Prospettive assistenziali, n. 89, gennaio-marzo 1990

 

 

DISEGNO DI LEGGE Dl INIZIATIVA POPOLARE PER LA REGIONE EMILIA ROMAGNA «RIORDINO DEGLI INTERVENTI SANITARI A FAVORE DEGLI ANZIANI MALATI NON AUTOSUFFICIENTI E REALIZZAZIONE DELLE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI»

 

 

Riportiamo la relazione e l'articolato (stesura del gennaio 1990) del disegno di legge regionale di iniziativa popolare promosso dal Tribunale per i diritti del malato di Parma (1).

Sono in corso contatti per estendere l’iniziativa popolare ad altre regioni.

Nella riunione di Bologna del 3 febbraio 1990, il CSA-Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino ha proposto di integrare il testo del disegno di legge con tre articoli riguardanti sia gli handicappati fisici, intellettivi e senso­riali, sia le persone con disturbi mentali e neuro­logici (compresi perciò coloro che sono colpiti dal morbo di Alzheimer), sia la deistituzionalizzazione dei minori (2).

Nell'esprimere il pieno appoggio di Prospettive assistenziali al disegno di legge, riteniamo op­portuno precisare che l'iniziativa popolare è di­retta a ricondurre nell'ambito della legalità l'at­tuale prassi di molte Regioni e USL, in base alla quale, in violazione alle leggi vigenti, gli inter­venti nei confronti degli anziani cronici non auto­sufficienti sono assegnati al settore assistenzia­le, mentre per detti anziani, come per tutti gli altri cittadini malati, deve provvedere il compar­to sanitario.

 

Relazione

Questa proposta di legge di iniziativa popolare non nasce dalle ormai rituali considerazioni sul progressivo invecchiamento della popolazione e tantomeno quindi dalle interpretazioni catastro­fiche di questo fenomeno.

Essa parte invece dalla denuncia di uno degli eventi più inquietanti della nostra società: il suo rifiuto di riconoscere agli anziani gravemente ammalati il diritto alla assistenza sanitaria nelle for­me riconosciute a tutti gli altri cittadini.

Questo progetto di legge è dunque volutamen­te parziale, non affronta tutti gli aspetti innova­tivi, sanitari e sociali, necessari oggi a migliorare la qualità della vita e a restituire diritti di citta­dinanza alla popolazione anziana.

Il progetto affronta invece il problema specifi­co della condizione degli anziani non autosuffi­cienti, in prevalenza donne, ricoverati oggi nelle infermerie delle case di riposo o strutture simi­lari con lo scopo di rimuovere questa grave di­scriminazione praticata verso la parte più indife­sa e debole della popolazione.

La condizione degli anziani nelle infermerie delle case di riposo è difficilmente immaginabile. È la condizione di anziani sradicati dal loro am­biente di vita, separati dalla famiglia e dagli ami­ci, dalla abitazione, allontanati spesso dallo stes­so paese di origine, costretti ad assumere non per un giorno e neppure per un mese, ma per anni e comunque fino alla fine dei loro giorni, rit­mi di vita estranei, in una condizione e in una organizzazione che è quella tipica e rigida di un reparto ospedaliero di infima categoria. Alla ma­lattia, anzi alle malattie, si aggiungono la deso­lazione, la disperazione, la regressione. Per molti di loro c'è una sorta di eutanasia passiva, da ab­bandono, per gli effetti devastanti che questa si­tuazione provoca su tutti gli aspetti psico-fisici dell'individuo. Per alcuni di loro, la scelta tragica può essere il suicidio.

Per questa parvenza di assistenza, che è solo custodia e attesa, gli anziani devono per di più pagare una retta di circa 2 milioni al mese, chia­ramente al di fuori delle loro possibilità econo­miche; devono dunque subire l'estrema umilia­zione della perdita dell'autonomia economica con la conseguente dipendenza dall'aiuto materiale dei parenti o, infine, dalla pubblica beneficenza (le mai disciolte IPAB!).

Gli anziani non autosufficienti sono dunque i veri nuovi poveri della nostra società!

Come è potuto accadere tutto ciò?

