Prospettive assistenziali, n. 90, aprile-giugno 1990
COME NON SI TUTELA L'INFANZIA: L'ALLUCINANTE VICENDA DI UN MINORE DI TRENTO TRA ABBANDONO E COMPORTAMENTO IRRESPONSABILE DELLE ISTITUZIONI
Provincia di
Trento: una autonomia ampia, ampie disponibilità finanziarie, 400.000
abitanti, una situazione sociale che non presenta certo i drammatici problemi
delle grosse metropoli, le competenze socio-assistenziali in mano ad un unico
ente (la Provincia), la presenza di alternative concrete al ricovero in
istituto per minori; alternative diversificate, numerose, qualificate: basti
pensare alle comunità Murialdo, alle comunità della Associazione provinciale
per i problemi dei minori, (ciascuna con cinque comunità di accoglienza) ed
alla presenza di numerose famiglie disponibili all'affido. E sono famiglie spesso
preparate, ed alcune di queste disponibili ad accogliere nelle loro case anche
bambini portatori di gravi handicap fisici e psichici, bambini
sieropositivi...
Sembrerebbero
esserci tutte le condizioni perché - a quasi sei anni dall'uscita della legge
184/83 - nessun bimbo debba più andare in istituto.
Invece in
provincia di Trento 250 bambini al 1° gennaio 1988 erano ricoverati in istituti
di assistenza: cifra che non comprende né i minori ospiti di comunità
alloggio né (sic!) i minori portatori di handicap, ricoverati in altri
istituti. E, ciò che è ancora peggio, bambini piccoli e anche piccolissimi
continuano ad essere ricoverati in istituti di assistenza anche per periodi
lunghi e lunghissimi. Come è possibile che accada questo?
Riportiamo la vicenda di O. non per sterile denuncia,
ma come contributo all'individuazione di quei problemi che costituiscono ancora
gli ostacoli più grossi (ma rimovibili!) all'attuazione dei diritti dei
minori.
Ci viene raccontata da una delle famiglie che avevano
dato la loro disponibilità ad accogliere O. in affido.
Dall'istituto ai ricoveri in ospedale
per «ritardo nello sviluppo psico-motorio»
Dall'assistente sociale che segue O. sappiamo che la
madre lavora in una scuola della provincia di Trento come segretaria. Pur
soffrendo di gravissimi problemi psichiatrici, riesce a condurre una vita
autonoma: in effetti è una signora che si presenta bene, che sa esprimersi
correttamente...
Al sesto mese di gravidanza si reca dal medico
chiedendo aiuto perché «ha mal di
pancia»; nega la gravidanza. Il sanitario non la segnala al servizio
psichiatrico, del resto la donna anche in seguito ha sempre negato la propria
malattia rifiutando qualsiasi aiuto.
O. nasce l'8 maggio 1986. In data 2 giugno 1986 il
primario psichiatra dell'ospedale dove O. è nato segnala al Tribunale per i
minorenni di Trento che «la madre è
affetta da schizofrenia paranoide cronicizzata con la conseguenza che appare
controindicato alla sua salute nonché a quella del figlio O. farle carico
della responsabilità educativa dello stesso» (questa e le seguenti notizie
riportate tra virgolette nei primi tre paragrafi dell'articolo sono tutte
tratte dal decreto di affido alla nostra famiglia).
Dei parenti solo il nonno mostrava un qualche
interesse, dicendosi disponibile a pagare una persona che potesse dare aiuto
in casa alla madre di O.
Il servizio sociale valuta la situazione complessiva
di O. come quella di un bimbo inequivocabilmente in stato di abbandono e
chiede al Tribunale per i minorenni l'apertura dello stato di adottabilità.
Nei mesi ed anni seguenti nessuno dei parenti di O. -
al di fuori della mamma - si è mai recato a visitare il bimbo.
Dall'ospedale il bimbo viene portato all'I.P.A.I.
(Istituto provinciale per l'assistenza all'infanzia; è un istituto gestito
dalla Provincia di Trento).
Sembrava si dovesse trattare di un ricovero di poche
settimane. Invece dopo cinque mesi il 6 novembre 1986 il direttore sanitario
dell'I.P.A.I. propone «un prolungamento
dell'istituzionalizzazione del minore sottolineando le capacità della madre di
gestire il figlio in struttura protetta».
Pochi giorni dopo il Tribunale per i minorenni - il
18 novembre 1986 - prolungava l'affido di O. al l'I.P.A.I. dando «facoltà alla madre di portare il figlia a
casa per due volte alla settimana». Il servizio sociale, non interpellato
in proposito, con foglio 13 febbraio 1987 prospettava la «inopportunità di un rientro in famiglia del minore, attesa la
inidoneità della madre». Era una donna che chiaramente mostrava come non
sarebbe mai stata in grado di rispondere ai bisogni sia morali del figlio (vedi
relazione dello psichiatra che anzi controindicava espressamente una presa in
carico diretta del figlio da parte della madre) che materiali (impiegava
quarantacinque minuti a cambiare il pannolino al figlio).
