Prospettive assistenziali, n. 90, aprile-giugno 1990
ASPETTI GIURIDICI CONCERNENTI LA
PRIVATIZZAZIONE DELLE IPAB
MASSIMO DOGLIOTTI (*)
1. Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
sano, com'è noto, disciplinate dalla legge 17 luglio 1890 n. 6972 che definisce
tali le opere pie e gli enti morali (e cioè ogni organizzazione distinta
rispetto ai suoi componenti) che forniscono una assistenza ai poveri tanto in
stato di sanità quanto di malattia procurando ad essi istruzione, avviamento
professionale e comunque un miglioramento morale ed economico.
La legge del 1890 indubbiamente «pubblicizzava» tali
enti, (spesso sorti in modo assai diversificato, alcuni per volontà di un
benefattore che aveva destinato parte di un patrimonio a determinate finalità
caritative, altri costituiti da gruppi, laici e religiosi, che creavano
un'organizzazione, anch'essa per fini caritativi); talora si trattava di
strutture già costituite dal potere pubblico, talora organismi privati che
diventavano pubblici solo alla fine. E infatti la legge del 1890 non ne
modificava la struttura, l'amministrazione, gli organi interni ed esterni, il
modo di designazione dei componenti; soltanto attuava un controllo, malto più
penetrante del passato, sull'amministrazione, sulle operazioni, con la
possibilità di interventi decisivi nella vita dell'ente, di accorporamento o
addirittura di scioglimento (anche se questi poteri furono introdotti da una
riforma del 1923). E comunque le IPAB si consideravano pubbliche proprio in
virtù di questo controllo molto più incisivo che nei confronti di altre
organizzazioni private.
Non si trattava peraltro di una novità della legge
del 1890 voluta da Francesco Crispi, la scelta «pubblica» nasceva già in epoca
precedente; una legge del 1862, la prima legge dello Stato unitario in materia,
se pur non definiva pubbliche le «Opere pie» però già attuava una forma di
controllo assai ampio anche se non così come quello previsto dalla legge del
1890. A sua volta questa legge del 1862 derivava da una legge piemontese del
1859. Anche in pieno periodo liberale, caratterizzato da una limitazione dell'intervento
statale, si era sentita l'esigenza, non tanto di trasformare dall'interno
queste istituzioni, quanto di controllarle in modo deciso, determinato, per
impedire che esse modificassero il loro fine, ed assicurare che i relativi
patrimoni fossero utilizzati per la soddisfazione dei bisogni delle persone
povere.
Sorvolo su altre vicende in prospettiva storica per
giungere al passaggio delle funzioni assistenziali dal centro agli enti
locali, dallo Stato alla Regione; così il DPR 616/77 che prevedeva lo
scioglimento generale delle IPAB salvo quelle che svolgessero precipua attività
educativa o religiosa (un numero abbastanza circoscritto) con passaggio
all'ente locale del patrimonio, sempre peraltro destinato alla stessa attività
assistenziale (non avrebbe avuto alcun senso che in un decreto di
trasferimento di funzioni assistenziali dello Stato all'ente locale, si
ammettesse la possibilità di trasformazione del fine dell'IPAB, con distrazione
del suo patrimonio).
Seguirono, com'è noto. due sentenze della Corte
costituzionale: una prima, la n. 174 aveva in sostanza bloccato lo
scioglimento, con una argomentazione di carattere formale: lo scioglimento in
sé non era contrario a Costituzione, ma vi era stato un eccesso di potere da
parte del Governo; il Parlamento aveva delegato il Governo appunto a
disciplinare il trasferimento delle funzioni assistenziali dallo Stato all'ente
locale, non aveva conferito però il potere di disporre lo scioglimento generalizzato
delle IPAB. Si trattava di una valutazione puramente formale, non di merito.
Dopo la sentenza del 1981 della Corte Costituzionale, avrebbe potuto benissimo
essere approvata dal Parlamento una legge di delegazione che attribuisse tale
potere al Governo.
