Prospettive assistenziali, n. 92, ottobre-dicembre
1990
L'ISTITUZIONALIZZAZIONE MINORILE IN
BASILICATA
ASSUNTA BASENTINI (*)
Da tempo si avvertiva nel contesto operativo del
Tribunale per i minorenni di Potenza l’esigenza di conoscere la dimensione di
un fenomeno, l'istituzionalizzazione, che è un po' lo specchio del disagio
minorile anche in questa Regione, la cui storia e cultura, pur avendo subìto
un significativo processo evolutivo alle soglie del duemila, comprendono
realtà sociali difficili e refrattarie al cambiamento.
Per la rilevazione dei dati sono stati utilizzati una
scheda appositamente elaborata da noi e compilata dai funzionari dei servizi
socio-assistenziali delle 7 USL della Regione, ed una intervista telefonica
semiaperta fatta ai direttori o ad altre figure responsabili dei singoli istituti.
Non sempre è stato possibile acquisire risposte
chiare e definite: alcuni istituti hanno manifestato una certa difficoltà nel
comunicare con l'altra parte del mondo.
I dati ricavati sono stati riportati in alcune tabelle.
La tabella 1 riporta l'elenco degli istituti operanti nell'intero territorio
regionale, suddivisi per provincia. Sono stati individuati 47 istituti di cui
34 in provincia di Potenza pari al 72% (9 maschili pari al 26%; 17 femminili,
pari al 50% e 8 misti pari al 24%). Nella provincia di Matera gli istituti sono
13, pari al 28% (2 maschili pari al 15%, 8 femminili pari al 61% e 3 misti pari
al 24%).
Nell'anno 1989 sono stati ricoverati 595 minori
nell’ambito della Regione (98%) e 11 fuori Regione (2%).
È emersa una netta prevalenza d'istituti femminili
nella Regione; essi costituiscono il 53,20% (n. 25) del totale, con il 43% dei
ricoveri (n. 256 minori di sesso femminile); gli istituti maschili
rappresentano il 23,40% (n. 11) con il 32% di minori (n. 190) di sesso
maschile ricoverati.
Sono stati individuati 11 istituti «misti» pari al 23,40%
del totale che accolgono il rimanente 25% di minori di sesso maschile e femminile,
la cui età è compresa (tranne qualche eccezione) nella fascia 0-10 anni (n. 149
minori). Va sottolineato, pur non essendo stato possibile rispetto a questa
percentuale di ricoveri, acquisire elementi specifici, che i minori di sesso
maschile accolti in questi istituti sono comunque una minoranza.
Per quanto riguarda la «tipologia» dei ricoveri dal
punto di vista amministrativo, l'indagine ha evidenziato quanto segue: il 76%
dei ricoveri regionali (n. 451) sono provvedimenti delle USL (in qualche caso
eccezionale dei Comuni), il 24% (n. 144) di ricoveri sono invece provvedimenti
dell'autorità giudiziaria; sui ricoverati extraregionali, che rappresentano
soltanto il 2% del totale (n. 11) non sono state fornite notizie precise, ma
riteniamo che si tratti prevalentemente di provvedimenti delle USL.
La tabella n. 4 fornisce un quadro generale delle
percentuali dei minori ricoverati per ciascuna fascia d'età individuata.
Solo il 2% dei minori (n. 14) appartiene alla fascia
0-3 anni, il 6% (n. 33) ha un'età compresa fra 3 e i 6 anni; il 16% rientra
nella fascia 6-10 anni, il 76% appartiene infine alla fascia 10-18 anni.
La tabella n. 5 evidenzia nel quadro A i ricoveri
motivati da disagi familiari (sono 314) pari al 52,77% e i ricoveri per motivi
scolastici (sono 281) che rappresentano il 47,23% del totale. Nella voce «disagi
familiari» sono incluse le diverse forme del disagio sociale e della patologia
familiare-relazionale:
1)
condizioni abitative e sociali inadeguate;
2)
difficoltà di inserimento scolastico;
3)
emigrazione dei genitori;
4)
handicaps dei minori;
5)
inadeguatezza organizzativa e pedagogica delle figure genitoriali;
6)
patologia psichiatrica conclamata di uno o di entrambi i genitori;
7)
prostituzione, alcoolismo:
8)
maltrattamenti nei confronti del minore;
9)
comportamenti devianti del minore.
Un altro aspetto non quantificato, ma «significativamente»
presente nel fenomeno della istituzionalizzazione minorile regionale è
costituito dal ricovero di più minori dello stesso nucleo familiare.
Per quanto riguarda la spesa, è emerso che per il
90,75% dei minori ricoverati nella Regione (n. 540) la retta giornaliera è di
L. 14.000, per il 2,18% (n. 13) dei minori è di L. 19.000; per il 7,7% n. 42)
dei minori è di L. 7.000 al giorno.