Passano i mesi... «A
seguito dl conforme richiesta del Pubblico ministero veniva contestato alla
madre lo stato di abbandono del figlio e la stessa in data 31 marzo 1981 si
opponeva alla dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio chiedendo
di poterlo avere con sé».
Con decreto del 14 aprile 1987 veniva prolungato
l'affido di O. all'I.P.A.I. «con facoltà
per la madre di portarlo a casa due volte la settimana».
Anche in questo caso non venne interpellato il servizio
sociale. Il bimbo non andrà mai a casa. Sempre con il decreto del 14 aprile «veniva disposto accertamento medico-legale
sulle capacità della madre di educare ed accudire in maniera idonea il
figlio».
Questi accertamenti erano stati chiesti a medici
della Clinica pediatrica dell'Università di Verona, ove O. si trovava al
momento ricoverato. (A Verona era stato trasferito dopo essere stato ricoverato
alcune volte all'Ospedale infantile di Trento perché presentava un ritardo
nell'acquisizione delle capacità motorie ed espressive). Sempre nel marzo
1987 l'assistente sociale che segue O. ci chiese la nostra disponibilità per un
eventuale affido (un affido che si presentava come - molto probabilmente - «sine die») informandoci dei problemi
della madre, dei possibili problemi medici di O., del fatto che il Tribunale
per i minorenni non aveva ancora un orientamento sul futuro di O. (adozione?
affido? istituto?).
Dopo una settimana rispondiamo:
- siamo disponibili ad accogliere O. in affido,
possibilmente subito e cioè indipendentemente dal fatto che abbia o meno dei
problemi medici; questo al fine di evitare che passino altri mesi (per O. mesi
di istituto) per questo bambino che ha presto un anno e nella cui situazione
esistenziale nulla è cambiato dal momento della nascita;
- siamo disponibili per una adozione solo se non si
trovassero altre famiglie (cosa per altro improbabile) disposte ad adottare O.
(avevamo allora un bimbo di 15 mesi).
E questa è stata la nostra posizione che abbiamo poi
sempre mantenuto nei mesi seguenti nei numerosi colloqui avuti con l'assistente
sociale, con il giudice del Tribunale per i minorenni che seguiva O., con il
presidente del Tribunale, con i giudici della Corte d'appello...
In data 16 luglio 1987 pervenivano al Tribunale per i
minorenni di Trento i risultati dei suddetti accertamenti medico-legali. Si è
trattato di uno studio estremamente accurato sia dei rapporti madre-figlio
(condotto dal Prof. ...) sia dei problemi psichiatrici della madre (condotto
dal Dott. ...) che ha richiesto numerosi colloqui con la madre e numerose
osservazioni del comportamento della madre verso O. e di O. verso la madre.
Le conclusioni furono inequivocabili: «Schizofrenia paranoide cronica e infermità
mentale ostativa in modo permanente ad educare e accudire in maniera idonea il
figlio (...) Veniva evidenziato come il minore fosse affetto da ritardo nello
sviluppo psicomotorio conseguente alla anaffettività materna e conseguente
pericolosità del contatto madre-figlio in ambiente non protetto in quanto
suscettibile di ingenerare un assetto psicotico del minore».
Passano mesi..., ma tanto - come dice
la direttrice dell'I.P.A.I. -: «più bene che in questo istituto dove possono
stare i bambini?»
Passano i mesi..., più di cinque prima che il
Tribunale per i minorenni disponga un decreto di affido (!) - vedremo con che
modalità di esecuzione - alla nostra famiglia.
Viene a questo punto spontaneo chiedersi perché un
affido (anziché una adozione!) e perché questa decisione dopo più di cinque
mesi.
Ma leggendo, sempre dal decreto di affido, si può
venire a sapere che dopo il foglio del 6 novembre 1986 il direttore sanitario
dell'I.P.A.I. si rifà vivo il 21 maggio 1987 evidenziando al Tribunale per i
minorenni «come la madre avesse mantenuto
un costante ed adeguato rapporto con il figlio rispondendo in modo adeguato ai
suoi bisogni» e ribadendo pochi giorni dopo - il 26 maggio 1987 - «che il rapporto madre-figlio all'interno della
struttura appariva congruo».