C'è stata poi una seconda sentenza (e una delle
conseguenze di tale sentenza è il progetto di legge della Regione Piemonte che
oggi esaminiamo). La sentenza n. 396 del 1988 precisa che la legge del 1890 è
in contrasto con la Costituzione, in quanto non prevede che le IPAB regionali
o infraregionali possano assumere la personalità giuridica di diritto privato
se abbiano i requisiti di una istituzione privata. Ma, come si è visto, le IPAB
(almeno la maggior parte di esse) sono pubbliche solo nel fine, ma hanno
conservato una struttura privata, e dunque potrebbero chiedere la
privatizzazione. A mio parere la motivazione della sentenza non è
particolarmente approfondita dal punto di vista tecnico, perché si limita ad
affermare che la legge in esame è in contrasto con l'art. 38 della Costituzione
che si riferisce alla libertà dell'assistenza privata. Si potrebbe peraltro
obiettare a questa affermazione, che in realtà, se è vero, come dicevo prima,
che questi enti hanno continuato ad operare per certi versi in modo
privatistico (per cui non venivano compromesse 1e finalità stabilite dal
fondatore, le strutture, l'amministrazione, c'era semmai un controllo più
incisivo da parte del potere pubblico), allora si sarebbe dovuto sostenere
coerentemente che il principio della libertà dell'assistenza privata, esclude
un controllo pubblico su di essa (ma ampi controlli, sono previsti pure per
certi settori «privati»: banche, assicurazioni, ecc.). Del resto va osservato
che, almeno dopo l'avvento della Costituzione non si può più parlare di un
totale monopolio pubblico dell'assistenza: sono state infatti costituite, in
materia assistenziale, istituzioni sicuramente private.
2. Continuiamo con l'analisi del progetto della Regione
Piemonte; io nutro forti dubbi sulla costituzionalità di esso, sulla
possibilità cioè dell'ente di disciplinare con legge regionale il trasferimento
o la privatizzazione delle IPAB. Certo la sentenza della Corte costituzionale
ha posto un problema: ha dato la possibilità, come dicevo, a quegli enti, che
mantengono una struttura privata (e abbiamo detto che la maggior parte di essi
hanno conservato questo carattere) di richiedere il riconoscimento di persone
giuridiche private; questo riconoscimento, trattandosi di materia assistenziale,
è di competenza delle Regioni.
Sorge peraltro il dubbio che la Regione, approvando
un progetto di legge di questo tipo, vada oltre le proprie attribuzioni. È vero
che le Regioni spesso hanno disciplinato situazioni al limite tra la loro
competenza e quella statale; ma a me pare che qui il limite si supererebbe.
Una proposta di legge, come quella in esame, viene a
dare una definizione di persona giuridica privata: ci dice cioè che cosa debba
intendersi per persona giuridica privata (perché solo in questo caso la Regione
potrà evidentemente riconoscere tale tipo di istituzioni). Ecco, una
definizione di tal genere, che può essere diversa a Milano, a Genova e a
Torino, esorbita dalla competenza regionale, e dovrebbe essere indicata dallo
Stato attraverso la legge quadro sull'assistenza, che però, come sappiamo,
continua a segnare il passo. II dubbio di costituzionalità potrebbe essere
sollevato dal Governo, ovvero successivamente nel corso di un provvedimento
davanti al giudice ordinario od amministrativo.
Nel testo del progetto sono poi indicate alcune
categorie di enti che rientrerebbero nell'ambito della privatizzazione:
istituzioni con struttura associativa ovvero promosse e amministrate da
privati e operanti prevalentemente con mezzi di provenienza privata, cui il
progetto non fa che recepire l'indicazione della Corte costituzionale: se c'è
un gruppo associativo, se il controllo è stato effettuato dai privati ed è
ancora prevalentemente privato, si tratta di istituzioni private anche se
avevano la denominazione di IPAB.
Ai punti c) e d): si parla di istituzioni religiose o
che svolgono prevalentemente attività di istruzione. Per le prime la natura
privata sussiste quando ricorrono i seguenti elementi: l'ispirazione religiosa
risulti dall'atto costitutivo o dalle tavole di fondazione e continui anche
attualmente a caratterizzarne le finalità e l'attività; l'istituzione risulti
collegata ad una confessione religiosa mediante la designazione negli organi
collegiali deliberanti di ministri del culto o di appartenenti ad istituti
religiosi. Ora se il progetto avesse precisato che negli organi collegiali,
per la totalità o per la grande maggioranza, stanno ministri del culto od
appartenenti ad istituti religiosi, si tratterebbe di un'istituzione privata,
ma il progetto sembra indicare che basta anche la presenza di una minoranza di
ministri del culto od appartenenti ad istituti religiosi (anche uno solo) per
ritenere questa istituzione privata, e ciò in effetti sembra abbastanza contrastante
con quelle indicazioni, che venivano dalle prime due categorie; si superano
così le stesse indicazioni della Corte costituzionale.
