Prospettive assistenziali, n. 90, aprile-giugno 1990

 

 

SERVIZI SANITARI DOMICILIARI DI ROMA E TORINO: ESPERIENZE A CONFRONTO

MATILDE BEZZI - FRANCA BOTTAZZI - FELICITA DI FRANCO - LUISA NAPOLEONI (*)

 

 

La organizzazione in questi ultimi anni di ser­vizi sanitari domiciliari è il segno di una nuova e diversa impostazione culturale nei confronti della cura, che considera, in prima istanza, il malato e i suoi bisogni.

L'origine della «ospedalizzazione a domicilio» si può far risalire a due tipi di problematiche diverse:

1 - la necessità di venire incontro alle esigenze del malato, evitando il trauma e gli aspetti negativi del ricovero ospedaliero;

2 - la volontà di ridurre il tasso di ospedalizzazione e la durata delle degenze per quei malati affetti da patologie a lungo decorso rite­nuti non di competenza dell'ospedale.

L’«ospedalizzazione a domicilio» consente infatti di affrontare l'evento malattia in una si­tuazione di minore ansia: il malato può rivolgere le sue energie reattive verso la malattia e non verso l'adattamento al difficile ambiente ospe­daliero. Inoltre un rapporto più individualizzato con il personale medico e paramedico gli con­sente una situazione di non eccessiva medicaliz­zazione, come è spesso inevitabile in un am­biente ospedaliero.

Attuare questo tipo di intervento è tuttavia molto difficile perché la individualizzazione della prestazione richiede una flessibilità dei compor­tamenti da adottare, diversa dalla rigida, ma rassicurante, routine ospedaliera: è così impos­sibile prevedere necessità, orari, comportamenti standardizzati.

La realizzazione di un servizio di «ospedaliz­zazione a domicilio» perciò può solo partire da presupposti teorici definiti chiaramente per ave­re la possibilità di incidere con interventi quali­ficati, che risultino realmente «scarso ricove­ro». Si ritiene perciò che l'ospedalizzazione a domicilio per svolgere efficacemente il suo ruolo debba:

1 - fornire a domicilio prestazioni mediche e strumentali qualificate;

2 - garantire un carattere di continuità all'in­tervento con una disponibilità flessibile di orari rispetto alle diverse situazioni prese in carico;

3 - disporre del supporto della struttura ospe­daliera alla quale fare riferimento immediato nei casi di sopraggiunta necessità del paziente;

4 - avere la possibilità di usufruire a domicilio delle diverse consulenze specialistiche neces­sarie;

5 - disporre di un medico responsabile che verifichi l'opportunità del trattamento domicilia­re per i pazienti da prendere in carico e coordini gli interventi e le prestazioni che si rendono necessari;

6 - definire dei protocolli di base ai quali fare riferimento che stabiliscano le possibili accetta­zioni, non solo in base alla diagnosi, ma alla qua­lità e quantità di assistenza necessaria in quella specifica situazione;

7 - avvalersi della collaborazione del medico di base il cui ruolo è di affiancamento e continui­tà con il servizio.

In proposito è interessante riflettere su alcuni dati di un lavoro da noi realizzato (1) allo scopo di analizzare e confrontare alcune esperienze di assistenza domiciliare che potessero essere de­finite di ospedalizzazione a domicilio.

Per studiare due esperienze che si riferisse­ro alla medesima realtà socio-ambientale, si so­no esaminate due situazioni metropolitane simili, anche per le condizioni e la incidenza numerica della popolazione anziana e/o affetta da pato­logie degenerative. Si sono esaminate quindi le esperienze di ospedalizzazione a domicilio di To­rino (2) e di Roma (USL RM/4), cioè due tipi di assistenza domiciliare con matrice ospedaliera.

L'analisi dei dati sociali ha messo in evidenza una distribuzione equivalente per sesso. La mag­giore percentuale di donne assistite corrisponde ai dati delle statistiche nazionali. L'età maggior­mente rappresentata nell'utenza dei due servizi è la fascia compresa tra i 70 e 85 anni.

 

Tabella 1 - Età

 

TORINO

ROMA

Classi di età

Valori assoluti

Valori assoluti

 

%

%

70-74

18

16,1

36

19,0

75-79

22

19,6

36

19,0

80-84

21

18,7

38

20,1

85-89

16

14,3

16

8,5

 

Ai fini di un'analisi più incisiva e facilmente comprensibile, la situazione sanitaria degli uten­ti assistiti è stata esaminata in base al seguen­te schema:

1 - origine della segnalazione del caso al ser­vizio domiciliare;

2 - analisi delle patologie prevalenti;

3 - studio delle condizioni di autosufficienza;

4 - tipo di prestazioni erogate;

5 - motivi della chiusura della cartella clinica. La rilevazione sulla distribuzione per servizi da cui proviene la segnalazione ha fatto rilevare una diversificazione tra la situazione di Roma e quella di Torino; in quest'ultima infatti l'eleva­to numero delle segnalazioni da parte dell'ospe­dale fa ipotizzare una maggiore collaborazione della struttura ospedaliera di riferimento; nella voce «medico di base», è ragionevole supporre che siano compresi anche i servizi territoriali.

