Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre
1990
L'INTEGRAZIONE DEGLI HANDICAPPATI NELL'ULTIMO DECENNIO: FRA TENDENZE DI RIFLUSSO E RIAFFERMAZIONE DEI DIRITTI - CENNI BIBLIOGRAFICI
PIERO ROLLERO
Il punto più basso, nonché lo
snodo di gravi tentativi di riflusso, circa l'integrazione scolastica e sociale
degli handicappati, è certamente da ricercare nella sentenza della Corte di
Cassazione del 1981 (1).
Da questa pronuncia, e dai suoi
argomenti di dubbia legittimità, cavillosi ed emotivi, si è svolta una lunga
serie di prese di posizione e di atti., volti a frenare o
addirittura ad annullare le conquiste, anche legislative, circa l'integrazione
degli handicappati. Il segno lasciato da questa grave sentenza dura purtroppo
ancora, come un'onda lunga, in varie direzioni, ora sotterranea ora invece palese
e quasi ufficiale.
Una più difficile contromarcia di
rimonta, di reazione a tanto riflusso è pure stata condotta da molti movimenti,
con esiti non sempre felici a definitivi, data la virulenza della corrente contraria.
Fino ad un capovolgimento recente,
al più alto livello di autorità, della impostazione giurisdizionale, con la
notissima e benemerita sentenza della Corte costituzionale del 1987 (2).
Capofila del riflusso: il
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione
Contro la sentenza della Cassazione
si erano levate subito voci critiche, anche autorevoli, nella stessa
Magistratura, a confutarne le motivazioni: fra tutti ricordiamo il giudice
della Corte d'appello di Torino, Elvio Fassone (3), che respinge le tesi,
contenute nella pronuncia, circa la «scuola come ambiente di esclusiva istruzione»,
circa la scuola equiparata del tutto ad un «pubblico ufficio»,
e circa
l'esigenza di strutture e scuole diversificate, dimostrando il compito«complessivamente
educativo e non solo "istruttivo"» di una scuola che deve essere
«aperta a tutti», pur essendo dotata di tutti i mezzi interni e sussidi esterni
necessari per affrontare le necessità di tutti i suoi alunni, handicappati
compresi.
Nonostante queste ed altre
autorevoli critiche, l'onda lunga di tale sentenza assume varie direzioni,
anche semi-ufficiali, soprattutto in quella che è stata definita «una brutta
pagina» del documento del C.N.P.I. del 1986 (4), preceduto, fra l'altro, per
certi aspetti, da una grave presa di posizione - anche giuridicamente scorretta
per il contesto in cui è inserita - nei «Nuovi programmi per la scuola
elementare» (DPR n. 104 del 12.2.1985).
Su questa scia «autorevole»
abbiamo assistito ad altre gravi prese di posizione, di contenuto più o meno
analogo, da parte di varie organizzazioni sindacali della scuola, non solo dell'autonomo SNALS, ma anche dai Sindacati confederali, come la CISL e persino la CGIL: in
vari documenti ufficiali, come le piattaforme contrattuali e le mozioni o
relazioni congressuali.
La suggestione di questo
indirizzo neo-emarginante è dovuta alla critica, in parte obiettivamente
condivisibile, circa le disfunzioni che la integrazione scolastica può produrre
in una struttura, ancora rigida come la scuola, a causa della mancanza di interventi,
pure dovuti, ma spesso lesinati o negati, dall'Amministrazione scolastica, e
soprattutto dalle USL e dagli Enti locali.
Ma di qui passare alla critica,
quasi radicale, del principio stesso dell'integrazione scolastica e alla
riproposta di scuole speciali, e per la prima volta persino di strutture
sanitarie (manicomiali), nonché dell'obbligo conseguente di una diagnosi
preventiva dì «scolarizzabilità»,
a cura del Ministero della sanità, il passo non è
salo illogico e deviante, ma anacronistico e gravemente irresponsabile.
Le critiche a questo documento
dei C.N.P.I. sono state numerose, e sono state raccolte, discusse e commentate
ampiamente nell'articolo già citato (5), mentre con piacere si può rilevare
che i testi più seri di legislazione specifica sull'handicap, usciti
recentemente, si sono ispirati anche a queste critiche condividendone le
motivazioni (6).
Altre raccolte legislative, più
ingenue o suggestionate da un falso rispetto per la «autorevolezza» del C.N.P.I., si sono ridotte a riportare tale documento accanto alla sentenza
della Corte Costituzionale, quasi fossero due fonti giuridiche di pari
valore! (7).
La risposta «politica»
del Ministero della Pubblica Istruzione alla sentenza
della Cassazione
Fortunatamente, la parte ufficiale
del Ministero della Pubblica Istruzione (nel citato articolo sul C.N.P.I. (8)
abbiamo documentato da due a tre correnti che si contrappongono, a questo alto
livello, a proposito dell'integrazione scolastica) non ha seguito la tendenza
reazionaria e neo-emarginante del C.N.P.I., ma subito all'indomani della
sentenza della Cassazione ha insediato una Commissione di esperti e rappresentanti
delle Associazioni con il compito di studiare le misure giuridiche e le
iniziative organizzative atte a fronteggiare il difficile momento.
Ne è uscito un documento, in
apparenza più tecnico e amministrativo, ma - a giudizio di molti - non meno
importante del famoso primo documento ministeriale del
7975, che è alla base del nuovo
indirizzo dell'integrazione scolastica e della legislazione conseguente: si
tratta della circolare ministeriale n. 258 del 22.9.1983
contenente «Indicazioni
di linee di intesa tra Scuola, Enti locali e USL in materia di integrazione
scolastica degli alunni portatori di handicaps».
I suoi punti nodali sono appunto
la nuova politica e la nuova cultura delle «Intese», e al suo interno una serie di
strumenti a disposizione delle scuole: in particolare «i gruppi di lavoro»
inter-professionali, col compito specifico di
redigere e verificare i «piani educativi individualizzati» per ciascun alunno
handicappato, in collaborazione tra operatori della scuola, dell'USL, degli
Enti locali e i genitori degli stessi alunni.
Unica grave concessione alla
tendenza del riflusso si riscontra nella proposta di «scuole particolarmente
attrezzate» per gli alunni handicappati gravi. Tuttavia, nella molto
apprezzata successiva circolare, integrativa della precedente sotto certi
aspetti più delicati, educativi e organizzativi (circolare n.
250 del 3.9.1985 su «Azione di sostegno a favore degli
alunni portatori di handicap»), si corregge tale impostazione emarginante nei
seguenti termini abbastanza espliciti:
«Si chiarisce inoltre che le
"scuole particolarmente attrezzate", cui si fa riferimento nella C.M.
n. 258 del 22.9.1983, non sono e non devono essere, né
di diritto né dì fatto scuole speciali bensì scuole comuni che per dotazione di
personale qualificato, di idonee strutture ed attrezzature e per prossimità
di presìdi sanitari o riabilitativi possono favorire la funzionale interazione
degli interventi specialistici e scolastici di cui gli alunni portatori di
handicap necessitano.
