Prospettive assistenziali, n. 89, gennaio-marzo 1990

 

 

Editoriale

 

SERENA E I BAMBINI SENZA FACCIA E SENZA NOME DI NATALIA GINZBURG

 

 

Gli operatori sociali, i magistrati minorili, le associazioni sono serviti: hanno tutti «una mentalità di tiepidi» (1) e «la tiepidezza proviene dal rifiuto del freddo della vera scienza e dal rifiuto del caldo dell'immedesimazione emotiva» (pp. 38-93-84).

Non c'è scampo per nessuno: parola di Natalia Ginzburg.

 

Le assistenti sociali ruba-bambini

Le assistenti sociali sono gli operatori più inu­tili del mondo. Anzi, non si capisce che cosa ci stanno a fare. Non sono nemmeno capaci di aiutare i bambini più bisognosi. Ecco invece la ricet­ta magica dell'Autrice: «Se sono bambini lavati male, vestiti male, se hanno i pidocchi, le assi­stenti sociali si diano cura di portargli vestiti e pomate e di fare in modo che si lavino meglio. Sennò le assistenti sociali, a che cosa servono e perché ci sono? Oppure il compito delle assisten­ti sociali è unicamente (n.d.r. non fanno quindi nient'altro) quello di consegnare ai giudici le pro­prie relazioni verbose, dove la vita reale delle persone è del tutto assente?» (p. 65).

Non solo non svolgono i loro compiti (e cioè non portano vestiti e pomate) e ignorano i proble­mi concreti della gente, ma sono anche un peri­colo pubblico.

A questo riguardo la Ginzburg cita l'insensata affermazione contenuta nell'articolo di Furio Co­lombo apparso su «La Stampa» del 18 aprile 1989: «D'ora in poi bisognerà temere l'arrivo accanto ad una scuola, una casa, una famiglia, di assistenti sociali accompagnate dai carabinieri. La loro apparizione potrebbe indicare che intorno c'è un bambino che sta per scomparire senza la­sciare traccia o notizie (2), separato per sempre dal mondo che conosceva» (pp. 52-53).

In sintesi, gli assistenti sociali non svolgono funzioni socialmente utili, anzi rubano i bambini e nelle loro relazioni «verbose» travisano la realtà: sono dunque dei pericoli pubblici.

La Ginzburg dichiara inoltre: «Durante quei convegni sulle adozioni, ho avuto la precisa sen­sazione che nella vicenda di Serena Cruz e in genere in ogni circostanza che si riferisce alle adozioni, agli affetti familiari, alla paternità e alla maternità (3), delirante non fosse quella Italia chiamata "del cuore e delle lacrime", ma deli­rante fosse invece il mondo degli operatori so­ciali, degli assistenti sociali, delle varie associa­zioni sociali dai nomi diversi (4), e in genere il mondo dei giudici minorili. Delirante e irreale» (p. 36).

Ma c'è di più. Gli assistenti sociali sono anche dei perditempo e dei profittatori che vanno a casa dei Giubergia «a prendere il caffè».

 

Magistrati ciechi, sordi e solitari

I magistrati minorili sono la bestia nera della Ginzburg che scrive: «Abbiamo la sensazione che nel campo delle adozioni, il potere dei giudici minorili sia ogni giorno più cieco, più sordo e più solitario. Non lo raggiungono voci. Non lo rag­giungono né le voci delle altre autorità (5), né le voci della gente. Abbiamo la sensazione che si siano rotti i ponti tra i giudici minorili e la gente. Perciò anche si sono rotti i ponti fra i giudici mi­norili e la giustizia» (p. 93).

Fra le tante colpe attribuite dall'Autrice ai ma­gistrati minorili vi è il fatto ritenuto grave che «nessuno dei giudici si era mai mosso per venire a vedere la bambina nella casa dei Giubergia» (p. 10), concetto che la Ginzburg ripete in modo ossessivo nelle pagine seguenti.

