Prospettive assistenziali, n. 90, aprile-giugno 1990
IL DIRITTO DEL MALATO
ALLE CURE DOMICILIARI
Nei giorni 16 e 17 febbraio 1990 si è svolto a Milano
il convegno nazionale «II diritto del malato alle cure domiciliari: esperienze
a confronto e proposte operative», organizzato dalla USSL 57 di Melegnano in
collaborazione con le Cattedre di gerontologia e geriatria delle Università di
Torino e Milano.
Il convegno è stato promosso da organizzazioni che
da anni operano nel settore delle cure domiciliari (1).
Esse, nell'arco di un anno, si sono ripetutamente
incontrate a livello seminariale per confrontare le reciproche esperienze.
Il convegno ha registrato una larga partecipazione,
oltre 1.300 gli iscritti e 800 i non ammessi per l'esaurita capienza della
sala, provenienti da tutte le regioni d'Italia e con funzioni operative
diverse.
Relazione introduttiva
La lettura di una relazione redatta dalle organizzazioni
promotrici ha introdotto i lavori del convegno. In essa si evidenzia il
carattere interdisciplinare delle argomentazioni che orientano verso gli
interventi sanitari a domicilio.
Di interesse sono, al proposito, i riferimenti
internazionali, ampiamente riportati nella relazione introduttiva.
II Consiglio d'Europa - Strasburgo 1985 - raccomanda
infatti di «curare il paziente anziano, il non autosufficiente, il cronico,
l'inguaribile, nel proprio ambiente, ospedalizzandoli a casa». Più
recentemente, anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha ribadito che al
centro della pianificazione degli interventi nei confronti degli anziani resta
la famiglia, cui le istituzioni devono assicurare tutto il sostegno necessario
per le cure a domicilio.
Sul piano etico si è osservato come la persona
malata, anche se inguaribile, conservi inalterato il diritto alla libera
scelta, ovviamente nell'ambito dei servizi praticabili sotto il profilo tecnico
e finanziario.
Sul versante terapeutico è noto che un approccio «funzionale»
alla salute dimostri l'importanza degli interventi apparentemente non sanitari
che la famiglia, gli amici, il volontariato possono svolgere nella promozione
e nella difesa della salute.
In questa direzione le organizzazioni promotrici
integrano, nei loro interventi, le prestazioni professionali (medici,
infermieri, terapisti della riabilitazione, psicologi) con quelle dei
volontari, degli amici, dei familiari. Sì è quindi riaffermata la centralità
del medico di base (ruolo che andrebbe ulteriormente valorizzato), anche se la
sua attività perde di efficacia senza l'apporto integrativo della medicina
specialistica e delle prestazioni infermieristiche e riabilitative.
Motivazioni etiche, giuridiche,
sociali, psicologiche ed economiche
Nella prima tavola rotonda, moderata da Marcello
Cesa Bianchi, Direttore dell'Istituto di Psicologia, Facoltà di Medicina e
Chirurgia dell'Università di Milano, Giulio Giorello, Ordinario di Filosofia
della Scienza dell'Università degli Studi di Milano, ha rivisitato in chiave
critica l'impianto teorico sul quale poggia l'attuale concezione
dell'individuo nella nostra società. Secondo Giorello, «sinché noi assumiamo che gli agenti sociali siano motivati da forme
di interesse personale in senso esclusivo, è inevitabile che la strategia dei diritti
risulti perdente».
Diviene allora necessario effettuare una protonda
critica di questa teoria, che ha come corollario l'affermazione «io sono quel
che produco».
Secondo Giorello, una strategia dei diritti può
essere fondata solo a partire da una nuova concezione dell'individuo, cui sia
sempre riconosciuta la continuità dell'identità personale, derivandone la
possibilità di orientare liberamente le scelte anche in condizioni di grave non
autosufficienza.
Proseguendo lungo questo percorso culturale, Giovanni
Nervo, Coordinatore per i rapporti Chiesa-Territorio della Conferenza
Episcopale italiana, ha valorizzato il principio della libertà come diritto
fondamentale del malato e il ruolo centrale della famiglia, che necessita di
adeguato sostegno da parte delle istituzioni.
«Le persone
ammalate gravi, gli anziani non autosufficienti - ha affermato Nervo - stanno meglio a casa loro piuttosto che in
ospedale. Il problema è quello di attrezzare il territorio (ambulatori e case)
in modo da poter assicurare le cure necessarie ai malati in casa. Le regioni
sono varie. Innanzitutto ragioni umane; nella propria casa infatti vengono
rispettati meglio i sentimenti dell'anziano; per ragioni economiche perché
costa molto meno; per ragioni terapeutiche perché la disponibilità
dell'ammalato a reagire positivamente alle cure è migliore in casa piuttosto
che in ospedale». Una cosa positiva - ha poi specificato Nervo - è che le
tre Confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL stanno predisponendo un convegno
nazionale sul tema degli anziani non autosufficienti e sulla priorità da
attribuire alle cure a domicilio per queste persone.
