Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre
1990
Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale
DALLA CONFERENZA MONDIALE
SULLA ADOZIONE INTERNAZIONALE: LA CULTURA DELL'ADOZIONE E I MASS MEDIA
A Milano,
dal 16 al 18 marzo 1990, ha avuto luogo la conferenza mondiale «Adozione internazionale
tra norma e cultura», organizzata dal CIAI in collaborazione con l'assessorato
all'assistenza e sicurezza sociale della Regione Lombardia, l'assessorato ai
servizi sociali della Provincia di Milano e il settore servizi sociali del Comune
di Milano. L'interessante iniziativa è stata strutturata con due sedute
plenarie, quattro sessioni di approfondimento di particolari aspetti e tre
tavole rotonde. Fra queste, particolarmente vivace quella dedicata al rapporto
fra il mondo della comunicazione di massa con l'adozione e con l'infanzia in
generale.
Tre giornate di intensi lavori, un momento di
approfondimento delle complesse ed articolate tematiche dell'abbandono minorile
e dell'adozione; in quest'ambito magistrati minorili, psicologi, psichiatri,
pedagogisti ed educatori, esperti dì infanzia e famiglia, operatori sociali e
rappresentanti politici, hanno ricevuto da relatori di altissimo livello,
provenienti da diversi Paesi, interessanti sollecitazioni alla riflessione su
alcuni degli aspetti meno considerati e più «cocenti» dell'adozione
internazionale, inquadrata nella realtà socio-culturale dei primi anni '90.
Nei prossimi mesi affronteremo di volta in volta i
momenti più significativi della conferenza milanese, dalle relazioni della
seduta plenaria ai lavori delle diverse sessioni; ne! ricco programma di
questa «tre giorni» figurava una tavola rotonda di particolare attualità che ha
avuto risvolti di imprevista vivacità; «La
cultura dell'adozione e i mass media» era il titolo della tavola rotonda
tenutasi sabato 17 marzo presso una delle sale del Palazzo delle Stelline (sede
scelta anche per i lavori delle 4 sessioni: La cultura della paternità e della
maternità; Infanzia, adolescenza ed adozione; Traffico di bambini; Leggi
differenti: verso un processo di unificazione) alla quale hanno preso parte
Fulvio Scraparro, Docente di psicopedagogia all'Università degli Studi di
Milano in qualità di coordinatore, Corrado Guerzoni, Direttore dei programmi
radiofonici della Rai 2 di Roma, Roberto Parmeggiani de L'Avvenire, Luisella Seveso de Il
Giorno, Mario Tortello de La Stampa
e Augusto Pozzali de Il Corriere della
Sera.
Fin dalle prime battute è emersa una netta
separazione, che per certi versi assumeva toni di puro corporativismo, fra gli
operatori del mondo del l'informazione e gli operatori sociali; a questi
ultimi si affiancavano quanti fra i presenti, nella veste di comuni lettori,
avevano avuto modo di verificare l'inattendibilità di talune notizie,
pubblicate al solo scapo di vendere un maggior numero di copie, che molto
spesso avevano originato veri e propri traumi.
Ad onor del vero va innanzitutto ricordato come fra
i giornalisti presenti alcuni, e citiamo in particolare Mario Tortello e
Corrado Guerzoni, si dichiarassero pubblicamente contrari all'utilizzo
spudorato e sconsiderato che viene fatto dai mass media dell'immagine dei
minori, alla violenza che da questi strumenti di comunicazione dell'era
moderna viene compiuta su soggetti già deboli e spesso fortemente provati.
Tale violenza, ha ricordato Tortello citando quanto gli aveva confessato anni
addietro una ragazzina la cui storia era balzata agli «onori» della cronaca,
ferisce spesso più di quella stessa per la quale si è divenuti preda del «cronista
d'assalto». La ferita profonda viene allora riaperta da quelle foto in prima
pagina che non aiutano a dimenticare, che amplificano il dolore rendendolo
pubblico. A questo dovrebbe pensare il giornalista quando si imbatte, per
motivi professionali, nella vita di un bambino, su questo dovrebbe riflettere
prima di pubblicare nomi, cognomi, fotografie.
Ma, a quanto ha raccontato Luisella Seveso, i ritmi
pressanti del lavoro dei giornalisti di cronaca non concedano troppo tempo per
riflettere: bisogna correre per essere i primi, per «uscire» al mattino
successivo con le notizie più fresche, più ricche di particolari,
ripromettendosi magari di precisare alcuni aspetti, di approfondire la
veridicità delle fonti E la gravità delle informazioni in un secondo momento.