Pertanto, secondo la nostra tuttologa sociale, i giudici dovrebbero essere dei maghi che, me­diante una semplice visita alla bambina, capisco­no se è bene o male inserita, hanno elementi certi e sicuri per valutare l'evoluzione della situa­zione e sanno, infine, come applicare le leggi.

Si chiudano dunque le scuole di medicina, di psicologia, di servizio sociale, si aboliscano i cor­si di specializzazione e di aggiornamento: ormai la constatazione diretta dei giudici consente di analizzare e capire tutto (6).

Non si può ovviamente pretendere dai magi­strati una competenza su tutto e tutti: è, invece, necessario che i giudici incarichino gli esperti delle varie discipline umane e sociali al fine di avere una conoscenza la più approfondita e com­pleta possibile delle problematiche.

Va anche rilevato che fanno parte dei collegi dei Tribunali per i minorenni e delle Sezioni per i minorenni delle Corti di appello due esperti per ciascun organismo, specializzati in assistenza so­ciale, psichiatria, antropologia, pedagogia e psi­cologia. Detti esperti partecipano, in piena parità con i magistrati togati, alle camere di consiglio, sede nella quale vengono decisi i provvedimenti concernenti i minori.

 

La magica formula rivoluzionaria della Ginzburg

Sulle strutture sociali, il giudizio della Ginzgurg è categorico. «Come dovrebbero agire le istitu­zioni?» si chiede la nuova super esperta, tuttolo­ga in campo sociale. E la risposta è pronta e si­cura: «È così semplice e così ovvio che non ci sarebbe bisogno di dirlo. Se un capofamiglia è di­soccupato, provvedano a cercargli un lavoro. Se non ha casa, provvedano per una casa. Se i bam­bini sono allevati da nonni vecchi, venga dato lo­ro un aiuto a questi vecchi e a questi bambini».

Peccato che nessuno ci abbia pensato prima in Italia e nel mondo! Da anni tutto sarebbe stato risolto. Ma tutto non è perduto: adesso che tutti lo sanno (si preannuncia la vendita di decine di migliaia di copie del libro), certamente le cose andranno bene e tutti i mali sociali verranno ri­solti in quattro e quattr'otto.

C'è anche da sperare che - finalmente - la Ginzburg nella sua qualità di parlamentare, pre­senti proposte dì legge, interrogazioni, interpel­lanze, mozioni e ci doni finalmente questa società perfetta anche se, purtroppo, non ci risulta che finora abbia assunto alcuna iniziativa al riguardo.

Con la palingenesi sociale della Ginzburg final­mente potrebbero e dovrebbero abbandonare il campo i volontari, anch'essi dominati da una «mentalità che teme gli impulsi emotivi, teme soprattutto il "cuore e le lacrime", come fos­sero cose sudice, che imbrattano le persone» (p. 38) (7).

 

Citazioni infedeli e fuorvianti

La Ginzburg richiama una sentenza emanata dopo la vicenda di Serena dalla Corte di cassa­zione, senza peraltro, fornire alcun elemento per la sua identificazione e, a quanto pare, senza averne mai visto il testo integrale.

Secondo l'Autrice, che dice di aver letto del provvedimento sui giornali, «i supremi giudici dicono ai magistrati che dovranno decidere se strappare un bambino alla famiglia naturale: non tenete in nessun conto la sofferenza dei genitori. E non considerate come impedimento per le vo­stre decisioni nemmeno le sofferenze che posso­no derivare al piccolo dal temporaneo ricovero in istituto» (p. 63), aggiungendo: «Secondo la sen­tenza della Corte di cassazione, per decretare lo stato di abbandono e lo stato di adottabilità, basta che i bambini siano malvestiti, malnutriti, o gi­rino le strade o la notte siano lasciati soli» (p. 84).

Ora non ci risulta che la Corte di Cassazione abbia mai detto simili sciocchezze.