Il quadro C, relativo ai ricoveri extraregionali, evidenzia
quanto segue: al 54,54% dei ricoveri corrisponde la retta di L. 14.000, al
27,27% la retta di L. 7.000; al 9% dei ricoveri L. 40.000 al giorno, al
rimanente 9% infine L. 60.000 al giorno.
La spesa, relativamente al 1989, ammonta per ricoveri
regionali a L. 2.860.286.000; per i ricoveri extraregionali a L. 74.825.000.
Il costo totale dei ricoveri è di L. 2.935.111.000.
Dalla tabella 6 infine si evince la situazione relativa all'affidamento
etero-familiare nell'anno 1989.
Sarebbero stati realizzati 106 affidamenti, di cui n.
68 pari al 65%, con provvedimento delle USL e n. 38 con provvedimenti
dell'Autorità giudiziaria pari al 35%.
Nonostante la scheda inviata alle USL prevedesse
notizie specifiche sulle caratteristiche temporali e «progettuali» degli
affidamenti, non sono state registrate risposte chiare e quantificabili, se
non nel caso di una Unità sanitaria locale, che ha fornito un quadro
dettagliato del fenomeno.
Come primo dato «sommerso» va osservato che si
tratta, nella maggioranza dei casi, di affidamenti parentali a tempo
indeterminato, per i quali la «presenza» operativa del servizio sociale si
riduce troppo spesso ad una operazione burocratica che si esaurisce nella
erogazione di un contributo economico.
Questi
i dati dell'indagine.
Vorrei
ora tentare una lettura analitica e «critica» di questa realtà.
Il lavoro quotidiano di osservazione e diagnosi del
disagio minorile svolto nei contesto del Tribunale per i minorenni mi ha
consentito di «leggere» la condizione del bambino in difficoltà,
appropriandomi del suo linguaggio (inteso come bagaglio esperienziale) e delle
sue modalità percettive.
La «presa in carico» di storie difficili, di diritti
negati, mi pone ogni giorno dalla parte dì questa folla solitaria e silenziosa,
costituita da piccoli uomini e piccole donne i cui bisogni, aspettative e desideri,
«crescono» soffocati insieme a loro in una famiglia inadeguata, o in un
istituto all'interno del quale il massimo della gratificazione è ricevere a
Natale una maglia o un paio di scarpe in dono dalla suora o dalle signore
dedite alle opere di carità.
La realtà del disagio minorile è senz'altro complessa
e poliedrica, e l'interesse verso i minori da parte dei mass-media, della
stampa, delle istituzioni è, a parer mio, solo apparentemente «corretto»;
troppo spesso l'attenzione è rivolta prevalentemente alla notizia di cronaca.
Un bambino allontanato dalla famiglia d'origine con
un provvedimento dell'autorità giudiziaria diventa un caso clamoroso che
suscita reazioni e commenti superficiali ed inadeguati in questa cultura
«adultistica» pronta a difendere l'istituzione familiare, o meglio il legame
di sangue, a qualsiasi condizione.
Se provassimo un attimo a modificare o adattare la
nostra percezione di cittadini modello, di operatori sociali impegnati, di
genitori, di politici, di magistrati, a quella obiettiva e reale dei bambini
che trascorrono la loro infanzia e talvolta l'adolescenza in una famiglia a «rischio»
o in un grigio istituto, dove il tempo e lo spazio non hanno storia, ma solo
regole che garantiscono appena la sopravvivenza (quella fisica), probabilmente
perderemmo molte delle certezze e convinzioni che alimentano il nostro sistema
di valori.
Nonostante il gran parlare del bambino e dei suoi
diritti, sembra di assistere, negli ultimi anni, ad un fenomeno culturale
negativo di paradossale chiusura e negazione del bambino come persona. non
soltanto in termini generali ma anche rispetto ad alcune aree del sociale,
direttamente interessate alla tutela del minore.
Non esiste il mondo dell'infanzia, è un fantasma
degli adulti; esistono i bambini, alcuni felici, fortunati, molti altri
infelici e tristemente soli a lottare per riappropriarsi della loro storia e
per scoprire la loro identità.
Una solitudine e un abbandono che quasi sempre hanno
origine nella famiglia d'origine e troppo spesso paradossalmente vengono
confermati e rinforzati da una realtà sociale ed istituzionale nell'ambito
della quale il bambina si trova a rivestire funzioni e ruoli che non gli
appartengono per garantire i bisogni, l'equilibrio e l'immagine dell'adulto...
Sono ormai troppi i bambini «terapeutici», per i
quali non si interviene né giuridicamente né a livello socio-assistenziale, con
una serie di motivazioni fittizie e strumentali che quasi sempre ignorano la
volontà e le necessità del bambino.
Le condizioni di vita dei minori istituzionalizzati
sono anche nella nostra Regione preoccupanti; le 7.000 e 14.000 lire di retta
giornaliere garantiscono forse la sopravvivenza dell'istituto, difficilmente
possono bastare a soddisfare ì bisogni e le esigenze di un bambino che, quando
viene collocato in istituto, porta già con sé i segni di deprivazioni varie.