È difficile trovare una risposta univoca e con­vincente. Si sono accumulate probabilmente responsabilità e ritardi politici, culturali e anche scientifici. C'è stata una equivoca separazione fra intervento sociale e intervento sanitario, l'uno facoltativo, l'altro garantito: c'è stata una cultura dell'invecchiamento come processo patologico ineluttabile, come malattia incurabile; c’è una riforma sanitaria largamente inattuata, c'è il po­polo degli anziani pensionati discriminato per de­finizione in quanto improduttivo.

Su questa situazione si è steso per anni e anni un velo di omertà, di indifferenza e di ipocrisia: l'anziano gravemente ammalato, ricoverato im­propriamente in casa di riposo, è stato di volta in volta etichettato come cronico, lungodegente, non autosufficiente, escluso comunque da quel sistema di sicurezza sociale che avrebbe dovuto curarlo in quanto malato.

Le conseguenze sono quelle tragicamente note a chiunque abbia avuto occasione di frequentare o di visitare queste strutture di ricovero.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Mi­nistri dell'8-8-1985 ha introdotto ulteriori elemen­ti di ambiguità, imponendo alle Regioni e alle USL di individuare nelle prestazioni delle case di riposo le attività di rilievo sanitario da imputare sul Fondo Sanitario Nazionale. Sulla base di que­sto decreto le regioni, o meglio una parte di esse, hanno legiferato, in modo difforme l'una dall'al­tra, e ci troviamo oggi di fronte a una sconsolan­te situazione in cui non c'è certezza di diritti e la tutela sanitaria, per qualità e quantità, varia sen­sibilmente da regione a regione.

In realtà una attenta lettura della legislazione nazionale dimostra come ci si trovi di fronte non al silenzio della legge ma alla presenza di leggi mai attuate. È utile allora qualche specifico rife­rimento.

Il primo richiamo è ovviamente alla Costituzio­ne che agli articoli 32 e 38 stabilisce: «La Repub­blica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»; «Ogni cittadino inabile al lavoro e privo dei mez­zi necessari per vivere ha diritto al mantenimen­to e all'assistenza sociale».

L'articolo 29 della legge n. 132 del 12.2.1968 impone alle Regioni di indicare il fabbisogno di posti letto distinti per acuti, cronici, convalescen­ti e lungodegenti.

La legge 23.12.1978 n. 833 (Riforma sanitaria) indica chiaramente, all'articolo 2, fra le finalità del Servizio sanitario nazionale, «la tutela della salute degli anziani» e la «diagnosi e cura degli eventi morbosi qualunque siano le cause, la na­tura e la durata».

La legge 23.10.1985 n. 595 fissa una dotazione media di posti letto di 6,5 per mille abitanti, l'1 per mille dei quali devono essere riservati per le funzioni di riabilitazione e lungodegenza.

Ma l'atto più significativo è certamente il DM 13.9.1988 (Determinazione degli standards del personale ospedaliero) che all'art. 3 lettera F pre­vede l'istituzione di reparti di lungodegenza per pazienti con forme croniche stabilizzate o anziani ultrasessantacinquenni abbisognevoli di tratta­menti protratti di conservazione, come anche per l'assistenza ai malati di mente trattenuti ad esau­rimento delle ex istituzioni manicomiali ai sensi della legge 1978 n. 180, in attesa che siano realiz­zate le residenze sanitarie assistenziali extra­ospedaliere, fissando inoltre i seguenti standards di personale per un modulo di 32 posti letto: 3 medici; 13 infermieri professionali; 4 tecnici del­la riabilitazione; 8 ausiliari di assistenza.

Ad esso ha fatto seguito la legge 11.3.1988 n. 67 che all'articolo 20 autorizza un piano polien­nale di investimenti (30.000 miliardi) per la ri­strutturazione edilizia e l'ammodernamento tec­nologico del patrimonio sanitario pubblico e per la realizzazione di 140.000 posti in strutture resi­denziali per anziani non autosufficienti.

Il successivo decreto 29.8.1989 n. 321 riserva ben 2.670 miliardi sui 10.000 stanziati per il trien­nio 89-91 alla realizzazione di strutture residen­ziali per soggetti non autosufficienti.

