Prospettive assistenziali, n. 92, ottobre-dicembre
1990
LA GRANDE LEZIONE DI JOHN BOWLBY
GUIDO CATTABENI
Nello scorso mese di settembre i grandi mezzi di
informazione hanno dedicato ampi spazi allo «scandalo» emerso subito dopo la
morte di Bruno Bettelheim (il grande maestro della «psicopedagogia della liberazione»:
in realtà sembra che usasse metodi forti per ottenere comportamenti adeguati),
mentre la scomparsa di John Bowlby, avvenuta nello stesso periodo, non è stata
ritenuta meritevole di attenzione.
Si è persa così una buona occasione per far conoscere
al grande pubblico e agli operatori sociali più giovani una figura di
ricercatore che negli ultimi quarant'anni ha dato un contributo decisivo alla
conoscenza scientifica della psicoloqia dell'età evolutiva e della psicopedagogia
dell'infanzia.
Chi era John Bowlby
Nel gennaio 1950 l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale
della Sanità) raccoglieva l’invito dell’ONU a intraprendere uno studio sui
bambini «orfani o privati della propria
famiglia per altre ragioni, che devono venire affidati a famiglie educative, istituti
o altre organizzazioni di assistenza collettiva», proponendosi di
effettuare uno studio sugli aspetti di questo problema dal punto di vista della
salute mentale.
L’OMS affidò la ricerca al Direttore del Dipartimento
di «Child Guidance» della Tavistock Clinicdi Londra e cioè allo
psicoanalista John Bowlby
La Tavistock Clinic aveva ereditato alla fine degli
anni trenta il ruolo di capitale mondiale del movimento psicoanalitico quando
il nazismo aveva costretto all'emigrazione i grandi di Vienna, Sigmund Freud e
sua figlia Anna.
Oltre ad una pluriennale esperienza clinica nel campo
della psicopatologia infantile. Bowlby aveva già pubblicato tra il '40 e il '50
molti studi su diversi aspetti dell'influenza ambientale nei primi anni di vita
nei confronti della maturazione psicologica della persona; studi che continuò
anche negli anni successivi, dopo la pubblicazioni della monografia
richiestagli dall'OMS, pubblicata nel 1951, che fece conoscere il suo nome in
tutto il mondo scientifico, anche oltre la ristretta cerchia degli specialisti
in psichiatria e psicologia.
La monografia fu pubblicata in Italia nel 1957
dall'Editrice Universitaria Firenze con il titolo «Cure materne e igiene
mentale del fanciullo».
A giudizio degli esperti fu subito considerata l'esempio
più cospicuo di lavoro seriamente impostato e altrettanto seriamente condotto
e concluso: un lavoro che comprende sia la esposizione di una copiosissima
letteratura criticamente esaminata, sia i risultati delle basilari ricerche
originali condotte da Bowlby stesso o in collaborazione con altri.
Quali le conclusioni della ricerca di Bowlby
Sintetizzando
al massimo:
- tutti gli studi e tutti gli esperti che egli aveva
consultato in tutta l'Europa e negli Stati Uniti concordano nell'affermare che
le cure materne prodigate al neonato, al lattante e poi nella prima infanzia
hanno un'importanza fondamentale per lo sviluppo della salute mentale;
- per cure materne si deve intendere non solo la
soddisfazione dei bisogni fisiologici immediati di nutrimento, assistenza e
protezione, ma anche la capacità di assicurare adeguate risposte ai bisogni
affettivi e intellettivi del bambino;
- la privazione prolungata di cure materne
nell'infanzia può avere effetti gravi e talvolta permanenti sulla formazione
de) carattere e quindi sulla personalità adulta (in precedenza anche Spitz
aveva evidenziato, come causa di morte in neonati ospedalizzati, la carenza di
«cure materne»);
- lo sviluppo dell'io e del Super-io è inestricabilmente
legato ai primi rapporti umani del bambino e può avvenire soltanto se questi
rapporti sono durevoli e soddisfacenti; la psiche ancora indifferenziata dei
primi anni di vita necessita, perché si evolva e strutturi in modo corretto,
di un organizzatore psichico: una figura materna nettamente identificata;
- nel primo anno di vita è di capitale importanza la
presenza di questa figura materna, in sua assenza sarà estremamente difficile
riparare ai danni: il carattere dei «tessuti» psichici si sarà ormai fissato;
fino alla fine dei tre anni il bambino ha un bisogno continuo della figura materna; la capacità di mantenere un legame
con la figura materna in sua assenza compare verso i quattro-cinque anni, e
inizialmente è possibile solo in condizioni favorevoli e non oltre pochi
giorni; solo dopo i sette-otto anni il legame può essere mantenuto, ma non
senza difficoltà, per periodi di un anno circa;