La tabulazione di Roma evidenzia invece una esplicita collaborazione dei servizi territoriali e denuncia una ridotta presenza di segnalazioni ospedaliere.

 

Tabella 2 - Provenienza della segnalazione

 

TORINO

ROMA

Segnalato da

Valori assoluti

Valori assoluti

 

%

%

Medico di base

61

54,5

22

11,7

Ospedale

49

43,7

10

5,3

Servizi territoriali

 

 

79

41,8

Altri servizi

 

 

52

27,5

Non risulta

2

1,8

26

13,7

Totale

112

100,0

189

100,0

 

L'analisi delle patologie riscontrate conferma la maggiore incidenza della patologia degenera­tiva in analogia alla distribuzione della stessa nelle statistiche sanitarie nazionali.

La correlazione dei dati riferiti a patologia ed età dimostra, inoltre, che le malattie a lungo decorso, con effetti ingravescenti ed involutivi non sono solo caratteristica dei soggetti anziani cronici, ma sono da riferirsi in modo sempre più ingente ai pazienti oncologici.

La tabulazione delle patologie associate, in­sieme alle patologie prevalenti, è nata dalla esi­genza di avere un quadro globale della situazione di non autosufficienza psicofisica del paziente, allo scopo di identificare la tipologia dell'utenza di un servizio domiciliare. La presenza contem­poranea di pluripatolagie gravi nello stesso uten­te dimostra come sia passibile erogare, anche in questi casi, assistenza sanitaria alternativa al ricovero ospedaliero, quando il paziente ed il familiare scelgano questa soluzione.

 

Tabella 3 - Patologie

 

TORINO

ROMA

 

Patologia

Patologia

 

prevalente

associata

prevalente

associata

Tumori

M. sist.  nervoso

M. app. circolat.

43,7%

15,2%

15,2%

4,0%

13,3%

29,3%

15,3%

13,7%

37,0%

0,5%

15,2%

24,6%

 

La percentuale degli assistiti non autosuffi­cienti è maggiore a Roma; quanto evidenziato viene avvalorato anche dalla rilevazione delle situazioni di incontinenza e dal periodo di pre­gressa non autosufficienza.

 

Tabella 4 - Condizioni di dipendenza

Situazione e tempo

dl non autosufficienza

TORINO

%

ROMA

%

Totalmente dipendente

42,9

52,9

Presenza incontinenza

15,2

31,2

Dipend. da più di 1 anno

26,4

42,8

 

La presenza di prestazioni fisioterapiche a Roma (3) deriva dalla precisa caratterizzazione del servizio che, nato come emanazione del di­partimento contro l'emarginazione, privilegia l'aspetto riabilitativo e dispone di conseguenza di 4 terapisti della riabilitazione nell'équipe.

 

Tabella 5 - Prestazioni

Prestazione

Prioritaria

%

Associata

%

Fisiochinesiterapia

36,9

63,1

 

L'analisi della tipologia delle prestazioni in­fermieristiche evidenzia l'alta percentuale di «pulizia della persona» rivolta a pazienti non autosufficienti. La prestazione erogata non può prescindere infatti dal tipo di patologia dell'uten­za assistita.

 

Tabella 6 - Pulizia della persona

 

TORINO

ROMA

 

Valori assoluti

%

Valori assoluti

%

Pulizia della persona

68

60,8

75

39,5

 

L'alto numero dei prelievi a domicilio a Roma può essere spiegato anche dalla presenza della patologia endocrina (diabete) che necessita di frequenti controlli ematochimici.

 

Tabella 7 - Malattie endocrine

 

TORINO

ROMA

 

Valori  assoluti

%

Valori assoluti

%

Malattie endocrine

8

7,1

34

18,0

 

Il numero complessivo di prestazioni infer­mieristiche erogate allo stesso paziente confer­ma la gravità della patologia. Soprattutto a To­rino, infatti, si riscontra un'alta percentuale di utenti che usufruiscono di più prestazioni con­temporaneamente.