Infatti la sentenza della Corte di Cassazione n. 2101 del 5 maggio 1989, relativa alla dichiara­zione di adottabilità di tre bambini, figli dello stes­so padre ma di due madri diverse, precisa quanto segue: «La decisione di dichiarare adottabili i tre bambini non è fondata soltanto, e nemmeno in parte decisiva, sul fatto del ritardo evolutivo di Marianna e Marco o su quello della convivenza a tre (le due madri ed il padre). Ma è fondata su di una valutazione delle condizioni in cui si trovava­no tutti e tre i bambini quando fu disposto il loro allontanamento da casa. Determinanti sono infatti quelle condizioni quando, come risulta dalla sen­tenza impugnata, si concretano in una privazione delle attenzioni più elementari. Bambini mai lava­ti, vestiti malamente, spesso soli nella notte, sono bambini abbandonati, che cioè non hanno suffi­ciente assistenza materiale e morale. Certo, il "modello" di attenzione dei genitori verso i figli può essere diverso a seconda della cultura, sia di quel particolare nucleo familiare, sia del ceto cui il nucleo appartiene: ed il giudice è obbligato a tener conto dei diversi "modelli", non potendo imporre soltanto quello, magari anche generaliz­zato, che è specifico di famiglie e classi sociali più progredite. Ma vi è comunque abbandono quando, come è stato appunto correttamente af­fermato dai giudici di merito, le condizioni in cui si trova un bambino, sono al di sotto del minimo accettabile in una società che pur rispettosa del pluralismo dei progetti educativi, ha posto in primo piano la tutela dei soggetti più deboli ed in specie dei minorenni.

Quando poi i giudici accertano che, in conse­guenza di quella gravissima trascuratezza da par­te dei genitori, i bambini hanno subìto un danno gravissimo, non facilmente riparabile, come "un ritardo evolutivo impressionante"; quando accer­tano che già solo il loro ricovero in un istituto porta ad un sensibile miglioramento delle loro condizioni, la dichiarazione di stato di abbandono è allora un preciso dovere, proprio per impedire che la demolizione della personalità in evoluzione di quei bambini sia portata ad estreme, irreversi­bili conseguenze».

La sentenza sopra citata esprime un orienta­mento consolidato della Corte di Cassazione, co­me si rileva, ad esempio dal provvedimento dell'8 febbraio 1989 n. 793: «Nella nuova disciplina della adozione speciale, di cui agli artt. 8 ss. del­la legge 1983 n. 184, che qui viene in applicazio­ne, mentre resta fermo il principio della prevalen­za da accordare all'interesse del minore, viene accentuata l'esigenza di assicurarne, in difetto di specifiche ragioni ostative, la crescita e lo svilup­po nella famiglia di origine, considerata come ambiente naturale. Per cui lo stato di adottabilità si configura come un eccezionale sacrificio di quella esigenza e valore primario, che la legge autorizza non già per il mero fatto che una vita in istituto o presso terzi possa presentarsi come intrinsicamente più adatta per lo sviluppo fisico e psichico del minore, ma perché (e solo quan­do) la vita offerta dai genitori sia talmente ina­deguata, da far considerare la rescissione del legame familiare come il prezzo inevitabile da pagare, per evitare un danno maggiore.

Dal che consegue anche che la limitatezza dell'apporto affettivo e materiale dei genitori verso il figlio, pure quando si protragga nel tempo, e trovi causa, oltre che in modeste condizioni cul­turali ed economiche, in pecche di tipo caratte­riale od in disordinate abitudini, non consente la dichiarazione dello stato di adottabilità, se non si traduca nella mancanza di assistenza, piuttosto che in una assistenza incompleta, ma presente».

 

Superficialità sbalorditiva

La Ginzburg ha scritto il libro in fretta (e dai contenuti si direbbe anche in furia): non si è quindi preoccupata di raccogliere la documen­tazione occorrente per comprovare le sue affer­mazioni.

A nostro avviso, è un modo di operare assoluta­mente scorretto, soprattutto trattandosi di un libro a forte tiratura e con possibili negativi ri­flessi su decine di migliaia di bambini e di fa­miglie.

