Prospettive assistenziali, n. 92, ottobre-dicembre 1990

 

 

Libri

 

 

IVO COLUZZI, LUCIANO TAVAZZA, Volontariato e salute, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1988, pp. 314, L. 25.000.

 

Come osserva giustamente Ardigò nella presentazione, le associazioni di volontariato corrono il rischio di «non far corrispondere alla continua espansione di effettivi e di iniziative, specie nella seconda metà degli anni settanta, una crescita di incidenze e di pensiero riflesso anche all'interno dello Stato del benessere».

Aggiunge il noto sociologo: «Le associazioni di volontariato come le azioni volontarie dei singoli o di piccoli gruppi, ricevono di continuo ri­conoscimenti, anche da critici di ieri: ma la loro esperienza e riflessione critica sulle esperienze consolidate non entra - o entra solo per super­ficiali riconoscimenti - là dove si discute e si decide sulle sorti di questo o di quel settore del nostro welfare state.

«L'operosità dei volontari tende a non rifluire nelle scelte di politica amministrativa, a non in­cidere sulle applicazioni più generali e però ri­levanti del contesto in cui il loro fare si colloca».

Nel volume sono descritte esperienze di vo­lontariato in ospedale, a domicilio, nella dona­zione del sangue o di organi e in iniziative concernenti il recupero di emarginati, handicappati e tossicodipendenti.

In allegato sono riportati i documenti «Diritti ed esigenze delle persone gravemente non au­tosufficienti» e «Criteri guida per gli interventi sanitari relativi alle persone gravemente non autosufficienti e indicazioni relative agli inter­venti domiciliari, semiresidenziali, residenziali».

Il libro interessa certamente sia coloro che prestano la loro opera volontaria nei settori del­la sanità e dell'assistenza, sia coloro che ope­rano o hanno responsabilità nella gestione delle strutture pubbliche, sia, infine, le persone che hanno comunque bisogno di tali servizi.

 

 

U. ASCOLI (a cura di), Azione volontaria e Wel­fare State, II Mulino, Bologna, 1987, pp. 368, L. 34.000.

 

Nel nostro Paese il dibattito sul volontariato è andato assumendo un ruolo di grande rilievo ed ha investito non solo le forze politiche e so­ciali, ma anche gli studiosi di scuole e prove­nienze eterogenee.

In tale ambito si colloca il volume curato dal noto sociologo Ugo Ascoli che, attraverso l'ana­lisi di esperienze internazionali, fa emergere gli aspetti fondamentali del volontariato.

Al riguardo, l'Autore ha preso in esame le or­ganizzazioni volontarie non profit, i gruppi poco o per nulla istituzionalizzati e quelli di self-help.

Caratteristica essenziale del volontariato è la non remunerazione sia del gruppo sia dei com­ponenti.

Di fondamentale importanza l'affermazione se­condo cui, ad avviso degli osservatori dei vari paesi, «l'insieme delle organizzazioni volontarie non sia in grado di far fronte in nessun conte­sto ad un sostanziale arretramento del Welfare pubblico, colmandone i vuoti che si aprono nel sistema di protezione sociale; inoltre, anche quando esse appaiono impegnate nell'erogazione diretta di servizi sociali, mai danno l'impressio­ne di poter "sostituire" il settore pubblico; so­prattutto poi, pur mostrandosi in crescita nume­rica ed aprendosi a sempre nuovi settori di atti­vità e di intervento, le organizzazioni volontarie appaiono ovunque sempre maggiormente dipen­denti dal sostegno pubblico, qualsiasi forma esso venga ad assumere».

Ne deriva, secondo Ascoli, che «al centro quindi dell'attenzione si pongono le numerose problematiche relative alle modalità della sem­pre più stretta cooperazione fra pubblico e pri­vato non mosso da obiettivi di profitto».

