Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre 1990

 

 

L'AZIONE RIVENDICATIVA CONDOTTA DALL'ANFAA, DALL'ULCES E DAL CSA

 

 

Per ottenere risultati concreti è indispensabile non solo perseguire ininterrottamente l'azione culturale (1), ma anche integrarla e potenziarla con una forte e continua attività rivendicativa.

È illusorio ritenere che le iniziative culturali, da sole, possano modificare la situazione di fondo delle persone non in grado di autodifendersi.

Serve a ben poco affermare che si è dalla parte degli ultimi, se poi si lascia campo libero alle istituzioni pubbliche e agli enti privati di negare nei fatti le esigenze ed i diritti della fascia più debole della popolazione.

Schierarsi semplicemente a parole dalla parte delle persone più fragili, può addirittura mascherare il loro concreto sfruttamento, ad esempio l'incameramento di rette di importo superiore alle prestazioni fornite.

Alexis di Tocqueville ha scritto: «Un'aristocrazia raramente rinuncia ai suoi privilegi senza una lotta prolungata» (2).

Appropriato il commento di Thomas C. Smith all'affermazione di Tocqueville: «Malgrado le nostre tendenze democratiche la maggior parte di noi aggiungerebbe "E perché mai lo dovrebbe?". Conoscere i piaceri esaltanti del potere e la grazia del gusto raffinato avendo i mezzi per soddisfarli; credersi superiori grazie alla sola prova persuasiva, il comportamento degli altri; e godere di tutto ciò quale diritto di nasci­ta, senza lotte debilitanti e con la certezza che i propri privilegi sono "per dio, per il re e per la patria" e per il bene dei propri simili, quale con­dizione umana più felice per una minoranza han­no mai escogitato gli uomini?» (3).

La natura dell'azione rivendicativa è essenzial­mente politica (non partitica), essendo il suo obiettivo il raggiungimento di un rapporto del cittadino con le istituzioni pubbliche rispettoso delle necessità vitali delle persone, dei nuclei familiari e della comunità sociale.

Ovviamente l'azione rivendicativa trae un so­stegno essenziale dalle iniziative culturali, per cui occorre evitare ogni allentamento dei rap­porti fra coloro, persone e gruppi, che perse­guono l'azione politica con i movimenti che ope­rano a livello culturale.

A questo riguardo va tenuto conto che vi sono organizzazioni e individui che intervengono solo a livello culturale e che non sono assolutamente disponibili ad assumere iniziative vertenziali. Dunque o si rispettano le foro scelte o si rischia di perdere il loro appoggio.

 

Piattaforme rivendicative non solo per i servizi assistenziali

Sulla base delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, non vi sono dubbi sul fatto che la coerenza delle rivendicazioni del volon­tariato promozionale rispetto agli obiettivi pre­fissati è una delle condizioni fondamentali per una efficace azione culturale e vertenziale (4).

Al fine di raggiungere la massima chiarezza possibile in merito alle proposte avanzate, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno predisposto specifiche piattaforme rivendicative.

Questo strumento obbliga i gruppi di volon­tariato a precisare in modo dettagliato le richie­ste: organismo a cui si richiede l'istituzione del servizio, individuazione dei beneficiari, contenu­ti delle prestazioni e relative modalità di eroga­zione, tempi, qualifiche del personale addetto ed eventuali esigenze formative, ecc. (5).

L'elaborazione delle piattaforme, in genere valide da una legislatura all'altra e cioè per cin­que anni, è un forte stimolo al dibattito fra i vo­lontari e al loro orientamento verso gli aspetti concreti.

Le piattaforme, inoltre, costituiscono un rife­rimento costante per il gruppo di volontariato promozionale e consente, anche ai nuovi ade­renti, dì conoscere senza equivoci gli orienta­menti effettivi del gruppo stesso.

Una volta definite, le piattaforme evitano ste­rili polemiche interne al movimento di base e impediscono strumentalizzazioni da parte di po­litici e amministratori: le richieste scritte sono una prova inoppugnabile delle scelte fatte.

Inoltre, la loro verifica, anche a distanza di anni, consente ai individuare gli errori, di valu­tare l'esattezza o meno delle previsioni, di co­noscere i progressi o i regressi intervenuti.

Un aspetto di particolare importanza delle piattaforme riguarda l'individuazione dell'orga­nismo a cui si richiede di istituire e gestire il servizio.

A questo riguardo l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre ritenuto essere della massima importanza l'attribuzione del compito-obbligo di intervenire ai vari assessorati competenti e non solo a quello preposto al settore assisten­ziale. Infatti per evitare discriminazioni ed emar­ginazione, occorre, fra l'altro, che i settori di competenza (scuola, trasporti, sanità, formazio­ne professionale, ecc.) provvedano anche nei confronti delle persone in difficoltà. Il comparto assistenziale deve solo assicurare alle persone non in grado di provvedere autonomamente a se stesse prestazioni integrative (aiuto economico, assistenza domiciliare, affidamento familiare a scopo educativo, ecc.) in modo che i soggetti possano, in tutta la misura del possibile, usufrui­re delle opportunità sociali messe a disposizione di tutti i cittadini (scuola, trasporti, sanità, for­mazione professionale, ecc.).