L'autrice cerca di giustificare questa sua gra­ve superficialità affermando che la storia di Se­rena Cruz viene riportata «come io l'ho appresa dai giornali e da notizie sparse» (8). Ma come si può scrivere su problemi così gravi che si riper­cuotono su decine di migliaia di persone, senza verificare l'autenticità degli argomenti assunti come prove?

 

Un decreto legge mai presentato

Lo sbrigativo metodo di lavoro scelto (notizie prese dai giornali e da altre fonti di informazione senza verificarne l'attendibilità) ha giocato alla Ginzburg un tiro mancino.

A p. 41 l'Autrice, dopo aver affermato che «nel­la scorsa primavera il Ministro di grazia e giu­stizia, Giuliano Vassalli, ha presentato un decre­to-legge per migliorare la legge sulle adozioni», osserva che «il Parlamento ha dei tempi lunghi. Il decreto-legge di Vassalli, chissà quando sarà affrontato e discusso. Se anche dovesse venire ratificato, per Serena e per i Giubergia potrebbe essere troppo tardi».

In realtà il decreto-legge non è mai stato appro­vato dal Consiglio dei Ministri e presentato al Par­lamento (9). È gravissimo, a nostro avviso, che un deputato (!) cada in un simile errore, quando in pochi minuti può, tramite gli efficienti e solerti servizi di Montecitorio, compiere i necessari ac­certamenti.

 

Una legge inesistente

La Ginzburg afferma altresì (p. 41) che la leg­ge vigente «impone che a una madre straniera che è in carcere con una lunga condanna, e non può tenere con sé i figli nel carcere se hanno passato i tre anni, siano tolti i figli per sempre e messi in adozione» (10).

Semplicemente si tratta di una disposizione che non esiste, inventata di sana pianta dalla no­stra tuttologa sociale.

 

Malvagità gratuita

Come è ovvio a tutti, Ginzburg esclusa, Sere­na ha l'esigenza e il diritto di restare in pace. Certo, i provvedimenti dei giudici possono e de­vono essere oggetto di critica, ma bisognerebbe sempre salvaguardare la privacy delle persone, soprattutto quando si tratta di bambini.

I Giubergia hanno usato Serena facendola fo­tografare, diffondendo la sua immagine alla tele­visione, riportando tutti i suoi più intimi fatti per­sonali, fino a strumentalizzare la sua permanenza a Racconigi per precostituire il fatto compiuto nei confronti dei magistrati e dell'opinione pubblica.

Adesso Serena vive presso una famiglia (11). Certo il Tribunale per i minorenni di Torino avrebbe dovuto affidarla ad una famiglia abitante molto lontano da Torino, preferibilmente all'estero. Fatto sta che Serena vive in una citta­dina piemontese. In ogni caso, lo ripetiamo, ha diritto di essere lasciata in pace. Marco Neirot­ti su Stampa Sera del 26 febbraio 1990 ha giusta­mente scritto che bisogna imparare «la difficile strada di saper stare zitti».          .

Riteniamo pertanto molto grave che la Ginz­burg, nel libro in cui pretende di dare lezioni a tutti di «vera giustizia», abbia riferito il nome con cui viene attualmente chiamata dalla fami­glia in cui è inserita da quasi un anno.

A nostro avviso si tratta di un vero e proprio atto di malvagità gratuita.

Infatti se la bambina, per effetto della divul­gazione del nuovo nome, venisse riconosciuta e fosse oggetto della morbosa curiosità della gen­te o di gruppi di malintenzionati, ciò potrebbe pre­giudicare, anche gravemente, la sua vita attuale e futura.

 

I senza faccia e senza nome

La Ginzburg difende a spada tratta, com'è suo diritto (a condizione però di non dire cose ine­satte o inventate di sana pianta), i Giubergia e la loro pretesa circa il riconoscimento di un loro «diritto di usucapione» su Serena (12).

Ciò premesso, siamo sempre più indignati per il fatto che la nostra tuttologa sociale continui a definire i bambini abbandonati, da lei non diretta­mente conosciuti, come bambini «astratti», «sen­za faccia e senza nome» (pp. 32-39-90).