Conclude l'Autore: «Illusorio ed utopico ap­pare allora rivendicare l'autonomia delle strut­ture di volontariato organizzato, come pure ri­chiamarsi ad un nostalgico primato dell'azione volontaria. Occorrerà invece riflettere sulle for­me, sui vantaggi e sui rischi della cooperazione, valutando settore per settore problemi e moda­lità specifici».

Per quanto concerne la programmazione dei servizi, occorre anche tener conto dei limiti del­le organizzazioni volontarie, la cui distribuzione sul territorio è spesso molto irregolare. Ne deri­va che è estremamente rischioso fare affidamen­to esclusivamente sul volontariato.

II volume, che raccoglie contributi di studio­si di numerosi paesi, consente anche di verifi­care se e quali interventi svolga effettivamente il volontariato per la prevenzione delle situazio­ni di bisogno e di disagio, e per la tutela dei dirit­ti delle persone più svantaggiate.

 

 

DANIELA LOMBARDI, Povertà maschile, povertà femminile - L'ospedale dei mendicanti nella Fi­renze dei Medici, Il Mulino, Bologna, 1988, pp. 250, L. 24.000.

 

Lo studio in questione delinea, con l'imposta­zione tipica delle ricerche di storia sociale, le tappe dello sviluppo della Casa pia dei Mendi­canti fondata a Firenze nel 1621, fino al momen­to della ristrutturazione interna del 1738.

Prima della fondazione di questa casa di inter­namento per i mendicanti, era diffusa a Firenze una tradizione caritativa efficace e vitale basata soprattutto sul metodo di assistenza domiciliare.

Si erano dedicati all'organizzazione dei soc­corsi a domicilio la compagnia d'Or San Michele e i Buonomini di San Martino nel XIV e XV se­colo.

Nei secoli successivi i soccorsi a domicilio, soprattutto in periodi di crisi, continuavano ad essere affidati ai Buonomini con sovvenzioni straordinarie da parte dello Stato.

La presenza di un simile patrimonio di espe­rienze di assistenza a domicilio può forse spie­gare, secondo l'Autrice, il ritardo con cui a Fi­renze i mendicanti furono trattati con metodi di reclusione: d'altra parte di fronte alla soluzione dell'internamento ci furono anche vivaci posizio­ni contrarie fra coloro che precedentemente si erano occupati di assistenza con diverse moda­lità.

L'Ospedale per i mendicanti vede dunque la luce anche a Firenze, ma nessuno si illude circa l'efficacia dell'internamento: è soltanto un deter­rente per chi volesse abbandonare il proprio po­sto di lavoro. Già agli inizi del XVIII secolo, chi non può lavorare viene autorizzato a mendicare oppure, se abile, viene fornito di lavoro. In que­sto periodo infatti l'Ospedale dei Mendicanti si è trasformato progressivamente in un ricovero femminile.

Prima di analizzare gli sviluppi successivi dell'istituzione, l'Autrice si sofferma sull'organiz­zazione interna dell'ospedale e confronta l'im­magine che della povertà hanno i governatori dei «Mendicanti» e le esperienze di coloro che ad esso si rivolgono, per concludere che la loro è una povertà ben radicata nell'ambiente urbano ed anche nel mondo del lavoro qualificato.

Nel descrivere gli sviluppi successivi della istituzione fiorentina, l'Autrice mette infine in evidenza le differenze tra povertà maschile e po­vertà femminile; per le donne l'ammissione e la permanenza, ma soprattutto l'uscita dalla casa dei Mendicanti, era condizionata dai loro com­portamenti sessuali e dalla loro posizione fami­liare e sociale.

Dopo la ristrutturazione del 1738, l'Ospedale continuerà a vivere come educandato di ragaz­ze povere.

 

 

PAOLO TRANCHINA, Psicoanalisi senza muri - Diario da una istituzione negata, Centro di docu­mentazione, Pistoia (Via degli Orafi 29), 1989, pp. 160, L.30.000.

