Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre 1990

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

DEPLOREVOLE SPECULAZIONE DEL SETTIMANALE «OGGI» SU SERENA

 

Riportiamo integralmente la lettera inviata in data 20 luglio 1990 dalla Presidenza nazionale dell'ANFAA al Direttore di Oggi in merito ad un servizio fotografico di 4 pagine apparso sul n. 30 del 25 luglio 1990 in cui Serena è ripresa più volte da sola e insieme agli affidatari.

Pubblichiamo inoltre l'intervento degli affidatari di Serena letto al convegno «Adozione fra giustizia e mercato. Quale scelta per magistrati, amministratori, operatori e famiglie», svoltosi a Torino il 30 maggio 1990.

 

Lettera dell'Anfaa

Desidero esprimerLe la più viva deplorazione per il servizio fotografico relativo a «Serena Cruz in vacanza» pubblicato sul n. 30 di «Oggi».

Ancora una volta per aumentare la vendita del settimanale si è voluto ignorare il diritto di que­sta bambina a vivere tranquillamente.

Il clamore già suscitato e «pilotato» dagli organi di informazione (compreso «Oggi») sul­la vicenda nei mesi scorsi ha già prodotto con­seguenze disastrose.

La vita della famiglia cui è stata affidata Sere­na è stata molto dura (v. l'intervento allegato). Sfruttando il clima emotivo creato, anzi «mon­tato», dalla vicenda si sono presentate proposte di legge che arrivano a legalizzare ogni forma di accaparramento di bambini, italiani e stra­nieri.

Intanto nessuno - neanche il Suo giornale - si sogna ad esempio di fare un discorso serio, sulle sofferenze dei 55.000 minori ancora oggi ricoverati negli istituti del nostro Paese: è que­sta una grave forma di abuso delle istituzioni nei confronti di bambini indifesi, abuso di cui sono per primi responsabili i politici e gli ammi­nistratori locali che non attivano i servizi neces­sari (aiuti alle famiglie d'origine, affidamenti, piccole comunità, ecc.) per evitare il ricovero. Ed è inutile poi scandalizzarsi di fronte alle di­verse forme di criminalità minorile!!

Spiace dover constatare come una rivista co­me «Oggi» che anche attraverso gli articoli di Neera Fallaci aveva contribuito negli anni '60 e '70 a costruire una nuova cultura dell'adozione, oggi si presti con servizi come quello su Serena a campagne che non hanno niente a che vedere col diritto all'informazione.

Noi crediamo sia necessaria una stampa libe­ra ma regolata da un codice etico che non tra­scuri il valore dell'informazione obiettiva senza per questo essere lesiva dei diritti delle persone, tanto più dei bambini: una stampa capace di scegliere con intelligenza, con professionalità, finalizzata a promuovere non solo le vendite, ma preoccupata di una crescita culturale su temi così delicati e complessi come quelli dell'ado­zione e dell'affidamento.

 

Intervento degli affidatari di Serena

Abbiamo chiesto di essere presenti, oggi, anche se in modo indiretto, a questo convegno. Siamo la famiglia di Serena. La famiglia che legalmente ha in affidamento questa bambina da quasi 14 mesi.

La nostra voce non vuole essere polemica; piuttosto vuole riassumere ciò che è successo in questo periodo e, farse, trarre tutti insieme degli insegnamenti per il futura.

Prima di tutto vorremmo parlare dei cosiddetti «mezzi d'informazione». Il loro comportamento ci ha scandalizzati, avendo superato di gran lunga il livello di guardia. Sia l'immagine che la riserva­tezza di Serena sono state violate sistematica­mente, il suo diritto alla privacy ha cessato di esistere. I suoi trascorsi e la sua vicenda perso­nale sono stati riportati a milioni di telespetta­tori e lettori, continuando a divulgare le sue fo­tografie senza mai fermarsi a chiedere se ciò fosse nel suo interesse. Persino la pubblicità ha preso spunto dalle adozioni, guarda casa, per vendere alimentari. Su di lei, sul suo passato e sul suo futuro sono stati scritti fiumi di parale. Un po' tutti si sono sentiti in dovere, meglio, in diritto di esprimere la propria opinione su quel­lo che ormai veniva chiamato «caso Serena». Opinioni e previsioni sul suo futuro, spesso for­nite da professionisti, che non avevano mai co­nosciuto neppure marginalmente la bambina, hanno trovato spazio su stampa e televisione. Anche loro quindi, negandole una sua persona­lità e unicità, ma trattandola da oggetto di pub­blico dominio.