Ad esempio la piattaforma presentata dal CSA nell'ottobre 1985 al Comune di Torino richiede interventi a:

- Giunta municipale e Consiglio comunale, in merito al coordinamento delle USL, alla coin­cidenza degli ambiti territoriali delle Circoscri­zioni con quelli dei distretti scolastici, al tra­sferimento delle funzioni assistenziali dalla Pro­vincia al Comune, all'assunzione nei ruoli muni­cipali di handicappati, al vincolo a finalità assi­stenziali dei beni pervenuti alla Città dallo scio­glimento di enti e dalle estinzioni di IPAB;

- Assessorato al personale, per l'attuazione delle deliberazioni relative all'assunzione di han­dicappati, la predisposizione di posti di tirocinio per allievi frequentanti i corsi prelavorativi, i concorsi necessari per l'assunzione del perso­nale comunale occorrente per la gestione dei servizi;

- Assessorato all'istruzione, per la stipula dell'intesa fra Comune, USL e Provveditorato agli studi, il graduale superamento dei Centri edu­cativi speciali e degli istituti per sordi, la lotta contro l'evasione scolastica, lo sviluppo del ser­vizio di consulenza educativa per i minori han­dicappati;

- Assessorato al lavoro e alla formazione professionale, per i corsi prelavorativi per han­dicappati intellettivi, il superamento dei centri speciali, a corsi professionali per non vedenti, le azioni per l'inserimento lavorativo di handicappati presso aziende private e enti pubblici;

- Assessorato all'urbanistica, per le norme del regolamento edilizio riguardanti l'abbatti­mento delle barriere architettoniche;

- Assessorato alla casa, per il piano di uti­lizzo dei patrimoni degli enti assistenziali di­sciolti (IPAB, ex ECA, ex ONMI, ecc.) e delle IPAB funzionanti, il potenziamento delle iniziati­ve di adattamento di alloggi per renderli usu­fruibili anche da parte di persone portatrici di handicap;

- Assessorato alla cultura, per l'inserimento del tema dell'emarginazione nei programmi culturali (mostre, dibattiti, films, spettacoli, ecc.);

- Assessorato allo sport, per l'adattamento delle strutture e per l'aggiornamento del per­sonale in modo che anche gli handicappati pos­sano partecipare alle attività sportive;

- Assessorati ai lavori pubblici, alla viabilità e ai trasporti, per l'abbattimento delle barrie­re architettoniche e per la gestione del servizio taxi e dei pulmini attrezzati per le persone non in grado di utilizzare i mezzi pubblici;

- Assessorato all'assistenza, per il trasfe­rimento alla competenza sanitaria degli anziani cronici non autosufficienti, lo sviluppo dell'affi­damento familiare a scopo educativo, il rientro in città dei ricoverati in altre zone, il potenzia­mento quantitativo e qualitativo dei servizi do­miciliari, dell'assistenza economica, delle co­munità alloggio e dei centri socio-terapeutici.

 

Presentazione alle istituzioni delle piattaforme rivendicative

Anche se è successo assai raramente che le istituzioni abbiano preso in serio e sollecito esa­me le proposte presentate dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, questi movimenti di base hanno sempre portato a loro conoscenza le piat­taforme, richiedendo agli amministratori inte­ressati di poterle illustrare.

La presentazione da parte dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA non era solo motivata dalla speranza (illusione) di ottenere l'adesione da parte delle autorità, ma era anche un tentativo per entrare nel vivo delle questioni e ricercare le possibili mediazioni.

Le richieste avanzate sono quasi sempre state respinte dalle istituzioni, soprattutto nella fase iniziale della prospettazione del problema (ado­zione dei bambini in situazione di abbandono, competenze sanitarie e non assistenziali per gli anziani cronici non autosufficienti, ecc.).

Per evitare contestazioni, a volte sollevate a distanza di anni, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA da sempre provvedono ad inviare per iscritto alle istituzioni non solo le piattaforme, ma tutte le richieste presentate.

Mettere nero su bianco consente di entrare in profondità nel merito delle questioni. Ciò è particolarmente utile in occasione degli incontri con assessori e funzionari, incontri sollecitati sempre nella fiducia (spesso è però un'illusione) di poter addivenire ad accordi anche parziali.

Possedere la documentazione scritta permette inoltre di poter replicare quando, magari a di­stanza di anni, vengano fatte dalle istituzioni dichiarazioni contrastanti con quanto è realmen­te avvenuto.

È il caso, ad esempio, dell'articolo apparso su l'Unità del 23 settembre 1977 in cui si sosteneva che l'ULCES era responsabile della costruzione del nuovo brefotrofio di Vercelli, mai entrato in funzione. Era un'accusa che squalificava l'ope­rato dell'associazione, che sempre si era battuta per la creazione di servizi alternativi alle strut­ture di ricovero. D'altra parte il momento era molto delicato, in quanto in quel periodo il CSA, insieme ad altre organizzazioni, era impegnato nel lavoro preparatorio diretto alla presentazio­ne, con iniziativa popolare, della proposta di leg­ge regionale piemontese «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione del­le Unità locali di tutti i servizi», proposta che venne poi consegnata al Consiglio regionale del Piemonte il 21 luglio 1979 con oltre 13 mila firme.