 

Il testo rappresenta una tappa fondamentale dei rapporti tra psicoanalisi e istituzioni, psico­terapia e servizio pubblico nel nostro paese. L'Autore descrive la sua esperienza di analista a contatto con problemi e contraddizioni ai quali la sua formazione non l'ha per nulla preparato. Difficoltà di rapporto con gli infermieri, i ricove­rati, i colleghi, si sommano alla impossibilità a decodificare in termini psicodinamici logiche che implicano rapporti tra comportamenti e processi globali di deistituzionalizzazione, motivazioni e deleghe politiche, diversità culturali e stile di lavoro.

Ma lentamente, attraverso la fatica quotidia­na e la difficoltà a superare strumenti codificati di conoscenza, come l'interpretazione in un set­ting statico, si fanno strada modalità nuove di rapporto, con i colleghi, gli infermieri, i ricove­rati; il dialogo con la psicosi si apre attraverso e oltre i codici della psicoterapia, della psicoana­lisi aprendosi sulla quotidianità.

Al cambiamento della realtà, all'abbattimento dei muri in pietra del manicomio di Arezzo cor­rispondono altri cambiamenti, superamento di difese, pretese, narcisismi. La forma del diario dà alle pagine una freschezza che non si può trovare in interventi più articolati, una immedia­tezza che si apre su trame vive fino alla crudez­za. I tragitti di trasformazione pratica, tecnica, psicologica si caricano della forza della quoti­dianità, i problemi, le contraddizioni, le speranze si immergono nel calore, nell'intensità dei vis­suti.

(dalla presentazione)

 

 

GIUSEPPINA COTTONE BERNARDI. Giochiamo insieme - 238 giochi per bambini da 3 a 6 anni, Edit. La Scuola, Brescia, 1987, pp. 160, L. 12.000

 

Giocare senza i soliti giocattoli. Giocare per inserirsi in un gruppo di coetanei. Giocare con elementi naturali, quali l'acqua e la sabbia. Gio­care coinvolgendo i genitori. Riscoprire i giochi di una volta. Giocare per esprimersi, per sperimen­tare, per comunicare ed attraverso il gioco, anche tramite la mediazione dei compagni e degli inse­gnanti. Apprendere a conoscere il proprio corpo, ad orientarsi nello spazio, a mettersi in relazione coi coetanei, ad osservare il mondo circostante esercitando l'attenzione, l'immagine, le abilità lo­giche e verbali: sono proposte che l'Autrice rivol­ge specificatamente agli educatori della scuola materna. Sono proposte che possono essere utili anche agli insegnanti della scuola elementare e a quei genitori che scelgano di riempire la soli­tudine che incatena i figli davanti al televisore senza ricorrere all'acquisto di giocattoli costosi.

Indice: Valore del gioco per lo sviluppo della personalità infantile; giochi spontanei e giochi finalizzati; dall'attività ludica all'attività ludifor­me; giochi per facilitare l'inserimento e la socia­lizzazione; giochi in giardino, nell'arenile, all'aper­to, del tempo dei nostri nonni; giochi e «conte» tradizionali; giochi che possono coinvolgere i ge­nitori; l'utilizzazione degli spazi nel quartiere; giochi per il consolidamento e lo sviluppo degli arti inferiori, per l'acquisizione e la padronanza dell'equilibrio statico e dinamico, che sviluppano il capo e il tronco, per lo sviluppo degli arti supe­riori e della mano; giochi senso-percettivi; giochi con materiale didattico vario; alcuni esempi di «centri di interesse» relativi al gioco; giochi per la motricità globale, di velocità e di attenzione, di coordinazione motoria, con il cerchio e i cer­chietti; giochi per i più piccini; i piccoli giocano con i grandi; giochiamo con il nostro corpo; giochi dì attenzione a coppie, semplici giochi di società; giochi per tutte le stagioni; giochiamo al chiuso, se fuori piove; giochiamo con legumi e agrumi; giochiamo sui gradini delle scale; per divertire divertendosi; giochi del tempo natalizio; a Car­nevale ogni scherzo vale; gioco simbolico e crea­tivo-espressivo; giochi per il tempo pasquale.