L'atto più recente è infine la delibera del CIPE dell'ottobre 1989 che ha provveduto alla riparti­zione fra le regioni della prima tranche di 10.000 miliardi del piano poliennale.

Di fronte a questo indirizzo ormai chiarissimo assunto dalle leggi nazionali stanno invece gli atti assunti dalle Regioni che richiamandosi all'ambiguo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8.8.1985 hanno adottato delibera­zioni tutte orientate a mantenere l'anziano grave­mente ammalato, e per questo non autosufficien­te, all'interno del tradizionale universo dei servizi socio-assistenziali, le case di riposo o case pro­tette.

Così anche la Regione Emilia Romagna che con la deliberazione n. 1177 del 28.1.1987 si limita per altro a definire i seguenti livelli di assistenza sanitaria a carico del Fondo sanitario nazionale a favore degli anziani non autosufficienti ricove­rati in case di riposo:

a) assistenza medica in ragione di 6 ore set­timanali ogni 30 anziani;

b) assistenza infermieristica in ragione di 1 infermiere professionale ogni 12-18 anziani;

c) un fisiochinesiterapista ogni 60 anziani;

d) un contributo economico di 7.000-10.000 li­re al giorno.

Il secondo Piano sanitario regionale, approvato nel dicembre 1989, ha apportato alcuni ritocchi a questi standards assistenziali ma non ha modifi­cato nella sostanza il tipo di approccio al pro­blema.

Occorre allora un intervento radicale che ri­muova queste inadempienze e corregga all'origi­ne, il problema riconoscendo nell'anziano grave­mente ammalato un soggetto portatore di diritti e, dunque del diritto all'assistenza sanitaria senza limiti di durata.

Questo progetto di legge muove dalle seguenti considerazioni:

a) gli anziani non autosufficienti ricoverati in case di riposo hanno subito una lunga, ingiusta e iniqua discriminazione rispetto al loro diritto all'assistenza sanitaria, avendo dovuto pagare in tutto o in parte un onere economico che doveva essere invece a carico del sistema sanitario na­zionale;

b) l'assistenza sanitaria al malato non auto­sufficiente deve garantire il mantenimento del tessuto relazionale come condizione necessaria all'efficacia stessa degli atti sanitari e alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini; pertanto i presidi e gli interventi sanitari devono essere erogati mantenendo l'anziano all'interno o in prossimità del suo ambiente di vita in stretta collaborazione con i servizi di tipo sociale;

c) il giudizio di non autosufficienza è il risulta­to di una valutazione globale in cui assieme ai fattori sanitari devono essere presi in considera­zione fattori socio-ambientali; in ogni caso essa si riferisce a situazioni di disabilità fisica o psi­chica determinate da patologie progressive o stabilizzate o da avanzata senilità che richiedono assistenza continuativa senza limiti di tempo e non necessariamente di tipo ospedaliero;

d) gli interventi sanitari rivolti agli anziani non autosufficienti devono proporsi di valorizzare il ruolo della famiglia, delle reti amicali, non come supplenza a carenze della Pubblica Amministra­zione ma come ottimizzazione dell'assistenza e perseguimento del benessere psichico e fisico del cittadino.

 

*  *  *

 

Questo disegno di legge non prende in esa­me l'organizzazione e la tipologia dei servizi so­ciali né quella degli interventi a carattere preven­tivo e di promozione della salute.