L'assistenza sanitaria di base e specializzata, negli
istituti è un «optional» (sono garantite
le vaccinazioni); l'alimentazione è troppo spesso scarsa e comunque non
adeguata qualitativamente al fabbisogno energetico del bambino; le condizioni
igieniche solo in alcuni casi sono buono. L'abbigliamento quasi sempre dimesso
e rimediato.
È superfluo in questo quadro, dire che l'assistenza
socio-psicologica, intesa come servizio e come intervento sul minore, è
praticamente inesistente; paradossalmente è il minore che passivamente deve
adattarsi alle regole della comunità che lo accoglie.
Tra i tanti episodi che si commentano da soli,
ricordo l'incontro con un bambino di 10 anni in un istituto della provincia di
Potenza. Nel corso del colloquio gli chiesi cosa desiderasse avere o fare
subito. Con lo sguardo basso e dopo avermi fatto promettere di non parlarne
con la direttrice, disse di desiderare qualcosa in più da mangiare, per non
soffrire più di crampi allo stomaco, da fame (intanto la direttrice dall'altra
parte discuteva con l'assistente sociale, preoccupata dei valori del suo
diabete alimentare).
Un'altra storia come tante, è quella di Michele che
ha trascorso in istituto almeno 7 anni (ne aveva uno quando è entrato): nel
primo colloquio effettuato presso il Tribunale per i minorenni, la direttrice
dell'istituto lo presentò come un bambino con scarse capacità cognitive,
espressive e linguistiche. A scuola Michele non seguiva le lezioni, si mostrava
nervoso e irrequieto. Quando è stato affidato, i genitori adottivi,
sottoponendo il bambino ad esami specialistici, hanno scoperto che Michele
vedeva pochissimo fin dalla nascita e rischiava di perdere completamente la
vista.
Un altro bambino (Vito), adottato a circa 9 anni,
definito un «handicappato» (palatoschisi e labbro leporino) psico-fisico, dopo
aver trascorso qualche anno con i genitori adottivi, ha raccontato le
punizioni subite nei lunghi anni vissuti in istituto; più volte Vito si è
ritrovato legato al letto vestito da donna; gli stessi ricordi si è portato
dietro il fratello adottivo, di qualche anno più piccolo.
Adesso Vito, con l'aiuto dei suoi genitori, vive la
sua adolescenza «normalmente» inserito nella famiglia, nella società e nella
scuola, che frequenta con successo, quella stessa scuola che, quando il
bambino viveva in istituto, non ha esitato a confermare, nominando l'insegnante
di sostegno... la sua «diversità».
Spostando i termini del discorso dal singolo caso
alla realtà generale, par tentare di comprendere che cosa non funziona
nell'area della giustizia minorile e più in generale nel settore della
protezione all'infanzia, è forse utile una breve analisi degli organi ordinari
competenti a livello giuridico e a livello socio-assistenziale.
Si conosce, o per lo meno se ne parla come se si
conoscesse, l'area di intervento e di competenza del Tribunale per i
minorenni.
Un organo ordinario, invece, nell'ambito del diritto
minorile, del quale, forse, non si sa abbastanza, è il giudice tutelare:
preposto al compito che lo Stato ha assunto fra i propri fini, di sopraintendere
alle tutele (art. 344 del codice civile). La legge 184 del 1983 sull'adozione
speciale ha affidato al giudice tutelare incombenze importantissime.
Anzitutto il reperimento di minori in situazione di
abbandono è attribuito anche al giudice tutelare, che deve ricevere da tutti
gli istituti ed enti di assistenza dell'infanzia l'elenco semestrale di tutti
i minori ricoverati o assistiti. Fra essi il giudice tutelare deve individuare
coloro che sono privi di assistenza da parte dei genitori e dei parenti e deve
riferire al Tribunale per i minorenni.
La figura e le prescrizioni del giudice tutelare sono
state oggetto di studi e di discussioni, essendo state rilevate notevoli
deficienze nell'organo e nello svolgimento delle funzioni, di gran lunga più
vaste della capacità di rendimento delle persone preposte. In particolare è
stato segnalato l'insufficiente e in troppi casi inesistente controllo sugli
istituti di assistenza all'infanzia, che dovrebbe avere una scadenza
semestrale.
Sono
state avanzate proposte di cambiamento che però non hanno avuto alcun seguito.
Non so come vanno le cose nelle altre Regioni d'Italia:
in Basilicata la figura del giudice tutelare sembra avere caratteristiche di
«extra-terrestre».
L'ordinamento giuridico prevede, tra i più importanti
principi, quello del doppio grado di giurisdizione di merito, in base al quale
ogni questione ed ogni situazione possono essere esaminate da due organi,
Tribunale per i minorenni e Corte d'appello, di cui l’uno superiore all'altro
ed investito della funzione di riesame del primo provvedimento o del potere di
annullarlo o riformarlo. Questo organo superiore è la sezione di Corte
d'appello per i minorenni, alla quale la legge attribuisce la cognizione dei
reclami avverso i provvedimenti emessi in camera di consiglio dal Tribunale per
i minorenni.