Proprio per il metodo scelto di documentare sempre per iscritto le proprie posizioni, l'ULCES poteva replicare inviando all'Unità una rettifica (6), allegando le fotocopie delle lettere spedite in data 24 febbraio 1970 e 1° dicembre 1971 (prima dell'inizio dei lavori) agli amministratori della Provincia di Vercelli, in cui si faceva pre­sente l'esigenza di «un ripensamento sull'utilità del nuovo brefotrofio e la creazione urgente di uno o più focolari» (7).

D'altra parte, la mancanza di accordi scritti può comportare la negazione o la violazione di accordi stipulati verbalmente.

È il caso dell'intesa intervenuta, ahimè sola­mente sul piano verbale, con Mons. Ernesto Pi­soni, Presidente della Fondazione Pro Juventute Don Gnocchi, come risulta dalla lettera inviata dal Segretario dell'ULCES in data 4 agosto 1972 al soprannominato, lettera che si riporta inte­gralmente: «L'incontro che avevo avuto a mag­gio con Lei a Milano, presente Fratel Baldovino e due assistenti di Torino, era stato richiesto e accordato in base alle voci che correvano sulla prossima chiusura dell'Istituto della Pro Juven­tute di Torino.

«Nell'incontro suddetto si era concordato che Fratel Baldovino avrebbe preso contatti con la Regione Piemonte in merito alla progettata istituzione da parte della Fondazione Pro Juven­tute di focolari di quartiere che avrebbero gra­dualmente sostituito i! ricovero in istituto.

«Inizialmente i focolari (2-3 per il 1972) avreb­bero accolto solo i minori handicappati, preferi­bilmente di Torino e zone limitrofe. In seguito sarebbe stata esaminata la proposta avanzata che i focolari accogliessero insieme minori han­dicappati e non handicappati del quartiere in cui ciascun focolare era inserito.

«Si era inoltre rimasti d'accordo che Fratel Baldovino mi avrebbe telefonato per un incon­tro a Torino, previsto entro 15 giorni, e che si sarebbe approfondito il tema dell'aggiornamento del personale in modo che acquisisse gli eleme­nti necessari per la conduzione dei progettati focolari.

«Nonostante gli accordi, non ho più saputo nulla né da parte di Fratel Baldovino, né da par­te Sua.

«Nei giorni scorsi, invece, nonostante gli accordi intercorsi, il personale è stato improvvi­samente licenziato ed i ragazzi, nella maggior parte dei casi, verranno abbandonati a loro stessi.

«La settimana scorsa, avuto sentore di quanto poi avvenuto, ho parlato telefonicamente con Fratel Baldovino che mi ha assicurato che mer­coledì o giovedì sarebbe venuto a Torino e ci saremmo incontrati.

«Non solo anche questa volta Fratel Baldovino non si è fatto vivo, ma lo stesso ha addirittura affermato in una riunione con il personale di questa settimana che la chiusura dell'Istituto di Torino della Pro Juventute era una conseguenza dell'azione anti-istituzionale portata avanti da questa Unione.

«A questo riguardo intendo chiarire, nono­stante che queste precisazioni siano state fatte anche nel colloquio avuto con Lei e siano do­cumentate sulla nostra rivista Prospettive assi­stenziali, che questa Unione rivendica da anni che la chiusura degli istituti di ricovero avvenga contestualmente alla creazione di servizi alter­nativi, fatto che richiede evidentemente anche l'aggiornamento del personale in attività.

«Pertanto questa Unione manifesta il più pro­fondo disaccordo nella vicenda dell'Istituto di Torino della Fondazione Pro Juventute e chiede che la decisione della chiusura dell'istituto stes­so sia posta in discussione, che i licenziamenti vengano revocati e che venga assicurata al per­sonale la possibilità di frequentare corsi teorici­pratici di aggiornamento per inserirsi nei servizi alternativi, siano essi gestiti dalla Pro Juventu­te o da altri enti» (8).

 

Obiettivi dell'azione rivendicativa

È estremamente difficile ottenere il ricono­scimento dei diritti dei cittadini non in grado di autodifendersi, soprattutto nei casi in cui ven­gano lesi importanti interessi economici di altri gruppi, anche se contrastanti con le esigenze delle persone.

Ad esempio, l'ostacolo più grosso alla legge sull'adozione speciale del 1967 fu rappresentato dagli istituti di assistenza all'infanzia che non volevano perdere i loro clienti. Detti istituti avevano anche mobilitato i politici a cui assicu­ravano appoggi elettorali, le ditte che avevano interesse alla sopravvivenza delle strutture (ad esempio i fornitori dei prodotti alimentari e altri generi di consumo) e tutti coloro che ricavava­no vantaggi dalla presenza del ricovero; spesso interviene anche il personale spaventato ad arte circa la perdita del posto di lavoro senza che sia­no indicate le concrete possibilità di lavoro nei servizi alternativi.

Attualmente, la principale difficoltà da supe­rare per ottenere l'attuazione del diritto alle cu­re sanitarie per gli anziani cronici non autosuf­ficienti è l'ostilità dei gestori (soprattutto pri­vati) delle case di riposo e delle residenze pro­tette.

Al riguardo, è significativa la dichiarazione fatta al convegno della DC del 6-7 febbraio 1988 dall'allora assessore all'assistenza del Comune di Milano, Avv. Zola, il quale ha affermato che accorre recuperare le strutture di ricovero per i minori, svuotate dalle leggi sull'adozione del 1967 e del 1983, ristrutturandole in modo da renderle usufruibili per gli anziani. Va sottoli­neato che non ha detto una parola sulle esigen­ze delle persone: la sua proposta era costruita sugli edifici che, certamente, valgono molti mi­liardi e non sulle persone.