- sono diverse le conseguenze nel caso che un bambino
non abbia mai avuto una figura materna rispetto alle conseguenze di una separazione
dopo che si è formata una relazione di dipendenza
stabile e rassicurante, ma prima che
il bambino possa essere diventato autonomo; in quest'ultimo caso è stato
rilevato che:
a) il caso di perdita più grave (per le conseguenze
negative sull'ulteriore sviluppo) si ha quando il bambino, dopo la separazione,
non ha più avuto occasione di formare in seguito una relazione stabile e
rassicurante con una figura materna sostitutiva;
b) può essere definita perdita temporanea con
limitate conseguenza quella in cui alla separazione segue l'esperienza di una
relazione stabile e rassicurante grazie a una figura materna sostitutiva;
- la carenza di cure materne (e cioè di una famiglia)
è negativa per tutto l'arco dell'età evolutiva, dalla nascita all'adolescenza,
ma è tanto più grave quanto più si configura come una «assenza completa»; la
perdita di una figura materna stabile e rassicurante è meno grave quando è
temporanea, e viene cioè in breve tempo sostituita da una nuova figura materna;
il collocamento in comunità assistenziali deve essere il più breve possibile,
e deve essere solo in funzione di una soluzione eterofamiliare da reperire al
più presto;
- le cure materne di cui il bambino necessita
possono essere assicurate da persona diversa dalla madre biologica purché essa
assicuri un legame affettivo intimo e costante, fonte per entrambi di
soddisfazione e di gioia;
- gli istituti educativo-assistenziali sono
strutturalmente incapaci di fornire ai bambini relazioni interpersonali che
assicurino loro le necessarie cure materne;
- la prevenzione dei danni da carenza di cure
materne può essere attuata unicamente garantendo ad ogni bambino un idoneo
ambiente familiare e ciò può ottenersi:
1) assicurando ogni aiuto alla famiglia d'origine
perché possa svolgere adeguatamente il suo compito educativo;
2) garantendo ai bambini privi di un idoneo ambiente
familiare un'altra famiglia (adozioneaffidamento).
Quel che colpisce è che Bowlby, come Spitz e Anna
Freud (per citare i più noti), non si limitò a studiare gli aspetti teorici e
clinici dei problemi sofferti dai bambini in difficoltà, ma si «sporcò le
mani» indicando alla comunità sociale le condizioni ambientali da assicurare ai
bambini perché potessero crescere sani e si potesse prevenire la formazione di
disturbi psichici.
La situazione in Italia dei bambini senza famiglia
nel 1964
Quando
nelle librerie italiane comparve il libro di Bowlby, gli effetti furono
esplosivi.
Ci
si accorse solo allora che c'erano in Italia:
-
109 brefotrofi che assistevano in internato 8203 neonati e bambini ed altri
70.447 soggetti con l'utilizzo del baliatico mercenario (finalizzato
all'allevamento prevalentemente fisico):
-
1.005 orfanotrofi (443 pubblici e 562 privati) nei quali erano assistiti
57.833 orfani;
-
51.552 bambini e ragazzi orfani erano ricoverati in altri istituti
assistenziali;
-
93.438 minori poveri e con famiglie disgregate erano anch'essi ricoverati in
istituto;
- un codice civile che prevedeva un tipo di adozione
in funzione degli adulti senza discendenti alla ricerca di un erede
patrimoniale e non in funzione dei bisogni educativi dei bambini.
Per la verità già da qualche anno, da diverse
direzioni, si insisteva perché il legislatore riconoscesse che la vecchia
adozione non aveva alcuna utilità al fine di rispondere al bisogno di famiglia
di un bambino solo e che pertanto decine di migliaia di bambini e ragazzi
erano costretti a respirare l'aria tossica degli istituti.
Per quanto riguarda gli istituti invece c'era una
pressoché generale ignoranza tra gli operatori e l'opinione pubblica sulla
loro dannosità psico-pedagogica.
Il lavoro di Bowlby aprì in poco tempo gli occhi e
la mente di molti. La sua monografia diventò per un decennio la «Bibbia» di
chi aveva a cuore i diritti dei bambini indipendentemente dai loro status di
legittimi e illegittimi, indipendentemente dai diritti del sangue e dalle problematiche
dei genitori.
Non c'era scuola per assistenti sociali, educatori,
psicologi, che non lo considerasse testo fondamentale di studio.
Grazie anche a Bowlby, quindi, in pochi anni si
allargò a dismisura in tutta l'Italia più sensibile il movimento per la
riforma degli interventi assistenziali a favore dei minori in difficoltà: i
bisogni/diritti dei bambini non erano più un'opinione di qualche anima pia
bensì certezze scientificamente fondate.