L'elemento principale (Baviera - Diritto minorile) di specializzazione dell'organo dovrebbe
consistere nella preparazione dei consiglieri onorari, le cui cognizioni di
psicologia, pedagogia, ecc. dovrebbero apportare nella decisione lo strumento
per la migliore conoscenza della personalità dei minore oggetto del giudizio.
Un altro importante elemento di specializzazione
dell'organo (legge n. 1441/1956, art. 4) dispone che alla presidenza e alla
composizione della sezione debbano essere destinati magistrati che già abbiano
esercitato funzioni nei Tribunali per i minorenni.
La realtà è molto diversa. I provvedimenti del
Tribunale per i minorenni per i quali si ricorre in Corte d'appello, vengono
nella maggioranza dei casi annullati.
Senza voler entrare nel merito delle categorie
giuridiche utilizzate (in quanto non ho la competenza per farlo), mi sembra
necessario una «lettura pragmatica» di quelle che sono le disfunzioni
esistenti tra i due organi giudiziari.
Qualcuno si chiederà, che cosa c'entra questo con il
fenomeno della istituzionalizzazione in Basilicata?
Forse
il racconto di una storia, fra tante, e della sua evoluzione può aiutare tutti
a capire.
Nel febbraio 1988 il Tribunale per i minorenni
dichiarava lo stato di adottabilità di 3 sorelle di 11, 10 e 9 anni, che fin
dal 1983 vivevano in un istituto della provincia di Matera. Il ricovero era
motivato, all'epoca, dalle condizioni di rischio e di abbandono materiale e
psicologico delle bambine, con una situazione familiare difficile: i genitori
sono separati di fatto, il padre da diversi anni ha abbandonato la famiglia e
vive lontano; la madre è una psicotica, alla quale è stata diagnosticata una
sindrome schizofrenica; più volte ricoverata in Ospedale psichiatrico, la donna
alterna periodi di delirio schizo-paranoide a fasi depressive acute.
I rapporti con le figlie sono episodici e comunque
insignificanti dal pianto di vista affettivo; le bambine trascorrono tutto
l'anno in istituto.
Le minori sono state sottoposte, nel corso dell'istruttoria
per il procedimento dello stato di adottabilità, a colloqui psicologici.
L'osservazione psico-dinamica ha consentito una
valutazione «trasparente» delle condizioni psicologiche e dei bisogni di
ciascuna bambina.
Le minori hanno verbalizzato il loro bisogno, vissuto
in termini fantastici, di sperimentare una vita familiare serena, «con una
mamma giovane e bella che non deve fumare e non deve avere la pancia grossa».
Sono stati anche sottolineati, nelle indagini
psicologiche peritali, i rischi di un ulteriore prolungamento della già lunga
istituzionalizzazione subita dalle minori, notevolmente segnate, nelle
rispettive strutture egoiche, da un'infanzia trascorsa in istituto.
La direttrice dell'istituto un giorno mi ha verbalmente
aggredita nel corridoio del Tribunale dicendo: «Mi ha rovinato quelle
bambine... che vivono per la madre... adesso hanno gli incubi la notte, avevo
lavorato tanto per loro... ». Evidentemente la Suora non era d'accordo per lo
stato di adottabilità.
Una posizione ancora più inquietante e pericolosamente
ambivalente l'ha assunta, nella gestione del caso, l'assistente sociale.
Nella relazione del febbraio 1985, l'operatrice (che
è la stessa che segue la madre delle minori presso il servizio di igiene
mentale competente per zona) affermava che la genitrice non era ancora in
grado «di organizzare la sua vita familiare e che pertanto era opportuno che
le tre bambine rimanessero presso l'istituto, dove si erano così bene integrate
da essere sempre sorridenti e serene».
Nella successiva relazione del 1987, l'assistente
sociale, pur escludendo la possibilità per la madre delle minori di occuparsi
delle stesse, sottolineava come la Superiora aveva «compensato in maniera
encomiabile le carenze affettive legate all'assenza della madre naturale, comunque
attenta a mantenere viva e presente la sua immagine nei riguardi delle bambine».
La
Corte d'appello ha annullato lo stato di adottabilità delle tre bambine.
Nella motivazione della sentenza si legge: «Allo
stato di adottabilità si può pervenire solo a seguito della accertata
indisponibilità della famiglia d'origine ad ovviare alle manchevolezze e solo
dopo l'inutile esperimento delle altre misure suppletive (sostegno pubblico,
affidamento temporaneo a famiglie, comunità o ricovero in pubblici istituti)
essendo l'adozione l'estremo rimedio al quale ricorrere quando tutti gli altri
si sono rivelati inutili o comunque inattuabili. La madre delle minori, non è
inidonea all'educazione delle figlie, in quanto, se inabile, per l'infermità
psichica, ad occuparsi di un minore in tenera età, non lo sarà in un prossimo
futuro allorché le figlie non avranno più bisogno della continua presenza
materna. In tale situazione la soluzione più soddisfacente è quella proposta
dall'assistente sociale che segue il caso, la quale propone la permanenza
delle minori nell'istituto presso il quale si trovano, fino al compimento
della scuola dell'obbligo, con ampia facoltà per i genitori di frequentarle».