Pietro Barcellona, Ordinario di Istituzioni di
Diritto privato dell'Università di Catania, ha ricordato come «nessun riconoscimento di diritti potrà
surrogare la mancanza di adeguate strutture di accoglienza». «In realtà», ha continuato Barcellona, «la strategia dei diritti rischia di creare
soltanto aspettative deluse. Non basta, infatti, trasformare le aspettative in
diritti se non si toccano le condizioni pratiche e materiali che allo stesso
tempo ne determinano l'insorgenza e ne definiscono gli ambiti e le modalità
d'attuazione. In tutti questi casi non si può surrogare con una politica dei
diritti la mancanza 0 l'inadeguatezza di una riforma della città e del processo
di lavoro».
Nell'attuazione degli interventi sanitari a domicilio
un peso importante hanno le considerazioni di carattere economico. Come ha
osservato Carlo Hanau, della Facoltà di Scienze statistiche, demografiche e
attuariali dell'Università di Bologna, il costo giornaliero di un ricovero domiciliare
di notevole impegno è valutabile sulle 70/80 mila lire contro le 300 mila della
media generale delle rette ospedaliere tradizionali.
Tuttavia un confronto corretto può cercarsi solo
valutando i costi delle prestazioni di cui ha bisogno il singolo paziente. Si
dovrebbe passare ad una dimensione industriale delle cure a domicilio,
utilizzando le nuove tecnologie della telemedicina e sfruttando le economie nei
trasferimenti del personale da malato a malato, economie, che possono essere
realizzate con una diffusione massiccia dell'ospedalizzazione a domicilio.
Esiste in Italia una forte ostilità nel mondo sanitario
ad accettare i lungodegenti, con la conseguenza che i criteri previsti dalla
legge 595 del 1985 sulla disponibilità di almeno un posto letto per
lungodegenza-riabilitazione ogni mille abitanti non vengono quasi mai
applicati.
Terminato lo stadio di acuzie, un malato di solito
viene dimesso. A questo punto, al malato che nessuno vuole, dobbiamo dare una
soluzione. Questa soluzione - ha proseguito Hanau - può essere rappresentata
dal domicilio quando c'è una famiglia che effettua un certo tipo di
sorveglianza; accanto alla famiglia deve esserci comunque l'intervento tecnico
rappresentato dall'atto infermieristico, riabilitativo, del medico specialista.
Portando il suo contributo al convegno, Achille
Ardigò, Ordinario di Sociologia dell'Università di Bologna, ha rimarcato
l'importanza di dotare gli interventi domiciliari di supporti tecnologici.
Secondo il sociologo, l'uso della telematica nel campo delle cure domiciliari
favorisce un nuovo modello di rete non gerarchica dei servizi territoriali,
correlando tutto l'insieme delle comunicazioni, delle esperienze, delle
informazioni. Il prof. Ardigò ha poi sottolineato l'esigenza di ripensare al
sistema di intervento territoriale a partire dai disagi della famiglia, che
senza adeguati sostegni, non può reggere a lungo alla prova delle cure di un
congiunto grave a casa.
Francesco Campione, Responsabile dei Servizi. di
psicologia e bioetica della Associazione nazionale per lo studio e cura dei
tumori solidi, ha osservato come «l'ospedalizzazione
a domicilio possa essere considerata l'ultima fase, al momento la più avanzata,
dell'umanizzazione dell'ospedale e della medicina stessa».
«Si constata
subito, ha proseguito Campione, che l'esigenza del paziente di tornare a casa
coincide non solo con la convenienza economica, ma corrisponde anche alla
possibilità concreta di fornire a domicilio pressoché tutti i presidi
terapeutici che l'attuale sviluppo della ricerca indica come più efficaci».
L'apporto del personale sanitario e del
volontariato
Hanno preso parte alla tavola rotonda, presieduta da
Sandro Spinsanti, Docente di bioetica dell'Università di Firenze, A. Bartoli
della Comunità di Sant'Egidio di Roma, M.G. Breda del Coordinamento Sanità ed
Assistenza tra i Movimenti di base di Torino, M. Gallucci del Centro Terapia
del dolore dell'ospedale di Desio, F. Henriquet dell'Associazione Gigi Ghirotti
di Genova, L. Valera e F. Lo Faro della VIDAS di Milano.