La nostra opinione è che entrambi questi Inter­venti siano fondamentali per prevenire la non autosufficienza dell'anziano e che essi esigano oggi un profondo aggiornamento di metodologie e di obiettivi. Si può fare molto di più e molto meglio senza necessariamente creare strutture e servizi separati solo per anziani ma mettendo in campo idee e proposte trasversali in tutti i campi del vivere civile. Siamo confortati in que­sta direzione dalla consapevolezza, oggi final­mente sostenuta anche da una ormai inoppugna­bile documentazione scientifica, che l'invecchia­mento non è sinonimo di malattia e di deficit ma che si può invecchiare, per usare il termine co­niato ormai molti anni fa da autori americani, con successo. Siamo confortati in questa direzio­ne dalla consapevolezza che la non autosufficien­za non è una fatalità ma che essa può essere prevenuta e comunque fortemente ridotta nella sua incidenza e durata, restituendo diritti e ruoli sociali ai soggetti anziani, sostenendo la capacità di accoglienza della famiglia quando essa esiste e concependo la terza e quarta età non come tempo di decadimento e dl disimpegno ma come tappa di un processo continuo e creativo dello sviluppo della personalità umana in cui alcune capacità e facoltà possono anche declinare ma altre possono crescere ed affinarsi. Del resto non è un caso che oggi si sia stati costretti a in­trodurre accanto al concetto di terza età anche quello di quarta età, a sottolineare i confini mu­tevoli di una età cronologica che sempre più ac­quista connotati di tipo psicologico e culturale. Né è senza significato ricordare che tutti i pro­cessi cognitivi della mente umana correlano con la scolarità dell'individuo a sottolineare ancora una volta come i fattori culturali, intesi nel signi­ficato più ampio, rappresentano la migliore pre­venzione dei processi di deterioramento della vecchiaia.

Questo però sarà un altro capitolo, un'altra storia. Il compito ora è quello di porre fine alla situazione vergognosa di discriminazione e di emarginazione nei confronti degli anziani non autosufficienti ricoverati nelle case di riposo.

Il primo articolo di questa legge stabilisce che le case di riposo, pubbliche o private, non sono autorizzate ad assistere anziani gravemente am­malati e non autosufficienti. Nello stesso tempo, prendendo atto di una situazione che non può essere modificata da un giorno all'altro senza danno per gli stessi anziani, si fissa un regime transitorio massimo di tre anni in cui, in attesa che le USL approntino i servizi e gli interventi alternativi, le case di riposo sono autorizzate a continuare la loro attività con onere, per quanto riguarda gli anziani ammalati non autosufficienti non assistibili a domicilio, totalmente a carico del FSN.

Gli articoli successivi 2-3-4-5-6 disegnano i mo­di di una assistenza sanitaria alternativa che si articola a livello domiciliare e a livello distret­tuale, con l'obiettivo di garantire all'anziano ma­lato una assistenza ottimale evitando il più pos­sibile i traumi della separazione dal suo contesto familiare e territoriale di vita e fornendo una pluralità di opzioni assistenziali che vanno dall'ospedalizzazione a domicilio fino al ricovero nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA), piccole strutture residenziali destinate ad acco­gliere non più di 30 anziani gravemente ammalati non autosufficienti, distribuite in modo capillare nel territorio, e tali da valorizzare ancora una volta e in modo ottimale la rete relazionale (fa­miliare e amicale) dell'anziano stesso come com­ponente essenziale della qualità della cura la cui distruzione, è stato scritto, può avvenire solo a rischio della stessa vita dell'anziano.

Per quanto riguarda gli organici delle RSA si è fatto riferimento agli standards stabiliti dal DM 13.9.1988 riferiti a un modulo di 32 posti letto di un reparto di lungodegenza che lo stesso de­creto individua giustamente come struttura di transizione in attesa della realizzazione delle RSA.

L'articolo 7 introduce nella organizzazione sa­nitaria del territorio l'unità di valutazione geria­trica, e cioè quel collegio di esperti che valuta sotto ogni profilo, sanitario e socio-ambientale, la condizione dell'anziano e dispone il piano as­sistenziale mirato e personalizzato al fine di uti­lizzare al meglio le risorse disponibili.

L'articolo 8 affronta il problema delle dimissio­ni degli anziani dai reparti ospedalieri per acuti e stabilisce che la dimissione, in caso di anziani non autosufficienti, può avvenire solo previa in­tesa con la famiglia e con i servizi territoriali sanitari e sociali che devono comunque garantire la presa in carico dell'anziano stesso.

L'articolo 9 riguarda la collocazione nei ruoli delle USL del personale operante nelle case di riposo e addetto all'assistenza agli anziani non autosufficienti.

Infine l'articolo 10 indica le fonti di finanzia­mento con cui far fronte alla realizzazione della rete delle residenze sanitarie assistenziali.

