Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre
1990
Libri
CARLO
HANAU - GILBERTO MURARO (a cura di), Governare
la spesa sanitaria - Un confronto internazionale, Franco Angeli Editore,
Milano, 1987, pp. 311, L. 34.000.
L'assistenza sanitaria costituisce oggi, senza
dubbio, uno dei problemi più importanti che devono essere affrontati da una
società industrializzata. Le scelte da compiere sano molteplici: dal sistema
organizzativo che si intende adottare, ai costi complessivi che la società è
disposta a sostenere, al peso dell'intervento pubblico.
Pur nella complessità di questi temi, uno dei settari
più importanti è certamente quello del controllo della spesa sanitaria, tenuto
anche conto che Parlamento, Governo e forze politiche non intendono affrontare
il tema dell'evasione fiscale, la quale, secondo quanto ha dichiarato il
Procuratore generale della Corte dei Conti, Emidio Di Giambattista, ha
raggiunto «dimensioni sterminate».
Importanti le annotazioni contenute nel volume e, a
volte, anche sorprendenti. Ad esempio, sulla base degli elementi raccolti,
viene affermato che «un'alta spesa
sanitaria pro capite non assicura necessariamente bassi tassi di mortalità e
una migliore assistenza». Una prova: «Gli
Stati Uniti, con una spesa sanitaria pro capite tre volte superiore a quella
dell'Italia, hanno un tasso generale di mortalità standardizzato di oltre il 20%
superiore a quello italiano».
Al riguardo viene evidenziato che i comportamenti
della popolazione, lo stato di vita e le cause ambientali influenzano
maggiormente l'insorgere delle affezioni cronico-degenerative e di conseguenza
la mortalità loro attribuita, piuttosto che la spesa sostenuta per i servizi
sanitari.
Molto interessante è anche l'analisi dei metodi e
delle politiche di controllo della spesa sanitaria a livello internazionale,
analisi che fornisce indicazioni sui criteri da seguire per un uso più
efficiente delle risorse.
ALFREDO
CARLO MORO, Erode fra noi - La violenza
sui minori, Mursia, Milano, 1988, pp. 286, L. 18.000.
«Le solenni
affermazioni costituzionali sui diritti della persona umana, e quindi sui
diritti del fanciullo, e la comune diffusa conoscenza che anche il bambino va
rispettato e protetto non impediscono che ancor oggi, in un paese che si dice
evoluto e civile, i nostri ragazzi siano vittime di molte violenze e di
notevoli sfruttamenti».
Il libro di A.C. Moro intende presentare la
situazione italiana relativamente ai maltrattamenti all'infanzia, ma vuole
anche far emergere le situazioni più nascoste che, comunque, danneggiano i
bambini.
L'Autore evidenzia le violenze che, nell'ambito
familiare, impediscono o deformano il processo evolutivo del ragazzo: sono
quelle che condizionano in modo più grave una normale strutturazione della
personalità e un adeguato processo di socializzazione.
Esiste però anche una violenza esercitata dalia
società sui bambini; anzi, sostiene l'Autore, talvolta anche le istituzioni
pubbliche finalizzate alla protezione dei minori o sono inadeguate alle loro
esigenze, o sono addirittura distruttive della loro personalità.
Spesso sono fattori sociali deficitari la causa di
molte carenze familiari, e questo non va dimenticato, perché non si possono
scaricare tutte le responsabilità sulla famiglia; le condizioni generali di
vita sono sostanzialmente violente (dalla mancanza di spazi verdi, alla
pericolosità delle strade, alla mancanza di luoghi di socializzazione per i
bambini); la scuola stessa opera violenza quando seleziona senza recuperare,
quando emargina il bambino ritenuto inadeguato; il sistema sanitario si
preoccupa di curare la malattia del bambino ma non di offrirgli condizioni di
vita adatte alle sue esigenze in ospedale...
Anche le istituzioni dunque, possono «elaborare il delirio onnipotente del
padre-padrone». Oltre alla violenza fisica, esaminata nei capitoli sul maltrattamento
e sull'abuso sessuale, la società e la famiglia possono esercitare e, di fatto,
in molti casi esercitano, molteplici forme di violenza.
- Il bambino è spesso incompreso perché gli adulti
non lo conoscono, non conoscono i suoi bisogni reali, e anziché cercare di
capire quali siano, interpretano l'infanzia sulla base di stereotipi, quale
mito dell'«infanzia felice».
- Il bambino è, oggi, troppo «programmato»: è vissuto
dai genitori come progetto che loro hanno fatto, come «creazione» in cui tutto
è stato previsto: dal momento della generazione a tutte le tappe successive
della sua vita.
- L'infanzia viene addirittura negata quando al
bambino viene precocemente richiesto di comportarsi come un adulto e quando i
genitori pensano di impastare il rapporto educativo ponendosi erroneamente
sul piano di assoluto egualitarismo nei suoi confronti.
- Il bambino è sfruttato quando è trattato come una
cosa: esiste il mercato dei bambini per procurarsi un figlio, il bambino del
Terzo Mondo usato come «pezzo di ricambio», il bambino utilizzato per
commettere reati, il bambino sfruttato con il lavoro (anche pubblicità, spettacoli
...).