Sulla base delle esperienze confrontate, risulta che
vi sono servizi che si rivolgono a pazienti non selezionati per età o per
patologia. In altri casi il riferimento è ad una specializzazione (ad esempio,
si seguono a casa i malati oncologici) ovvero ad una condizione di particolare
necessità (ad esempio vengono presi in carico solo i malati con prognosi grave
oppure malati terminali).
Alcune di queste esperienze sano promosse o
convenzionate con le USL. Altre no, e chi non ha fondi regolari si trova in
difficoltà a garantire, con le sole elargizioni private, un servizio efficiente
di prestazioni sanitarie a domicilio che, pur essendo più economiche di altre
soluzioni istituzionalizzanti, necessitano di personale specializzato e
specificatamente addestrato.
Il rischio è che le pur significative esperienze
vedano disperse le risorse umane, culturali e professionali raccolte per
mancanza di un adeguato sostegno finanziario. La continuità dei servizi
richiede prioritariamente la certezza delle disponibilità finanziarie.
Ciò fa sostenere alle realtà che hanno dato vita al
convegno che i necessari interventi stabiliti possono essere assicurati dai
servizi gestiti direttamente dalle USL ovvero da privati convenzionati.
Si sottolinea, al riguardo, che non vi sono impedimenti
giuridici per la gestione diretta del servizio sanitario domiciliare da parte
delle USL, né per la stipula di convenzioni da parte delle stesse USL con
organizzazioni private. Tutte le delibere in materia sono state approvate dai
Comitati regionali di controllo.
Le prestazioni sanitarie di medici, terapisti della
riabilitazione ed infermieri dovranno positivamente integrarsi con le risorse
personali, della famiglia, degli amici e del volontariato. Tale integrazione
valorizza i diversi apporti in vista di una tutela globale della salute delle
persone.
Motivazioni ed obiettivi
dell'intervento sanitario a domicilio
Nella tavola rotonda, coordinata da Carlo Vergani,
Direttore della Cattedra di gerontologia e geriatria dell'Università di Milano,
Fabrizio Fabris, Direttore dell'Istituto di Medicina e Chirurgia Geriatrica
dell'Università di Torino, ha sottolineato l'importanza di edificare una nuova
«cultura del domicilio», che renda possibile ai cittadini di rimanere nella
propria casa anche in condizioni di grave non autosufficienza. Si sofferma, inoltre,
sulla necessità di una profonda osmosi tra le esperienze di ospedalizzazione a
domicilio e l'ospedale generale, e, come dimostra l'esperienza di Torino, al
domicilio possono trasferirsi informazioni, competenze e tecnologie.
Vito Noto, Responsabile dell'Unità operativa
geriatrica della USSL 57 di Melegnano (Milano), ha successivamente evidenziato
come il domicilio sia l'ambito originario dove si esprimono i bisogni, gli
affetti, le relazioni interfamiliari e dove, pertanto, meglio si valuti la
complessa condizione di salute dell'anziano.
Su queste tematiche è stato proiettato un filmato
sull'esperienza ultradecennale dell'Unità operativa geriatrica della USSL 57 di
Melegnano.
Giorgio Di Mala, Coordinatore della Fondazione
Floriani di Milano, ha ricordato come ai pazienti inguaribili debba essere
riconosciuta la condizione di malato, con tutti i diritti di cura sino alla
morte in ambienti adeguati.
Antonio Guerrini, Primario dell'Unità operativa di psichiatria
della USSL 57 di Melegnano, ha osservato come in psichiatria la visita domiciliare
sia uno strumento abituale di intervento che sì integra con le altre
prestazioni a carattere territoriale.
Gli interventi domiciliari, ha proseguito Guerrini,
devono correlarsi ai complessi bisogni del paziente psicotico: in tal senso
questo tipo di intervento assume, a seconda delle circostanze, differenti
connotazioni, configurandosi come momento relazionale, istituzionale,
riabilitativo.
Henriquet, Vice Presidente della Società italiana di
cure palliative, ha osservato come da recenti studi venga espressa da parte dei
cittadini la richiesta esplicita di essere assistiti sino alla morte nel
proprio domicilio. A tutt'oggi, però, ha continuato Henriquet, I'80% delle
persone muoiono ancora negli istituti di ricovero e negli ospedali. Urgono
quindi soluzioni concrete per affrontare questa discrepanza.
Avvio e sviluppo degli interventi
sanitari a domicilio. L'impegno delle forze politiche
Marco Trabucchi, Direttore della Cattedra di
tossicologia e farmacologia dell'Università di Roma, ha moderato l'ultima
tavola rotonda, cui hanno partecipato Maria Pia Garavaglia, Sottosegretario di
Stato alla Sanità, Roberto Cassago, Presidente della USSL 57 di Melegnano e Sante
Baiardi, dell'ANCI Sanità Nazionale.