 

 

Testo del disegno di legge regionale di iniziativa popolare

 

Art. 1- Le case di riposo o strutture analoghe comunque denominate, pubbliche o private, non sono abilitate a erogare assistenza sanitaria nei confronti di anziani malati non autosufficienti.

In via transitoria e per un periodo non superio­re ai 3 anni dalla data di approvazione della pre­sente legge, in attesa che le USL della Regione organizzino la rete delle residenze sani­tarie assistenziali, esse continueranno ad eroga­re l'assistenza anche a questa categoria di citta­dini con retta a totale carico del FSN.

Al momento della attivazione delle RSA si pro­cede al trasferimento di anziani non autosuffi­cienti dalle case di riposo in cui sono ricoverati.

Art. 2 - I servizi sanitari non ospedalieri rivol­ti agli anziani malati non autosufficienti vengono erogati a livello domiciliare e a livello distret­tuale.

L'assistenza sanitaria domiciliare si articola, con diversi gradi di intensità, in:

a) assistenza medica di base;

b) assistenza infermieristica e riabilitativa di base;

c) consulenza geriatrica e specialistica;

d) ospedalizzazione a domicilio.

L'assistenza sanitaria a livello distrettuale, di ti­po residenziale o semiresidenziale, si articola in:

a) residenze sanitarie assistenziali (RSA);

b) centri socio-sanitari di distretto;

c) day hospitals aggregati a divisioni ospeda­liere.

I servizi sanitari domiciliari e distrettuali ope­rano in stretto coordinamento con i corrisponden­ti servizi socio-assistenziali territoriali.

Per realizzare l'obiettivo del mantenimento dell'anziano non autosufficiente nell'ambito familia­re essi si avvalgono anche di interventi volti a rendere compatibile l'ambiente abitativo con la disabilità dell'anziano. Rientrano fra questi inter­venti l'abbattimento di barriere architettoniche, l'allacciamento telefonico, sistemi di telesoccor­so, ristrutturazioni di servizi igienici, fornitura di letti antidecubito, applicazione di scorrimano ecc.

Art. 3 - Per ospedalizzazione a domicilio si intende l'intervento a domicilio di équipes ospe­daliere che, avendo avuto in carico l'anziano nel proprio reparto per patologie a alto rischio inva­lidante, ne seguono, d'intesa con la famiglia e con il medico di base, l'evoluzione a domicilio al fine di non prolungare inutilmente il ricovero in ospedale, ottimizzando gli interventi riabilitativi e rendendo compatibili terapie di mantenimento complesse con il reinserimento precoce in un ambiente familiare.

Le USL con proprio atto individueranno i re­parti ospedalieri che, per effetto della specializ­zazione raggiunta e della tipologia prevalente dei loro ricoverati, dovranno realizzare le funzioni di dimissione protetta e di ospedalizzazione a domi­cilio fornendo ad essi tutte le strutture, il perso­nale e i supporti operativi per realizzare tale obiettivo.

Nelle USL prive di strutture ospedaliere il ser­vizio di ospedalizzazione a domicilio è istituito tramite convenzione con altra USL oppure attra­verso la costituzione di una apposita équipe ter­ritoriale con personale proprio o anche a rappor­to convenzionale.

Art. 4 - Le residenze sanitarie assistenziali (RSA) sono presidi che attuano l'assistenza sani­taria, curativa e riabilitativa, ad anziani malati non autosufficienti attuando la massima integra­zione con le risorse familiari e sociali del terri­torio. La loro programmazione e realizzazione fa riferimento a precisi ambiti territoriali: i quar­tieri, le circoscrizioni, i piccoli comuni.

Le RSA devono rispettare alcuni standards strutturali e funzionali minimi:

a) recettività non superiore a 30 anziani con articolazione in gruppi di 10;

b) unità abitative singole a uno o due posti let­to con superficie non inferiore a 24 mq dotate ciascuna di veranda, servizio igienico completo, erogatore di ossigeno, citofono e telefono;

c) servizi comuni costituiti da cucina dove possano essere confezionati e assunti i pasti; soggiorno di mq 32 per ogni gruppo di 10 anziani; palestra per le attività motorie e di riabilitazione; locali di socializzazione e di incontri con i citta­dini;

d) giardino attrezzato di mq 100 ogni 10 an­ziani;

Nelle RSA l'assistenza medica agli anziani ma­lati non autosufficienti viene garantita dal medico convenzionato di base che assicurerà, di norma, due visite settimanali così come previsto dal DPR 8.6.1987, n. 289.