 

Tabella 8 - Prestazioni infermieristiche

Numero prestazioni

infermieristiche

TORINO

ROMA

Valori assoluti

%

Valori assoluti

%

Una prestazione

9

8,0

85

44,9

Due prestazioni

37

33,0

53

27,8

Tre prestazioni

48

42,9

33

17,6

Oltre quattro prestazioni

18

16,1

18

9,7

Totale

112

100,0

189

100,0

 

Nell'esperienza di Roma si ha un maggior nu­mero di prestazioni medico-specialistiche, a cau­sa della presenza di patologie invalidanti che richiedono non solo l'intervento dei fisiatra ma, molto spesso, anche dell'urologo per le soprag­giunte complicazioni genito-urinarie.

Le prestazioni specialistiche che risultano nell'esperienza di Torino, danno una particolare ca­ratterizzazione al servizio; infatti erogare questo tipo di prestazioni a domicilio significa coprire un bisogno sanitario che non troverebbe rispo­ste se non nel ricovero ospedaliero: questa con­siderazione può ritenersi valida anche per la pre­stazione fisiochinesiterapica erogata a Roma.

 

Tabella 9 - Altre prestazioni (Torino)

Prestazioni

TORINO

Valori assoluti

%

Elettrocardiogramma

4

3,4

Terapia infusionale

66

58,7

Trasfusioni

31

27,6

Accertamenti radiologici

4

3,4

Trasporto accertamenti in ospedale

7

6,9

Totale

112

100,0

 

Vengono infine considerati i motivi della chiu­sura della cartella. L'incidenza della variabile riferita a «obitus» è significativa soprattutto per Torino, data la presenza di malati gravi in fase terminale.

La maggiore incidenza di «dimissioni» nel servizio di Roma richiede una precisazione rife­rita alla ciclicità dei ricoveri di pazienti richie­denti trattamento di fisiochinesiterapia.

La notevole incidenza del ricovero ospedaliero, in ambedue le esperienze, denota come sia es­senziale la collaborazione di una struttura ospe­daliera di collegamento che consenta un inter­vento immediato, in caso di possibili aggrava­menti o episodi acuti nuovi.

 

Tabella 10 - Motivi della chiusura della cartella clinica

Motivo chiusura cartella

TORINO

ROMA

 

Valori assoluti

%

Valori assoluti

%

Dimissioni

24

21,4

57

30.2

Ricovero ospedaliero

14

12,5

40

21,1

Ricov. Ist. lungodegenti

3

2,7

13

6,9

Obitus

39

34,8

27

14,3

Ancora in carico

31

27,7

52

27,5

N. R.

1

0,9

 

 

Totale

112

100.0

189

100.0

 

Questa analisi comparata delle esperienze realizzate può essere a nostro parere un contri­buto alla programmazione e alla realizzazione di una rete di interventi che risponda ai veri bisogni dell'utenza.

È stato particolarmente utile, in questo senso, prendere in considerazione due esperienze nate da ipotesi di intervento con limiti e competenze stabilite in modo molto preciso dalle delibere istitutive (4).

La volontà di dare risposte alternative al ricovero ospedaliero per gli anziani non autosuffi­cienti, gli handicappati e i pazienti oncologici, sia a Torino che a Roma, è stata confermata dai dati reperiti sulla utenza-tipo che ha usufruito di questi servizi domiciliari.

I pazienti affetti da patologie degenerative a lungo decorso, d'altra parte, hanno sempre crea­to problemi e crisi di rigetto alla struttura ospe­daliera; il risultato di questi comportamenti è stato un vuoto di assistenza proprio per le per­sone con problemi sanitari più gravi.

In ogni caso queste «esperienze», anche se hanno avuto tra le motivazioni di fondo quella di tentare di risolvere i problemi della struttura, oltre quelli del degente, sono state comunque l'occasione di sperimentare un approccio tera­peutico nuovo che, nato in campo geriatrico, è comunque portatore di vantaggi ad ogni tipo di paziente. L'analisi delle difficoltà incontrate e dei limiti dei servizi realizzati, consente di acqui­sire elementi utili per una programmazione che non abbia più la caratteristica di «esperimento», ma sia l'espressione di un nuovo intervento sa­nitario.

I punti critici rilevati nelle due esperienze so­no a nostro parere:

- la frequenza delle prestazioni;

- le prestazioni non strettamente infermie­ristiche;

- il ruolo del medico di base. Nell'ospedalizzazione a domicilio la frequenza delle prestazioni deve garantire un intervento che sia in grado di sostituire il ricovero; la gra­vità di alcune patologie riscontrate, come è sta­to evidenziato nei dati, necessita di interventi di «assistenza intensiva» come a Torino per i pazienti gravi o in fase terminale.

Un servizio domiciliare di tipo ospedaliera si trova nella necessità di erogare prestazioni più sofisticate di quelle infermieristiche; i dati han­no evidenziato questi interventi solo nell'espe­rienza torinese, anche se non si hanno elementi sufficienti per stabilire quale figura professio­nale abbia effettuato tali prestazioni che, co­munque, caratterizzano il servizio come reale alternativa al ricovero.