- Il bambino è trascurato non solo quando è
abbandonato del tutto, e questo fatto legittima l'adozione, ma anche quando gli
si fa mancare quello che gli servirebbe per una crescita serena, o quando la
noncuranza dei genitori è causa per lui di gravi infortuni.
- Il bambino è lacerato quando è coinvolto nelle
crisi familiari o quando diventa addirittura oggetto di contesa tra. i genitori
separati.
- Il bambino infine, è indifeso, sia per le carenze
nella tutela civile e penale, sia per la mancata realizzazione degli obiettivi
della riforma assistenziale.
L'Autore dedica l'ultimo capitolo del libro ad una «strategia»
contro la violenza all'infanzia che prevede diversi momenti: superare
l'atteggiamento soltanto emotivo con cui oggi si guarda ai fatti riguardanti
il mondo dei bambini; non assolutizzare gli interventi di tipo penale;
superare un'ottica solo assistenziale e, a conclusione, costruire e difendere
una nuova cultura dell'infanzia. Occorre «riscoprire
anche per noi quelle virtù dell'infanzia - la volontà di crescere umanamente,
la spontaneità, la gratitudine, la semplicità, la fiducia nell'altro e nella
vita, e soprattutto la speranza - che non devono essere violentate nel
bambino, ma che non devono essere violentate neppure in noi».
ENRICO
FORNI - ELENA GANDOLFI NEGRINI, A loro
la parola - I figli adottati dal terzo mondo raccontano la loro esperienza,
Piemme, Casale Monferrato (AL), 1989, pp. 244, L. 24.000.
Come dice il titolo stesso, gli Autori del libro
danno la parola ai protagonisti dell'adozione internazionale, ai bambini di un
tempo che adesso sono dei giovani maggiorenni in grado di valutare la loro esperienza
di figli adottati. «Nel momento in cui
si vorrebbe da più parti rimettere in discussione l'adozione internazionale e
le norme che la regolano - dice Forni nell'introduzione - un minuto di silenzio collettivo e di attenzione
a questo bambino di ieri non sarebbe sprecato. Prima di ogni altro, adesso,
anche lui ha diritto di dire ciò che pensa».
Per questo egli cita l'intervento di una ragazza
coreana la cui storia è riportata nel libro: «Ciò che abbiamo ricevuto tramite l'adozione è stato certamente molto.
Forse questa esperienza ha fatto noi più figli e voi più genitori di quanto non
sarebbe avvenuto se chi ci ha messo al mondo non si fosse trovato nella
condizione di staccarsi da noi. Detto questo, però, riteniamo che quanto
abbiamo avuto ci era dovuto, come è dovuto a tutti i minori che si trovano
nella situazione di abbandono di cui noi abbiamo sofferto. Ecco perché
rifiutiamo di essere considerati i fortunati vincitori di una lotteria o,
peggio, oggetti animati nelle mani di adulti che vogliono giocare a mamma e
papà».
Ancora nell'introduzione l'Autore si sofferma a
presentare alcune problematiche dell'adozione internazionale, aggi diventata in
Italia fenomeno di massa; riflette poi sull'adozione in generale come scelta
permanente, sulle motivazioni che possono portare alla scelta di adottare un
bambino « di colore p, sulla permanenza dei pregiudizi razziali e dell'eurocentrismo
culturale nella nostra società, sulla paradossale naturalità del rapporto fra
genitori e figli adottivi.
L'introduzione rappresenta un momento importante del
volume perché inserisce le testimonianze all'interno di una visione generale
sulla adozione internazionale senza idealizzarla o rappresentarla
semplicisticamente: si tratta di realtà complesse, da considerare con
attenzione e senza nascondere o tacere gli aspetti problematici. Tredici sono
le testimonianze che costituiscono il nucleo del volume: accanto alla figlia
che dice: «Sono convinta che debbo alla
famiglia cui appartengo se la bambina coreana di vent'anni fa è oggi un'adulta
abbastanza serena e soddisfatta. Tutto è stato facile perché tutti mi hanno
voluto bene», troviamo anche esperienze amare, come quella della ragazza di
origine indiana che riporta una frase della madre: «Devi essermi riconoscente perché sei stata tirata fuori dalla cacca.
Se fossi rimasta in India oggi saresti una pezzente...».
Il volume si conclude con le «Osservazioni dello
psicologo», che commentano sia le testimonianze dei figli adottivi, sia le
interviste ai loro genitori.
Si crea così un quadro dei nodi cruciali della
adozione e, in genere, del rapporto genitori-figli. Grazie alla sua
impostazione, il libro costituisce un valido strumento per inquadrare e conoscere
la realtà dell'adozione internazionale.
Suscita peraltro alcune perplessità il fatto che
siano stati forniti i dati anagrafici precisi dei giovani intervistati e delle
loro famiglie: una tale indicazione non sembra portare nulla alla ricchezza e
profondità delle testimonianze, ma prestarsi invece ad una «pubblicizzazione»
non del tutto motivata di fatti e sentimenti tanto delicati e personali.