Ciò si nota ancor di più, riguardo alle istituzioni
che svolgono prevalentemente attività di istruzione, compresa quella prescolare.
Pare che non si richieda alcun requisito ulteriore per la privatizzazione e
sembrerebbe che l'attività di istruzione, in quanto tale, sia considerata un fine
privato: se le IPAB esercitano attività di istruzione, per ciò stesso sono
private e possono quindi essere riconosciute come tali. Si arriverebbe
all'assurdo per cui una struttura creata dall'ente pubblico, otterrebbe la
personalità giuridica privata soltanto perché svolge attività di istruzione.
3. Abbiamo parlato finora di privatizzazione senza
chiarire esattamente cosa si intenda per persona giuridica privata e quali
siano effettivamente i poteri, le possibilità delle IPAB una volta che sia ad
esse riconosciuto lo stato di persona giuridica privata. perché è qui che alla
fine si gioca il destino dei relativi patrimoni. È in ogni caso intuitivo che,
se una istituzione è pubblica, c'è un controllo maggiore, molto maggiore
rispetto all'istituzione privata. Possono esservi abusi, distrazioni di
patrimoni (ma vi sono in tal caso responsabilità, anche di tipo penale), ma la
garanzia che esso rimanga destinato alle esigenze originarle di assistenza, è
indubbiamente assai più ampia. Sono d'accordo con Mons. Nervo che non si può
dire: pubblico è sempre buono e privato è sempre cattivo o viceversa; servizi
pubblici o privati possono andar bene o male: ma ribadisco che ci sono maggiori
garanzie se l'istituzione rimane pubblica, anche in caso di scioglimento di
essa.
La ratio
del DPR 616 era che questi patrimoni dovessero continuare ad essere destinati
alla finalità assistenziale.
Del resto anche l'art. 70 della legge 6972 del 1890
aveva previsto questa possibilità: le istituzioni contemplate nella suddetta
legge, alle quali sia venuto a mancare il fine o il cui fine più non
corrisponde all'interesse della pubblica assistenza o beneficenza o che siano
diventate superflue perché al fine medesimo si sia pienamente o stabilmente
provveduto, sono soggette a trasformazione. Ed essa deve essere fatta in modo
che, allontanandosi il meno possibile dall'intenzione dei fondatori, risponda
ad un interesse attuale e durevole della pubblica assistenza e beneficenza.
Dunque la legge del 1890, che, fino a quando non vi
sarà una nuova legge quadro sull'assistenza, è quella cui si deve fare
riferimento, fornisce una garanzia abbastanza precisa di destinazione dei
patrimoni alle finalità assistenziali.
Ecco, se invece, da questo versante passiamo
all'altro, al Codice civile che regola il rapporto tra privati, la prospettiva
cambia totalmente, mutando le garanzie e le possibilità di controllo. Gli
articoli che possiamo esaminare sono il 14 e successivi del Codice civile.
Che cosa sono le persone giuridiche private? Sono
organismi che si distinguono dai soggetti, dalle persone fisiche, dagli esseri
umani che agiscono dietro e in rappresentanza di essi; sono qualche cosa di
nettamente distinto anche da un punto di vista patrimoniale, per cui le persone,
i rappresentanti, non rispondono con il proprio patrimonio personale, ma
risponde soltanto l'ente, con il suo patrimonio. È una finzione giuridica come
se quell'ente assumesse una sorta di umanità, nel senso che esso può diventare
soggetto titolare di diritti e obblighi, quindi può vendere, acquistare, può
compiere tutte le operazioni che potrebbe compiere una persona fisica. Questa
è la persona giuridica privata. Ma c'è un controllo?