Molti sono, purtroppo, i gruppi di volontariato e le associazioni convinti che le violazioni dei diritti delle persone più deboli e le carenze dei servizi siano dovute alla mancanza di cultura e/o di informazione. Pertanto numerosi sono i movi­menti di base che si affannano a creare centri di documentazione, a compilare questionari, a pubblicare rassegne stampa. Si tratta, in genere, di attività quasi del tutto inefficaci.

L'esperienza dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA dimostra che molto numerosi sono gli am­ministratori nei cui confronti non danno risultati né la documentazione sulle esigenze delle per­sone, né le prove della loro situazione di disagio o di vera e propria negazione della loro dignità di esseri umani, né la presentazione di espe­rienze alternative. In questi casi è indispensa­bile passare ad azioni sempre più incisive.

In concreto si tratta di mettere in moto inizia­tive che informino la popolazione sulla realtà della situazione e sulle responsabilità della compagine politica preposta alla gestione del settore interessato (sanità, trasporti, scuola, casa, assistenza, ecc.) e/o dei singoli ammini­stratori.

È evidente che questa strada va scelta quando non vi sono altre strade percorribili. Tuttavia, sulla base dell'esperienza dell'ANFAA, della ULCES e del CSA, va detto che molto spesso questo è il solo percorso possibile per difendere concretamente le persone più deboli.

L'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno operato in modo da:

1) fornire notizie tempestive e corrette alla gente. Questa finalità è stata sovente ostaco­lata dai mezzi di informazione di massa. Essi non solo rifiutano quasi sempre di pubblicare le lettere di precisazione ad affermazioni par­ziali o tendenziose o anche false, fornite dagli amministratori, ma sono, salvo casi eccezionali, un veicolo di amplificazione delle linee politiche perseguite dalle istituzioni. Al riguardo è sinto­matico (ovvio, se si tiene conto della logica del potere) che i mezzi di informazione di massa traggano le loro informazioni esclusivamente o principalmente dalle istituzioni, e non dai cit­tadini a cui sono negate prestazioni a cui hanno diritto, e nemmeno dalle associazioni che li rap­presentano;

2) aggregare sull'obiettivo assegnato il mag­gior numero di organizzazioni e persone, nella convinzione - anch'essa ovvia - che più gran­de è il numero dei cittadini coinvolti e più forte è il fronte di coloro che rivendicano i diritti dei più deboli e la loro attuazione concreta;

3) creare contraddizioni e ripensamenti all'interno delle forze politiche e degli amministratori che sostengono posizioni contrarie alle pres­santi esigenze dei cittadini più indifesi.

Il raggiungimento, anche parziale, di questi obiettivi comporta la messa in crisi del rapporto esistente fra gli elettori e il singolo amministra­tore e le parti politiche che lo sostengono. A que­sto riguardo una particolare attenzione deve es­sere rivolta ai cittadini che hanno una influenza culturale e soprattutto etica nei riguardi della popolazione.

 

Modalità dell'azione rivendicativa

Le modalità dell'azione rivendicativa sono sta­te individuate dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA partendo dalla ovvia considerazione che le cau­se di emarginazione hanno una natura essen­zialmente politica.

Quindi, ad esempio, pur tenendo conto degli indirizzi personali dei vari amministratori, mai sono state attribuite loro responsabilità di na­tura generale.

Essi sono stati e sono ritenuti responsabili insieme al gruppo politico a cui si deve la viola­zione dei diritti dei più deboli, ma mai come gli unici individui a cui potesse essere attribuita la causa dell'emarginazione e della segregazione. Pertanto non si è mai ritenuto che essi potessero da soli eliminare te cause dell'emarginazione ed i suoi effetti.

Partendo da questa considerazione, ai singoli amministratori non sono mai stati rivolti appelli a carattere personale, né sono mai state riposte speranze di cambiamenti politici resi possibili dalla conversione di questo o di quel singolo governante (9).

Pertanto, senza mai sminuire le responsabi­lità personali, spesso molto gravi, l'azione dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA è stata rivolta alla creazione delle condizioni generali sociali e politiche indispensabili per ottenere l'appro­vazione e l'attuazione delle proposte dirette a sancire il rispetto delle esigenze delle persone non in grado di autodifendersi.

Inoltre, da parte dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, le modalità rivendicative sono state scelte tenendo conto delle forze disponibili e delle con­dizioni delle persone non in grado di autodifen­dersi.

Un'esigenza fondamentale dell'azione rivendi­cativa è la continuità, continuità che deve essere gestita per anni e anni.

Assurda e frustrante è, ad esempio, la scelta di iniziative, magari eclatanti, ma di breve dura­ta, in quanto i politici non cambiano certo idea a seguito di una manifestazione anche se riuscita e i partecipanti, preso atto della mancanza di ri­sultati concreti, possono essere delusi e quindi portati ad abbandonare ogni impegno.