L'organico della RSA fa riferimento a quanto previsto dal DM 13.9.1988.

Il ricovero degli anziani in RSA in nessun caso può essere considerato irreversibile. Esso va in­vece utilizzato con flessibilità anche per periodi relativamente circoscritti e ripetibili nel tempo, secondo le reali esigenze dell'anziano e del suo contesto familiare.

Le attività di socializzazione nelle RSA vengo­no programmate e gestite dal competente servi­zio sociale territoriale in stretta collaborazione con le équipes sanitarie e con il Comitato di gestione di cui al successivo comma.

In ogni RSA viene costituito un Comitato di ge­stione sociale composto da una rappresentanza dei familiari e delle realtà culturali e sociali del territorio. Il Comitato partecipa alla gestione del­la struttura e deve essere sentito prima di ogni provvedimento dell'USL che modifichi la struttu­ra o l'organizzazione della RSA.

Art. 5 - I centri socio-sanitari o centri diurni di distretto sono strutture socio-sanitarie miste che assistono anziani parzialmente non autosuffi­cienti attuando programmi di riabilitazione e di so­cializzazione lungo l'arco di 8-12 ore giornaliere.

Art. 6 - I day hospitals aggregati ai reparti ospedalieri sono servizi sanitari che erogano in­terventi di carattere diagnostico, curativo e ria­bilitativo di tipo specialistico.

Art. 7 - Presso ogni distretto viene istituita una Unità di valutazione geriatrica (UVG) con il compito di valutare le domande di assistenza sa­nitaria, e decidere le risposte personalizzate al singolo anziano tenuto conto di tutti i fattori sanitari e socio-ambientali.

Fanno parte della UVG:

- il geriatra consulente;

- il medico di famiglia;

- l'assistente sociale;

- l'infermiere coordinatore della RSA.

Art. 8 - I responsabili dei reparti ospedalieri e le direzioni sanitarie ospedaliere non possono dimettere anziani malati non autosufficienti senza preventiva intesa con la famiglia, il medico di base e i servizi territoriali che devono garantire l'assistenza necessaria o a livello domiciliare o a livello distrettuale.

Art. 9 - II personale di ruolo operante nelle infermerie delle case di riposo e direttamente impegnato nell'assistenza agli anziani non auto­sufficienti può optare per l'inquadramento nei ruoli dell'USL a un livello pari a quello ricoperto all'interno dell'ente di provenienza. L'opzione ri­guarda il personale medico assunto a tempo in­determinato, le assistenti sociali, gli infermieri e infermiere professionali o generici, gli ausilia­ri d'assistenza, i tecnici della riabilitazione.

Art. 10 - Alla costruzione o ristrutturazione delle residenze sanitarie assistenziali si proce­derà utilizzando quota parte del Fondo di 10.000 miliardi stanziato per il triennio 89-91, come an­che il ricavato di alienazioni di beni patrimoniali delle USL precedentemente destinati a reparti per lungodegenza o strutture similari.

 

 