Va detto subito che la disciplina del Codice civile
(art. 14 e segg.) è del tutto estranea alle problematiche assistenziali (le
preoccupazioni, come per larga parte del Codice civile, sono essenzialmente di
natura patrimoniale). Gli enti privati, infatti, devono chiedere
l'autorizzazione (in questo caso l'autorizzazione dovrebbe essere della
Regione, se essi continuano ad operare in materia assistenziale) soltanto per
l'acquisto di beni, ma non... per la vendita, e questo può far stupire. In
realtà le esigenze protette sono diverse da quelle proprie all'attività
assistenziale. Il Codice civile si preoccupava della cosiddetta «manomorta»,
un patrimonio notevole, che - e qui gioca l'elemento patrimoniale, non certo
l'elemento personale, quello che appunto riguarda il fine e gli interessi degli
assistiti - non deve essere accumulato dall'ente, ma lasciato nella
disponibilità del mercato. Ben venga allora la vendita dei beni, ma non l'acquisto
(e dunque l'autorizzazione è richiesta per l'acquisto ma non per la vendita, e
già ciò è estremamente contraddittorio rispetto alle finalità
dell'assistenza).
C'è però una distinzione da fare, è la distinzione
stessa che in fondo fa il progetto di legge regionale tra associazioni e
fondazioni. L'associazione è costituita da un gruppo di persone che decide di
mettere insieme professionalità o mezzi per svolgere una certa attività, in
questo caso attività caritativa, magari iniziata secoli e secoli fa. Per le
associazioni, e alcune IPAB evidentemente hanno carattere associativo, le garanzie
di mantenimento del fine in pratica non esistono; maggior garanzia invece c'è
per quel che riguarda le fondazioni. Si tratta di un patrimonio destinato ad uno
scopo: un fondatore, in genere un benefattore, ha stabilito che tutto il suo
patrimonio o una parte di esso sia destinato ad un certo scopo e il controllo
pubblico della Regione si estende, appunto, alla permanenza dello scopo. In
ogni caso per le vendite non s1 richiede alcuna autorizzazione, sia che si
tratti di associazioni o di fondazioni.
L'associazione ha uno statuto, un atto costitutivo;
le deliberazioni dell'assemblea possono modificarli con la presenza di almeno
3/4 degli associati e -il voto favorevole della maggioranza dei presenti. Per
deliberare lo scioglimento dell'associazione occorre il voto favorevole di almeno
3/4 degli associati. Se le IPAB diventano persone giuridiche private, (e
nessuna legge afferma il contrario) si applica la normativa generale del
Codice civile; quindi bastano determinate maggioranze per modificare l'atto
costitutivo e lo statuto e, addirittura, per deliberare lo scioglimento
dell'associazione. È vero che le decisioni dell'assemblea non possono essere
contrarie alla legge e qualcuno potrebbe anche sostenere che quelle di
mutamento del fine e di scioglimento sono contrarie alla legge perché in fondo
c'è anche la legge del 1890, ed è curioso che si debba difendere questa legge
arcaica e superata. Tali organismi dovrebbero rimanere nel settore
assistenziale.
Si dice però all'art. 23 del Codice civile che le
deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge, all'atto costitutivo e allo
statuto, possono essere annullate dal giudice, su istanza - si badi bene - degli
organi dell'ente, di qualunque associato e del Pubblico Ministero. L'unica
possibilità di controllo e cioè di impedire lo scioglimento, potrebbe venire
dall'organo stesso dell'ente che in realtà ha disposto lo scioglimento e che
quindi non lo farà, oppure da qualunque associato (potrebbe esserci un
associato contrarlo, ma potrebbe anche non esserci), oppure dal Pubblico
Ministero.
Per le fondazioni, come ho detto, vi è un maggior
controllo; infatti l'autorità governativa (oggi l'ente Regione) esercita
controllo e vigilanza sull'amministrazione, provvede alla nomina e alla
sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni
contenute nell’atto di fondazione non possano attuarsi, annulla le
deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine
pubblico, al buon costume, può sciogliere l'amministrazione qualora gli
amministratori non agiscano in conformità dello statuto e del,lo
scopo della fondazione (e dunque se essi non perseguano finalità assistenziali).
