Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre 1990

 

 

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL'ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI (*)

 

 

La Corte costituzionale composta dai signori: Dott. Francesco Saja, Presidente - Prof. Giovanni Conso - Prof. Ettore Gallo - Dott. Aldo Corasanti - Prof. Giuseppe Borzellino - Dott. Francesco Gre­co - Prof. Renato Dell'Andro - Prof. Gabriele Pescatore - Avv. Ugo Spagnoli - Prof. Francesco Paolo Casavola - Prof. Antonio Baldassarre - Prof. Vincenzo Caianiello - Avv. Mauro Ferri - Prof. Luigi Mengoni - Prof. Enzo Cheli, Giudici, ha pro­nunciato la seguente sentenza nel giudizio di le­gittimità costituzionale dell'art. 44, ultimo com­ma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), pro­masso con ordinanza emessa il 28 aprile 1989 dalla Corte d'appello di Venezia, sezione per i minorenni, sul ricorso proposto da D.C.F., iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubbli­ca n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di costituzione di D.C.F. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice relatore Francesco Paola Casa­vola;

uditi l'avv. Ezio Adami per D.C.F. e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte d'appello di Venezia, sezione per i minorenni, con ordinanza emessa il 28 apri­le 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 30, primo, secondo e terzo comma, della Costitu­zione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 44, ultimo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui subordina la possi­bilità di adottare un minare alla condizione che l'adottante abbia un'età di almeno diciotto anni maggiore, anziché di sedici, «come è stabilito invece per il riconoscimento di paternità e ma­ternità ex art. 250 c.c. e per la legittimazione ex art. 284 c.c.».

Il giudice a quo ravvisa nella predetta limita­zione una discriminazione in danno del minore adottando rispetto al minore che debba essere riconosciuto o legittimato dal genitore che abbia compiuto sedici anni. E ritiene che la differenza di sedici anni anche per i «casi particolari», con­templati dalla norma denunziata, non salo rispon­derebbe ad un criterio biologico, ma varrebbe anche a garantire un'applicazione più estesa del­la norma in linea con l'evoluzione del costume, segnatamente nel caso in cui il minore adottando sia figlio dell'altro coniuge, come nella specie.

A ciò si aggiunga osserva il giudice a quo che nel sottosistema costituito dai capi I e II del titolo IV (artt. 44-57) della legge n. 183 del 1984 l'adot­tante non deve esprimere un convincimento che richieda quella maturità che deve avere chi scel­ga d'accordo col coniuge di voler intraprendere l'adozione legittimante di un minare ai sensi dell'art. 22 della legge n. 183 del 1984.

Il giudice a quo ricorda infine come questa Cor­te, nella sentenza n. 183 del 10 ebbraio 1988, ab­bia sostenuto che il motivo che condizionò il le­gislatore del 1983 a fissare il divario di età fra adottanti e adottando nel minimo di diciotto anni e nel massimo di quaranta fu dettato dalla neces­sità di adeguare la legislazione in materia di ado­zione agli artt. 7, numero 1, e 8, numero 3, della Convenzione di Strasburgo.

2. - Si è costituita la parte privata aderendo alle argomentazioni del giudice rimettente e de­positando altresì, nell'imminenza dell'udienza, una memoria in cui si osserva come il legislatore da un lato, consentendo ai genitori sedicenni di riconoscere e legittimare il figlio naturale, abbia riconosciuto loro idoneità fisiologica alla pro­creazione, dall'altro contraddittoriamente non ab­bia ritenuto tale scarto di anni sufficiente a con­sentire al minore l'attribuzione di uno status fa­miliare. Secondo la difesa, i principi del favor minoris e della parificazione della filiazione adot­tiva a quella naturale consentono di verificare l'irrazionalità della norma impugnata, che viole­rebbe l'art. 3 della Costituzione «per manifesta diversità di regolamentazione di ipotesi analo­ghe».

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura dello Stato la quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità ovvero d'infondatezza, osservan­do come il giudice a quo abbia posto a raffronto situazioni non omogenee ed abbia altresì confuso la differenza minima di età tra adottante ed adot­tando con l'età minima necessaria per avere la capacità di riconoscere il proprio figlio o di ri­chiedere la legittimazione.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Sezione per i minorenni della Corte d'appello di Venezia dubita della legittimità co­stituzionale dell'art. 44, ultimo comma, della leg­ge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozio­ne e dell'affidamento dei minori), in relazione agii artt. 3 e 30, prima, secondo e terzo comma, della Costituzione «nella parte in cui prevede per colui che voglia adottare un minore la differenza minima di età di diciotto anni anziché sedici, co­me stabilito invece per il riconoscimento di pa­ternità e maternità ex art. 250 c.c. e per la legit­timazione ex art. 284 c.c.».