Fra le modalità di intervento utilizzate dalla ANFAA, dall'ULCES e dal CSA ricordiamo:

- i cortei, i presidi e altre manifestazioni analoghe;

- i volantinaggi; che possono essere sia di denuncia e proposta (i due elementi non dovreb­bero mai essere disgiunti), sia di informazione, ad esempio quelli distribuiti in parecchie decine di migliaia di copie sul diritto degli anziani cro­nici non autosufficienti alle cure sanitarie;

- la segnalazione nelle sedi opportune (mez­zi di informazione di massa, riviste specializzate, convegni, dibattiti) di situazioni in cui sono vio­late le esigenze delle persone e l'indicazione delle relative proposte di breve, medio e lungo termine;

- l'esposto all'autorità giudiziaria di fatti che possono costituire reato. Al riguardo si se­gnalano le notevoli ripercussioni avute all'inizio del 1971 dall'intervento della magistratura nei riguardi degli istituti di assistenza all'infanzia, intervento richiesto dall’ULCES. Alcuni titoli dei giornali: «Pretore indaga a Roma sulle adozioni difficili»; «Non segnalavano i bimbi da adottare per continuare a percepire le rette»; «Si allarga lo scandalo degli orfanotrofi, vivai di corruzione a spese dello Stato»; «Mandato di comparizio­ne per i dirigenti dell'ONMI»;

- la presentazione con iniziativa popolare di proposte di legge nazionali o regionali e la raccolta di firme su singoli aspetti (10);

- l'avvio di cause legali. Ad esempio, su ini­ziativa del CSA, alcuni handicappati hanno av­viato una causa civile nei confronti del Ministe­ro delle poste e telecomunicazioni per il fatto che l'ufficio postale di Torino, in Via Sospello 123 bis, era stato ristrutturato creando barriere che impedivano l'accessibilità. La causa si è con­clusa (Cfr. Controcittà, n. 7, luglio, 1984) con la esecuzione da parte dell'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni delle opere necessa­rie per consentire l'uso della struttura anche da parte di persone in carrozzella (creazione di una rampa di accesso, allargamento della porta di ingresso, ecc.);

- la richiesta a parlamentari e consiglieri re­gionali di presentare proposte di legge, interro­gazioni, interpellanze e mozioni, fornendo - se del caso - la necessaria consulenza. Iniziative analoghe possono essere utili a livello dei Co­muni, delle USSL, delle Comunità montane e delle Province.

L'azione rivendicativa si differenzia dalle atti­vità culturali per il perseguimento di obiettivi concreti da conseguire a breve termine, obiettivi che non possono essere certamente raggiunti con semplici dichiarazioni verbali.

Mentre, sul piano culturale. politici e ammi­nistratori possono mascherare le loro finalità con dichiarazioni verbali che magari contraddi­cono con i fini concreti praticati, sotto il profilo vertenziale questi spazi si riducono notevol­mente.

 

Come reagiscono le istituzioni

Gli strumenti usati dagli enti per respingere le richieste presentate dai movimenti di base sono quelli descritti in un precedente articolo: la negazione del problema, la non decisione, la mobilitazione dei pregiudizi e dei luoghi comuni, il pretesto della mancanza di personale, ecc. (11).

Va altresì segnalata un'altra iniziativa spesso usata dai partiti e dalle istituzioni pubbliche per neutralizzare i movimenti di base e impedire o ostacolare la diffusione nell'opinione pubblica delle proposte avanzate a difesa dei diritti dei più deboli. Si tratta dell'appoggio politico ed economico ad organizzazioni. sovente camuffate come gruppi di volontariato, la cui azione è di­retta non alla tutela delle persone non autosuf­ficienti, ma a sostenere questa o quella istitu­zione o addirittura a favorire determinati per­sonaggi.

Per individuare dette organizzazioni, in gene­re, è sufficiente scorrere gli elenchi dei contri­buti versati da Regioni, Province, Comuni. Quale corrispettivo, questi gruppi non ricevono solo quattrini, ma anche altri benefici clientelari: as­sunzioni di handicappati o, più frequentemente, di falsi invalidi, convenzioni per la gestione dei servizi, finanziamenti per lo svolgimento di ri­cerche, quasi sempre assolutamente inutili.

Occorre altresì segnalare che a volte le isti­tuzioni violano gli impegni assunti.

Tra i numerosi casi citiamo quello dell'Azienda torinese dei trasporti urbani che negli anni scorsi ha costruito la prima metropolitana leg­gera in modo da renderla inaccessibile alle per­sone in carrozzella, nonostante che il Presidente dell'ente stesso, Ruggero Bertotti, con lettera del 6 ottobre 1980 avesse scritto al CSA quanto segue: «Le linee di metropolitana leggera (tra le quali le linee 1 e 2 in stadio di avanzata pro­gettazione) avranno incarrozzamento a raso e le strutture di fermata nonché quelle dei marcia­piedi prospicienti non avranno barriere architet­toniche, consentendo pertanto l'agevole incar­rozzamento anche per coloro che sono costretti ad utilizzare una carrozzella».

Da notare che la lettera era stata inviata dal Presidente dell'Azienda Trasporti Torinesi dopo numerosi incontri avuti dal CSA con il presi­dente stesso e con i tecnici dell'azienda.

 

Le ritorsioni delle istituzioni

Non sono rari gli interventi intimidatori e le ritorsioni delle istituzioni. Oltre alle situazioni già descritte (12), citiamo, quale esempio em­blematico di intervento delle autorità contro coloro che difendono i più deboli, la relazione presentata alla magistratura dal Tenente Colon­nello Comandante del nucleo di polizia giudizia­ria di Torino.