Il 14 ottobre 1987 (e O. ha raggiunto i 17 mesi)
giungeva al Tribunale per i minorenni una relazione della puericultrice
dell'I.P.A.I. «che evidenziava un
miglioramento del rapporto madre-figlio e sottolineava l'impegno della madre
nel bene espletare il ruolo materno nella maniera migliore nonché una relazione
psicologica dello stesso tenore». Tutto ciò anche se è ben evidente come
allora fossero note alla direzione dell'I.P.A.I. le conclusioni dello studio
dei medici di Verona.
Il 17 ottobre 1987 giungeva all'I.P.A.I. una relazione
della dott. ..., medico del servizio di neuropsichiatria dell'ospedale
infantile di Trento, relazione che era sostanzialmente identica a quelle dei
medici di Verona e in particolare proprio per quanto riguarda i rapporti
madre-figlio.
Colpisce nella lettura di queste relazioni la descrizione
delle reazioni di O. al comportamento della madre nei suoi confronti: alle
manifestazioni di affetto del bimbo l'indifferenza, l'incapacità della mamma
di esprimere dei sentimenti di affetto verso il figlio, la conseguente reazione
di distacco di O. ... Nonostante questo, poco dopo, la direttrice dell'I.P.A.I.
riferiva al Tribunale per i minorenni (1° dicembre 1987) «che durante tutto il periodo di permanenza del minore all'I.P.A.I, la
mamma aveva mostrato infinito amore ed assiduo interessamento al figlio...».
Dulcis in
fundo, c'è da dire che la direzione dell'I.P.A.I.
sapeva sin dall'aprile 1987 della nostra disponibilità all'affido.
Nel frattempo (eravamo allora all'oscuro di gran
parte delle risultanze di cui sopra), preoccupati dei «tempi» della
magistratura, avevamo chiesto - nell'ottobre 1987 - di parlare alla direttrice
dell'I.P.A.I.
Il colloquio non durò molto: dopo un breve scambio di
convenevoli la direttrice esordì affermando: «Non capisco questa fretta di dare i bambini in affido. Tutti parlano
di crisi della famiglia e poi si vuole dare i bambini alle famiglie. Ma più
bene che qui (cioè all'I.P.A.I.) dove si trovano i bambini?».
Colpiti dalla arguzia e dalla competenza professionale
che traspariva da tale exploit non ritenemmo utile continuare il colloquio e
ci ritirammo in buon ordine, con l'impressione che si stesse lottando per la sopravvivenza
e l'interesse dell'istituto.
Il mese seguente (novembre 1987, dopo un rinvio di
una udienza per O.), telefoniamo al magistrato che segue il caso di O. per
chiedere se non sia possibile accelerare un po' i tempi: la telefonata dura
pochi secondi: «...Ho da fare...». Lo
stesso giorno chiediamo di parlare al presidente del Tribunale per i minorenni
che, tre giorni dopo, il 3 dicembre 1987, ci riceve.
Facciamo presente come O. abbia un anno e mezzo e
chiediamo tempi a dimensione dei bisogni di O.. Il presidente, per altro
sempre molto gentile, risponde che «ogni
giorno in tribunale si parla di O. ... che è una situazione difficile ... che
vi sono situazioni in cui bisogna rassegnarsi all'idea di lasciare i bambini in
istituto ...».
L'incredibile decreto di affido alla
nostra famiglia
Il 22 dicembre 1987 il Tribunale per i minorenni
decide: «Allo stato non luogo a
provvedere in ordine allo stato di adottabilità», e di affidare a noi O. «...con il diritto per la mamma di visitare
O. quattro volte alla settimana con modalità da stabilirsi con gli affidatari».
Crediamo che la cosa non necessiti di commento; aggiungiamo
solo che la decisione di concedere una frequenza di visite di questo tipo è
stata presa - ancora una volta - senza sentire né il servizio sociale né noi.
Alla nostra immediata richiesta di capire la logica
di un decreto che ci appariva in sé contraddittorio ed inattuabile, la
risposta del magistrato fu che il decreto era completo (e qui bisogna dare
atto di come dica veramente molte cose!) e di rivolgerci ad un avvocato se
avessimo avuto bisogno di altre spiegazioni.
La mamma fa opposizione e tutto passa in Corte di
appello.
La Corte di appello: sono incompetente
a decidere
Nel gennaio 1988 il Pubblico ministero ci dice che
chiederà al Tribunale per i minorenni che il decreto sia reso subito esecutivo
e che le visite della mamma vengano per il momento sospese; il servizio sociale
scrive al Tribunale per i minorenni per chiedere che venga drasticamente rivisto
il calendario delle visite della madre ad O.