2 - Non sono invocabili i tertia comparatio­nis di cui agli artt. 250 e 284 del codice civile, in quanto regolano situazioni non omogenee, con la conseguenza che su di essi non può argomen­tarsi violazione del principio di eguaglianza con­tenuto nel precetto dell'art. 3 della Costituzione.

Non è sufficiente infatti che la norma impugna­ta e quelle richiamate a confronto abbiano a de­nominatore comune l'acquisto di uno status fa­miliare di filiazione riconosciuta, legittimata, adottiva. Le tre norme sono ispirate ciascuna da una peculiare ratio, e le due, artt. 250 e 284 del codice civile, che richiedono il compimento dei sedicesimo anno d'età per i genitori che inten­dono procedere al riconoscimento o alla legitti­mazione della prole naturale, stabiliscono un da­to temporale iniziale concettualmente non assi­milabile al dato temporale di distanza quale quel­lo di diciotto anni richiesto dalla norma impu­gnata come differenza d'età tra adottante e adot­tando.

L'impostazione erronea del rapporto tra soglia minima d'età per il riconoscimento o per la le­gittimazione della prole generata e distanza d'età tra adottante e adottando deriva da una non car­retta quanto tradizionale interpretazione del cri­terio «adoptio imitatur naturam». Tale criterio, innanzi tutto, non assume la consistenza di un principio giuridico, per cui l'istituto dell'adozio­ne debba essere regolato come species artificia­le della filiazione e modellarsi, al pari di questa, sugli stessi presupposti di natura, tra i quali la maturità fisiologica alla generazione.

La formula riflette piuttosto una esigenza etico­sociale avvertita già prima del diritto giustinia­neo, che l'adottivo non fosse più anziano dell'a­dottante, così come il figlio generato non può esserlo per natura rispetto al proprio padre. E tuttavia, che non si trattasse di una regola di di­ritto, lo prova il dibattito interno al diritto roma­no classico se l'adottante potesse essere più giovane dell'adottando, come è attestato essere alcune volte realmente accaduto. È Giustiniano ad imporre la regola che l'età dell'adottante pre­ceda di almeno diciotto anni quella dell'adottarti­do. E siffatta regola, attraverso il diritto comune, ha raggiunto le legislazioni moderne.

L'indicazione giustinianea dei diciotto anni co­me plena pubertas non ha alcun riferimento bio­logico, intesa com'è ad utilizzare una mera ana­logia nominis per definire un intervallo temporale più esteso dei quattordici anni richiesti per la pubertà.

La fissazione della distanza d'età in diciotto anni deve intendersi storicamente dettata da ra­gioni di opportunità sociale ponderate dal legi­slatore senza giustificazioni naturalistiche ester­ne alla sua volontà.

3. - Il legislatore italiano ha recepito dal Co­dice sardo del 1838, art. 188, l'intervallo dei di­ciotto anni nel codice civile del 1865, art. 202, e in quello del 1942, art. 291. In quest'ultimo, la possibilità di deroga («Quando eccezionali cir­costanze lo consigliano, la Corte d'appello può autorizzare l'adozione se l'adottante ha raggiun­to almeno l'età di anni quaranta e se la differen­za di età tra l'adottante e l'adottando è di almeno sedici anni») non era prevista dal Progetto e nel­la Relazione del Guardasigilli Grandi fu giustifi­cata sia perché rimesso alla Corte d'appello «il valutare le circostanze del caso» sia perché «la differenza minima di sedici anni salva sempre il tradizionale principio: adoptio imitatur naturam».

La legge n. 431 del 1967, art. 1, sull'adozione speciale, ripristinava la differenza d'età di diciot­to anni («Quando eccezionali circostanze lo con­sigliano, il tribunale può autorizzare la adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'età di trenta anni, ferma restando la differenza di età di cui al comma precedente [scil. diciotto anni]»).

La legge n. 184 del 1983, nel riordinare e rin­novare organicamente la disciplina dell'adozio­ne e dell'affidamento dei minori, stabilisce all'art. 6, secondo comma: «L'età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di qua­ranta anni l'età dell'adottando».

