Prospettive assistenziali, n. 92, ottobre-dicembre
1990
ESPERIENZE DI FORMAZIONE
PRELAVORATIVA PER SOGGETTI CON INSUFFICIENZA MENTALE
MARCELLA RAGO
Grazie alla spinta non indifferente del CSA e delle
Organizzazioni sindacali, il Comune di Torino ha dato avvio, nel 1983, ai
corsi prelavorativi.
Questi corsi sono nati come risposta agli allievi
handicappati intellettivi che, all'uscita dalla scuola dell'obbligo, presentano
difficoltà nell'apprendimento non così lievi da consentire la frequenza ad un
corso normale di formazione professionale (fina a raggiungere (a qualifica),
non così gravi da finire nel circuito assistenziale.
I nostri allievi sono in pratica ragazzi che necessitarci
di essere seguiti in modo «particolare», ma all'interno di una struttura
scolastica normale, per il bisogno di socializzazione, soprattutto durante
l'adolescenza.
L'esperienza dei corsi prelavorativi
In concreto, dal 1983 ad oggi, si è organizzato e
successivamente migliorato un iter formativo costituito da un certo numero di
ore di attività scolastica all'interno del centro ed (in determinato numero di
are di formazione all'interno del mondo produttivo, attraverso l'attività di
tirocinio presso aziende pubbliche e private.
Secondo quanto contenuto nel verbale di intesa
siglato tra l'Assessorato al lavoro del Comune di Torino, le Organizzazioni
sindacali e le Associazioni (1), l'attuale durata dei corsi, sulla base di
specifici progetti da realizzare nell'ambito delle disposizioni della legge
nazionale 845/78, della legge regionale 8/80 ed utilizzando tutte le
disponibilità previste dalla Circolare regionale in materia di formazione
professionale per l'anno in corso 1989/00, risulta articolato in 900 ore annue,
per un periodo complessivo di tre anni.
L'iscrizione al corsa viene fatta direttamente
dall'allievo (nella maggioranza dei casi accompagnato dalla famiglia) alla
Commissione dei corsi prelavorativi, la quale, io seguito all'esame della
scheda conoscitiva ed al risultato del test psico-attitudinale proposto
all'allievo, valuta l'ammissione al corso.
L'ammissione al corso viene fatta tenendo conto, soprattutto,
che l'esclusione dalla frequenza ai corsi significa quasi sempre la
collocazione in una situazione di dipendenza assistenziale per tutta la vita.
Rispettando la proporzione insegnante/allievo
nell'ordine di 1/6, si prefigurano classi di 15/18 allievi di cui saranno
titolari 2/3 insegnanti.
Il
programma didattico prevede tre obiettivi generali:
- mantenimento ed approfondimento (dove è possibile)
degli apprendimenti acquisiti nei percorsi scolastici precedenti;
--
capacità di comunicare con l'esterno attraverso gli strumenti esistenti nel
territorio;
- conoscenza degli aspetti politecnici dei vari
settori del mondo produttivo (da realizzare e verificare durante l'attività di
tirocinio) attraverso visite didattiche- guidate e attività in laboratorio.
Ogni
argomento viene trattato in classe seguendo tre aree:
- area
professionale. Si affronta l'aspetto tecnico e pratico di un argomento o di
una attività utilizzando gli strumenti esistenti nello spazio classe, nel
laboratorio attrezzato (in più settori) e all'esterno del centro (servizi
pubblici, iniziative sociali, visite guidate, ecc.);
- area
linguistica. L'obiettivo è favorire la capacità di comunicare messaggi
orali e scritti e a comprenderli; educare all'ascolto ed alla discussione;
favorire l'uso di un linguaggio il più possibile appropriato e preciso;
recuperare, con atteggiamento critico, le esperienze già vissute;
- area logico-matematica. Ha la finalità di stimolare l'allievo a porsi di fronte a
situazioni matematiche per confrontare ed utilizzare i risultati di esperienze
precedenti in modo da risolvere nuove e più complesse situazioni. In concreto,
i nostri ragazzi, nella maggioranza dei casi, sanno risolvere operazioni con
l'addizione e la sottrazione ma non sono in grado di utilizzare questa capacità
durante situazioni e problemi reali. Ad esempio, nella simulazione della compravendita
non sono in grado di calcolare la somma di una spesa e l'eventuale resto dopo
il pagamento. Avviene spesso anche il contrario; alcuni allievi sono in grado
di gestire il denaro in modo corretto, mentre, invece, provano una forte reazione
verso tutto ciò che è scolastico.
Obiettivi dei corsi prelavorativi
L'esperienza dei corsi prelavorativi dimostra che uno
dei principali obiettivi da raggiungere è l'autonomia personale attraverso
l'esperienza, e quindi mediante l'integrazione sociale in tutti ì suoi aspetti,
integrazione che è, nello stesso tempo, fisica e funzionale. Infatti il
soggetto utilizza, insieme ad altri, gli ambienti fisici ed impara a
padroneggiarne l'uso (mezzi e servizi pubblici, mangiare in un ristorante,
ecc.). Si parla dunque di ambienti e servizi normali, non di strutture
speciali.