Nel febbraio 1988, parliamo al giudice della Corte di
appello che segue il caso di O., chiedendo di poter essere sentiti dalla Corte
di appello e che la stessa cosa possa fare la coordinatrice del servizio
sociale; consegniamo una lettera (datata 15 febbraio 1988) ove ribadiamo la
nostra disponibilità ad un affido che 4 con sollecitudine sia reso subito
esecutivo », chiedendo che «le visite
della madre ad O. siano sospese perlomeno nei primi mesi di affido o fino a
quando non verrà chiarita la possibile pericolosità, per O., di mantenere
contatti con la madre» e che tuttavia «se
ora o in futuro si dovesse dare alla madre facoltà di visitare O., chiediamo
che tali visite avvengano possibilmente con una frequenza non superiore ad una
volta ogni due settimane o una volta al mese; che tali visite avvengano al di
fuori della nostra famiglia; che di tali visite nonché dei rapporti tra O. e
la madre si faccia carico il servizio sociale».
Si trattava quindi di semplici «richieste», parte di
una lunga lettera che ne spiegava le ragioni.
Il 9 marzo 1988 siamo invitati, assieme alla
coordinatrice del servizio sociale, a parlare alla Corte di appello. La
coordinatrice ribadisce che O. non potrà mai essere dato alla mamma e che
sarebbe opportuno trovare una soluzione diversa dall'istituto. La Corte appare
divisa: il giudice che presenta il caso e un giudice popolare pensano che sia
un bimbo che debba andare in adozione, altri magistrati intervengono dicendo
che noi non siamo una famiglia disponibile in quanto, con le richieste della
lettera del 15 febbraio, non facilitiamo certo il rientro di O. nella sua famiglia
di origine (!) ed uno di loro aggiunge che il decreto è un bel compromesso (!)
tra le giuste esigenze della madre e quelle di O.
La nostra impressione è che per lo meno alcuni di
quei magistrati, non conoscano la storia di O. né abbiano idee precise su cosa
sia un affido: in ogni caso che considerino sempre come prioritari i vincoli di
sangue (e quindi i diritti della madre) sui diritti di O.
«Con decreto
del 9 marzo 1988, la Sezione minorenni della Corte di appello annullava il
suddetto decreto per inattuabilità dell'affidamento e ordinava la remissione
degli atti a questo tribunale (il
Tribunale per i minorenni, n.d.r.) per
gli ulteriori provvedimenti di competenza».
Anche qui sembrano superflui i commenti, aggiungiamo
solo che la Corte di appello avrebbe avuto la possibilità di riformare
completamente il decreto (non solo quindi confermarlo od annullarlo) perché vi
era una richiesta di modifica da parte del Pubblico ministero. Invece, viene
rimandato tutto al Tribunale per i minorenni proprio per la non disponibilità
dei coniugi F. ad attuare «quel» decreto (riconoscendo in tal modo la validità
delle modalità di attuazione dell'affido ivi proposte e pensando come
realistica e nell'interesse di O. un suo rientro in famiglia «in tempi brevi»).
Il Tribunale per i minorenni a due anni
dalla nascita di O. riconosce il suo stato di abbandono e ne decreta l'adottabilità
Nuovo colloquio con il Pubblico ministero che si
impegna a prospettare di nuovo al Tribunale per i minorenni l'adozione. Noi e
il servizio sociale avevamo sempre cercato di fare presente che - a nostro
modo di vedere - O. avrebbe dovuto andare in adozione.
Posizione che traspare anche da una lettera che il 21
marzo 1988 mandiamo al Tribunale per i minorenni: «Qualora codesto Tribunale
anziché verso una adozione si orientasse verso un affido riteniamo utile
nell'intento di evitare ulteriori ritardi ribadire le caratteristiche della
nostra disponibilità. Visto infatti che l'affido ci è stato presentato da
codesto Tribunale come un affido verosimilmente sine die date le caratteristiche della famiglia di origine di O., è
chiaro che la nostra disponibilità non può essere generica; siamo disponibili
solo per un affido che venga disposto in tempi brevissimi e con quelle modalità
che costituiscono, a nostro parere, premessa per una possibile riuscita
dell'affido stesso».
Ribadiamo le richieste espresse nella lettera del 15
febbraio alla Corte di appello aggiungendo che avevamo nel frattempo chiesto,
ed ottenuta, la disponibilità del servizio sociale di farsi carico dei rapporti
(almeno in un primo tempo) tra O. e la madre. E chiediamo infine che un nostro
eventuale coinvolgimento venga chiesto in tempi brevissimi. Questo perché: «O.
è da due anni in istituto: ora l'affidamento si presenta oggettivamente più
difficile:
- perché O. ha due anni anziché pochi mesi;
- perché ha alle spalle due anni di istituto;
- per le aspettative che si sono volute creare nella madre».