Se quello di Luisella Seveso è suonato in ogni caso
come un «mea culpa» che non ipotizzava comunque vie d'uscita, ben più decisa è
stata la posizione di Augusto Pozzoli: i giornali si fanno per vendere e
quindi, al di là dei sentimentalismi, campito del giornalista è quello di
scrivere i propri articoli in maniera tale da indurre la gente a preferire la
sua testata. Una posizione che ha ovviamente scatenato la reazione dei
presenti, soprattutto della folta rappresentanza delle assistenti sociali
milanesi. Queste ultime hanno presentato durante la tavola rotonda un
documento che ha in un certo senso anticipato alcuni dei temi che sarebbero in
seguito stati affrontati.
Nel documento, che prendeva spunto da un fatto di
cronaca di quei giorni che aveva molto movimentato il mondo dell'assistenza
milanese in relazione all'allontanamento di un bambino dalla famiglia, le
assistenti sociali del servizio materno infantile del Comune di Milano denunciavano
la «costante denigrazione della loro immagine professionale perpetrata dagli argani
di stampa». L'immagine dell'assistente sociale, definita nella maggior parte
dei casi dagli articoli dei giornalisti, risulta (citiamo testualmente il
documento) «lesiva della nostra dignità professionale ed ha gravi
ripercussioni nei rapporti con l'utenza la, quale - identificandoci con quella
immagine - rischia di rivolgersi sempre meno spontaneamente al nostra servizio
in fase preventiva, quando si potrebbe ancora utilmente intervenire: arriverà
al servizio quando la situazione famigliare sarà duramente compromessa».
Un articolo troppo affrettato, un'indagine impietosa,
la pubblicazione di una foto di troppo, possono quindi ledere non soltanto il
diretto interessato, ma anche le persone che ad esso sono vicine e per la sua
salute lavorano. In sostanza, è stato più volte ribadito nel corso della tavola
rotonda, non è ammissibile catalogare il delicato mondo dell'infanzia,
soprattutto di quella che soffre, come un qualsiasi argomento per il quale valgono
precise regale giornalistiche; un bambino che soffre, per qualunque ragione,
non può essere considerato alla stregua della formazione di una squadra di
calcio o dell'elenco delle nomination all'Oscar.
Un bambino, soprattutto un bambino in difficoltà,
deve essere tutelato, tutto deve essere fatto per recuperarlo alla vita
normale, per restituirgli il sorriso e la salute mentale e fisica. Trattarlo
come un oggetto per la promozione di una testata è profondamente ingiusto;
ledere il suo diritto ad essere normale è gravissimo.
A volte sembra che quanti operano nella comunicazione
di massa non ne tengano conto o piuttosto, in mala fede, sottovalutino il loro
potere. Pubblicare «gratuitamente» la foto di un bambino che è stato
allontanato dalla famiglia o che ha subito una violenza significa non aiutare
quel bambino a dimenticare il suo dolore, amplificandolo fino a renderlo
insuperabile.
Sarebbe bene che i giornalisti e quanti operano nel
campo dell'informazione se ne rendessero conto prima, senza che si debba
giungere a regolamentare severamente la questione.
Interessante a questo proposito è stata la testimonianza
di un giudice minorile brasiliano, il quale ha ricordato che nel suo Paese è
vietato pubblicare senza autorizzazione fotografie di minori: in Italia
l'immagine della piccola Serena viene utilizzata ancora oggi per corredare
articoli che molto spesso non parlano nemmeno di lei, eletta ormai a simbolo
dei «bambini che soffrono»: nasce spontanea la domanda nell'umile lettore:
perché? Fino a quando?
Dalla vivace discussione, che ha avuto il contributo
diretto oltre che dei giornalisti e di assistenti sociali, anche di avvocati,
di magistrati minorili, di psicologi e di «semplici» genitori, il conduttore
Fulvio Scaparro ha voluto estrapolare alcuni punti affinché rappresentassero
una sorta di scaletta di proposte:
1. il giornalista che affronta tematiche relative all'infanzia
sia in qualche modo «specialista» in materia: se non lo è, non faccia credere
di esserlo esprimendo giudizi esclusivamente personali come se fossero
indicazioni psico-pedagogiche;
2. gli operatori che, ai diversi livelli, si occupano
di bambini cerchino di coltivare un buon rapporto con la stampa e con i mezzi
di comunicazione, affinché ad essi giungano le più complete e corrette
informazioni;
3. vengano con severità e giustizia applicate le
sanzioni previste per quanti pubblicano informazioni sui minori che infrangono
la legge ed anche su quelli che subiscono qualunque forma di violenza;
4.
vietare che si possano pubblicare senza autorizzazione fotografie di minori;
5. fare in modo che soltanto chi ha competenza in
materia possa trattare problemi dei minori sugli argani di stampa e sui
diversi mezzi di informazione.
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