E si precisa ancora che l'autorità governativa (la Regione) può disporre il
coordinamento dell'attività di più fondazioni, ovvero l'unificazione della loro
amministrazione, rispettando per quanto possibile la volontà del fondatore. La
persona giuridica - si parla sempre della fondazione - si estingue quando lo
scopo è stato raggiunto o è diventato impossibile o di scarsa utilità o il
patrimonio è diventato insufficiente. Però il patrimonio potrebbe presto
divenire insufficiente anche per le fondazioni, perché - come dicevo - le
alienazioni non sono oggetto di controllo e quindi potrebbero sempre essere
effettuate. Anche in tal caso, però, l'autorità (regionale), anziché
dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi
il meno possibile dalla volontà del fondatore.
4. Un'ulteriore osservazione riguarda il personale
delle IPAB, e anche in tal caso le conseguenze sono abbastanza gravi: si
tratta in genere di personale inquadrato nel contratto degli enti locali
perché le IPAB infraregionali e regionali facevano parte della organizzazione
pubblica locale. Chiaramente, se la norma nulla prevede come nel progetto
della Regione Piemonte (un'altra legge, quella siciliana che pure sotto certi
versi non è assolutamente soddisfacente, tuttavia almeno per quel che riguarda
il personale, ha risolto il problema con inquadramenti particolari), il
rapporto di lavoro pubblico si trasformerà in rapporto privato con le garanzie
più limitate proprie del settore privato: lo Statuto dei lavoratori, che però,
non si applica a tutte le imprese, ma soltanto a quelle che abbiano più di
quindici dipendenti; quindi se un'IPAB ne avesse un numero inferiore, non ci
sarebbero neppure tali garanzie, con possibilità di licenziamenti indiscriminati.
Un problema, dunque, che nell'ambito di un'eventuale disciplina regionale, non
dovrebbe sicuramente essere eluso.
5. Ritornando alla sentenza della Corte costituzionale,
ritengo che si tratti di un provvedimento politico oltre che giuridico e forse
soprattutto politico.
L'impostazione della legge Crispi del 1890 è superata
e su questo siamo tutti d'accordo; però dobbiamo vedere il senso della
privatizzazione delle IPAB. Nella sentenza si alternano elementi giuridici e
sociologici.
Il nodo che emerge da una serie di interventi
ricorrenti è: che cosa fare di fronte alla sentenza e al progetto di legge
della Regione Piemonte?
Indubbiamente è meglio una legge che la totale
assenza di norme oppure la privatizzazione selvaggia, stante la possibilità che
le IPAB chiedano per via amministrativa il riconoscimento di persona giuridica
privata.
Su questa falsariga si dovrà cercare di individuare
determinati vincoli e proporre emendamenti al progetto di legge. Sorge a
questo punto un problema a monte: la costituzionalità o meno di una legge
regionale; infatti è contraddittorio porre dei limiti e quindi approvare una
legge ove la stessa rimanga comunque, alla radice, incostituzionale.
Se, in base alla sentenza ricordata, queste IPAB
possono diventare persone giuridiche private regolate dall'art. 14 e seguenti
del Codice civile, e se la legge regionale dice che le IPAB non possono
modificare il loro fine, a questo punto la legge regionale modifica il codice
civile, il che non è possibile.
Non si esce da questa impasse. La soluzione è quella
di una legge statale. È un'ulteriore dimostrazione della necessità che il
Parlamento legiferi.
6. Va altresì osservato che nel disegno di legge
regionale non si è distinto tra associazione e fondazione; questo non mi trova
d'accordo perché ci sono differenze nette tra le due forme. La fondazione è
costituita da un patrimonio vincolato ad uno scopo, non ha l'elemento personale.
L'associazione non nasce con un patrimonio, però ha un elemento personale, cioè
un gruppo che ha deciso di dar vita ad un'attività.
E la disciplina è assai diversa: l'associazione è
senza controlli; per la fondazione i controlli sono previsti.
7. Alcuni aspetti specifici: sono d'accordo che,
riguardo al punto e) dell'articolo 2 del progetto di legge n. 512 (1), potrebbe
esservi un ulteriore elemento di incostituzionalità per incompetenza della
Regione a legiferare in materia di istruzione.