Il 13 aprile 1988 abbiamo una udienza al Tribunale
per i minorenni; lasciamo una lettera, che chiediamo venga messa a verbale, ove
ribadiamo per esteso il nostro punto di vista sull'intera vicenda
sottolineando «come i diritti di O, siano
prioritari rispetto ai desideri della madre» (che lo vorrebbe in istituto).
Aggiungiamo come «alla fatica, alla
tensione per essere rimasti tutto questo tempo disponibili all'affido ed
esserci impegnati attivamente per renderlo realizzabile nel modo migliore, si
era andata accumulando una grande tristezza». Questo per il fatto che nel frattempo
avevamo avuto un'altra figlia che vedevamo crescere felice assieme al suo
fratellino, mentre sapevamo che O. passava le sue giornate (i suoi anni) in
istituto. Era solo un pensiero, - non abbiamo mai visto O. - ma anche una preoccupazione
perché vedevamo già nell'aria «seriamente
riproposta l'ipotesi di istituzionalizzare O. - verosimilmente sino alla
maggiore età - presso l'istituto "Villaggio S.O.S."», e con
l'espressione di questo timore chiudevamo la lettera.
Con decreto del 28 aprile 1988 il Tribunale per i
minorenni dichiarava lo stato di adottabilità di O. prendendo atto della natura
cronica dei disturbi della madre e considerato che «il rapporto fra la madre e il figlio è caratterizzato da rigidità
anaffettiva da parte della madre, inducente, allo stato, un ritardo nello
sviluppo psicomotorio del bambino con possibilità di evoluzione verso un
assetto psicotico (...) D'altra parte nello stesso elaborato peritale di parte
si esclude allo stato la possibilità di un affidamento del figlio alla madre».
Avrebbe potuto a questo punto avviarsi a conclusione
questa emblematica storia, sia pure con un riconoscimento tardivo dello stato
di abbandono di O. (nulla è cambiato nella sua famiglia dalla nascita ad ora
che ha due anni). E la madre? Le si è fatto credere, specie da parte
dell'istituto dove O. era ricoverato, che avrebbe potuto fare da brava mamma.
Lei si era evidentemente legata molto al figlio ed era quanto mai prevedibile
che avrebbe fatto ricorso: prima al Tribunale e poi in Appello e quindi in
Cassazione ... anni e anni; e O. intanto?
Era una tipica soluzione da risolvere con lo
strumento dell'affido a rischio giuridico di adozione (garantendo
evidentemente l'anonimato della famiglia affídataria).
Invece ... «Nelle
more del procedimento appare opportuno, nell'interesse del minore, che lo
stesso venga collocato presso la struttura "Villaggio S.O.S." di
Trento, non apparendo ulteriormente opportuna la sua istituzionalizzazione
presso l'I.P.A.I. di Trento e non essendovi disponibilità di altri affidatari
oltre ai coniugi F. Quanto a questi ultimi, non si ritiene che siano idonei al
temporaneo affidamento in quanto dalle dichiarazioni degli stessi emerge un
loro orientamento alla sostituzione della figura genitoriale che è incompatibile
con la possibilità di riforma del presente decreto (...) Nomina tutore il
direttore del Villaggio S.O.S. ».
La lettera della locale sezione
dell'A.N.F.A.A. al Tribunale per i minorenni
Questa volta è la locale sezione dell'A.N.F.A.A. che
prende posizione con una lettera al magistrato che segue il caso di O.
Dopo aver fatto presente «le gravi carenze di cure familiari» cui andrebbe incontro O.
nell'ipotesi di una sua permanenza in istituto sino ad un pronunciamento
definitivo della Cassazione (cosa che richiede anche anni) e la possibile
difficoltà poi di «trovare una famiglia
che voglia adottare un bambino con un passato ed una età quale avrà allora O.»,
faceva notare come si sarebbe dovuto procedere quanto meno a cercare la
possibilità di un affido a rischio giuridico di adozione, e terminava con
alcune contestazioni che ci pare opportuno riportare per intero:
«I) O. è stato collocato al “Villaggio S.O.S.”. “Non
essendoci disponibilità di altri affidatari oltre ai coniugi F.”.
«Come Associazione
di Famiglie Affidatarie dispiace vedere scritto in un atto pubblico che non
esistono famiglie disponibili all'affido. Perché la realtà è che invece
esistono numerose famiglie che da anni sono disponibili all'affido (mentre nel
frattempo bambini piccoli e anche piccolissimi continuano ad essere affidati a
scopo educativo (sic!) ad istituti).