Mediante l'integrazione personale e societaria il
ragazzo sviluppa il bisogno di interazione personale con altre persone; si
esprime come cittadino riconoscendo ciò che è suo diritto e suo dovere.
Si può, in questo modo - e l'esperienza lo conferma -
arrivare a preparare un disabile socialmente integrato, competente ed attivo
nei vari aspetti del comportamento adattivo e nelle varie abilità funzionali.
Un handicappato più abile è senza dubbio più sereno,
meno sottoposto al rischio di negazione della propria identità. Infatti i
nostri ragazzi molto spesso sono socialmente classificati come «diversi»;
inoltre ad essi è negato ogni bisogno specifico, spacciando per conflitti e
disturbi psicologici individuali ciò che invece sono problemi oggettivi e
sociali, riducendo la questione della libertà e del diritto ad uno scarso
adattamento individuale alla realtà socio-ambientale precostituita e
controllata dall'alto.
È accertato che l'integrazione sociale è connessa
con quella lavorativa, essendo entrambe le due facce del divenire adulto, anche
se, purtroppo, questa relazione di complementarietà non è sempre riconosciuta
ed attivata.
Nel corso prelavorativo una quota rilevante di
formazione avviene nel contesto produttivo attraverso l'attività di tirocinio
che è svolta durante due giorni settimanali.
Mediante il tirocinio i nostri allievi iniziano ad
acquisire motivazioni forti, perché sono in mezzo agli altri lavoratori,
ricevono gratificazioni, acquistano sicurezze, non sono più solo semplici
fruitori di azioni, ma sono in grado di interagire offrendo una parte di sé.
Infatti se inserito in un contesto di normalità
all'interno delle varie unità produttive, il ragazzo ha la possibilità di
trovare la motivazione e la forza necessarie per assumersi l'onere di una
attività che sfrutti le sue capacità seppur ridotte.
Handicappati intellettivi e malati di mente
È il caso qui di sottolineare che l'handicappato
intellettivo non è un malato di mente, e quindi, pur presentando una
minorazione nella riduzione delle facoltà intellettive, spesso possiede capacità
lavorative tali da assicurare una resa produttiva che in genere è inferiore
alla norma, ma è continua e non crea problemi per quanto concerne la sua
sicurezza personale e quella dei compagni di lavoro e degli impianti.
Nel sottolineare la differenza tra handicap intellettivo
e malattia mentale, mi vengono in mente alcuni casi significativi che
dimostrano come la società etichetta le persone non desiderate ponendole in una
unica categoria definita di «diversi» o «devianti».
È importante notare come questo processo di «stigmatizzazione»
non ha in concreto la funzione sociale di ottenere l'appoggio della società
all'individuo in difficoltà, ma piuttosto quella di escluderlo da campi di
concorrenza come, ad esempio, l'esclusione dal mondo del lavoro, delle
minoranze.
La definizione di handicap è, nella maggioranza dei
casi, una sentenza riduttiva e svalutativa. L'esperienza ci insegna che questo
approccio è scorretto; mi è capitato, infatti più volte di incontrare, dopo
anni, ex allievi definiti handicappati che sono riusciti ad inserirsi
adeguatamente nel mondo del lavoro, e notare un elevato cambiamento personale
nel modo di esprimersi, di vestirsi, di presentarsi.
È bello poter finalmente trattare con loro alla pari,
ma è altrettanto spiacevole quando succede il contrario.
Infatti, è anche successo, girando per la città, di
assistere a scene definite di insofferenza e riconoscere nei protagonisti ex
allievi, che non hanno mai trovato un lavoro (pur avendo buono capacità lavorative)
né amici, che girano soli per la città passando il loro tempo libero in solitudine
ed inattività.
Finalmente, grazie al mancato appoggio della società,
al mancato riconoscimento dei diritti, siamo «costretti» a definirli «devianti»,
e concludere che sono dei poveri incapaci, inaffidabili che non sono riusciti
ad adeguarsi alla realtà causa i loro disturbi psicologici.
Questo é ciò che si può sostenere ufficialmente, per
garantire «l'ordine sociale precostituito», ma noi che lavoriamo da anni nel
settore, sappiamo che non è così, che non è avvenuto in loro un rifiuto per le
regole del vivere sociale, ma una «ribellione» nei confronti della situazione
di emarginazione in cui vengono costretti a vivere alcuni individui dotati di
scarso potere sociale.
In assenza di una adeguata rete di servizi e dì
opportunità, dopo la scuola, per la persona handicappata si presenta il rischio
di una traumatica rottura rispetto ai percorsi precedenti: la scuola
rappresenta l'ultimo sbarramento alla sfiducia definitiva, alla conferma
sociale della irrecuperabilità e della emarginazione.
È significativo come proprio in questo periodo molti
genitori sentano la necessità di garantire ai loro figli una sopravvivenza
economica con la richiesta della pensione di invalidità.