Quel che avvenne dopo Bowlby
Uno dei maggiori centri di propulsione della opinione
pubblica verso la realizzazione di un sistema organico di interventi a favore
dei bambini in difficoltà non più fondato sul ricovero in istituto, ma fondato
sulle nuove conoscenze che la psicologia metteva a disposizione per creare
condizioni educative vantaggiose alla loro crescita, è stata - fin da quei
primi anni sessanta - l'Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie,
che oltre ad innumerevoli iniziative, iniziò nel 1963 una serie di studi per preparare una proposta di legge che
introducesse nell'ordinamento giuridico italiano un istituto dell'adozione
centrato sui bisogni educativi del bambino e sul suo conseguente diritto fondamentale:
ogni bambino ha diritto di crescere in famiglia.
Le indicazioni suggerite dall'ANFAA vennero tradotte
in progetto di legge dall'On. Maria Pia Dal Canton.
Il progetto, sottoscritto da tutte le altre colleghe
del gruppo democristiano, venne presentato alla Camera dei Deputati il
20.6.1964.
Citando appunto gli studi di Bowlby, l'on. Dal Canton
sottolineava che la famiglia possiede le migliori premesse ambientali per
assicurare il rispetto dei diritti fondamentali del fanciullo, denunciava la
negatività delle condizioni pedagogiche delle strutture tipo «istituto
assistenziale».
L'iter del progetto di legge originario fu difficoltoso,
complesso, in parte combattuto (specie da chi vi vedeva un attacco agli
istituti condotti da religiosi) e alla fine, dopo modifiche e compromessi più
o meno dolorosi, divenne legge dello Stato, la n. 431 del 5 giugno 1967.
Ci vollero 16 anni per ripulire la legge del 1967 da
quanto non tornava utile ai bambini, ma era frutto di altri interessi: solo nel
1983 il movimento che stava dalla parte dei bambini ottenne una buona legge,
la n. 184 del 4 maggio 1983 dal titolo «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento
dei minori». In essa si sancisce:
-
il diritto del minore a crescere nella propria famiglia;
- la priorità che, nell'interesse del bambino, deve
essere data a soluzioni eterofamiliari anziché al ricovero in istituto, quando
i minori siano definitivamente o temporaneamente privati della possibilità di
crescere nell'ambiente familiare di origine;
- viene finalmente regolamentato l'affido
eterofamiliare per evitare l'esperienza dell'istituto a quei bambini con
famiglie in difficoltà, ma non totalmente o definitivamente incapaci;
-
si danno finalmente norme di tutela per le adozioni di minori stranieri.
L'eredità di Bowlby
Tutto questo era stato indicato, su basi di ricerche
serie, estese, approfondite, da Bowlby quaranta anni fa, «ma per la nostra coscienza collettiva e per le organizzazioni
sanitarie e assistenziali questo lungo periodo non è stato sufficiente se,
ancor oggi, esistono ospedali in cui le madri non sono accettate durante il
ricovero del figlio» sottolinea M. Ammaniti, nel numero del 6 settembre
1990 de La Repubblica e, noi aggiungiamo:
se ancora oggi esistono circa 50 mila minori in istituto, se i servizi di
supporto alla famiglia d'origine sono quasi dovunque scarsi, inefficaci perché
male organizzati, se ì piani socio-assistenziali non privilegiano a sufficienza
- non a parole ma nel concreto - le soluzioni eteroamiliari rispetto alle
soluzioni «istituto-, ecc.
Resta molto da fare ancora e alle nuove generazioni
di educatori, magistrati, amministratori, esperti in scienze psicologiche e
neuropsichiatriche infantili suggerirei di scoprire o riscoprire i lavori di
Bowlby. E se poi gli avanzasse tempo, un'occhiata non superficiale a quelli di Spitz, Robertson, Aubry, Ainsworth, A. Freud, Goldfarb, Burlinham, Launay,
Lebovici, Soulé, potrebbe ulteriormente aiutare a comprendere i bisogni dei
nostri figli anzitutto, e di tutti i bambini.
Devo dire che, leggendo le pubblicazioni specialistiche
in materia, degli ultimi anni, ho notato che questi autori sono citati poco
nelle varie bibliografie che le corredano: per disinformazione o per un
inconscio rifiuto a prendere sul serio il bambino nella sua globalità e concretezza?
Bowlby, scienziato serio e preparato, ci lascia una
grande lezione: il bambino non può essere solo l'oggetto di studi teorici e
fine a se stessi, ma è una persona alla quale il «tecnico» deve rendere un
servizio, collaborando con il resto della società a costruirgli un ambiente di
vita favorevole alle sue necessità vitali.
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