(1) I promotori del disegno di legge di iniziativa popo­lare sono: don Augusto Fontana, presidente del Tribunale per i diritti del malato di Parma; Mario Tommasini; Vin­cenzo Tradardi; dott. Bruno Agozzino, assistente geriatra; Danilo Amadei, presidente Cons. Cooperative di solidarietà sociale; avv. Antonio Andreoli; dott. Vincenzo Bagnasco, primario psichiatra; Giovanni Ballarini, segretarlo gene­rale CGIL PR.; Paolo Baroni, giornalista; Anna Beccarelli, caposala; Ubaldo Bertoli, giornalista; Ennia Bertocchi Zuc­chi, operatrice servizi anziani; Maria Giovanna Bodria, caposala; dott. Renzo Bompani, primario geriatra; prof. Al­berico Borghetti, direttore Clinica Medica e Nefrologia Università di Parma; Claudio Bozzetti, massofisioterapista; dott. Sandro Ceccato, aiuto geriatra; Alberto Felice Corini, giornalista; avv. Aldo Cremonini; prof. Gian Maria De' Mu­nari, docente Università di Parma; Maurizio Chierici, gior­nalista; dott. Gian Marco Curti, chimico ambientalista, prof. Giulio De Sensi, presidente Ordine dei medici di Parma; Raffaella Ferraguti, caposala; Felice da Parma; prof.ssa Ileana Ferrero, Istituto di Genetica Università di Parma; dott.ssa Lucia Fornari Schianchi, Sovrintendente al beni artistici e storici di Parma e Piacenza; Aldo Galani, Segretario generale SPI-CGIL PR.; Remo Gaibazzi, pittore; Adriana Gelmini, segretaria Tribunale per i diritti del ma­lato di Parma; Anna Giordani; Silvio Grassi, infermiere professionale; prof. Carlo Hanau, economista sanitario Università Bologna e segretario nazionale Coordinamento Italiano Volontariato; Marco Ingrosso, docente Istituto Sociologia; Grazia Loss, assistente sociale; prof. Giuseppe Mambriani, docente Università Parma; dott. Marcello Man­cini, aiuto geriatra; dott.ssa Franca Cavani Medioli, psi­cologa; dott. Faliero Musiari, segretario provinciale FIMMG Parma; dott. Ezio Nonis, assistente geriatra; prof. Almerico Novarini, preside Facoltà di Medicina Università Par­ma; Mauro Odoni, segretario generale aggiunto SPI-CGIL PR.; Pier Maria Paoletti, giornalista; prof. Mario Parma, Clinica Neurologica Università Parma; dott. Pio Pelliccioni, assistente geriatra; dott. Giovanni Petronio, aiuto geriatra; prof. Pier Paolo Puglisi, Direttore Istituto di genetica Uni­versità Parma; Arturo Carlo Quintavalle, professore ordi­nario di Storia dell'arte medioevale e moderna Università Parma; Bruno Rossi, giornalista; dott.ssa Ilaria Sacchini, assistente geriatra; Angelo Scivoletto, professore ordina­rio di Sociologia Università Parma; Rosalia Simonetti, Co­ordinamento italiano Volontariato; Vincenzo Spadini; dott. Vincenzo Scalfari, Direttore SIMAP; Augusto Vignali, grafico.

(2) La prima stesura degli articoli integrativi proposti è la seguente:

«Art. ... - Entro e non oltre sei mesi dall'entrata in vigo­re della presente legge, la Regione emana i provvedimenti necessari per consentire agli handicappati fisici, intellet­tivi, sensoriali e alle persone con disturbi psichici e neu­rologici di usufruire dei servizi relativi alla sanità, alla ca­sa, al diritto allo studio, alla formazione professionale, al lavoro, alla cultura, alle attività sportive e ricreative e agli altri servizi sociali.

«Art. ... - Nei casi in cui sia assolutamente necessario ricorrere a soluzioni extrafamiliari per handicappati fisici, intellettivi, sensoriali, per persone con disturbi psichici e neurologici, per anziani autosufficienti in tutto o in parte, verrà data assoluta priorità, anche per quanto concerne finanziamenti e convenzioni, all'inserimento presso altro nucleo familiare o, se questo intervento non è realizzabile, presso comunità alloggio con capienza massima di 8 posti. Le comunità alloggio devono essere inserite nel vivo del normale contesto abitativo.

Non sono assimilate alle comunità alloggio le strutture residenziali anche se suddivise in gruppi autonomi.

Gli istituti di assistenza e le RSA possono essere utiliz­zati esclusivamente nei casi di assoluta impossibilità di permanenza nel proprio o in altro nucleo familiare o di accoglimento in comunità alloggio.

«Art. ... - Entro e non oltre tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge, la Regione emana i necessari prov­vedimenti per la deistituzionalizzazione dei minori ricove­rati in strutture assistenziali, nel pieno rispetto delle nor­me di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori"».

 

 

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