«Nell'assumere intese e decisioni
di adattamento e potenziamento di scuole a tali fini, si raccomanda di evitare
indebite concentrazioni di soggetti in situazioni di handicap grave affinché
esse rimangano ad ogni effetto scuole comuni aperte a tutti. Si raccomanda
inoltre che l'accoglimento di alunni provenienti da zone non incluse nel
territorio di competenza di tali scuole sia rigorosamente limitato ad eccezionali
situazioni di necessità».
Tre direzioni nella
rivendicazione e attuazione dei diritti degli handicappati
Partendo da queste indicazioni,
da una parte, e su motivazioni originali, dall'altra, diversi movimenti
culturali e di opinione hanno colto l'occasione per approfondire su tre
direzioni le esigenze, le rivendicazioni e le attuazioni concrete di
un'integrazione scolastica e sociale effettiva ed efficace.
La prima direzione riprende
proprio i1 punto centrale dell'indirizzo ministeriale: la necessità e la
fecondità delle «Intese » fra Scuola, USL, Enti locali, come ulteriore e più
concreto impegno giuridico-amministrativo dei tre Enti, sulla base di norme
legislative precedenti, impegnative, ma spesso trascurate o applicate parzialmente,
mirando a programmi specifici territoriali, zona per zona, calibrati e
valutati sui bisogni effettivi dell'utenza.
L'assetto giuridico, anzitutto, e
poi organizzativo e programmatorio di queste «Intese» è stato largamente
dibattuto e approfondito, in sedi ufficiali e in sede di volontariato, fra cui, come
vedremo, si è distinta, in modo meritorio ed esemplare, la Fondazione Zancan.
Sul piano delle realizzazioni
concrete, si è assistito ad una diffusione notevole della stipula di Intese a
livello di USL, Provincia, Regione. Alcune risultano aggiornamenti e miglioramenti
di Intese, già stipulate prima ancora dell'iniziativa ministeriale: come quella
di Torino, che si distingue, fra l'altro, per un'esplicita apertura
dell'integrazione scolastica a tutti gli handicappati, «anche gravi e
gravissimi».
Altre Intese risultano più
problematiche su alcuni punti; ma quella firmata di recente (aprile
1990) ad alto livello, fra Regione
Veneto, Sovrintendenza Scolastica Interregionale e Provveditorati agli Studi
del Veneto, è allarmante per l'ispirazione di riflusso che la attraversa, sulla
scia fin troppo esplicita del documento del C.N.P.I.: fin dalla premessa, ove
si denunciano le difficoltà principali riscontrate, che cosa compare al primo
posto? la questione dei «gravi»,
così presentata: «difficile gestione nell'ambito
della scuola della presenza di alunni con disabilità gravissime». Di
conseguenza i Provveditorati agli studi del Veneto si impegnano «ad individuare
le strutture scolastiche in cui realizzare forme di intervento ed attività
specifiche rivolte ad alunni con disabilità gravissime».
Ma un'altra ispirazione, ancora
più «politica», condiziona tale Intesa: il diretto coinvolgimento dei «privati»
(leggi: istituti),
la cui presenza nella Regione Veneto è notoriamente diffusa e influente. Ancora
un'altra connotazione assai grave: la mancata distinzione tra handicap e disagio,
al punto che i soggetti dell'Intesa sono definiti «minori o alunni in disagio
psicofisico e relazionale».
Ancora in merito all'iniziativa
ministeriale, una grave sua lacuna risiede purtroppo nel fatto che è partita e
gestita principalmente dal Ministero della Pubblica Istruzione, mentre si
palesa sempre più negativa la mancanza di accordi interministeriali con la
Sanità e gli Interni, a cui fanno capo rispettivamente le USL e gli Enti locali,
gli altri due importanti contraenti delle Intese. Da poco tempo il Ministero
della Sanità ha cominciato a percepire l'importanza del suo coinvolgimento, e a
mettere in cantiere per ora, come vedremo, un'iniziativa di ricerca commissionata
alla Fondazione Zancan.
La seconda linea direttiva, che
si è andata affermando, si è concentrata su un problema certamente difficile
e controverso, in polemica e in sfida diretta con la reazione neo-emarginante:
gli handicappati gravi. Questo movimento, culturale e sperimentale insieme, è
convinto che «l'inserimento degli alunni in situazione di handicap grave nella
scuola comune del territorio di competenza costituisce un nodo cruciale, dal
quale dipende il futuro dell'integrazione di tutti i minori handicappati.
Raccogliere questo messaggio e continuare a operare a sostegno dei diritti dei
più deboli è anche rispondere con i fatti a quanti tentano invece di riproporre
classi o scuole "speciali" per gravi (comunque denominate),
riaprendo così una nuova breccia alla emarginazione dì un'ampia fascia di
alunni, peraltro oggettivamente non definibile» (9).
La terza linea di ricerca e di
proposta concreta costituisce il terreno comune e l'ispirazione di fondo anche
delle due precedenti direttive: rivisitare, riscoprire, riformulare in modo
nuovo, originale, moderno i «diritti»
dei bambini e degli adulti handicappati, e
proporre una cultura dell'handicap aggiornata e concretizzabile in iniziative
operative.
I contributi della Fondazione Zancan
Fra i movimenti e gli enti che
più si sono distinti nella riaffermazione della validità e della
realizzabilità dell'integrazione. certamente la Fondazione «Emanuela Zancan» di
Padova, sotto la guida del suo presidente Mons. Giovanni Nervo, è quella che
più si è distinta per iniziative meritorie, e a largo raggio di influenza.
Ricordiamo i seguenti «Seminari»
organizzati, puntualmente dopo le direttive ministeriali sulle «Intese - fra
Scuola, USL, Enti locali e le pubblicazioni relative:
1984 -
Seminario su: «Le
"Intese" fra Scuola, USL, Enti locali per la programmazione congiunta
dell'integrazione scolastica e il pre-avviamento al
lavoro degli handicappati»
1985 -
Seminario su «Gravi e gravissimi,
con riferimento alle Intese tra Scuola, USL, Enti locali per l'integrazione
scolastica degli handicappati».
1986 - Convegno su «Una strada nuova per
l'integrazione scolastica degli handicappati: l'Intesa tra Scuola, USL, Enti
locali».
1986 - Seminario su «Modalità di
stipula dell'intesa tra Scuola, USL, Enti locali finalizzata alla
programmazione congiunta dell'integrazione scolastica e il pre-avviamento al
lavoro degli handicappati» (in collaborazione con la Fondazione «Camminiamo
insieme» di Salerno).
I materiali relativi sono
pubblicati nel volume n. 39 della Collana Documentazioni della Fondazione E.
