Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre
1990
Notizie
DOCUMENTO DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE ITALIANA SULL'ADOZIONE INTERNAZIONALE
La
Commissione ecclesiale della CEI «Giustizia e Pace» ha pubblicato in data 25
marzo 1990 un documento sul tema «Uomini di culture diverse: dal conflitto
alla solidarietà», da cui riprendiamo la parte relativa all'adozione internazionale.
«Un secondo problema è connesso con il dilagare delle
adozioni internazionali. Il desiderio di avere un bambino, difficilmente
reperibile sul territorio italiano, porta molte coppie a cercarlo sul
"mercato" straniero. E non sempre si seguono strade limpide e
legali, anzi a volte si utilizzano mezzi illeciti, giustificandosi con l'autoconvincimento
di aver fatto un'opera di bene perché si è sottratto comunque un bambino a una
morte sicura nel suo paese. Ma il bambino straniero ha dei diritti che devono
essere rispettati. La famiglia adottante è spesso tentata, per sentirlo più
suo, di imporre sul bambino una "maschera bianca" e cioè di negare
sostanzialmente la sua origine, il suo precedente vissuto, di convincerlo di
essere bianco, il che comporta una costruzione distorta della sua identità e
quindi una limitazione della sua reale socializzazione e insufficienti
meccanismi difensivi per il successivo adattamento alla realtà.
«Un terzo problema è dato dalla capacità della
famiglia italiana ad aprirsi a una reale accoglienza dei figli di immigrati
stranieri che siano impossibilitati a rimanere nella propria famiglia.
«È riconosciuto da tutti che il ragazzo ha bisogno
di un ambiente familiare per poter crescere in umanità e che l'istituto
educativo, anche il migliore, non può dare quella sicurezza interiore, quella
esperienza di un dialogo interpersonale, quella ricchezza di rapporti
stimolanti che soli consentono la costruzione di personalità strutturate, non
passive né ribelli. Se ciò è vero per il ragazzo italiano, lo è ancor di più
per il ragazzo straniero che maggiormente ha bisogno di trovare radici e un
"humus" favorevole per sviluppare una identità e realizzare un processo
di socializzazione adeguati, e che deve vedere facilitato al massimo il suo
rapporto con i genitori. Poiché invece le difficoltà (lavorative e abitative)
degli immigrati sono rilevanti, molti ragazzi che non possono vivere con i
propri genitori vengono ricoverati in istituti assistenziali, certamente meritori
perché comunque danno una risposta ad esigenze di mantenimento di un minimo di contatto
tra genitori stranieri e figli, ma non in grado di dare risposte esaustive alla
domanda di vita di questi bambini. La famiglia italiana, che comincia ad
aprirsi a quell'importante servizio sociale che è l'affidamento familiare, con
vero atteggiamento oblativo, dovrebbe esprimere la sua solidarietà e il suo
spirito di reale accoglienza dell'uomo sofferente aprendosi all'affidamento familiare
anche dei ragazzi stranieri, sostenendo così adeguatamente sia i bambini che le
loro famiglie. E questo non solo per superare un tradizionale familismo che
spesso chiude la famiglia nell'egoismo di gruppo, ma anche per sperimentare e
far sperimentare a tutti i suoi membri, la ricchezza di un incontro con uomini
di etnie e culture diverse, e per far cadere così, nella concretezza della
vita, pregiudizi radicati e chiusure spesso sterili.
«Affinché però le famiglie che con più generosità si
aprono al di là dei confini e dei legami di sangue, non si smarriscano di
fronte alle difficoltà che incontrano, è importante che si stabiliscano
solidarietà efficaci e sincere con le altre famiglie e che sia costante verso
di esse l'attenzione della comunità ecclesiale».
PERCHÈ L'ISIS FORNISCE DATI
INCOMPLETI?
Sul n. 11/12, novembre-dicembre 1989 di ISIS News, è comparso l'articolo «Gli
anziani nella legislazione nazionale e regionale».
Sorprendentemente nell'articolo suddetto non si fa
cenno alcuno alla legge 12 febbraio 1968 n. 132, tuttora in vigore, il cui
articolo 29 impone alle Regioni di programmare i posti letto degli ospedali
tenendo conto delle esigenze dei malati «acuti, cronici, convalescenti e
lungodegenti», mentre l'art. 41 prevede che le ammissioni e le dimissioni
dagli ospedali devono essere disposte in base ai criterio della «necessità»
del paziente. Ne deriva che sono assolutamente infondate le affermazioni
secondo cui gli ospedali dovrebbero ricoverare esclusivamente pazienti con
malattie in fase acuta.
Altra grave omissione concerne la legge 13 maggio
1978 n. 180, la quale stabilisce che le Unità sanitarie locali devono
assicurare a tutti i cittadini, qualsiasi sia la loro età, le necessarie
prestazioni dirette alla prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie
mentali. Al riguardo si ricorda che le Province hanno trasferito alle USL il
personale ed i finanziamenti concernenti tutti i pazienti psichiatrici,
compresi quelli anziani autosufficienti e non autosufficienti.
Infine nell'articolo di ISIS News non viene nemmeno
ricordato che la legge di riforma sanitaria (n. 833 del 23 dicembre 1978)
obbliga le Unità sanitarie locali a provvedere alla «tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di
rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione». Le
prestazioni devono essere fornite agli anziani, come a tutti gli altri
cittadini; qualunque siano «le cause, la fenomenologia e la durata» delle
malattie.
Si tratta di omissioni molto preoccupanti, soprattutto
se si tiene conto dell'autorevolezza della rivista e delle gravissime
conseguenze per gli anziani e gli adulti malati cronici non autosufficienti,
nei cui confronti è praticata in misura massiccia l'eutanasia da abbandono,
anche e soprattutto perché non vengono rispettate le leggi vigenti.
www.fondazionepromozionesociale.it