La vicenda parte da un esposto presentato dai presidenti dell'ANFAA e dell'ULCES che, sulla base di dichiarazioni sottoscritte da persone già accolte nell'Istituto Benefica di Torino e di ra­gazzi ancora ricoverati e da ex dipendenti (un educatore e uno psicologo), segnalano che le condizioni di vita presso il suddetto istituto so­no gravemente carenti sotto tutti i profili. Fra i vari episodi denunciati, vi è quello relativo a tentati atti di libidine compiuti da un «educa­tore» nei confronti di alcuni minori.

Secondo il Tenente Colonnello dei Carabinieri che svolge le indagini, l'unico episodio accertato è quello dallo stesso così descritto: «Durante la trasmissione televisiva serale di una TV pri­vata nel mese di novembre 1980, che trasmette­va un film sulle atrocità naziste, l'educatore G., di servizio al suo reparto, per sdrammatizzare la tensione creatasi nel ragazzo che con lui as­sisteva alla visione di alcune scene orgiastiche, dava una "manata" sui genitali di questo pro­nunciando le frasi: "queste cose servono a farlo venir duro": "Però il rapporto sessuale affettivo non si deve vederlo in questo modo". L'inten­zione dell'educatore era quella di intraprendere con il ragazzo un serio discorso sull'educazione sessuale».

Senza stare ad approfondire come e quando le «manate» sui genitali possano essere edu­cative e a quale filone formativo potesse appar­tenere un film «sulle atrocità naziste» in cui comparivano «scene orgiastiche», quello che salta all'occhio è come il bravo ufficiale inqui­rente concepisca «un serio discorso sull'educa­zione sessuale».

Pertanto il Tenente Colonnello non riscontra «concreti elementi di violazione delle leggi pe­nali a carico degli amministratori dell'Istituto Benefica né dell'attuale personale preposto alla custodia di ambo i sessi» tanto più che le sue principali fonti di informazione per l'inchiesta sono rappresentate dalle relazioni della direttri­ce e dello psicologo dell'Istituto, dal verbale di una seduta del Consiglio di amministrazione dell'istituto stesso. Non si fa cenno alle dichiara­zioni di ex dipendenti, come non sembra si sia tenuto conto delle dichiarazioni di ragazzi rico­verati e neppure di quanto affermato da uomini già fatti, già «ospiti» dell'Istituto.

C'è da aggiungere che nell'esposto presentato dai Presidenti dell'ANFAA e dell'ULCES e nelle deposizioni degli stessi rilasciate al Tenente Colonnello dei Carabinieri, si rilevava che, in violazione alle leggi vigenti, i proventi della vendita di immobili dell'IPAB «Casa Benefica» (L. 1 miliardo e 200 milioni) erano stati utilizzati per coprire debiti dì gestione.

La deposizione della direttrice dell'Istituto confermava quanto sopra.

Dulcis in fundo, il Tenente Colonnello dei Ca­rabinieri concludeva la sua relazione al magi­strato segnalando che a carico dei Presidenti dell'ANFAA e dell'ULCES «potrebbe essere ipotizzato il reato di calunnia», reato che è per­seguibile d'ufficio (13).

 

L'apporto degli esperti

Nell'azione rivendicativa, oltre che in quella culturale, è di fondamentale importanza l'appor­to degli esperti, sia per la individuazione delle proposte da avanzare, sia, infine, per il loro so­stegno sotto il profilo tecnico-scientifico.

Ad esempio, rilevante fu l'appoggio dato da­gli esperti per la conoscenza dei deleteri effetti del ricovero in istituto sullo sviluppo psico-fisico dei minori, per dimostrare l'inconsistenza scien­tifica della distinzione fra malattie acute e cro­niche, per chiarire che la legislazione vigente garantisce agli anziani cronici non autosufficienti il diritto senza limiti di durata alle cure sanita­rie, comprese - occorrendo - quelle ospeda­liere.

L'apporto degli esperti non si esaurisce, come è ovvio, nella consulenza ai movimenti di base; molto spesso essi assumono iniziative culturali e operative che possono svolgere una funzione anche determinante su! piano del cambiamento sociale.

Ad esempio, il ruolo tecnico-scientifico della ospedalizzazione a domicilio non reca solo bene­fici alle centinaia di persone (malati e familiari) che utilizzano il servizio, ma è altresì un ele­mento molto importante per far comprendere alla gente, agli operatori e agli amministratori l'esigenza che per gli anziani e gli adulti cronici non autosufficienti venga riconosciuta la com­petenza primaria ad intervenire al settore sani­tario (e non a quello assistenziale).

Un errore compiuto molto frequentemente dai movimenti di base consiste nel delegare agli esperti lo studio dei problemi e la risoluzione degli stessi. In questi casi avviene frequentemente che gli esperti agiscano per i loro inte­ressi corporativi e per lo sviluppo della loro car­riera. Delegare i tecnici, significa partire dalla considerazione che i cittadini non esperti sono per definizione incapaci di comprendere l'essen­za dei problemi e di individuare le soluzioni.

Le esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA dimostrano, invece, la validità della auto­nomia operativa dei movimenti di base e la ne­cessità di una stretta collaborazione (senza de­lega) con gli esperti.