Zancan: «Una strada nuova per l'integrazione
scolastica degli handicappati: le "Intese" tra Scuola, USL, Enti locali»,
1985.
In stretto collegamento con
queste iniziative (si veda il secondo Seminario citato del 1985), la Fondazione
ha affrontato anche il problema specifico degli handicappati gravi,
ricercandone i profondi intrecci con quello delle «Intese» e mettendo sempre a
confronto esperienze concrete con relazioni chiarificatrici dei problemi
connessi: si veda, in particolare, il Seminario del
1987 «Gli handicappati gravi e
gravissimi. Problemi interistituzionali e interprofessionali nella scuola per
tutti: esperienze a confronto» (in collaborazione con la Regione Toscana e il
Movimento Apostolico Ciechi). Gli atti relativi sono stati pubblicati nel
volume n. 40 della Collana di Documentazioni di Servizio sociale: S. NOCERA e
G. COTTONI (a cura di), Handicappati gravi e gravissimi: è possibile l'integrazione nelle scuole per tutti?
Esperienze a confronto,
1988.
Ma l'iniziativa più aggiornata e
più promettente della Fondazione Zancan è certamente quella collegata con
un'ampia ricerca ad essa commissionata dal Ministero della Sanità, che
finalmente ha scoperto, dopo il Ministero della Pubblica Istruzione,
l'importanza dell'integrazione di tutti i servizi a livello territoriale come
condizione dell'integrazione degli handicappati: la prima fase della ricerca è
consistita in un censimento delle «Intese» tra Scuola, USL, Enti locali per l’integrazione
degli handicappati stipulate sul territorio nazionale; i protocolli relativi
sono stati esaminati dall'équipe di ricerca per quanto attiene a obiettivi,
contenuti degli interventi, strumenti, professionalità coinvolte, con riferimento
ai rapporti tra i vari soggetti pubblici, fra scuola e servizi territoriali,
fra scuola e famiglia, fra servizi territoriali e famiglie, fra i diversi
livelli scolastici.
La fase successiva della ricerca
ha previsto un importante seminario (Schio, 2-3-4 marzo
'89) con le seguenti finalità: mettere
a punto uno schema di «Intesa-tipo» che favorisca l'integrazione in tutti gli
ordini di scuola; una proposta globale di integrazione che consideri l'intero spazio vitale della
persona (scuola, lavoro, vita sociale), individuando i servizi territoriali più
idonei a questo fine.
Soprattutto quest'ultimo ci
sembra il contributo più originale e fecondo della ricerca: superare
decisamente il tipo prevalente, ma limitativo, delle «Intese a livello
scolastico» e avviare il nuovo tipo di una «Intesa globale», non limitata quindi
solo all'integrazione scolastica e al periodo scolastico, ma estesa a tutte le
età e a tutti i «tempi» degli handicappati, e tale da coinvolgere tutte le
strutture esistenti sul
territorio.
Nel Seminario di Schio si è affrontata
in particolare la «Intesa-tipo» per le aree metropolitane, la quale, di
fronte ai gravissimi problemi del tessuto urbano, dovrebbe prevedere in sintesi:
- una organizzazione che
ricomponga, in qualche modo, la complessità istituzionale delle diverse
strutture esistenti e fra loro non coincidenti, sia amministrative che
sanitarie e scolastiche, tramite la creazione di «Gruppi di lavoro» a livello
centrale cittadino. a livello territoriale decentrato, fino a livello di
scuola;
- una fitta rete di servizi
socio-assistenziali delle USL, che già in
fase preventiva si prendano carico in modo capillare e continuativo della
fascia della popolazione infantile e si pongano, anche nei confronti della scuola, come supporti diagnostici e riabilitativi,
prima ancora delle «segnalazioni», spesso tardive, della scuola stessa;
- un forte coinvolgimento dei
Comuni e dei loro organi di decentramento, che preveda un progetto inter-assessorile, tale da impegnare tutti gli
Assessorati e tutti gli interventi a sostegno di una piena integrazione,
soprattutto quando vengono predisposte le strutture ed i servizi che riguardano
l'intera collettività (e quindi anche i cittadini handicappati):
dall'istruzione alla cultura e al tempo libero, dai trasporti all'eliminazione
delle barriere architettoniche, dallo sport alla formazione professionale,
all'assistenza;
- nell'area metropolitana, in
particolare, emerge in modo drammatico il problema del disagio/disadattamento: la presenza dell'handicap, certamente importante,
«non può occultare il vero problema degli anni futuri, che è costituito dalle
situazioni di disadattamento»;
di qui la necessità di prevedere - pur nella dovuta
distinzione dei due fenomeni - almeno un protocollo
aggiuntivo sul disagio.
La nuova frontiera dei «gravi »
Le polemiche innescate dalla
sentenza della Corte di Cassazione e dal documento del C.N.P.I. riguardavano,
in particolare, la scolarizzabilità di certe tipologie di handicappati gravi e
la conseguente riproposta di scuole speciali o strutture analoghe comunque
denominate, non solo, ma addirittura di interventi puramente sanitari affidati
appunto al Servizio Sanitario Nazionale, per i soggetti cosiddetti «non scolarizzabili».
Sulle difficoltà scientifiche
circa la netta distinzione di tali categorie-di handicappati, e sull'effetto
di «trascinamento» che le strutture
speciali hanno avuto di fatto nel passato, e avrebbero ancora in futuro, su
tutti gli handicappati che ne verrebbero coinvolti, col pericolo della loro
esclusione in grandissimo numero dalla scuola di tutti, si devono registrare,
fortunosamente, prese di posizione, contributi di ricerca, esperienze e
proposte, assai vivaci e produttivi, incentrati in gran parte sui criteri
della possibilità e
fattibilità
dell'integrazione
dei gravi.
Abbiamo già documentato il
contributo di primo piano della Fondazione Zancan, che molto opportunamente ha
congiunto il problema dei gravi con la proposta delle Intese interistituzionali,
fino alla presa in carico totale degli handicappati tramite «Intese globali».
In ordine cronologico dobbiamo poi ricordare fra i principali
contributi:
- L'opera pionieristica, di
grande impatto emotivo e serietà di ricerca di: N. CUOMO,
Handicaps gravi a scuola. Interroghiamo l'esperienza, Cappelli, Bologna 1982.
-
Le ricerche di M. CANNAO e G. MORETTI, Curare senza guarire: una scelta difficile. Che cosa si può fare con il «grave» nella
scuola,
Del Cerro, Tirrenia, 1983;
e il volume di M.
CANNAO, Il grave handicappato mentale, Armando, Roma, 1983.
-
Le esperienze di S. MOSCA, Quale scuola per tutti. Innovazione scolastica, integrazione dei portatori di handicap e nuovi programmi per le elementari, Quaderni di
promozione sociale n. 4, Rosenberg & Sellier, Torino, '85.