Questa la realtà operativa.
Il Tribunale spesso si ritrova in una condizione di
paralisi e di impotenza, con le «catene», ma non le catene delle leggi, che, se
applicate con buon senso, hanno funzioni n liberatorie n per i minori, ma le
catene di una cultura, di un sistema di valori nel quale tutti, il servizio
sociale, gli istituti, certa magistratura, talvolta la stampa e i mass-media,
parlano «lo schizofrenese» determinando un circuito perverso.
Credo anch'io che quelle bambine vivano con gli
incubi notturni e in uno stato di angoscia da quando è stato loro spiegato «con
spirito cristiano» che continueranno a vivere lì perché la mamma da lontano e
la superiora da vicino costruiranno il loro «futuro» di persone capaci di
amare, con la supervisione del servizio sociale. Questi sono gli abusi
istituzionalizzati, per i quali ci vorrebbe più sensibilità e partecipazione di
tutti.
In un libro che tutti dovremmo leggere «Di mamma non
ce n'è una sola» di Neera Fallaci, A.C. Moro afferma: «Non ha senso attendere
la totale palingenesi delta società sacrificando altre vittime innocenti...
Non ci si salva l'anima con affermazioni apparentemente avanzate, ma lasciando
che le situazioni disgregatrici di personalità permangano. È una legge dello
Stato ad affermare fin dal 1983 il diritto del bambino a crescere in famiglia,
nella sua famiglia d'origine innanzitutto, in una famiglia adottiva quando è in
stato di abbandono, in affidamento a famiglie, a persone singole o comunità di
tipo familiare. L'istituto è la risposta peggiore».
In uno dei tanti convegni in materia minorile,
l'allora Vice-Presidente della Caritas italiana, Monsignor G. Nervo,
dichiarava: «La comunità civile ed ecclesiale che ad un bambino senza famiglia
non sa dare altro che un istituto, è poco civile ed è poco cristiana: è
disumana».
Per quanto riguarda, infine, l'area del socio-assistenziale,
consta che a distanza di dieci anni non tutte le Regioni hanno legiferato in
materia e comunque non sempre in modo soddisfacente e che, anche laddove esiste
la legge, vi sono delle differenze assai rilevanti quanto all'attuazione della
politica sociale minorile.
Ciò rende ineguale nel territorio nazionale il quadro
di soddisfacimento dei diritti dei minori, talora veramente negati, anche per
la mancanza di progettualità e di coordinamento di diversi livelli
territoriali.
A tutt'oggi solo una metà delle venti regioni
italiane ha legiferato con apposite leggi nella materia socio-assistenziale,
mentre il settore dell'assistenza sanitaria si presenta più uniformemente
strutturato.
Esistono differenze dovute a maggiore o minore
sensibilità delle amministrazioni locali per le politiche sociali: ma esistono
anche differenze legate al diverso grado di sviluppo socio-economico. Così
cinque regioni su otto hanno legiferato nell'Italia settentrionale, ma solo
due su quattro nell'Italia centrale e due su otto nell'Italia meridionale e
insulare.
L'organizzazione degli interventi di sostegno alla
famiglia in difficoltà e di aiuto alla prima infanzia e agli adolescenti è
molto diversificata.
Una indagine Censis sulle prestazioni erogate dai
consultori pubblici evidenzia come la consulenza per le adozioni e gli
affidamenti familiari occupi il penultimo posto.
In termini generali il comportamento dei servizi
rispetto al disagio della famiglia e del minore, può essere schematizzato in
tre momenti o livelli di intervento:
1) Livello A:
si riconoscono le difficoltà, ma nulla viene fatto per rimuoverle. Il bambino
viene lasciato in famiglia con il pretesto di non «danneggiare» i genitori che
già soffrono per cause sociali o per gravi situazioni di disadattamento
personale. In questi casi il bambino è trattato come se fosse una proprietà
dei genitori o potesse essere un farmaco che cura e guarisce;
2) Livello B:
l'accertamento della incapacità dei genitori determina l'allontanamento del minore,
al fine di rispettarne esigenze s diritti, ma nessun intervento viene fatto per
modificare la situazione dei genitori stessi. È evidente che questi casi
provocano o l'abbandono del figlio da parte dei genitori d'origine o creano
conflitti spesso aspri, fra la famiglia d'origine e quella affidataria;
3) Livello C:
l'intervento dei servizi è diretto sia alla tutela delle esigenze dei minori,
sia a favorire la massima collaborazione possibile della famiglia d'origine,
predisponendo anche gli opportuni interventi che possono eliminare o ridurre le
cause che hanno determinato le difficoltà personali e sociali dei suoi
comportamenti.