Come abbiamo già avuto occasione di precisa­re (13), si tratta di fanciulli in carne (poca) e ossa che vivono, che sono indifesi, che soffrono e spesso muoiono in condizioni spaventose.

Definirli «astratti», «senza faccia e senza no­me» significa disprezzare le loro esigenze ed i loro diritti, abbandonarli a loro stessi, rifiutare a priori ogni gesto di umanità e di solidarietà nei loro confronti.

Ripetiamo che «occorre pensare contempora­neamente a Serena e a tutti gli altri bambi­ni» (14) - a nostro avviso è questo il concetto del prevalente interesse del minore - provve­dendo sia ai 59 mila minori italiani in istituti di assistenza (15), sia alle centinaia di migliaia di fanciulli del Terzo Mondo, operando sempre in modo che essi siano accolti da famiglie valide.

Ma, per tutti i minori, rifiutiamo la soluzione del «fai da te», del «mercato», così come rifiutia­mo la sottrazione, anche consensuale, di figli alle famiglie povere: i bambini non devono esse­re dichiarati adottabili se i genitori, pur essendo in condizioni di miseria economica, sono affetti­vamente e moralmente validi (16).

La Ginzburg riporta (p. 91) la gravissima dichia­razione di un magistrato brasiliano, secondo cui «anche se l'adozione non è troppo legale, anche se qualcuno l'ha trasformata in un'industria, un giudice non può negare ad un innocente la possibilità di crescere senza conoscere la fame». De­ve dunque essere legalizzato il mercato dei bam­bini come auspicano i Giubergia e la Ginzburg e come voleva fare il Ministro Vassalli (17)?

Su questo punto è sorprendente che l'On. Ste­fano Rodotà, in base a quanto riportato a p. 95, abbia espresso la seguente opinione: «Primo, cambiare la legge sulle adozioni, prevedendo la possibilità dell'adozione anche in condizioni di illegalità, quando la permanenza del bambino in una famiglia abbia avuto una certa durata» (18).

Rifiutiamo inoltre l'adozione intesa come affi­damento (o affibbiamento?) dei bambini a tutti, giovani o vecchi (19) e alle persone sole. Al riguardo va tenuto conto che attualmente, a causa del ridotto numero di bambini adottabili, su 5 domande di coppie di giovani idonei sul piano educativo, ben 4 non sono accolte.

A nostro avviso, la selezione-preparazione de­gli aspiranti adottanti è un atto di serietà nei confronti del bambino e degli stessi adulti per­ché, purtroppo, non è sempre vero quel che so­stiene la Ginzburg e cioè (p. 72) che «in genere chi vuole adottare un bambino lo vuole adottare per dargli affetto e il meglio di sé» (20).

E, infine, perché la Ginzburg non dice una sola parola sui bambini italiani e stranieri che più degli altri hanno bisogno di una famiglia: quelli colpiti da malattie e/o da handicaps o sieropo­sitivi?

Ma, anche per queste situazioni, la nostra tut­tologa avrà una risposta pronta, certa e sicura che troveremo in un suo prossimo libro o negli atti parlamentari dei prossimi mesi.

 

  

(1) Il libro della Ginzburg «Serena Cruz o la vera giu­stizia», Einaudi, Torino, 1990, si apre con la seguente cita­zione tratta dall'Apocalisse, 3,15-16 «Oh, fossi tu caldo o freddo! Così, poiché tu sei tiepido, né freddo, né caldo, sono sul punto di vomitarti dalla mia bocca».

(2) Pertanto, secondo Colombo e la Ginzburg, non esi­sterebbero attualmente garanzie sostanziali e procedurali per i minori in difficoltà, i loro genitori e parenti sia in materia giudiziaria, sia nel campo dello stato civile e dell'anagrafe. Da notare, come è risaputo, che in materia di adozione i gradi di giudizio sono quattro (Tribunale per i minorenni, opposizione allo stesso, ricorsi alla Sezione per i minorenni della Corte di appello e alla Corte di cas­sazione), mentre nelle altre materie civili o penali sono tre. Inoltre, c'è sempre la possibilità di richiedere l'inter­vento della Corte costituzionale.