-
La storia commovente ed esemplare di una
integrazione familiare, scolastica e sociale in: G. BASANO, Storia di Nicola. Le conquiste di un bambino handicappato grave nel racconto della madre adottiva,
Quaderni di promozione sociale n. 6, Rosenberg & Sellier, Torino,
1987.
- I numerosi e preziosi
contributi scientifici del Dipartimento di Scienze dell'Educazione
dell'Università di Bologna, fra cui più recente: A. CANEVARO, M. ANGIOLINI, M.
SARAGONI, V. VECCHIONI, Handicap, ricerca e sperimentazione, Nuova Italia, Scientifica, Roma, 1988.
- I risultati delle ricerche
pluriennali condotte nelle scuole del Comune di S. Lazzaro di Savena (BO),
sotto la guida di un'équipe scientifica e la consulenza di Andrea Canevaro,
pubblicate nella rivista «Conoscere l'handicap», n. 3/1988 e n. 5/1989 (Ed.
dell'Istituto di Ricerca sulla Comunicazione, Montesilvano (PE). Le ricerche
portano il titolo significativo: Una
integrazione possibile. Alla
ricerca di modelli di integrazione per bambinl handicappati gravi nella scuola dell'obbligo.
Nel primo numero della rivista, a
cura di M. Angiolini, si dà resoconto dettagliato delle modalità della
ricerca, con indicazioni precise e preziose sulle «condizioni strutturali e
umane per la vita a scuola di un bambino handicappato grave»; fondamentali sono
i contributi di A. Canevaro su «Il grave e l'apprendimento» e «Collegamenti
bibliografici recenti». Nel secondo numero, a cura di C. Bosi e I. Zagnoni, le
riflessioni sull'esperienza e le proposte si estendono agli aspetti
legislativi e istituzionali, tecnici e organizzativi dell'integrazione, e a un
confronto con la situazione a livello europeo.
Una segnalazione particolare, non
solo per amore di autocitazione, va anche riservata all'altro volume della
collana «Quaderni di promozione sociale», curata da questa rivista (come i già
citati volumi di Mosca e Bassano): P. Rollero e M. Faloppa,
Handicap grave e scuola, Esperienze e proposte per l'integrazione, Rosenberg & Sellier, Torino,
1988. Esso infatti è dovuto a un'opera
collettiva, cresciuta via via nel tempo, attraverso convegni, incontri e
riflessioni fra sperimentatori ed esperti, e patrocinata dal «Comitato per
l'integrazione scolastica degli handicappati» di Torino. Il contenuto del
libro si distingue per la stretta connessione fra esperienze puntuali
riferite in modo particolareggiato, contributi di esperti, e proposte organiche
di intervento: una risposta complessiva, anche di contro alle polemiche e alle
contraddizioni del movimento neo-emarginante.
Il Comitato per l'integrazione
scolastica degli handicappati
Nel panorama generale dei
movimenti impegnati a favore della piena integrazione scolastica degli
handicappati, merita un cenno particolare il Comitato per l'integrazione
scolastica degli handicappati di Torino.
Sorto anch'esso, come altri
movimenti, sulla scia delle polemiche suscitate dal riflusso neoemarginante, e
nella preoccupazione di salvaguardare e migliorare le conquiste civili faticosamente
raggiunte, aggrega attorno a sé operatori della scuola e dei servizi,
rappresentanti di organizzazioni sindacali e di associazioni, genitori di
alunni handicappati, e opera con lo scopo di raccogliere dati e riflettere
sulle esperienze più significative, di proporre soluzioni concrete, a
cominciare dall'ambito locale via via fino a quello nazionale, coinvolgendo e
mettendo alla prova le varie istituzioni pubbliche sul terreno delle
realizzazioni che ad esse competono per legge.
Il Comitato si è dotato fin dal
1985 di un «Bollettino di informazione» che dal 1987 ha assunto la denominazione di «Handicap e Scuola»: questa pubblicazione testimonia negli anni la linea
di indirizzo e le iniziative assunte per affermare il diritto degli
handicappati ad una sempre più efficace e garantita integrazione scolastica e
sociale.
I contributi fondamentali e più
significativi, che il Comitato ha prodotto con gli iscritti e con vari
convegni, si collocano principalmente nelle due direzioni, comuni ad altri
movimenti: l'approfondimento e la sollecitazione degli aspetti organizzativi
e tecnici indispensabili all'integrazione, soprattutto quelli collegati alle «Intese»,
e la rivendicazione
per tutti gli handicappati, compresi i più gravi, del diritto all'integrazione
nella scuola comune, con la predisposizione di schemi ed esempi di applicazione
e di sperimentazione in entrambi i settori.
L'aspetto originale di questi
contributi consiste non solo nell'unire sempre più strettamente la riflessione
critica alle esperienze significative realizzate nella scuola e nei servizi, ma
anche nel privilegiare una scrupolosa documentazione critica dei vari atti
legislativi ed amministrativi degli Enti pubblici, a cominciare da quelli
locali a quelli regionali e nazionali, coinvolti normativamente nell'impegno
dell'integrazione scolastica. Tale documentazione diventa lo strumento per
diffondere, fra operatori e genitori, una
coscienza sempre più vigile dei diritti propri e
degli handicappati, e quindi un mezzo di pressione continua sulle istituzioni
tenute all'applicazione delle norme, mentre l'approfondimento costante dei
punti critici che gli atti legislativi e amministrativi rivelano alla prova
dei fatti, si trasforma in puntuali proposte per il loro miglioramento,
attraverso varie azioni, come la presentazione di « piattaforme p
rivendicative, di «schemi» normativi, al limite attraverso azioni legali
contro gli enti inadempienti.
In dettaglio, si sono seguite e
commentate, come pure illustrate sempre con esempi concreti, le tappe principali e i
momenti salienti, positivi e negativi, attraversati dall'integrazione scolastica
negli ultimi anni: ad esempio, circa l'applicazione puntuale e capillare delle
«Intese» nelle scuole e nei servizi; la critica tempestiva e dettagliata al
documento dei C.N.P.I.; l'attenzione agli handicappati ultraquindicenni (sia
ottenendo prima della sentenza della Corte Costituzionale «una concessione dal
Ministero di disponibilità al loro mantenimento nella scuola dell'obbligo», sia
sollecitando gli Enti locali a forme di orientamento e di attività formative
post-obbligo); il doveroso ampio rilievo dato alla sentenza della Corte
Costituzionale e alle circolari applicative per la scuola media superiore;
l'attenzione costante alla «continuità» fra i vari ordini di scuola.
In campo nazionale, oltre a vari
contributi significativi in vista del miglioramento della legge sui nuovi
ordinamenti della scuola elementare, si segnala l'azione assidua, puntuale e
molto apprezzata, svolta per introdurre modifiche sostanziali nel progetto di
«legge quadro sull'handicap», con convegni e soprattutto con due numeri unici
di «Handicap e Scuola» (n. 1 settembre 1988 e n. 1 settembre 1989),
che si
presentano come veri dossier e strumenti di lavoro per la Commissione
parlamentare che sta esaminando tale progetto.