Per quel che riguarda, il personale siamo allo stesso
discorso che vale anche per la destinazione del patrimonio, per cui, se non
arriva una legge statale a stabilire che le IPAB, seppur diventate persone
giuridiche private, non possono modificare lo statuto e le finalità, vale la
disciplina del codice civile e, almeno per quanto riguarda le associazioni,
esse sono libere di modificare la loro attività.
Per il personale c'è il rischio della privatizzazione
del rapporto di lavoro e, dunque, tenuto conto dello statuto dei lavoratori,
c'è il problema delle IPAB con pochi dipendenti e dei loro diritti.
8. Per quanto attiene a ciò che può accadere in attesa
di una legge statale, la Corte costituzionale dà una serie di indicazioni:
potrà esserci un procedimento giudiziale (ordinario o amministrativo) per
l'accertamento dello stato di istituzione privata. È un'altra via, più veloce
ancora di quella amministrativa, per il riconoscimento di persona giuridica
privata.
È difficile poter ipotizzare che ]'azione popolare
della legge del 1890 possa essere promossa nel caso vi sia il riconoscimento di
persona giuridica privata da parte della Regione.
Nell'ambito di un procedimento giudiziario, forse
vedrei qualche maggior possibilità di intervento. Partendo dall'idea che ci
sia un diritto all'assistenza da parte degli assistiti, si comincia a riconoscere
la costituzione di parte civile di associazioni e soggetti che tutelano i
diritti e interessi diffusi. È una via problematica (perché alcuni giudici la
ipotizzano, altri no) questa dell'intervento delle associazioni nell'ambito del
procedimento di privatizzazione per eventualmente garantire la loro posizione,
far udire la propria voce.
9. Una considerazione sulla quota alberghiera a carico
dei ricoverati presso IPAB da pagare in caso di privatizzazione. Si torna
sempre sullo stesso punto: se le IPAB diventano persone giuridiche private, il
discorso starebbe sempre in questa dicotomia associazioni/fondazioni. Per le
fondazioni, il cui fine non si può modificare, anche il discorso della quota
alberghiera potrebbe rimanere tale, mentre, se si parla di associazioni,
nulla vieta che, con una autonoma decisione dei loro organi, cambino lo scopo
e diventino cliniche private o altro.
10. Circa l'inserimento delle IPAB privatizzate fra gli
enti ecclesiastici, ricordo che, prima del concordato del 1984, una commissione
mista ha risolto alcuni problemi collegati agli enti ecclesiastici e
successivamente una legge ha recepito questo accordo. Con la legge del 1929
non c'era possibilità di confusione tra IPAB ed ente ecclesiastico perché
secondo tale legge gli enti ecclesiastici erano solo quelli strettamente inquadrati
nell'organizzazione ecclesiale (ordini religiosi o assimilati).
Il problema si è posto con la modifica del concordato,
perché adesso si precisa che ente ecclesiastico è quello approvato e costituito
dall'organizzazione ecclesiale e che ha un fine di religione e di culto
(definizione ristretta); però si dice anche che il fine di religione e di culto
di enti che non abbiano personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa può
essere accertato di volta in volta, in quanto essi esercitano attività dirette
all'esercizio del culto e alla cura di anime, alla formazione del clero e
all'educazione cristiana (nozione estremamente ampia).
Tali enti possono essere riconosciuti come persone
giuridiche, con uno status sostanzialmente assimilabile a quello delle persone
giuridiche private disciplinate dal codice civile. E, una volta riconosciute,
possono svolgere pure attività diverse da quelle di religione e culto:
assistenza, beneficenza, istruzione, cultura e pure (sic) attività commerciali
a scopo di lucro. Ben potrebbero dunque le IPAB (non essendo prevista nella
legge eccezione alcuna per esse) chiedere il riconoscimento quali enti
ecclesiastici (ad esempio, in tutti i casi assai frequenti in cui siano
gestite anche solo parzialmente da religiosi): sarebbe un'ulteriore via verso
la privatizzazione.
(*) Giudice del Tribunale di Genova e Docente di Diritto
all'Università della Calabria.
(1) Il punto e) del disegno di legge
della Regione Piemonte prevede la privatizzazione delle IPAB «che svolgono prevalentemente attività di
istruzione, compresa quella prescolare».
www.fondazionepromozionesociale.it