Si tratta qui dell'adozione cosiddetta «legitti­mante», destinata a dare ai minori in stato di ab­bandono una famiglia degli affetti sostitutiva di quella di sangue. Come ha già rilevato questa Corte, «il legislatore italiano, che nel codice civi­le sì era limitato alla regola romana, nella legge del 1983, stabilendo la distanza minima di età, che coincide oggi con gli anni della maggiore età, si adegua alla Convenzione europea: infatti ex art. 84 del codice civile, la capacità matrimo­niale si acquista con la maggiore età, cioè a 18 anni. Se si calcolano i tre anni di matrimonio ri­chiesti ex art. 5, primo comma, della legge n. 184 del 1983 perché i coniugi possano adottare, si raggiunge il limite minimo dei 21 anni stabilito dall'art. 7, n. 1, della Convenzione di Strasburgo.

«Il limite massimo stabilito in 40 anni, 5 in più rispetto ai 35 della Convenzione europea è dovu­to alla elevazione dell'età degli adottabili da 8 an­ni della legge del 1967 ai 18 della legge del 1983.

«La diminuzione del minimo da 20 a 18 e del massimo da 45 a 40 ha la funzione di offrire al minore genitori adottivi giovani, in modo che il modello della famiglia degli affetti sia non dissi­mile nel divario generazionale da quello della famiglia del sangue» (sentenza n. 183 del 1988).

Il criterio «adoptio imitatur naturam» liberato da vincolanti riferimenti biologici e opportuna­mente collegato con usi sociali, trova la sua tra­duzione moderna nell'art. 8, numero 3, della Con­venzione di Strasburgo: «En règle générale, l'au­torité compétente ne considérera pas comme remplies les conditions précitées si la différence d'âge entre l'adoptant et l'enfant est inférieure à celle qui sépare ordinairement les parents de leur enfants».

Nel contesto della stessa legge n. 184 del 1983, per i casi particolari sussunti nel titolo IV è ri­chiesta ancora una volta la distanza d'età di di­ciotto anni (art. 44, quinto comma: «In tutti i casi l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l'età di coloro che intende adottare»).

Il ricorrere del dato temporale dei diciotto an­ni nella tradizione legislativa italiana, la lunga­mente meditata elaborazione della vigente legge n. 184 del 1983, nonché la considerazione stori­camente innanzi dimostrata che il termine diciot­tennale è frutto di ponderazione dei legislatore senza immediato riferimento naturalistico che valga ricerca di giustificazione esterna alla vo­luntas legis, fanno sì che l'art. 3 della Costitu­zione, come non risulta valido ai fini della indi­viduazione di lesione del principio di eguaglian­za, non lo è del pari per fondare una valutazione di non ragionevolezza.

4. - La questione è, invece, fondata con rife­rimento all'art. 30, primo e terzo comma, della Costituzione, nel valore complessivo espresso, che è quello dell'unità della famiglia. La parti­colare specie di adozione prevista sub b), dai prima comma dell'art. 44 il coniuge che adotta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge è ispirata al fine di consolidare l'unità familiare. Senza lo strumento adozionale così impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata nel ma­trimonio, la prole riconosciuta o adottata da uno dei coniugi resterebbe estranea all'altro coniu­ge, non porterebbe il cognome dei fratelli uterini generati in circostanza di matrimonio, vivrebbe, anche in una forte coesione affettiva, il disagio sociale della manifesta diversità di origine con passibili disarmonie nella formazione psicolo­gica e morale. Il ricorso all'adozione ex art. 44, primo comma, lett. b), evitando le conseguenze dello scenario descritto, agevola una più com­piuta unione della coppia e della prole.

Se però il non raggiunto divario d'età dei di­ciotto anni tra il coniuge adottante e il minore adottando fosse considerato in ogni caso indero­gabile, la realizzazione del valore costituzionale dell'unità della famiglia potrebbe risultarne com­promessa. Affinché la norma impugnata non ri­sulti in contrasto con l'art. 30, primo e terzo comma, della Costituzione, limitatamente all'ipo­tesi di cui alla lett. b), dell'art. 44, primo comma, della legge n. 184 del 1983, il giudice competen­te, previo attento e severo esame delle circo­stanze del caso, al fine di corrispondere all'indi­cato preminente valore etico-sociale inscritto in Costituzione, può accordare una ragionevole ri­duzione dei termine diciottennale.

 

Per questi motivi

La Corte costituzionale

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 44, quinto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, limitatamente al disposto della. lett. b) del primo comma, non con­sente al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni.

 

 

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