La riformulazione dei diritti
degli handicappati
L'ispirazione comune e più
profonda delle precedenti tendenze anti-emarginanti e dei relativi movimenti
culturali, di cui abbiamo citato più diffusamente due esempi significativi, è
certamente da ricercarsi in una presa di coscienza dei diritti, naturali e
positivi, inalienabili e consacrati da leggi costituzionali e ordinarie,
riconosciuti e rivendicati per gli handicappati.
L'accento portata sulla necessità
di apprestare tutti gli strumenti concreti, al massimo di garanzia e di
efficienza, e di convergenza di tutti gli Enti e le strutture civili,
attraverso specifiche « Intese » interistituzionali, significa appunto portare
al massimo di coscienza esplicita e di garanzia pubblica i diritti delle
persone più deboli.
Indicare negli handicappati più
gravi la nuova frontiera e il discrimine di una società democratica significa
sfidare, sul terreno civile dei diritti per gli «ultimi», le varie spinte
neo-emarginanti, che tendano, nel migliore dei casi, a occultare in strutture
speciali una realtà scomoda ed inquietante, che va invece messa al centro
dell'attenzione e della preoccupazione quotidiana; e del confronto, del
rapporto e della comunione con la cosiddetta normalità.
In alcuni casi la riformulazione
di tali diritti si fa esplicita e dettagliata, proprio in concomitanza e a
supporto della critica alle posizioni più retrive e reazionarie, come appello
ai « bisogni » più intimi e profondi delle persone handicappate, anche sulla
scorta delle ricerche scientifiche più aggiornate e ispirandosi alla coscienza
umanitaria e civile.
Possiamo citare, proprio nella
polemica contro il documento del C.N.P.I., la seguente argomentazione e la formulazione
di uno schema per una «carta dei diritti del bambino handicappato» (10):
«Ci siamo domandati se, a questo
punto, era opportuno tentare di proporre soluzioni concrete, alternative a quelle
avanzate nel documento del C.N.P.I. Abbiamo, invece, preferito approfondire la
stessa tematica partendo da un altro punto di vista, quello forse più
essenziale, e analizzare i fondamentali bisogni dei bambini handicappati, e
quindi i loro diritti e le norme che li tutelano: un'analisi sintetica, quasi
una carta dei diritti che può essere utilizzata come una serie di " misure"
o "parametri" per esprimere giudizio di congruità e di corrispondenza
da parte delle istituzioni e degli interventi educativo-scolastici rispetto
ai bisogni-diritti dei bambini handicappati.
«Come premessa generale, ci
sembrano quanto mai calzanti le seguenti osservazioni di Carlo Brutti: "L'handicappato è un bambino.
L'incontro con il bambino handicappato ci ha fatto capire che egli ci
interpella, in primo luogo, come bambino totale; ci suggerisce, cioè, che al di
là dei suo handicap, egli esiste come bambino, con í bisogni e i desideri di
ogni bambino, can gli stessi diritti e le stesse aspettative. La stortura dei
nostro approccio al bambino handicappato ci deriva, primariamente, dal
misconoscimento di questa profonda realtà "».
In estrema sintesi, i diritti dei bambino handicappato
ivi esposti, sono i seguenti:
- diritto all'educazione, anche
specialistica; non centrata esclusivamente sull'handicap, ma globalmente sulla
sua persona;
- diritto alla famiglia e al massimo dei suoi rapporti
affettivi;
- diritto agli altri legami naturali dell'ambiente più
prossimo e al suo territorio;
- diritto a essere inserito in gruppi in « rapporto
naturale a con coetanei non handicappati;
- diritto a una diagnosi
«evolutiva»,
mai sclerotizzata; e a una cura funzionale al
suo inserimento: «Camminare, per andare dove? Parlare, per chiacchierare con
chi?»;
- diritto a modelli sani di
riferimento: con «minimo di isolamento e massimo dì socializzazione»;
- diritto a un trattamento
conforme a questi diritti in qualunque struttura si trovi: statale, comunale,
privata.
Il punto fermo della Corte
Costituzionale
Le rivendicazioni implicite ed
esplicite dei diritti degli handicappati hanno certamente preparato e
predisposto il clima culturale e civile che si riscontra nell'ispirazione di
fondo della notissima sentenza della Carte Costituzionale n. 215 dei 3.6.1987
(11).
Questa pronuncia, finalmente
liberatoria da una lunga sudditanza alla sentenza della Corte di Cassazione dei
1981, parte, com'è noto, dalla dichiarazione di illegittimità dell'art. 28,
terzo comma della legge 30 marzo 1971, n. 118: «nella parte in cui, in
riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che "sarà
facilitata", anziché disporre che "è assicurata" la frequenza
alle scuole medie superiori»,
e apre agli handicappati le porte della stessa
scuola superiore, come confermeranno le conseguenti immediate disposizioni dei
Ministero della Pubblica Istruzione.
Ma nello stesso tempo la sentenza
ha un valore più generale di notevolissima portata: è l'affermazione più
autorevole e definitiva dei diritti negati o affievoliti delle persone
handicappate, è la sconfitta dell'indirizzo neo-emarginante, è la conferma
della validità dei movimenti per la piena integrazione di tutti gli
handicappati.
Fra i vari commenti, vogliamo
citare uno dei più autorevoli, quello di Salvatore Nocera, noto e benemerito
esperto giuridico dei Ministero della Pubblica Istruzione (che già si era
distinto nella capillare diffusione della cultura delle «Intese» e nella
rivendicazione dei diritti dei più gravi, anche in collaborazione con la
Fondazione Zancan). Il commento è apparso sulla rivista ufficiale del
Ministero «Annali della Pubblica Istruzione»
(12).
Ci sembra essenziale citare i
seguenti punti cardini della sentenza estraendoli dagli ampi commenti che
l'autore esplicita, con molto acume e opportunità:
Principi costituzionali superiori alle leggi ordinarie: «I principi esplicitati nel
dispositivo e nelle "massime" hanno una rilevanza ben superiore a
quella delle leggi ordinarie, che possono sempre essere modificate da una
successiva legge. Trattasi qui invece di esplicazione di principi
costituzionali e quindi della declaratoria dì diritti "costituzionali
garantiti", che come tali non soffrono modifiche da parte di leggi ordinarie;
essi anzi sono orientativi della successiva legislazione che, per espressa
disposizione della stessa Corte, dovrà essere emanata per chiarire e riordinare
tutta la materia».