A.
CAVALLI - A. DE LILLO, «Giovani anni '80»
- Secondo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino,
Bologna, 1988, pp. 209, L. 20.000.
L'Associazione IARD, un istituto di ricerca senza
finalità di lucro fondato a Milano nel 1961, aveva pubblicato nel 1983 una
ricerca sulla condizione giovanile; con questo volume intende presentare i
risultati dell'aggiornamento della ricerca, datato 1987. La scuola, il lavoro,
la vita familiare ed affettiva, la partecipazione sociale e politica, i consumi
e il tempo libero, la devianza sono i temi trattati da entrambe le ricerche.
La nuova indagine si compone di due rilevazioni
distinte: la prima è stata effettuata su un nuovo campione di 2 mila giovani,
di età compresa tra i 15 e i 24 anni; la seconda riguarda un sub-campione di
giovani che erano già stati intervistati nel 1983.
Le informazioni sono state raccolte attraverso un
questionario strutturato che toccava gli stessi temi della ricerca dell'83, ma
con un approfondimento degli aspetti legati ai valori e agli atteggiamenti nei
confronti della vita e del futuro.
Al sub-campione della seconda rilevazione, invece,
sono state sottoposte le stesse domande del precedente questionario. I 2 mila
soggetti dell'indagine campionaria sono stati scelti sull'intero territorio
nazionale per garantire la rappresentatività riguardo a sesso, età, stato
sociale e luogo geografico di residenza. Le interviste sono state raccolte
nell'inverno 1986-87.
Gli estensori della ricerca ritengono che il tempo
intercorso tra le due rilevazioni non abbia prodotto cambiamenti sostanziali
nella distribuzione delle variabili principali; si nota soltanto un certo
miglioramento rispetto allo status sociale-economico della famiglia e al
livello culturale dei genitori degli intervistati. Non si può peraltro
affermare che le differenze sociali tendano ad attenuarsi: anzi, esse
permangono, si approfondiscono e si traducono chiaramente in termini di
opportunità educative e lavorative. La condizione giovanile non si presenta,
quindi, nelle conclusioni dei compilatori della ricerca, come una condizione
omogenea: considerando lo stesso arco di età si notano parecchie diversificazioni
quanto a stili di vita, propensioni, progetti, attese. La condizione dei
giovani riflette, cioè, le diversificazioni della società, in quanto sono le
condizioni strutturali della società a determinare le aree di opportunità
entro le quali i singoli sviluppano il loro agire.
Il sesso, la condizione sociale della famiglia
d'origine e l'area sociale in cui si è nati segnano profondamente l'essere
giovani negli anni '80. Questa considerazione generale emerge chiaramente
considerando le varie sfere dell'esperienza giovanile. Per quanto riguarda la
scuola, è da notare innanzitutto che il processo di scolarizzazione di massa e
di allungamento dei percorsi educativi procede molto più lentamente che negli
anni '60 e '70. La scuola, anzi, seleziona fortemente e rappresenta, nel suo
complesso, un'area problematica: solo la metà degli intervistati ha avuto un
iter scolastico regolare. La lunghezza dei percorsi educativi continua ad
essere strettamente dipendente dal livello socio-economico-culturale della
famiglia.
Sul mondo del lavoro si affacciano precocemente
coloro che, essendo partiti in condizioni di svantaggio, escono rapidamente dal
sistema educativo. La disoccupazione, infatti, è un'esperienza tipica dei
giovani di bassa scolarità; il problema è inoltre particolarmente rilevante per
le donne e per i giovani delle regioni meridionali. Anche se il lavoro, per
chi già si trova inserito nel mondo produttivo in età giovanile, è più una
necessità che una scelta, esso risulta importante sia in termini strettamente
economici che nel senso di autorealizzazione.
L'ingresso nel mondo del lavoro, comunque, non segna
anche, in genere, l'uscita dalla famiglia: la permanenza in famiglia continua
piuttosto a lungo, soprattutto per i maschi, e la famiglia rimane al vertice
dei valori.
Gli atteggiamenti e le opinioni dei giovani al
riguardo della sfera pubblica sono, a partire dai risultati di questa ricerca,
contrastanti: per un verso una certa fiducia nelle istituzioni, per l'altro
segni di disagio e soprattutto consapevolezza dello scarto tra aspirazioni e
realtà; è chiara comunque una forte domanda di ordine sociale e di sicurezza
economica.
Il mondo della politica, però, è avvertito in genere
come estraneo: l'impegno politico e la militanza sono sempre meno diffusi.
L'esigenza di partecipazione si esprime piuttosto,
in modo non organizzato, su tematiche specifiche come la pace e l'ambiente.
L'associazionismo volontario non politico, culturale
e religioso ma anche ricreativo, è invece in crescita. Soprattutto nei ceti
inferiori, però, è anche molto alta la percentuale di giovani con un livello
nullo di partecipazione sociale e associativa: spesso questi giovani non
studiano più e sono disoccupati.
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