È certamente positivo ed auspicabile che gli enti
preposti forniscano tutte le prestazioni necessarie per un adeguato sostegno
alla famiglia d'origine. Se però, a causa delle condizioni personali e
familiari, i risultati positivi non si manifesteranno se non dopo diversi
anni, occorre che nel frattempo siano altresì previsti interventi diretti a
dare concrete e tempestive risposte alle esigenze vitali del bambino.
La condizione dell'infanzia è una realtà sui generis:
essa costituisce la sola dimensione sociale priva di rappresentanza diretta
dei propri interessi, la sola categoria sociale priva di potere di pressione.
Se è vero che, (scrive Fadiga) come diceva Voltaire a
proposito di eguaglianza: «Non è la ineguaglianza il male reale, è la
dipendenza», nell'attuale sistema italiano i minori in difficoltà sono colpiti
da entrambe le disgrazie.
Chi ritiene preferibile il ricovero, evidentemente
non ha chiaro quali gravi danni comporta nella quasi generalità dei casi
l'istituzionalizzazione precoce e protratta dei bambini. L'esperienza clinica
non lascia dubbi di sorta: più precoci sono le esperienze affettive carenti o
negative, più profondo è il danno che la personalità ne riceve s più è
difficile poi riparare, curare, guarire; talvolta è addirittura impossibile: i
danni sono irreversibili.
In conclusione, chiedo scusa se dalle riflessioni e
dalle considerazioni fatte sono affiorate in alcuni momenti i toni della rabbia
e del disappunto; tutto questo è senz'altro poco «professionale», ma è pur
vero che operare per i diritti e la tutela dei minori comporta fa necessità di
osservare, conoscere e valutare con atteggiamento «empatico», ma anche con
rigorosa professionalità, il contesto familiare, sociale e culturale
nell'ambito del quale il minore sperimenta il suo disagio.
Un ultimo messaggio di sofferenza ma soprattutto di
speranza e di fiducia: la testimonianza di Carla.
Carla ex affidata: «La mia vita è stata ricca di
cose, di esperienze, soprattutto i quattro anni trascorsi nella famiglia
affidataria. Quello che ora so per certo è che gli istituti non solo dovrebbero
essere chiusi ma bisognerebbe arrestare chi c'è dentro perché la violenza esiste;
è vero che ci sono le punizioni corporali, è vero che ti legano al letta ma è
violenza anche solo il plagio, il non lasciarti pensare e decidere con la tua
testa: è quello che patisci di più e che ti può impedire di vivere una vita
normale. Ed è vero che una famiglia dove non si può proprio vivere ti fa quasi
desiderare l'istituto. Non è stato per me facile fare il salto, passare dalla
mentalità della mia famiglia a quella della famiglia affìdataria. Ma comunque
è stata la mia salvezza. Mi hanno insegnato (gli affidatari) la solidarietà, la
tolleranza. Io adesso a 32 anni credo di essere una persona tollerante e questo
grazie a loro».
Bisogna infrangere il muro del «silenzio», dell'indifferenza,
del tacito consenso, del «così è se vi pare» che ci allontana dai minori in
difficoltà. È auspicabile una utilizzazione programmata delle nostre risorse
personali e professionali per fornire risposte adeguate e tempestive ai
bisogni dei bambini se non vogliamo dichiarare in un futuro prossimo la nostra
impotenza di fronte al fenomeno crescente della devianza.
(*) Psicologa distaccata al Tribunale
per i minorenni di Potenza. Relazione tenuta al Convegno di Potenza del 9-10
marzo 1990 sul tema «Il disagio minorile: dalla famiglia "a rischio"
alla istituzionalizzazione - L'affido familiare e l'adozione», promosso dalla
Regione Basilicata e dal Tribunale per i minorenni di Potenza.
L'elaborazione statistica è stata curata da Salvatore Sileo.