L'On. Garavaglia ha sottolineato come il problema
delle cure domiciliari debba ricercare una risoluzione attraverso una
rifondazione culturale, che tenda a modificare l'attuale assetto dei servizi
sanitari in una prospettiva di vera territorialità e non nella tradizionale
visione ospedalocentrica.
Nel corso del dibattito Baiardi e Cassago hanno
ribadito il ruolo chiave ricoperto dall'infermiere professionale nell'ambito
delle cure domiciliari.
Cassago ha poi osservato come gli interventi della
USSL 57 siano una realtà consolidata e pertanto proponibili ed estensibili su
tutto il territorio nazionale.
Nell'intervento di Francesco Santanera, Presidente
dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale di Torino, sono
confluite le richieste delle organizzazioni promotrici. Santanera ha
puntualizzato che al paziente cronico deve essere garantito il diritto alle
cure all'interno del Servizio sanitario nazionale.
Attualmente, ha precisato Santanera, fervono le
iniziative per la costruzione di 140.000 posti letto, che si auspica siano
gestiti dal settore sanitario (e non da quello assistenziale) e siano
riservati esclusivamente agli anziani non autosufficienti «che non possono
essere assistiti a domicilio» come è precisato dall'art. 20 della legge 11
marzo 1988, n. 67.
Allo scopo di evitare spese inutili e di impedire
istituzionalizzazioni ingiustificate, le organizzazioni promotrici di questo
convegno hanno richiesto l'urgente predisposizione da parte del Ministero della
sanità di un programma operativo per la creazione in tutte le USL di adeguati
servizi sanitari domiciliari per le persone di qualsiasi età e patologia che
possano utilmente beneficiarne.
Tali servizi dovrebbero essere o gestiti direttamente
dalle USL o assicurati da organizzazioni private convenzionate con le USL
stesse, favorendo in ogni caso la partecipazione del volontariato.
Ha concluso i lavori Maria Pia Garavaglia, che ha
reso noto che dei 970 miliardi dei fondi 1988/1989 stanziati dal C.I.P.E., 100
miliardi sono destinati all'assistenza domiciliare. Le Regioni - ha detto
Garavaglia - potranno usufruire di questa somma entro i primi di marzo. Ma - ha
specificato il Sottosegretario alla sanità - se non esiste l'ambiente adatto
all'ospedalizzazione a domicilio non sarà sufficiente stanziare 100 miliardi.
Il Piano sanitario nazionale stanzia 1.700 miliardi destinati agli anziani. È
la prima volta che un piano prevede strutture personale e soldi. Esiste nel
piano una chiarezza di, tempi e modi realizzativi; c'è addirittura il potere
sostitutivo dello Stato o delle Regioni in caso di inadempienze. Ma il Piano
sanitario nazionale passerà solo se sarà approvato il relativo articolo della
legge di riforma della riforma sanitaria.
Nella sanità bisogna comunque creare un rapporto tra
domanda ed offerta, dove la domanda deve essere qualificata. Occorre un
consenso - ha concluso Garavaglia - rispetto alla qualità dell'organizzazione
che venga da chi chiede un servizio. Se il servizio non viene chiesto, non
viene controllato; se non viene controllato il sistema sanitario rischia di
essere quello che seleziona di più, non solo i bisogni ma addirittura i
cittadini.
(1) Gruppi promotori: Cattedre di
gerontologia e geriatria delle Università di Torino e Milano; Unità Operativa
Geriatrica USSL 57 di Melegnano; Servizio di Assistenza domiciliare USL 8,
Senigallia - Ancona; A.C.A.P. - Associazione Cultura e Assistenza Popolare -
Novara - Genova - Roma; Assistenti sociali, Gruppo di ricerca USL RM 4 Roma;
Associazione Gigi Ghirotti per lo Studio e la Terapia del Dolore neoplastico e
le Cure palliative, Genova; Cooperativa Cultura Popolare, Roma; Fondazione
Floriani, Milano; A.R.C.A., Associazione di Assistenza Ricerca e Cure per gli
Ammalati, Desio - Milano; Associazione Nazionale per lo Studio e la Cura dei
Tumori Solidi - Divisione Oncologica, Ospedale M. Malpighi Sant'Orsola, USL 28
Bologna; V.I.D.A.S. Milano; Dipartimento di Sanità pubblica, Cattedra Igiene
II Università Tor Vergata Roma; Coordinamento Sanità e Assistenza tra i
Movimenti di base, Torino; C.LS.F. Centro Internazionale Studi Famiglia,
Milano; Divisione di geriatria ULS 22, Este Montagnana - Padova; Servizio di
Anestesia e Terapia Antalgica, Ospedale Martini Nuovo, USL 3, Torino; Comunità
di Sant'Egidio, Roma; Associazione Ryder, Roma.
www.fondazionepromozionesociale.it