«Qualora tra
le famiglie in attesa di adozione non si trovasse disponibilità (cosa per altro
eccezionale se si tratta di un bambino di due anni e se vengono prospettate
alle famiglie quelle garanzie che possono essere date e che in questo caso non
sono state considerate), è prassi comune cercare una famiglia tra quelle
disponibili all'affido. La lista di tali famiglie - come tutti sanno - è
presso la coordinatrice del servizio socioassistenziale (che in tale occasione
non è stata interpellata).
«II) "I
coniugi F. [...] non si ritiene che siano idonei al temporaneo affidamento in
quanto dalle dichiarazioni degli stessi emerge un loro orientamento alla
sostituzione della figura genitoriale".
A) In merito
va precisato che tale loro orientamento si riferiva esclusivamente ad un
preciso e specifico progetto di affido (verosimilmente "sine die") su
questo bambino e NON ad altri progetti di affido per questo o altri bambini e
questa loro posizione emerge in modo incontrovertibile dallo scritto che Le
hanno lasciato nella udienza del 13 aprile u. s. e che hanno chiesto venisse verbalizzato.
Questo pare, tra il resto, un modo non corretto di trattare una famiglia che
non poco - ci risulta - si sia attivata per dare un contributo costruttivo
nella vicenda di O.
B) La
motivazione addotta per l'esclusione di un affido ai coniugi F. non ci pare in
sé sostenibile perché contraria all'interesse primario e fondamentale di O.
di avere sin da ora proprio delle precise "figure genitoriali"
sostitutive. Ecco il perché della nostra proposta di un affido "a rischio".
In questa ipotesi per altre ragioni i coniugi F. non sono più in causa
(impossibilità dello anonimato, loro disponibilità per eventuali affidi e non
adozioni...).
C) E poi al
Villaggio S.O.S. la "mamma S.O.S." non potrà non "orientarsi
alla sostituzione di una figura genitoriale" vista l'età di O., le
frequenze di visita che sarebbe concessa alla madre (una volta al mese), e il
periodo che O. dovrà trascorrere con lei (diversi anni)!».
Il direttore del Villaggio S.O.S. fa
opposizione al decreto di adottabilità
La motivazione con la quale il direttore del Villaggio
S.O.S. chiese la revisione dello stato di adottabilità risiedeva nel fatto che,
pur ammettendo che la madre si trovasse affetta da schizofrenia cronica,
contestava lo stato di abbandono del bimbo in quanto la madre si recava regolarmente
a visitarlo. Ed era una persona, questo direttore, che conosceva bene la storia
di O., se non altro per il fatto che avevamo parlato una intera mattinata con
lui ricostruendola dettagliatamente.
È la storia tormentata di un bimbo che solo all'età
di due anni vede riconosciuto il suo diritto ad una famiglia, ad una infanzia
serena. È questo che il direttore del Villaggio S.O.S. vuole mettere in
discussione? E per proporre che cosa? Diciotto anni di istituto? Tale suo
«progetto» appare ora - lo vedremo - come l'ipotesi più probabile per il futuro
di O.
A questo punto il Pubblico ministero ci dice che
avrebbe proposto al Tribunale per i minorenni, che venisse fatta una nuova
perizia orientata specificamente ad evidenziare la congruità o meno dei
rapporti madre-figlio. Il servizio sociale segnala nel frattempo al Tribunale
il nominativo di una famiglia disponibile ad un affido a «rischio».
Nuova perizia. Dietro-front del
Tribunale per i minorenni
Il Tribunale dispone una nuova perizia psichiatrica
al dott. ... dell'Università di V. chiedendo:
1) di chiarire nuovamente il tipo di patologia
presentata dalla madre;
2) se tale patologia è completamente irreversibile.
Ma non viene chiesta una valutazione dei rapporti
madre-figlio.
Il dottore accetta malvolentieri: lo studio fatto
l'anno precedente era stato condotto in modo eccezionalmente accurato ed un
nuovo esame non avrebbe aggiunto nulla di sostanzialmente nuovo. E le
conclusioni di questa nuova perizia sono infatti «sostanzialmente» le stesse
dello studio precedente: viene confermata la diagnosi di schizofrenia della
madre, la sua sostanziale incapacità sul versante affettivo di occuparsi di O.
Viene tuttavia notato nella madre un lieve miglioramento: essa presenta ancora
momenti di delirio, ma i vissuti personali legati a questo delirio sono per
lei meno pesanti. In sintesi, questa è l'opinione del perito in questione: si
tratta di una donna con un delirio strutturato da anni - una schizofrenia
cronica - che si è scompensata in conseguenza del parto, per poi subire un
lieve miglioramento negli anni seguenti stimolata anche in questo dalla lotta
che ha dovuto fare per cercare di appropriarsi del figlio. Le conclusioni sono
- lo ripetiamo - di sostanziale conferma del giudizio espresso l'anno precedente
nella prima perizia, anche se ora si intravede 1a possibilità di un miglioramento
delle condizioni della madre, per cui viene ritirato il giudizio di
schizofrenia irreversibile e si parla di «schizofrenia residua».