 

Agire secondo piani programmatici

Scelti gli obiettivi generali (adozione, affida­mento familiare, anziani cronici non autosuffi­cienti) in base alle forze disponibili, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre cercato di agire sulla base di piani prestabiliti. Infatti, operare caso per caso, giorno per giorno, senza riferi­menti, significa non avere alcuna concreta pos­sibilità di avviare né un'azione culturale, né tan­to meno iniziative rivendicative.

Il piano - ovviamente - non deve essere rigido, ma flessibile in modo da poterlo adattare alla consistenza del gruppo e degli alleati, alla forza degli avversari e alle altre circostanze.

I piani devono riguardare sia l'attività cultu­rale che l'azione rivendicativa.

Nello stesso tempo è necessario che siano previste tappe intermedie, indispensabili - co­me abbiamo già scritto (14) - non solo per «verificare la validità degli obiettivi stabiliti, dei metodi adottati e degli strumenti usati, ma anche per avere elementi di fatto che compro­vino í vantaggi, anche se parziali, ottenuti dalle persone e dai nuclei in difficoltà».

Seguire un piano prestabilito è meno facile di quel che sembri. Infatti, vi è il pericolo di lasciarsi trascinare dall'emotività e di impiegare tutte o le maggiori energie per la soluzione di casi personali, soprattutto se particolarmente coinvolgenti per la loro gravità. L'intervento su casi singoli non solo richiede molto tempo e molte energie, ma spesso esige l'accettazione di mediazioni clientelari, che si pongono in netta e insanabile opposizione rispetto ad una azione incentrata sui diritti.

Inoltre i risultati raggiunti operando su casi singoli sono di gran lunga inferiori a quelli otte­nibili con iniziative di tipo promozionale.

Ad esempio, l'ANFAA e l'ULCES, con il lavo­ro fatto per ottenere l'approvazione e l'applica­zione della legge 5 giugno 1967 n. 431 relativa all'adozione speciale, hanno favorito la riduzione dei minori ricoverati negli istituti di assistenza dai 305 mila del 1962 agli attuali 55 mila. Que­sto risultato non si sarebbe certo ottenuto se l'ANFAA e l'ULCES avessero operato su casi singoli. Analogamente, aver ottenuto, in colla­borazione con l'istituto di geriatria e gerontologia dell'Università di Torino, il servizio di ospe­dalizzazione a domicilio, ha consentito, nei primi 4 anni di attività, di intervenire nei confronti di 1188 accettazioni (per 519 pazienti, alcuni dei quali per più di un ciclo di cura) per un totale di 34.413 giorni di ospedalizzazione. I tempi medi impiegati dall'équipe per paziente e per ogni giorno di ospedalizzazione sono risultati: 80 mi­nuti di infermiera e 25 minuti di medico.

Anche in questo caso, risultati simili non sa­rebbero certamente stati conseguiti se coloro che si sono impegnati nell'attività promozionale del CSA avessero scelto (al di là del problema della competenza professionale) di assistere personalmente al loro domicilio i malati.

D'altra parte - come abbiamo ripetutamente rilevato - se è importante intervenire a livello riparativo e consolatoria, sono senza dubbio prioritarie le- azioni dirette alla prevenzione del disagio individuale e sociale.

Il lavoro promozionale consegue risultati mag­giori quando agisce d'anticipo. Se non ci si lascia catturare da casi singoli, la programmazione può spaziare sulle aree che è necessario co­prire: ricerca, informazione, predisposizione di bozze di delibere e di articoli, stesura di libri e di documenti, organizzazione di convegni e di al­tre manifestazioni, ecc.

Questa determinazione nel raggiungimento degli obiettivi generali e intermedi viene spes­so bollata in modo negativo, specialmente dai gruppi di volontariato e dalle associazioni che intervengono più a difesa delle istituzioni che a tutela dei diritti dei cittadini. Essere determinati non significa certo essere insensibili alle soffe­renze o negare le esigenze individuali.

Come giustamente scrive P. Rollero (15):

«Lavorare effettivamente contro l'emarginazio­ne è un'opera molto più umile, più difficile, più lunga, che reca poco "onore" e crea molti ne­mici; costruire l'emarginazione sembra un'ope­ra molto più facile che crea lustro e onori, e procura, a quanto pare, molti "amici", di cui si finisce per essere in definitiva gli strumenti».

 

Leggi, delibere e altri provvedimenti

L'azione rivendicativa trova la sua concretiz­zazione nell'approvazione di leggi nazionali o re­gionali, di deliberazioni e di altri provvedimenti amministrativi.

Detti provvedimenti, per essere concretamen­te attuabili, devono contenere i seguenti ele­menti:

- precisare i soggetti aventi diritto agli in­terventi previsti;

- indicare l'organismo che è tenuto ad in­tervenire;

- stabilire i criteri di accessibilità per otte­nere gli interventi relativi;

- definire }e prestazioni da erogare, con i re­lativi standards e le eventuali priorità; -

- fissare gli aspetti organizzativi, compresi - in primo luogo - quelli riguardanti le qualifi­che del personale necessario e le esigenze di formazione e di aggiornamento professionali;

- decidere in merito ai tempi di attuazione;

- determinare i finanziamenti occorrenti per quanto concerne le spese di investimento e quelle relative alla gestione;

- prevedere i controlli e le verifiche da effet­tuare per valutare l'efficienza e l'efficacia delle prestazioni;

- individuare le sedi e cui li cittadino può ricorrere nel caso in cui le prestazioni non siano erogate o vengano fornite in modo non soddi­sfacente.