Bloccata la giurisprudenza contraria della Corte di Cassazione: «Con queste "massime"
la Corte ha radicalmente mutato la propria giurisprudenza ed ha bloccato
quella contraria della Corte di Cassazione. Infatti la sentenza n. 125/75 della
Corte Costituzionale affermava, a proposito di un alunno cieco, che, essendo
la sua situazione
fisica diversa da quella dei vedenti, corrispondeva al principio costituzionale
di eguaglianza che egli frequentasse una scuola diversa; cioè quella
"speciale”. E la Corte di Cassazione con la sentenza n. 78/81 della VI Sezione penale, in linea
con questo orientamento, aveva espressamente sancito l'assenza del diritto
degli handicappati alla frequenza nelle scuole comuni.
«Con la sentenza n.
215/87, la Corte Costituzionale ha anche
esplicitamente superato un altro argomento espresso dalla Corte di Cassazione
nella citata sentenza n. 478/81,
affermando
che il diritto alla frequenza scolastica degli handicappati non può essere
"sacrificato" alla funzionalità del servizio scolastico e che l'eventuale
non frequenza deve essere motivata con "esclusivo" riguardo "all'interesse"
dell'alunno handicappato».
Il valore positivo della «coeducazione» di handicappati e non handicappati: «La frequenza in scuole comuni giova sia ad evitare
l'emarginazione sociale degli handicappati, sia a favorirne, grazie alla vita
relazionale coi compagni non handicappati, l'apprendimento, che, in sede scolastica,
è lo specifico della socializzazione. Finalmente, con ciò, il mondo giuridico
prende atto del valore positivo della "coeducazione di handicappati e non
handicappati", da tempo affermato e dimostrato dalle scienze umane. Se il
processo di sviluppo della personalità degli handicappati trae vantaggio dalla
frequenza della scuola dell'obbligo, non ha senso interromperlo
artificiosamente. Anzi una ingiustificata interruzione all'ingresso della
scuola superiore, quando non è ancora concluso l'arco evolutivo della personalità
degli handicappati, specie mentali (che richiedono maggiori tempi di
maturazione), può determinare l'arresto ed addirittura la regressione nella crescita
della loro personalità».
Diritto pieno all'integrazione
di tutti gli handicappati anche gravi: «Posta
in questi termini la situazione giuridica o status degli handicappati nella comunità
scolastica siamo in presenza non di un "interesse legittimo", ma di
un diritto soggettivo pieno e perfetto. Infatti più volte la sentenza, specie
nel par. 8, ribadisce il principio per cui è attraverso
l'approntamento di "strumenti idonei" che si realizza il diritto
"all'istruzione ed allo sviluppo della personalità degli handicappati"
e
non
col "sacrificio di tali diritti". Il termine "sacrificio di un
diritto" è termine tecnico che implica "l'affievolimento" di un
diritto ad interesse legittimo, in presenza di un "interesse pubblico
superiore". Qui invece la Corte ha sottolineato che il diritto degli handicappati
"all'apprendimento e all'integrazione" non può essere sacrificato
"a quello ipoteticamente contrapposto della comunità scolastica". Ciò
vale anche per gli handicappati mentali "gravi e gravissimi", la cui
"incapacità" di apprendimento ed integrazione deve essere
"verificata in concreto", onde eventualmente escluderli dalla
frequenza».
Per una nuova cultura
dell'handicap
Sulla scia della sentenza della
Corte Costituzionale riprendono nuovo vigore i movimenti per l'integrazione
scolastica e sociale con una concomitanza di iniziative a cominciare dal
livello parlamentare e governativo (ripresa dell'esame della legge quadro
sull'handicap, alcune attività del Ministero degli Affari Sociali), a livello
di Associazioni di e per handicappati e - fatto da segnalare con estremo
interesse - a livello di Organizzazioni sindacali.
Fra queste ultime si distingue la
CGIL, soprattutto sotto la spinta di Antonio Guidi, coordinatore nazionale
dei lavoratori con handicap, oltre che specialista in neurologia e
neuropsichiatria infantile, già direttore di un centro di riabilitazione della
Regione Marche.
Di A. Guidi è doveroso segnalare
anche vari contributi scientifici, fra cui quelli molto apprezzati nei
Seminari della Fondazione Zancan, e in particolare il volume «L'altra gente. Convivere con
l'handicap», Nuova ERI.
Ed. RAI, Torino, 1988.
Il libro nasce da
un'importante iniziativa della RAI: una serie di conversazioni tenute dall'autore
con molta umanità, comunicabilità e competenza professionale, tutte doti che
ancora si riscontrano nello scritto. Un'attenzione particolare è portata
opportunamente sul settore specifico della riabilitazione, sulle indicazioni
operative concrete, nonché sulle istituzioni ed enti presso cui far valere i
diritti degli handicappati. A questo proposito, completa il libro un ampio
contributo di D. Massi dal titolo significativo «I diritti nel labirinto»,
con un'ampia rassegna
di legislazione nazionale e regionale sull'handicap.
Un altro contributo di A. Guidi,
nel suo incarico specifico presso la CGIL, va segnalato in modo particolare:
la formulazione aggiornata dei «Diritti
(scomodi) delle persone handicappate», in «Supplemento
a Nuova Rassegna Sindacale» n. 6 del 13.2.1989.
Ci sembra importante citare dalla
«Premessa»:
«Uno dei sintomi più evidenti del
grado di emarginazione sostanziale di cui sono gravate le persone con handicap
e quello conseguente dei loro familiari o tutori, è rappresentato dal fatto
che, come per gli altri, questo segmento di popolazione viene definito come
una "minoranza". È un termine che deriva da una scarsa rappresentatività
numerica e/o di potere e quindi (come insegna una storia troppo lunga) tutti
quei diritti che per le persone cosiddette garantite sono tanto fisiologici da
essere citati soltanto per denunciare certe situazioni degradate e insostenibili
da considerarsi paradigmatiche (per esempio "per la difficoltà del
traffico non abbiamo più il diritto di muoverci", "per la disorganizzazione
della Sanità la salute non è più un diritto" ecc.) per gli handicappati,
invece, costituiscono ancora un ampio terreno di lotta e di conquista da
realizzare».
I diritti specifici ampiamente illustrati
sono: il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto allo studio, il
diritto all'informazione, il diritto alla mobilità, il diritto alla
tecnologia, il diritto allo sport, il diritto alla ricerca scientifica.
Nel diritto alla salute si distinguono:
il diritto a non nascere con un handicap, il diritto alla riabilitazione, il
diritto alla cura. È certamente sulla riabilitazione in cui, sulla scia di
precedenti contributi, l'apporto di competenza di A. Guidi è più originale e
innovativo: la persona è veramente collocata al centro della riabilitazione e
reclama il suo diritto non ad una qualunque cura riabilitante, tanto meno a
quelle dolorose, ma ad una «rieducazione funzionale» complessiva, rispettosa
della sua globalità di essere umano, mentre anche per gli handicappati più
gravi si rivendica la necessità della rieducazione che non deve cessare pure
in presenza di risultati apparentemente minimi.