Come osserva E. Goffman nel libro «Stigma»:
«La carriera
del deviante è essenzialmente determinata dal trattamento che la società
riserva alla persona che essa etichetta come tale; egli è, fin dall'inizio, la
vittima di una situazione di ingiustizia sociale; i devianti sono quindi una
somma di singoli individui dotati di scarsissimo potere».
Ritornando ai corsi prelavorativi, in qualità di
insegnante, posso affermare, riferendomi anche all'esperienza di altri colleghi
con più anni di servizio, che i percorsi seguiti dai singoli allievi durante la
frequenza dei corsi sono sempre stati contrassegnati da una positiva e progressiva
evoluzione in senso globale.
Occorre quindi attivarsi per mantenere e migliorare
la innovativa esperienza torinese e fare in modo che essa sia estesa ad altre
zone.
L'inserimento lavorativo: un problema da risolvere
Il
problema più complesso sorge al termine del ciclo formativo.
Dopo aver parlato in merito alle risorse proprie del
soggetto portatore di handicap intellettivo, occorre sottolineare che, per
proseguire il cammino verso la costruzione di una propria identità e
l'integrazione sociale, questi necessita di altre risorse che interagiscano con
le sue.
Ciò presuppone che gli investimenti delle parti
sociali non sì fermino al livello della formazione professionale, ma proseguano
nel campo occupazionale.
Il lavoro per la persona handicappata ha lo stesso
valore che può avere per qualsiasi altra persona. Infatti è fonte di identità
personale, occupa una parte preponderante della vita e determina lo status
sociale.
I nostri allievi esprimono continuamente il desiderio
di avere un lavoro e una famiglia, di uscire, avere amici: tutte cose che
troppo spesso vengono loro negate.
Un mio allievo mi diceva che quando all'una esce da
scuola, si sente come un treno che entra in una galleria buia e stretta,
perché la sua vita dopo la scuola è triste, è buia perché non sa cosa fare ed è
stretta perché verrebbe uscire e fare delle cose ma non sa con chi e dove. Pertanto,
sta in casa da solo per tante lunghe ore.
Finalmente la Corte costituzionale, attraverso la
sentenza n. 50/1990 ha stabilito che «sul
piano costituzionale oltre che su quello morale, non sono ammissibili esclusioni
e limitazioni volte a relegare in situazioni di isolamento e di assurda
discriminazione soggetti che, particolarmente colpiti, hanno all'incontro pieno
diritto di inserirsi capacemente nel mondo del lavoro, spettando alla
Repubblica l'impegno di promuovere ogni prevedibile condizione organizzativa
per rendere effettivo l'esercizio di tale diritto».
Nella tradizione antica, la persona minorata era oggetto
di carità; nulla era tentato per il suo recupero, anzi si faceva di tutto
perché vivesse ai margini della comunità.
Oggi la concezione del problema è mutata perché una
società che si definisce civile deve pensare in termini diversi; la promozione
umana è un valore indiscutibile.
La responsabilità è cri tutti perché l'individuo non
è un meccanismo che funziona per conto proprio; non è il suo modo di essere
individuo che determina il suo modo di essere sociale: purtroppo é vero il
contrario.
Conclusioni
Non è sufficiente affermare che tutti hanno diritto
al lavoro, ma è necessario attivarsi perché tutti abbiano il diritto non solo
al lavoro, ma ad una vita dignitosa.
Penso che, dopo questi anni definiti di sperimentazione,
si debba arrivare ad un riconoscimento definitivo del corso prelavorativo
quale momento obbligatorio di passaggio dalla scuola dell’obbligo al mondo del
lavoro per evitare la frammentazione delle iniziative caratterizzate da ogni
passaggio di assessore.
Questa frammentarietà può creare inizialmente
l'illusione di poter aggredire e risolvere il problema, ma nel concreto non
determina sinergie, limita lo sviluppo di ulteriori conoscenze perché si
ritorna a discutere di concetti già noti e verificati in precedenza.
Inoltre solleva situazioni di confusione e disagio
tra gli operatori che devono inventare ogni volta nuove iniziative non basate
su criteri pedagogici e scientifici, ma su richieste spesso non sostenute da
una cultura adeguata.
Ritengo, inoltre, che l'evoluzione in positivo dei
nostri corsi a livello di contenuti è frenata altresì dalla confusione dei
ruoli. Se c'è confusione di ruoli, al posto di uno scambio costruttivo e di
progettazioni comuni tra servizi implicati nella gestione del problema, avviene
uno scambio di deleghe che generalmente crea conflitti e assorbe gran parte
delle risorse sociali, umane e professionali. In questo modo le risorse vengono
utilizzate per altri obiettivi che non hanno alcuna attinenza con il settore in
oggetto.
Emerge quindi l’urgenza di sgombrare il campo non
solo dai pregiudizi e dagli stereotipi che deformano «l'immagine dell'altro»,
ma anche da persone non sensibili e non preparate a gestire questo settore.
(1) Cfr. «Seconda intesa sui corsi
prelavorativi per insufficienti mentali sottoscritta da Comune di Torino, Sindacati
e Associazioni», in Prospettive
assistenziali, n. 89, gennaio-marzo 1990.
www.fondazionepromozionesociale.it