In base alle esperienze dell'ANFAA, della ULCES e del CSA, l'approvazione di provvedi­menti legislativi o amministrativi è indispensa­bile per assicurare a tutti i cittadini aventi dirit­to il soddisfacimento delle loro esigenze, avendo sempre valutato le suddette organizzazioni come sia molto spesso negativa la ricerca di presta­zioni di favore per questo o quel soggetto par­ticolare.

La soluzione di casi individuali specifici, senza che ciò rappresenti una decisione valida per le altre persone che hanno gli stessi requisiti, è stata sovente proposta dagli amministratori alle suddette tre organizzazioni, che sempre l'hanno rifiutata sia per motivi di principio (non è accettabile una selezione delle persone aventi uguali esigenze e quindi uguali diritti), sia perché l'azione clientelare è incompatibile con la rivendicazione di diritti.

 

L'attuazione dei provvedimenti

Ottenere che esigenze e diritti vengano rico­nosciuti con leggi, delibere e altri provvedimenti, è stato sempre considerato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA una semplice tappa, mai una conclusione definitiva.

Infatti, com'è evidente, gli aventi diritto non risolvono i loro problemi con l'approvazione di una disposizione. Occorre, dunque, passare alla fase attuativa.

È l'argomento che verrà trattato in un prossimo articolo.

 

 

 

(1) Cfr. «Priorità delle iniziative culturali per un positivo confronto con le istituzioni alla luce delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA», in Prospettive assi­stenziali, n. 89, gennaio-marzo 1990. Si vedano anche gli articoli apparsi sulla stessa rivista: Esperienze di volontariato promozionale, n. 79, luglio-settembre 1987; Obiettivi, strumenti e criteri di intervento del volontariato promo­zionale attuato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, n. 83, luglio-settembre 1988; Diritti del cittadino debole: riferi­mento prioritario del volontariato promozionale praticato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, n. 87, luglio-settembre 1989; I comportamenti delle istituzioni nelle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, n. 88, ottobre-dicembre 1988.

(2) Citato in: R. Bendix e S.M. Lipset (a cura di), Classe, potere, status - Teorie sulla struttura di classe, Marsilio Editori. Padova, 1970.

(3) Cfr. Thomas C. Smith, «La rivoluzione aristocratica in Giappone», in R. Bendix e S.M. Lipset, op. cit.

(4) Evidentemente non sono da escludere aprioristica­mente iniziative di collaborazione con le istituzioni. Sulla base delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, si tratta di avvenimenti rarissimi, specialmente nella fase iniziale della presentazione di un nuovo problema.

(5) Le ultime cinque piattaforme del CSA, comprenden­ti le richieste delle organizzazioni aderenti (e quindi anche quelle dell'ANFAA e dell'ULCES) sono state presentate nell'ottobre 1985 alla Regione Piemonte, al Comune e alla Provincia di Torino, all'Unità sanitaria locale e al Provveditorato agli studi del capoluogo piemontese. Cfr. Prospet­tive assistenziali, n. 73, gennaio-marzo 1986.

(6) La lettera è stata pubblicata dall'Unità in data 6 ottobre 1977.

(7) Negli anni '70 venivano indicate come «focolari» le strutture oggi denominate «comunità alloggio».

(8) In merito alla vicenda, Don Piero Gallo su «La Voce del Popolo», settimanale della Diocesi dl Torino, ha scrit­to: «Ci sono i 300 utenti dell'Opera, per giunta minori, in situazione di vero bisogno; inoltre ci sono i 58 adulti (i dipendenti licenziati, n.d.r.) implicati in questa chiusu­ra. Nessuno ha dialogato con loro; anzi, ad una precisa richiesta di dialogo, si è risposto, prima con assicurazioni che impedissero di parare il colpo e quindi col provvedi­mento (di chiusura n.d.r.). Lo stile è quello violento, tipico del sistema capitalistico. Il denaro c'era e c'è tuttora: lo testimoniano le liquidazioni (corrisposte al personale, n.d.r.) discrezionalmente elevate, di cui sono stati gratifi­cati i licenziati».

(9) Per lo stesso motivo l'ANFAA, l'ULCES e il CSA non hanno mai ritenuto opportuno inserire i propri espo­nenti nelle istituzioni.

(10) Vedi, ad esempio, la raccolta, avvenuta nel 1989, di 1965 firme ad Aosta per l'istituzione del servizio di ospedalizzazione a domicilio.

(11) Cfr. «I comportamenti...», op. cit.

(12) Si veda, ad esempio, quanto riferito nell'articolo «I comportamenti... », op. cit.

(13) La richiesta non è stata accettata dal Pubblico Mi­nistero che, però, ha anche archiviato le denunce relative agli atti di libidine e all'illecito utilizzo del patrimonio dell'IPAB per coprire il debito di gestione.

(14) Cfr. Priorità delle iniziative culturali, op. cit.

(15) Cfr. Piero Rollero; Oasi di Troina: ghetto in preoc­cupante espansione, in Prospettive assistenziali, n. 88, ottobre-dicembre 1989.

 

 

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