In merito al rapporto madre-figlio, il Tribunale non
aveva avanzato, come abbiamo visto, alcuna richiesta, tuttavia lo stesso perito
riteneva inutile uno studio di questo tipo perché non vedeva come avrebbe
potuto portare a risultati diversi da quelli già descritti nella precedente
perizia.
Nuovo dietro-front del Tribunale per i minorenni che
ritira la dichiarazione di adottabilità. Ciononostante - visto che non ritiene
la madre idonea soprattutto sul piano morale ad assistere il bambino in modo
congruo - emette un provvedimento di affido indeterminato di O. al Villaggio
S.O.S. in quanto identifica in questo l'ambiente più conforme alle esigenze del
bambino in quanto:
1) da lungo tempo vi è collocato (circa quattro
mesi.... n.d.r.);
2) il più idoneo a garantire un miglioramento dei
rapporti madre-figlio, vista la carenza di famiglie disponibili a gestire un
rapporto che richiede frequenti
(sic!) contatti tra madre e figlio.
Facciamo presente che per l'ennesima volta né la
nuova famiglia che era disponibile all'affido (ed il cui nominativo, lo
ripetiamo, era stato segnalato al Tribunale dal servizio sociale) né il servizio
che ha la lista delle famiglie affidatarie era stato interpellato per sapere se
effettivamente c'erano o meno famiglie disponibili all'affido. E poi noi ci
chiediamo nuovamente: a chi giovano e, in che prospettiva vengono ancora proposti
questi frequenti contatti madre-figlio?
Tutte le risultanze delle perizie eseguite (possiamo
sbagliarci, ma non ci risulta che ve ne siano di diverse) sottolineano la
potenziale pericolosità dei contatti madre-figlio.
Gli unici accertamenti - per quanto ci risulta - che
parlino di «congruità» dei rapporti madrefiglio sono quelli che provengono
tutti dalla stessa fonte (l'istituto dove O. è ricoverato, sic!): sono
certificati di un medico non specialista psichiatra e di una puericultrice,
persona quest'ultima che non ha né una formazione medica né psichiatrica, e
quindi «trattandosi di problemi squisitamente psichiatrici, tali rapporti non
sono certo "tranquillizzanti"».
O. dopo le difficoltà e i problemi conseguenti al
cambio di istituto (momenti di aggressività, di difficoltà di
socializzazione...), attualmente vede la mamma un'ora alla settimana; ne
rimane poi turbato, sconvolto (così riferisce l'assistente sociale) per
l'intero pomeriggio.
Molte domande... ad un magistrato
Ci si poteva aspettare qualche cosa di diverso?
Quando incominceremo a considerare i minori come persone aventi dei propri
diritti che sono prioritari rispetto a quelli degli adulti?
Quale è l'attenzione in tutta questa storia rivolta
ai veri problemi di O. (il suo diritto ad una infanzia serena, ad una famiglia,
il suo diritto a decisioni tempestive...)?
Ma come possono essere rispettati questi diritti se
i rapporti tra Tribunale per i minorenni e servizio sociale sono quelli
descritti?
Perché da parte del Tribunale si è sistematicamente
ignorata la competenza, la professionalità, l'esperienza del servizio sociale,
trascurando tutte le indicazioni date da quest'ultimo e non interpellandolo
nemmeno nei momenti cruciali delle scelte più importanti? Perché si è voluto
negare quel confronto di idee e di esperienze - anche con le famiglie
affidatarie - che in contesti di questo tipo è indispensabile per realizzare un
intervento che sia a misura delle esigenze umane, psicologiche, affettive del
minore? Sono esigenze che sono conosciute, anche nei loro aspetti quotidiani e
drammatici, solo dalle persone che seguono direttamente il minore (è evidente
che ci riferiamo al servizio sociale e non al personale degli istituti) e che
invece rischiano di perdersi sotto i mucchi di carte che coprono i tavoli di
certi magistrati.
Ma sanno questi magistrati quali sono, anche oggi, le
condizioni di vita del minore in istituto?
Sono domande che vorremmo rivolgere proprio al
magistrato che ha seguito O. in questi anni.
Gli istituti: una non risorsa per l'infanzia
abbandonata
Questi istituti camuffati da comunità di tipo
familiare, sono in realtà una forma moderna di emarginazione sociale, ostacolo
all'attuazione di altre iniziative, di soluzioni rispettose dei diritti dei
minori in difficoltà (vedi il caso di O. posto all'S.O.S. perché «non esistono
famiglie disponibili all'affido»).