Una riformulazione dei diritti
degli handicappati veramente nuova nella sua impostazione e mirata alla
riproposta di una rinnovata «cultura» dell'handicap, è quella messa a punto da
un gruppo di associazioni e sottoscritta da numerosissime personalità della
politica, delle Organizzazioni sindacali, delle varie Associazioni di e per
handicappati, e dei servizi (13).
Il documento «Handicappati e società: quali valori, quali diritti, quali doveri» parte dall'affermazione della priorità e dalla
centralità dei diritto al
lavoro,
quale diritto fondamentale della persona umana e quale «valore che contribuisce
alla sua realizzazione, oltre che a fornire la possibilità di sostentamento,
di produzione di materiali e quindi di autonomia». Sempre in proposito il
documento prosegue specificando che «la società deve saper garantire a tutti i
cittadini in grado di fornire prestazioni lavorative, piene o ridotte, il posto
di lavoro e comunque la possibilità di un'occupazione confacente alle
attitudini personali», mentre «va rifiutata la sola, semplice e facile
monetizzazione dell'handicap, quando l'handicap non elimina la capacità
lavorativa della persona; ciò porta all'annullamento del diritto della persona
a sentirsi viva, partecipe e protagonista secondo le sue possibilità e quelle
della società in cui vive».
Per la realizzazione piena di
questo diritto fondamentale, accorre realizzare anche i diritti conseguenti e
concorrenti a questa finalità: i diritti precedenti e preparatori, dai più
immediati ai più remoti: il diritto allo studio e alla formazione professionale,
alla riabilitazione e cura, alle varie forme di prevenzione.
Questa ricostruzione logica dei
vari diritti degli handicappati, finalizzata ad uno scopo preciso e
convergente, come quello del lavoro, si raccomanda per la sua forte carica
sociale e per la sua implicita ricchezza di conseguenze pratiche.
Tra avversari e fautori
dell'integrazione: un limbo di disimpegno nelle scuole cattoliche
Nel panorama mosso e dinamico,
fra avversari e fautori, che caratterizza l'ultimo decennio in merito al
problema dell'integrazione scolastica e sociale degli handicappati, dobbiamo
segnalare con stupore che una zona significativa e influente, come quella
delle scuole private, in particolare di quelle cattoliche, le quali dovrebbero
essere più sensibili, per ideologia ed impegno, ai problemi dell'emarginazione,
si distingue per una grave forma di indifferenza e di disimpegno.
A nostra conoscenza, esiste un
solo esempio di analisi, obiettiva e severa, dall'interno della stessa area: si
tratta di un articolo del già citato Salvatore Nocera, esperto giuridico anche
per il Movimento Apostolico Ciechi, sulla rivista cattolica «Docete», n.
3, dicembre 1987 (pp. 143-150), dal titolo «È
possibile l'integrazione degli handicappati nelle
scuole cattoliche?».
L'autore stesso definisce
l'atteggiamento complessivo delle scuole cattoliche di fronte all'integrazione
degli handicappati come «guardingo atteggiamento», che egli cerca poi di
giustificare in parte con la motivazione, assai poco convincente, delle
matrici ideologiche da cui sarebbe partito il fenomeno dell'integrazione.
Più convincente e più
condivisibile si fa il suo ragionamento, quando documenta che, «è completamente
cambiato il panorama culturale nei confronti del fenomeno dell'integrazione»,
per cui l'atteggiamento persistente di indifferenza e di resistenza delle
scuole cattoliche è ormai senza alcuna giustificazione teorica.
L'autore esamina poi i motivi
costanti che le scuole accampano per un disimpegno nei riguardi
dell'integrazione scolastica: in particolare, vi è un «culto dell'efficienza»
in tali scuole, anche se di fatto è da verificare fino in fondo nei suoi esiti
non solo scolastici ma anche educativi a lunga scadenza, culto che diventa
selezione elitaria non solo nei confronti degli handicappati, ma anche di
molti soggetti svantaggiati.
Un'altra gravissima remora
all'integrazione scolastica degli handicappati nelle classi e scuole comuni
cattoliche consiste nella presenza ancora massiccia delle scuole speciali e
degli istituti speciali cattolici. Osserva Nocera: «Resta il fatto macroscopico
che ancora esistono migliaia di handicappati ospitati in grosse istituzioni speciali.
Ciò ha radicato una cultura dell'istituzionalizzazione (...) che certamente è
l'opposto della cultura dell'integrazione».
E segnala i casi di salvataggio messi in atto
da certi istituti, fra cui alcuni assai discutibili, come l'«inserimento alla
rovescia», con l'immissione cioè in classi speciali di alunni non
handicappati, e anche - aggiungiamo noi - come il ricorso alla legge 833/1978
per
ottenere il riconoscimento di «istituti di ricovero e cura a carattere scientifico
di diritto privato», e per usufruire così di cospicui finanziamenti statali
(14).
L'autore apre poi un capitolo,
molto controverso relativo ai costi di gestione che comporterebbe l’integrazione
scolastica per le scuole cattoliche, e ai finanziamenti da parte dello Stato.
La parte che condividiamo è quella relativa alla constatazione che in nessuna
delle tante forme di rivendicazione delle scuole cattoliche (piattaforme,
documenti, convegni, marce organizzate), la richiesta del finanziamento
pubblico non comprende mai - a nostra conoscenza - il doveroso servizio
essenziale di una scuola civile e democratica, inserita nel sistema
costituzionale e legislativo italiano, che è anche quello dell'integrazione
scolastica degli handicappati, ormai in tutti gli ordini di scuola.
Scrive in proposito il Nocera: «È
strano però (mi si consenta di osservare) che nelle lunghe discussioni sul
finanziamento pubblico delle scuole private, nessuno abbia mai sostenuto questo
specifico argomento, limitandosi di solito ad affermazioni di principio
astratto, mentre qui ci si trova in presenza di un servizio concreto».
L'autore si dilunga poi, con
particolare sensibilità sui motivi etici e religiosi che dovrebbero ispirare
tali scuole e sollecitarle ad aprirsi alla integrazione degli handicappati,
principi che (a nostro avviso) costituiscono anche la contraddizione di fondo
e l'evangelico «scandalo» di questi ed altri atteggiamenti delle scuole e degli
istituti cattolici.
A questo bisogna aggiungere che
l'esempio di «resistenza» di tali ambienti alla diffusione dell'integrazione
non è stato e non è tuttora senza conseguenze anche nell'ambito della scuola
statale: noi siamo convinti che molte resistenze ed opposizioni riscontrate
nell'ultimo decennio sono alla lunga influenzate e indotte da atteggiamenti
ideologici assai vicini, se non ispirati direttamente a quelli delle scuole
cattoliche.
(1)
Il testo della
sentenza, fra gli altri, in: M. TORTELLO e M. PAVONE,
Handicappati, scuola,
enti locali. L'inserimento scolastico degli alunni portatori di
handicap e
la normativa nazionale, Nuova Guaraldi Ed., Firenze, 1983, pp. 125-135.
