoratrice abbia fruito per accudire ai minori affidatile in preadozione.
Dichiara la
illegittimità costituzionale degli artt. 7, primo comma e 15 della legge 30
dicembre 1971, n. 1204 nella parte in cui non prevedono che il diritto della
lavoratrice madre alla astensione facoltativa dal lavoro e alla relativa
indennità spetti altresì, per il primo anno dall'ingresso del bambino nella
famiglia affidataria, alla lavoratrice alla quale sia stato affidato provvisoriamente
un minore ai sensi dell'art. 314/6 C.C.
Dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, lett. c), della legge 30
dicembre 1971, n. 1204 nella parte in cui non prevede che le lavoratrici
affidatarie in preadozione possano avvalersi della astensione obbligatoria durante
i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia
affidataria;
Dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 30 dicembre 1971, n.
1204, nella parte in cui non prevede che il diritto della lavoratrice a
percepire, nel caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di
divieto di licenziamento stabilito dal precedente art. 2, le indennità
stabilite da disposizioni legislative e contrattuali per il caso di
licenziamento, si applichi anche alla lavoratrice affidataria in preadozione
che abbia presentato le dimissioni volontarie entro un anno dall’effettivo
ingresso del bambino nella famiglia affidataria;
Dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, secondo
comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sollevata dalla Corte di
Cassazione con ordinanza del 1° luglio 1983 con riferimento agli artt. 3, primo
comma, 30; primo, secondo e terzo comma, 31 e 37, primo comma, della
Costituzione (r.o. 11/ 1984).
Così
deciso in Roma l'11 marzo 1988.
Depositata
in cancelleria il 24 marzo 1988.
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