Crediamo che una cosa sia il diritto e dovere all'informazione e alla cronaca in un paese de­mocratico. Ben altro è l'uso e l'abuso dell'imma­gine di un minore, in modo irresponsabile, la ne­gazione alla sua riservatezza: Volentieri si di­mentica che anche chi è piccolo ha una sua di­gnità che va rispettata. Non è mai il minore che chiede di essere buttato sulle prime pagine dei giornali o in pasto al pubblico televisivo. Anzi, spesso gli interventi di questo tipo causano delle sofferenze, in alcuni casi rischiano di portare all'emarginazione. Tutti questi bambini, come Se­rena, hanno un domani, nel quale hanno diritto, come chiunque altro, a vivere senza la curiosità del prossimo, senza che qualcuno sia in grado di elencare i loro trascorsi ed esprimere un giu­dizio.

E cosa fa la legge? È latitante, in quanto non interviene, non tutela. Noi abbiamo provato cosa vuol dire questo e tanti altri genitori lo speri­mentano ogni giorno. Ma le spese sono i minori a pagarle, vittime di piccoli e grandi errori degli adulti.

Se un piccolo non ha il diritto fondamentale alla propria riservatezza, se la sua immagine non può essere tutelata, ben poco resta da di­fendere.

Tutto questo non è giusto. È ora di correre ai ripari.

A nostro parere in due modi. Prima di tutto sarebbe ora che i giornalisti, tutti, si dessero una sorta di codice deontologico stabilendo i li­miti di utilizzo dell'immagine e dell'identità dei minori. E nello stesso tempo la legge dovrebbe fissare delle norme in questo senso, come già esiste nel nuovo codice penale, ed in molti altri paesi. Oggi molti importanti personaggi politici sono presenti, e questo invito è in particolare indirizzato a loro.

Vorremmo dire qualcosa sul libro di Natalia Ginzburg. Nel momento nel quale, finalmente, il chiasso intorno a Serena sembrava affievolirsi, ci ha pensato Natalia Ginzburg a fare nuova­mente parlare del «caso Serena», scrivendo un libro di parte, disinformato e imbottito di ine­sattezze. Così che la «gente dalla memoria cor­ta sarà costretta a ricordare». E a comprare il libro, viene da aggiungere.

Ha fatto molte cose Natalia Ginzburg, con questo suo libretto. Nelle sue ambizioni vuole sostituirsi ai genitori di Serena, facendosi por­tavoce della verità raccolta sui ritagli dei gior­nali e pretende di raccontarle la sua storia «tra qualche anno». Ovviamente sostenendo il non­ diritto di estranei ad entrare nel rapporto tra figli e genitori. Natalia Ginzburg ci presenta e auspi­ca un'Italia, nella quale non ci riconosciamo e, come noi, molti altri. Un'Italia arcaica, tribale, nella quale lo stato di fatto ha il sopravvento sul­lo stato di diritto. Nella quale le lacrime in tele­visione avallano l'aggiramento di qualsiasi legge e la condanna dei difensori della stessa. Natalia Ginzburg condanna tutta una categoria di per­sone senza neanche essersi presa il disturbo di conoscerle e tentare di capire. Ha scritto un li­bro non certo per il bene di Serena, ma piuttosto in favore di adulti senza fermarsi a prendere in considerazione la bambina come persona, con il suo diritto alla privacy. No, Natalia Ginzburg, non ci siamo.

Ai bambini si può fare violenza in tanti modi, anche pretendendo di riportare una verità. Nel libro si dice, tra l'altro, che la bambina è stata trovata in un bidone della spazzatura. Se mai ciò fosse vero, è questo un modo ben crudele di essere la memoria di questa bambina. Una bu­gia, tra le tante del suo libro, poteva starci, Na­talia Ginzburg. Infine un'ultima considerazione sul libretto. Lei sostiene che occorre togliere i bambini alle famiglie solo in casi estremi. Quan­do, allora? Quando un bambino finisce in ospe­dale mezzo morto? O quando presenta gravi ri­tardi fisici o psichici? O quando tenta il suicidio?

Poche parole su di noi. Siamo una delle tante famiglie che, ogni anno, presenta una regolare domanda di adozione ad un tribunale per i mino­ri. Siamo dei normali genitori, con altre due fi­glie «biologiche». Eppure siamo stati braccati, pedinati, fotografati a tradimento. Ci hanno di­pinti come dei sequestratori, quasi un braccio armato di un crudele e spietato tribunale per i minori. Noi crediamo di avere fatto semplice­mente il nostro dovere di genitori. Abbiamo ama­to e rispettato Serena come persona. Le abbiamo dato protezione, normalità, tranquillità. Non ab­biamo usato la sua immagine per fare valere i nostri legali diritti. Le abbiamo dato una vita ba­nale, fatta di piccole grandi cose. Questo anche grazie a tante persane, intorno a noi, che come noi la amano con rispetto per la sua persona e la sua dignità, per i suoi diritti alla normalità.

Infine, un invito. Facciamo in modo, noi adulti, che non capiti mai più un altro «caso Serena».

Grazie a tutti.

 

 

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