Prospettive assistenziali, n. 91, luglio-settembre 1990

 

 

Specchio nero

 

 

TRATTATO PEGGIO DI UNA BESTIA

 

Riportiamo integralmente l'articolo «Undici anni legato al letto» di Filippo Veltri, apparso su La Repubblica del 28 marzo 1990.

 

Vive dimenticato da tutti. Da undici anni legato a un letto, vicino a un termosifone, per non fare del male a se stesso e agli altri. È la triste storia di Giuseppe Cosco, 23 anni, un cerebropatico di Catanzaro, che passa le sue lunghe giornate con i polsi assicurati a un letto. Si alza una sola volta la settimana, nel suo giorno di «festa», quando gli infermieri gli fanno la doccia. Per il resto vive come un animale in gabbia. Uno scandalo in piena regola, anche se i medici del Dipartimento di salute mentale dell'Unità sanitaria locale numero 18 di Catanzaro fanno notare come il vero ed autentico scandalo sia quello che Giuseppe non abbia che poche speranze, perché nel territorio dell'Usl di Catanzaro non esistono strut­ture alternative per malati gravi del tipo di Giuseppe.

L'incredibile storia di questo ragazzo - i capelli tagliati a zero, lo sguardo perso nel vuoto - comincia a Simeri Crichi, dove ventitré anni fa nasce Giuseppe. Simeri Crichi è un piccolo pae­se nell'hinterland catanzarese e Giuseppe è l'ul­timo figlio di una ragazza madre, anche lei co­stretta a far ricorso a varie cure per malattie mentali. Giuseppe presenta appena nato dei pro­blemi e lo legano ad un letto. Subito dicono che è l'unico modo per non fargli fare del male. Nei primi anni settanta viene ricoverato in un istitu­to privato del Nord, poi torna in Calabria dove passa da un manicomio a un altro. Sempre lega­to e sempre impossibilitato a muoversi. Nel 1980 viene ricoverato nelle strutture pubbliche di Catanzaro, prima nell'Ospedale vecchio, poi nella nuovissima casa di cura «Villa Bianca», una ex clinica privata che oggi ospita il Policlinico dell'Università, nel quartiere Mater Domini. Qui medici e infermieri sono alle prese con un caso difficilissimo. Giuseppe ha reazioni violente. In passato ne hanno subito le conseguenze medici, infermieri, psicologi. È un autentico toro. Non riescono a frenarlo. Tempo fa ha lanciato un por­tacenere contro uno degli aiuti del primario, il professor Massimo Aria, un medico da anni tra­piantato in Calabria e che inutilmente sta lottan­do per far capire a chi gestisce la sanità pubbli­ca a Catanzaro e in Calabria che Giuseppe non può vivere in questo modo.

Per non fargli fare del male, infatti, sono stati costretti a legarlo con strisce di cuoio al letto. E le strisce di cuoio sono assicurate a punti fer­mi con delle catene. In termine tecnico si dice che lo hanno «assicurato». Catene o cuoio però non fa differenza. Non è la forma quello che con­ta. Neanche la notte Giuseppe è libero nei suoi movimenti, dal tronco in su. Scalcia violentemen­te, alla ricerca di un attimo di libertà che nessu­na però gli può concedere. Spesso è costretto a dormire nella stessa posizione, non si può gi­rare su un fianco ma la sua vitalità è enorme. A letto è costretto a fare tutto. I pochi infermieri cercano di alleviargli l'inaudita sofferenza che resta però sempre enorme e senza possibilità di via d'uscita.

Le segnalazioni del professor Aria e dei suoi aiuti non hanno dato finora alcun esito tangibile. «II vero scandalo - dicono i medici del reparto di salute mentale di Catanzaro - è proprio che la situazione di Giuseppe appare senza sbocco perché qui non sono state create le strutture al­ternative». A Catanzaro città altri malati sono nella stessa situazione di Giuseppe anche se non sono stati legati al letto perché la loro condizio­ne non lo richiedeva. Ma è tutto il problema dell'assistenza psichiatrica che viene oggi alla sco­perto con la terribile storia di Giuseppe Cosco. Nelle strutture pubbliche gli ammalati con gravi patologie come quelle di Giuseppe non potreb­bero restare che un mese (1). Ma al di fuori non esiste niente ed allora «meglio qui - dice il dottor Carlo Curti, primario del servizio psichiatrico sul territorio - che in qualche ospedale privato». Dove la situazione non è granché diversa rispetto a quella di Catanzaro. Anzi è sicuramente peggio­re. Giuseppe Cosco e la sua storia rappresenta­no, insomma, una sorta di «inevitabile necessità - la definizione è di un medico psichiatra di Catanzaro - in una situazione complessiva dove i lungodegenti psichiatrici gravi non hanno uno sbocco». La denuncia è di Massimo Aria, il prima­rio del servizio psichiatrico di diagnosi e cura: «La vicenda di Giuseppe è la punta di un iceberg. Ripeto quanto vado dicendo da anni: altri tre de­genti da cinque anni sono nella stessa situazione di Giuseppe. Non ci si può meravigliare e scan­dalizzare solo oggi e solo per questo».

Per il futuro c'è una possibilità di sbocco. Nell'ultima seduta del consiglio regionale, infatti, l'assessorato regionale alla Sanità ha fatto vara­re un provvedimento che si spera possa final­mente sbloccare la situazione dei lungodegenti.

 

 

 

(1)     Questa affermazione non è esatta in quanto le leggi 180/1978 e 833/1978 non stabiliscono alcun limite tempo­rale del ricovero presso le strutture sanitarie pubbliche.

 

 

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