 

 

RENATO BOTTURA, Letti a rotelle, Edizioni Grup­po Abele, Torino, 1989, pp. 115, L. 18.000.

 

L'Autore, un medico specializzato in geriatria che lavora presso l'istituto geriatrico di Manto­va, riferisce le sue esperienze di dieci anni di attività con gli anziani, in particolare con quelli cronici non autosufficienti.

Con molta semplicità e chiarezza - e quindi, in modo molto efficace - descrive le condizioni di vita dei pazienti e riporta le loro testimo­nianze.

È uno spaccato angosciante anche perché - se si continuerà a fare niente per cambiare sul serio le cose - sarà la condizione futura di al­cuni di noi.

Ecco, ad esempio, come Bottura tratta il pro­blema delle piaghe da decubito:

«Una malattia di serie B. Sui sacri testi della medicina ufficiale c'è un breve accenno, qualche rapida descrizione, poca importanza. È poco in­teressante per la speculazione clinica. Ma di pia­ghe si muore, di piaghe si arde di dolore, ci si consuma lentamente e inesorabilmente. Come un cancro. L'osso sacro, i talloni, i fianchi, la punta delle orecchie, le ginocchia, i polpacci, le spalle, la colonna vertebrale, i gomiti: ogni spor­genza è candidata, lentamente, inesorabilmente.

«Si gira sul fianco l'ammalato per trovare sol­lievo alla schiena e inizia il calvario al fianco, e poi l'altro fianco. Poi il respiro affannoso per la posizione innaturale sul fianco sbagliato, poi il braccio informicolato per l'abnorme compres­sione, poi la puzza.

«Un fetore sordo, pungente, penetrante, in­confondibile permea sempre più le lenzuola, il letto, la camera. E nonostante le assidue medi­cazioni, i lavaggi, la pulizia costante, il pus si riforma, i miasmi pesanti escono di nuovo, i fru­stoli di carne morta e nera si consolidano.

«La piaga è come una finestra aperta sul disfa­cimento del corpo, è come un subdolo cammina­re della distruzione della carne. Lentamente, ine­sorabilmente».

Molto interessante la postfazione di Carlo Hanau che, fra l'altro, rileva quanto segue:

«In effetti tanto peggio funzionano i ricoveri, tanto più si riducono le spese dello stato, sia per gli effetti diretti del risparmio sulle risorse consumate per giornata di degenza, sia perché si riduce la durata della degenza (anticipando la morte), sia perché aumentano le famiglie dispo­nibili ad ogni genere di sacrifici pur di evitare al proprio anziano di finire i suoi giorni in quella maniera. La dissuasione ad entrare nel ricovero viene potenziata aggiungendo al danno psicofi­sico quello economico: negando a chi è affetto da malattia cronica la qualifica di malato, si pon­gono le premesse per due tipi di soprusi, quello di privarlo dell'assistenza del personale con qualifica sanitaria di cui avrebbe grande bisogno (in particolare infermieristico e riabilitatore) e quello di obbligare lui e la sua famiglia a pagarsi le spese di degenza. Purtroppo esiste una prassi, tanto diffusa quanto illegittima, di far pagare al­l'interessato da 20.000 fino a 100.000 lire al gior­no, e solo nel caso di grave indigenza interviene il Comune con i fondi dei poveri (e che al poveri dovrebbero essere riservati)».

È un libro che, a nostro avviso, dovrebbe in particolare essere utilizzato dagli insegnanti per far conoscere la reale situazione di molti anzia­ni agli allievi, a cominciare da quelli delle medie inferiori.

 

 

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