Che cosa hanno saputo proporre per il futuro di O. le
direzioni degli istituti ove è stato ricoverato se non la prospettiva di una
intera infanzia e adolescenza tra le mura di un istituto, opponendosi prima
all'ipotesi di un affido e poi a quella dell'adozione?
Eccoli questi istituti:
I.P.A.I. di Trento: fino a pochi anni fa ricoverava
150 bambini, ora mediamente una decina; 20 addetti vedono minacciato non certo
il loro posto di lavoro (sono dipendenti provinciali), ma il loro lavoro in
quel posto. Le stesse puericultrici che vi operano si rendono perfettamente
conto di come il loro lavoro non possa rispondere adeguatamente alle esigenze
dei piccoli ospiti: bambini da zero a tre anni che nell'arco della giornata
vedono ruotare attorno a loro sette persone diverse, messi a giocare davanti
allo specchio (per farsi compagnia), senza mai l'occasione di uscire (a parte
un piccolissimo cortile interno)..., ma guai se sentono dire queste cose!
Villaggio S.O.S.: per gran parte dei trentini (è un
istituto che è in città da 25 anni) sarebbe la soluzione per i problemi
dell'infanzia abbandonata. Ma che soluzione?
45-50 bimbi, tutti con problemi, divisi in gruppi
mediamente di sei, con una «mamma S.O.S.». Come faccia quest'ultima a porre
attenzione ai problemi di sei bimbi «difficili» è veramente incomprensibile.
Come famiglie affidatarie sappiamo bene cosa significhi avere un bimbo in
affido, quale è l'enorme impegno che questo comporta. Un impegno di questo tipo
lo si può dare per uno-due bimbi «difficili» non per sei!
Sei bambini problematici pongono qualunque persona in
un tipo di rapporto con il bambino che si avvicina molto a quello che si
realizza nel classico istituto di assistenza tra minore e educatore.
E poi - ma è necessario ribadirlo? - il minore ha
bisogno non di mamme nubili o vedove ma di mamme-mamme e non di papà-direttori
di villaggi ma di papà-papà e ha diritto di vivere in un contesto familiare e
di rapporti parentali normali; e non con 45-50 bimbi tutti in difficoltà ed
emarginati in un'unica struttura.
Il Tribunale per i minorenni... e i
diritti dei minori
Ci pare, per concludere, di dover fare alcune
osservazioni rispetto al modo in cui tutta la vicenda di questo bimbo è stata
condotta dal Tribunale per i minorenni proprio rispetto ai diritti
fondamentali di O.
- È mancato un tempestivo riconoscimento dello stato
di abbandono di O. che appariva - ancora alla nascita - assolutamente inequivocabile.
- La storia di questo bimbo si è poi sviluppata in
tempi veramente inaccettabili.
- È stata ripetutamente privilegiata la soluzione
dell'istituto.
- A sostegno di tale scelta si è adottata in più di
una occasione come ragione l'assenza di famiglie affidatarie affermata
aprioristicamente a prescindere da una esplicita richiesta a chi detiene la
lista delle famiglie affidatarie e cioé il locale servizio sociale.
- Anche quando si è poi arrivati ad un decreto di
affido familiare il decreto stesso più che la volontà di dare una famiglia ad
un bambino lasciava chiaramente trasparire l'ignoranza delle più grossolane
problematiche legate alla conduzione di un affido e delle più elementari
esigenze di un bambino di pochi mesi.
Indubbiamente la via dell'istituto è ritenuta ancora
da troppe persone la soluzione «normale», è comunque di fatto per tutti sempre
la più comoda, quella che non solleva grane, perché il concetto del legame di
sangue è ancora troppo radicato come anche in questa storia appare evidente.
In realtà il difendere i diritti del bambino richiede
sempre un impegno, un esporsi in prima persona, un assumersi delle
responsabilità sofferte e la volontà di superare il quotidiano per proiettarsi
verso i futuri veri interessi e diritti sia del minore che della stessa
società.
Non è escluso invece che per talune mentalità
burocratiche la gestione degli istituti di assistenza per minori, pur se
talora tecnicamente efficiente, sia una specie di fiore all'occhiello a dimostrazione
dello sviluppo dei servizi socio-assistenziali e in ogni caso comunque
rappresenti un preciso strumento di potere.
Burocrazia, garantismo, sentimentalismo e une visione
miope degli interessi del bambino possono portare anche al giorno d'oggi ad
interventi e decisioni apparentemente irreprensibili e vantaggiose per il
genitore, ma causa di future sofferenze e di danni incalcolabili per lo
sviluppo psico-fisico e morale del minore.
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