Tabella 1 - REGIONE
BASILICATA - ANNO 1989 TIPO ISTITUTI - SEDE
Sede |
Maschile (A) |
Femminile (B) |
Misto (C) |
Totale A+B+C |
Percentuale A+B+C |
Potenza |
1) Principe di Piemonte 2) Seminario Regionale 3) Alberghiero di Stato 4) Salesiani 5) Convitto Nazionale |
1) Maria Immacolata 2) Gerolomine 3) Gesù Eucaristico 4) Sacro Cuore 5) A. De Gasperi |
1) I.P.A.I. |
n. 11 |
22,91% |
Atella |
|
|
71) S. Giuseppe |
n. 1 |
2% |
Avigliano |
1) Regionale |
|
|
n. 1 |
2% |
Chiaromonte |
|
1) Don V. Grossi |
|
n. 1 |
2% |
Lagonegro |
1 S. Nicola 2) D'Alessandro |
1 ) Mater Dei 2) Colonna |
|
n. 4 |
8,33% |
|
|||||
Lauria |
|
1) Immacolata Concezione |
|
n. 1 |
2% |
Maratea |
|
1) Convitto Femminile |
|
n. 1 |
4,16% |
Melfi |
|
1) Sellitti |
1) A.I.A.S. 2) Casa di Riposo |
n. 3 |
6,25% |
Moliterno |
|
1) Suore Clarisse Franc. |
|
n. 1 |
2% |
Palazzo S. Gervasio |
|
|
1) Lo Sasso |
n. 1 |
2% |
Rionero in V. |
|
1) G. Fortunato 2) Mater Misericordiae |
1) Antoniano |
n. 3 |
6,25% |
S. Chirico Nuovo |
|
|
1) Pie Ancelle |
n. 1 |
2% |
S. Chirico Raparo |
|
1) Bentivenga |
|
n. 1 |
2% |
Senise |
|
1) Sacricuori-Acri |
|
n. 1 |
2% |
Tito |
|
|
1) S. Antonio |
n. 1 |
2% |
Vaglio di B. |
|
1) Danzi |
|
n. 1 |
2% |
Venosa |
1) Padri Trinitari |
|
|
n. 1 |
2% |
Matera |
1) Villaggio del Fan- ciullo 2) Seminario |
1) Sacro Cuore 2) S. Anna |
1) S. Giuseppe |
n. 5 |
10,41% |
Bernalda |
|
1) Iolanda Stabile |
|
n. 1 |
2% |
Ferrandina |
|
|
1) S. Antonio |
n. 1 |
2% |
Irsina |
|
1) Pie Ancelle |
|
n. 1 |
2°l0 |
Montalbano J. |
|
1) Sacro Cuore |
|
n. t |
2% |
Pisticci |
|
1) S. Rocco |
|
n. 1 |
2% |
Policoro |
|
1) Don V. Grossi |
|
n. 1 |
2% |
Salandra |
|
|
1) Casa Marsilio |
n. 1 |
2% |
Tricarico |
|
1) Gesù Eucaristico |
|
n. 1 |
2% |
Tabella 2 - QUADRO A
TIPO ISTITUTI - PRESENZE MINORI |
||||
N. ord. |
Istituti maschili |
Sede |
Presenza minori |
Percen tuale |
1 |
Principe dì Piemonte |
Potenza |
28 |
4,70% |
2 |
Seminario regionale |
Potenza |
23 |
3,86% |
3 |
Alberghiero di Stato |
Potenza |
1 |
0,16% |
4 |
Convitto nazionale |
Potenza |
1 |
0,16% |
5 |
Salesiani |
Potenza |
1 |
0,16% |
6 |
Villaggio fanciullo |
Matera |
19 |
3,19% |
7 |
Seminario |
Matera |
2 |
0,32% |
8 |
San Nicola |
Lagonegro |
37 |
6,21% |
9 |
D'Alessandro |
Lagonegro |
41 |
6,89% |
10 |
Regionale |
Avigliano |
24 |
4% |
11 |
Padri Trinitari |
Venosa |
13 |
2,18% |
Totale istituti n. 11 -
Percentuale 23,40%
Totale presenze minori n.
190 - Percentuale 32%
Tabella
2 - QUADRO B
TIPO ISTITUTI - PRESENZE MINORI |
||||
N. ord. |
Istituti femminili |
|
Percen tuale |
|
Sede |
Presenza minori |
|||
1 |
Maria Immacolata |
Potenza |
2 |
0,32% |
2 |
Gerolomine |
Potenza |
54 |
9% |
3 |
Gesù Eucaristico |
Potenza |
3 |
0,50°'° |
4 |
Sacro Cuore |
Potenza |
28 |
4,70% |
5 |
A. De Gasperi |
Potenza |
6 |
1 % |
6 |
Sacro Cuore |
Matera |
6 |
1 % |
7 |
S. Anna |
Matera |
7 |
1,17% |
8 |
Mater Dei |
Lagonegro |
24 |
4% |
9 |
Colonna |
Lagonegro |
14 |
2,35% |
10 |
G. Fortunato |
Rionero in V. |
9 |
1,51% |
11 |
Mater Misericordiae |
Rionero in V. |
G |
1 % |
12 |
Sellitti |
Melfi |
10 |
1,68% |
13 |
Sacri Cuori Acri |
Senise |
1 |
0,16% |
14 |
S. Rocco |
Pisticci |
13 |
2,18% |
15 |
Danzi |
Vaglio di B. |
19 |
3,19% |
16 |
Immacolata Concez. |
Lauria |
3 |
0,50% |
17 |
Don V. Grossi |
Chiaromonte |
4 |
0,67% |
18 |
Bentivenga |
S. Chirico R. |
21 |
3,25% |
19 |
Suore Clarisse Fran. |
Moliterno |
í |
0,16% |
20 |
Pie Ancelle |
Irsina |
9 |
1,51% |
21 |
Iolanda Stabile |
Bernalda |
13 |
2,18% |
22 |
Gesù Eucaristico |
Tricarico |
1 |
0,16% |
23 |
Don V. Grossi |
Policoro |
7 |
1,17% |
24 |
Sacro Cuore |
Montalbano J. |
1 |
0,16% |
25 |
Convitto E. De Pino |
Maratea |
4 |
0,67% |
Totale istituti n. 25 -
Percentuale 53,20%
Totale presenze minori n.