(3) Significativo è il fatto che la Ginzburg non faccia alcun riferimento alle esigenze ed ai diritti dei bambini.

(4) Non si salva proprio nessuno.

(5) Evidentemente la Ginzburg vorrebbe un ordinamen­to sociale in cui i giudici siano subordinati alle «alte autorità».

(6) Fra i «tiepidi» la Ginzburg include anche i medici (p. 57). Non fa mai riferimento alle istituzioni (Governo, Parlamento, Regioni, Comuni, USL, Province, ecc.) forse ritenendo che detti organismi siano perfetti.

(7) Quasi tutte le organizzazioni di volontariato e le as­sociazioni di tutela dell'infanzia hanno sostenuto le deci­sioni dei giudici minorili torinesi, e si sono schierate con­tro il mercato dei bambini.

(8) Numerosi sono gli episodi descritti sulla base delle notizie riportate dai giornali o per sentito dire: il (falso) riconoscimento di paternità di Giubergia e la rinuncia del­la bambina da parte della madre d'origine (p 5), il rifiuto di Serena da parte della madre (p. 8), le informazioni rela­tive ai bambini portati via ai genitori d'origine o adottivi (p. 60), la sottrazione ai genitori sardi di due gemelle (p. 64) e di cinque bambini di Vigevano (p. 65), le modalità di selezione degli aspiranti genitori e l'audizione (interroga­torio per la Ginzburg) dei loro parenti (p. 87), l'interroga­torio «severo, aspro e sommariamente sgradevole» subì­to da due coniugi che sarebbero stati dichiarati inidonei (ma dov'è il provvedimento?) perché «avevano risposto che non avevano grande interesse ai viaggi» (pp. 88-89). Anche la vicenda dei tre fratelli Zanon di Domodossola è presentata dalla Ginzburg in modo superficiale. Per una conoscenza precisa dei fatti si veda il decreto del Tribu­nale per i minorenni di Torino del 15 maggio 1989, ripor­tato su La rivista del diritto delle persone e della famiglia, n. 3, luglio-settembre 1989, p. 703 e seguenti.

(9) La bozza del decreto legge predisposta dal Ministro Vassalli, diretta a legalizzare il mercato dei bambini, non è nemmeno stata presentata al Consiglio del Ministri, anche per il deciso intervento dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, del Centro italiano per l'ado­zione internazionale, dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, dell'Associazione Giudici Minorili, della Fondazione Zancan, della Caritas, del Coordinamento Genitori Democratici, del Centro Internazionale Famiglie Pro Adozione, dell'As­sociazione Romana e Laziale per l'Affidamento. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989, p. 60.

(10) Forse la Ginzburg fa confusione con l'art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354, il quale stabilisce: «In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l'assistenza sanitaria alle gestanti e alle puer­pere. Alle madri è consentito di tenere presso di sé i figli fino all'età di tre anni. Per la cura e l'assistenza dei bam­bini sono organizzati appositi asili nido».

La superficialità della Ginzburg è comprovata da un altro errore. Essa attribuisce infatti ai giudici minorili la richie­sta «a mani giunte» (p. 11) rivolta al Capo dello Stato affinché non si intrometta nel loro operato. In effetti si tratta di una espressione contenuta nel telegramma invia­to dall'ANFAA al Presidente della Repubblica in data 12 marzo 1989. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 86, aprile­giugno 1989, pp. 13-14.

(11) Al riguardo, malignamente e senza alcuna prova, la Ginzburg sostiene: «Auguriamo che non si trovi ancora, come in molti pensano, rinchiusa fra le mura di un isti­tuto» (p. 45).

(12) Per usucapione (Cfr. art. 1158 e segg. del codice civile) si intende l'acquisizione della proprietà dei beni non sulla base dell'acquisto ma del semplice possesso continuato per un certo numero di anni.