(2) Il testo
della sentenza, fra gli altri, in: S. NOCERA e G. COTTINI (a cura di),
Handicappati gravi
e gravissimi: è possibile l'integrazione nelle scuole per tutti? Esperienze a
confronto, Fondazione Zancan, Padova, 1985, pp. 265278.
(3) E. FASSONE,
La Corte di Cessazione emergine gli
handicappati,
in «Prospettive assistenziali» n.
56/1981, pp. 8-14; E. FASSONE, Cassazione e
handicappati:
logica giuridica
o scelte emotive?, in «Giurisprudenza italiana», 1982, fascicolo 3ª parte
seconda, pp. 105-110.
(4)
P. ROLLERO,
Handicap
e scuola: una brutta
pagina del C.N.P.I.
ed alcuni punti fermi per non tornare indietro,
in «Prospettive assistenziali » n. 78/1987, pp. 22-38.
(5) P. ROLLERO,
Handicap
e scuola... cit.
(6)
O. SAGRAMOLA, L'inserimento scolastico degli handicappati.
Principi e norme, Ed. La Scuola, Brescia, 1989; AA.VV., Per l'inserimento degli handicappati nella
scuola. Leggi e disposizioni amministrative ordinate e commentate.
Aggiornamento 1980-1989, Ed. Del Cerro, Pisa, 1989.
(7) Possiamo
riscontrare un'autocritica indiretta da parte del C.N.P.I. in merito al suo
documento sull'handicap? Di fatto nel volume «Il Consiglio nazionale della Pubblica istruzione nel periodo
1983-1988», Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, n.
48, Ed. Le Monnier, Firenze, 1989, che contiene il «rapporto di fine mandato»
del C.N.P.I., e in particolare la ripresentazione dei «pareri di maggior
rilievo culturale e politico», fra questi pareri non ritroviamo più quello
sull'integrazione scolastica degli handicappati, evidentemente non giudicato
fra quelli meritevoli della qualifica di «maggior rilievo culturale e politico»...
(8) P, ROLLERO,
Handicap e scuola... cit.
(9)
P. ROLLERO e M. FALOPPA (a cura di), Handicap
grave e scuola. Esperienze e proposte per l'integrazione, Rosenberg &
Sellier, Torino, 1988, pp. 7-8.
(10) P. ROLLERO, Handicap e scuola... cit., pp. 34 ss.
(11) Per il testo della sentenza cfr. nota 2.
(12) S. NOCERA, La sentenza della Corte
Costituzionale sui diritti di alunni handicappati, in «Annali della Pubblica Istruzione», n.
6, 1987, pp. 660-667.
(13) Il documento
ha avuto una vasta diffusione, ed è stato pubblicato su varie riviste: fra gli
altri, cfr. «Prospettive assistenziali», n. 88, 1989, pp. 23-26, e nel n. 90
della stessa rivista a pagina 55 il resoconto della presentazione del documento
in un seminario presso la Camera dei Deputati. I primi firmatari sono i
seguenti: Angelini Paola, Comitato '80 contro l'emarginazione, Potenza;
Armellin Lino, Deputato DC; Bartoli Andrea, Centro studi e programmi sociali
sanitari (CSPSS); Battaglia Augusto, Comunità di Capodarco; Bebel Tarantelli
Carol, Deputato SI; D. Benzi Oreste, Associazione Papa Giovanni XXIII di
Rimini; Bertone Pinuccia, Deputato SI; Breda Maria Grazia, CSA (Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base, Torino); Bentivogli Franco, Segretario
Confederale CISL; Benvenuto Giorgio, Segretario Generale UIL; Bianchi
Giovanni, Presidente Nazionale ACLI; Bobba Gigi, Segretario Nazionale ACLI;
Bonini Giorgio, Coordinamento Enti Servizio Civile, Modena; Carboni Gloria,
Lega Nazionale per l'emancipazione degli handicappati; Chiodini Anna, ANFFAS di
Bologna; Cocanari Flavio, Responsabile dei problemi dell'handicap; Colombini
Leda, Deputato PCI; Consorti P. Luigi, Coordinamento romano amici degli
handicappati; Contardi Anna, Associazione Bambini Down; Coppola Celso,
Dirigente di servizio sociale del Ministero di grazia e giustizia; De Giuseppe
Giorgio, Deputato DC; Di Marzio Silvia, Comunità S. Egidio; Dignani Wanda,
Deputato PCI; Faloppa Marisa, Presidente Comitato per l'integrazione scolastica,
Torino; Ferraguti Isa, Deputato PCI; Filippi Maria, Presidente Nazionale Coordinamento
Donne Acliste; Garavaglia Mariapia, Sottosegretario alla Sanità; Giordano
Gabriella, AIAS; Grimaldi Roberto, Lega Nazionale per il diritto al lavoro
degli handicappati; Guidetti Serra Bianca, Deputato; Guidi Antonio, Ufficio
Handicap CGIL; Lama Luciano, Senatore PCI; Lucà Mimmo, Vice-Presidente
Nazionale Patronato ACLI; Mancinelli Mario, Fondazione Camminiamo Insieme,
Salerno; Mango Luisa, ISTISSS; Marini Franco, Segretario Generale CISL;
Meggiolaro Paolo, Associazione Papa Giovanni XXIII, Rimini; Migliasso Angela,
Deputato PCI; Don Monterubbianesi Franco, Comunità di Capodarco; Nocera
Salvatore, Movimento Apostolico Ciechi; Pancaldi Andrea, Rassegna Stampa Handicap;
Panizza Giacomo, Comunità Progetto Sud; Sac. Pasini Giuseppe Direttore Caritas
Italiana; Passuello Franco, Vice Presidente Nazionale ACLI; Piro Franco,
Deputato PSI; Prato Giuseppe, Commissione Scuola PLI; Rizzi Michele, Segretario
Nazionale Gioventù Aclista; Rollero Piero, Ispettore tecnico periferico Gruppo
H Provveditorato, Torino; Salatini Mimma, Associazione Italiana Sclerosi
Multipla; Schirripa Giorgio, Gruppo Infanzia Psichiatria Democratica; Selleri
Gianni, ANIEP; Serra Teresa, AIAS; Staglianò Igor Consigliere Regionale DP;
Svevo Maria Paola, Movimento Femminile DC; Tavazza Luciano, Presidente
Nazionale MOVI; Tedesco Giglia, Senatore PCI; Tomassini Rita, Responsabile dei
problemi dell'handicap UIL; Tortello Mario, Direttore «Quaderni promozione sociale»;
Trentin Bruno, Segretario Generale CGIL; Zagaria Enza, Lega Nazionale per il
diritto al lavoro degli handicappati.
(14) Cfr. P.
ROLLERO, Oasi di Troina: ghetto in
preoccupante espansione, «Prospettive assistenziali», n. 88, 1989, pp.
6-15.
www.fondazionepromozionesociale.it