256 - Percentuale 43%
Tabella 2 - QUADRO C
TIPO ISTITUTI - PRESENZE MINORI |
||||
N. ord. |
Istituti misti (0-10 anni) |
Sede |
Presenza minori |
Percen tuale |
1 |
I.P.A.I. |
Potenza |
11 |
1,84% |
2 |
S. Giuseppe |
Matera |
16 |
2,68% |
3 |
Antoniano |
Rionero in V. |
19 |
3,19% |
4 |
A.I.A.S. |
Melfi |
19 |
3,19% |
5 |
Casa di Riposo |
Melfi |
3 |
0,50% |
6 |
Lo Sasso |
Palazzo S.G. |
26 |
4,36% |
7 |
S. Giuseppe |
Atella |
8 |
1,34% |
8 |
S. Antonio |
Tito |
15 |
2,52% |
9 |
Pie Ancelle |
S. Chirico Nuovo |
4 |
0,67% |
10 |
Casa Marsilio |
Salandra |
17 |
2,85% |
11 |
S. Antonio |
Ferrandina |
11 |
1,84% |
Totale istituti n. 11 -
Percentuale 23,40%
Totale presenze minori n.
149 - Percentuale totale 25%
Tabella
3 - ANNO 1989 - SINTESI TABELLE 1 e2
|
QUADRO A |
|
|
Istituti maschili |
n. 11 |
23,40% |
|
Istituti femminili |
n. 25 |
5320% |
|
Istituti misti |
n. 11 |
23,40% |
|
TOTALE |
n. 47 |
|
|
|
QUADRO B |
|
|
Ricoveri minori maschi |
n. 190 |
32% |
|
Presenze minori femmine |
n. 256 |
43% |
|
Presenze minori misti |
n. 149 |
25% |
|
TOTALE |
n. 595 |
|
|
|
QUADRO C |
|
|
Istituti provincia Potenza |
Percentuale |
||
Maschili |
n. 9 |
26% |
|
Femminili |
n. 17 |
50% |
|
Misti |
n. 8 |
24% |
|
TOTALE |
n. 34 |
72% |
|
|
QUADRO D |
|
|
Istituti provincia Matera |
Percentuale |
||
Maschili |
n. 2 |
15% |
|
Femminili |
n. 8 |
61% |
|
Misti |
n. 3 |
24% |
|
TOTALE |
n. 13 |
28% |
|
|
QUADRO E |
|
|
Ricoveri regionali |
n. 595 |
98% |
|
Ricoveri extraregionali |
n. 11 |
2% |
|
|
QUADRO F |
|
|
Provvedimenti-ricoveri |
|
||
Provvedimenti USL o Comuni |
n. 451 |
76% |
|
Provvedimenti Autorità giudiziaria |
n. 144 |
24% |
Tabella 4 - ANNO 1989 -
RICOVERI - FASCIA ETÀ
Fascia età |
N. |
Percentuale |
da 0 a 3 anni |
14 |
2% |
da 3 a 6 anni |
33 |
6% |
da 6 a 10 anni |
97 |
16% |
da 10 a 18 anni |
451 |
76% |
TOTALI |
595 |
100% |
Tabella 5 - ANNO 1989 -
MOTIVAZIONE RICOVERI E RETTE
QUADRO A |
||
Motivazione dei ricoveri |
||
Disagi familiari |
n. 314 |
52,77% |
Motivi scolastici |
n. 281 |
47,25% |
QUADRO B |
||
Ricoveri regionali |
|
|
Retta a L. 14.000 |
n. 540 |
90,75% |
Retta a L. 7.000 |
n. 42 |
7,7% |
Retta a L. 19.000 |
n. 13 |
2,18% |
QUADRO C |
||
Ricoveri extraregionali |
||
Retta a L. 14.000 |
n. 6 |
54,54°i° |
Retta a L. 7.000 |
n. 3 |
27,27% |
Retta a L. 40.000 |
n. 1 |
9% |
Retta a L. 60.000 |
n. 1 |
9°ó |
QUADRO D |
||
Costi |
||
Ricoveri regionali |
L. 2.860.286.000 |
|
Ricoveri extraregionali |
L. 74.825.000 |
|
TOTALE |
L. 2.935.111.000 |
Tabella 6 - ANNO 1989 -
AFFIDAMENTI EXTRAFAMILIARI
Affidamenti con
provvedimento dell'Autorità giudiziaria |
n. 38 |
35% |
Affidamenti con
provvedimento USL |
n. 68 |
65% |
TOTALE |
n. 106 |
100% |
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