Dalla cronistoria della vicenda di Serena (Cfr. Prospettive assistenziali n. 86, p. 12-13), emerge in modo incontrover­tibile che i Giubergia, avvertiti 9 giorni dopo l'arrivo di Serena a Racconigi circa le gravi conseguenze che avreb­be avuto il loro comportamento qualora fosse risultato contrario alla legge, hanno messo in atto molteplici azioni dilatorie, con numerosi cambiamenti dei loro avvocati di­fensori. Al riguardo la Ginzburg se la cava affermando che «passò così un anno e mezzo» (p. 7).

(13) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 86.

(14) Ibidem.

(15) La Ginzburg si chiede: «Come mai tante volte chi vuole adottare un bambino è costretto ad andare all'este­ro, se è vero che negli istituti italiani i bambini sono 59 mila?», ignorando evidentemente che essere ricoverati in istituto non equivale a essere in situazione di abbandono materiale e morale da parte dei genitori e dei parenti te­nuti a provvedervi, e quindi adottabili ai sensi della legge 4 maggio 1983 n. 184.

(16) Al riguardo, ripetiamo quanto abbiamo scritto sul n. 86 di Prospettive assistenziali: «I Giubergia non hanno mai fornito alcuna notizia circa la situazione di Serena a Manila, per cui non si sa se era in situazione di abbando­no, se è stata sottratta legalmente al genitori, chi ha svol­to le funzioni di mediatore fra la famiglia d'origine e i Giu­bergia, se vi è stato esborso di denaro» e auspichiamo che la magistratura compia - finalmente - indagini al ri­guardo. Si osservi che, se il Giubergia fosse veramente il padre di Serena, il rapporto sessuale avrebbe avuto luogo con una bambina (Marlene Vito Cruz) di 13-14 anni, fatto che non deporrebbe certo sulla idoneità educativa dello stesso Giubergia.

(17) Cfr. Pier Giorgio Gosso, Il caso Serena e la difesa dell'illegalità, in Prospettive assistenziali, n. 86, aprile-giu­gno 1989 pp. 15 e segg. e il documento ANFAA, La dram­matica vicenda di Serena Cruz - La verità del futuro dell'adozione nazionale e internazionale, in Bollettino dl infor­mazione e discussione ANFAA, n. 1, 1989.

(18) Nel libro di Enrico Forni e Elena Gandolfi Negrini «A loro la parola - I figli adottati dal Terzo Mondo rac­contano la loro esperienza», Piemme, Casale Monferrato (AL), 1989, si sostiene giustamente che l'adozione deve essere una risposta all'abbandono e non un rimedio alla povertà e alla fame. Precisa Forni: «Il bambino diventa sempre più frequentemente e a tutte le latitudini una co­sa di cui fare mercato tramite privati senza scrupoli o bu­rocrati al servizio di gelide Istituzioni. Quando un bambino può essere venduto o comperato come un prodotto indu­striale il cui valore è stabilito dalle leggi della domanda e dell'offerta, si entra nella logica del diavolo. Una volta stabilito, infatti, che il bambino è un oggetto utile, un bene di consumo, perché non trarre vantaggio anche soltanto da alcune sue parti, come si fa per i componenti di una auto usata? Così dal traffico dei bambini si è sviluppato il commercio dei loro organi». Cita il caso dei 15 bambini venduti a pezzi da Gerardo Lopez Ramirez, professore di educazione fisica di Guadalajara (Messico) e ricorda i bambini rapiti in Colombia, Brasile e Paraguay per estir­pare loro gli occhi.

(19) La Ginzburg sostiene addirittura che «persone an­ziane o mature potrebbero essere degli ottimi genitori adottivi. Meglio di tanti giovani, dissennati e inesperti» (p. 70) e che «non dovrebbero esistere preclusioni asso­lute e rigide, né di solitudine né di età» (p. 71). Pertanto, secondo la Ginzburg, l'adozione di bambini piccoli dovreb­be essere consentita anche agli ultraottantenni.

(20) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 86, p. 7.

 

 

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