Nella delibera di Torino si riscontra una con­traddizione in merito al ruolo del medico di base: mentre si attribuisce la responsabilità della cura del malato al medico di famiglia nell'intento di rivalutarne il ruolo e la figura professionale, si prevede un collegamento telefonico diretto con l'ospedale in caso di emergenza. Non si hanno dati sufficienti per discutere l'effettivo ruolo di questa figura professionale nel servizio di To­rino.

La conoscenza diretta dell'esperienza di Roma ha permesso invece di rilevare che la compe­tenza del medico di famiglia è, in questo caso, quasi esclusivamente burocratica, perché limi­tata alla compilazione di notule di richiesta del­la prestazione domiciliare.

Nell'ospedalizzazione a domicilio la regia degli interventi terapeutici dovrebbe essere invece esclusiva competenza dei medico ospedaliero, in analogia a quanto avviene in regime di rico­vero; il medico di base assumerebbe così un ruolo di consulente che gli permette di non in­terrompere il rapporto di fiducia con il paziente.

Una volta dimesso dall'ospedalizzazione a do­micilio, il paziente deve essere seguito da una assistenza sanitaria domiciliare territoriale, della quale il medico di base deve avere la responsa­bilità primaria.

L'ospedalizzazione a domicilio deve proporsi come collaborazione ed integrazione dei servizi fuori dai meccanismi di concorrenzialità o di ostruzionismo che snaturano l'essenza stessa dell'intervento. A questo proposito va fatto un discorso a parte sulla collaborazione della strut­tura ospedaliera di riferimento. Non sarà mai possibile realizzare questo servizio aperto fin­tanto che le varie divisioni ospedaliere conser­vano atteggiamenti di chiusura e di opposizione verso tutto ciò che non è logica del posto letto e del potere medico che ne deriva.

L'obiettivo finale deve essere la realizzazione di un servizio con caratteristiche di globalità che consenta, per lunghi periodi, interventi articolati in base allo stadio di evoluzione della patologia.

L'attuazione dell'ospedalizzazione a domicilio, nella logica di apertura dell'ospedale all'esterno, deve essere inserita nelle previste aree diparti­mentali per grandi blocchi e funzioni e deve mirare all'integrazione con i servizi ambulato­riali specialistici di base. Questo nuovo modo di erogare le prestazioni sanitarie, del resto, era stato già introdotto ed articolato nella legge di riforma sanitaria e nelle successive bozze dei piani socio-sanitari nazionali. Si tenga conto, pe­rò, che il disimpegno programmatico e di spesa manifestato fino ad oggi non può permettere di realizzare seriamente questa nuova forma di as­sistenza alternativa al ricovero.

Le ipotesi organizzative di una ospedalizza­zione a domicilio possono essere diverse e sin­tetizzate nelle seguenti due proposte:

1 - la possibilità di realizzare un servizio di ospedalizzazione domiciliare che abbia un ruolo autonomo all'interno dell'ospedale, con un re­sponsabile medico che coordini l'intervento, usu­fruendo delle diverse consulenze specialistiche interne alla struttura;

2 - l'assistenza ospedaliera domiciliare come emanazione delle singole divisioni. Questa rea­lizzazione, che ricalca quanto già sperimentato per gli ospedali di giorno specialistici, rispon­derebbe a criteri di continuità dell'intervento terapeutico, per la fase precedente e successiva alla degenza vera e propria; il personale medico e paramedico potrebbe in questo caso essere lo stesso della divisione.

Queste forme di «intervento misto», istitu­zionale e territoriale, favorirebbero la formazio­ne di una nuova mentalità, fuori dai canoni tradi­zionali di cura ospedaliera. In questa logica la ospedalizzazione a domicilio potrebbe rivolgersi a portatori di altre patologie, quali ad esempio gli infartuati in fase sub-acuta; i prematuri, i ma­lati di AIDS, etc. L'alta qualificazione che questo tipo di intervento richiede non può, pertanto, essere inferiore alle prestazioni effettuate nelle divisioni di degenza e ciò giustificherebbe anche l'eventuale aggravio di spesa che contrasta i facili ottimismi sulla riduzione dei costi ospe­dalieri tramite i servizi aperti.

 

 

 

(*) Assistenti sociali ricercatori - Direzione sanitaria Ospedale Addolorata - USL RM/4, Roma.

(1) Cfr. Rivista «Difesa Sociale», n. 1, 1989, pp. 99 e 118.

(2) Fabris F., Pernigotti L., Ospedalizzazione a domici­lio - Curare a casa malati acuti e cronici: come e perché,Rosenberg & Sellier, Torino.

(3) I pazienti in trattamento di fisiochinesiterapia rap­presentano a Roma il 34,4% sul totale degli assistiti.

 

 

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