Prospettive assistenziali, n. 93, gennaio-marzo 1991
GIOVANNI NERVO (*)
Sul tema delle RSA - Residenze sanitarie assistenziali,
mi è stato chiesto di trattare gli aspetti etico-sociali. Il mio contributo,
quindi, riguarda il rispetto e la salvaguardia della dignità delle persone
anziane ed i loro diritti.
Mi sono chiesto, è una domanda a monte, se la
politica socio-sanitaria che sottende il problema delle RSA garantisca e
realizzi, così com'è portata avanti, i diritti inviolabili delle persone
anziane secondo i diritti di tutti i cittadini, come enunciato dall'art. 2
della Costituzione.
È molto singolare che la Costituzione non contenga il
termine anziano: ci sono quelli di persona, uomo, cittadino; quindi ogni
persona ha tutti i diritti affermati dalla Costituzione dal primo momento che
comincia ad esistere al momento in cui muore; l'anziano è un cittadino, anzi
una persona; in sostanza l'anziano è titolare di tutti i diritti.
In questo incontro stiamo parlando prevalentemente
di diritto alla salute. Il mio intervento è un po' critico, ma ho delle
preoccupazioni proprio sotto l'aspetto etico, preoccupazioni che ho espresso
in una tavola rotonda che si è tenuta alla fine di ottobre in occasione di un
seminario organizzato dal Consiglio sanitario nazionale a Trieste.
Tre anni fa, stavamo lavorando nel Comitato operativo
del Ministero della sanità, presieduto dal defunto on. Carra, per rivedere il
progetto obiettivo anziani del Piano sanitario nazionale. Ministro della
sanità era Donat-Cattin. Ci aveva detto che il Piano sanitario nazionale non
era ancora stato approvato dal Parlamento perché non c'era la copertura
finanziaria.
Allora incominciammo a prendere in esame i cinque
progetti-obiettivo: anziani, malati mentali, handicappati, tossicodipendenti e
minori, valutando le esigenze di copertura finanziaria. Vennero costituiti
gruppi di lavoro per calcolare che cosa voleva dire in termini di costo
l'attuazione dei progetti-obiettivo. Mentre stavamo lavorando con competenze
diverse su questa questione, ci giunse la bomba dei 30 mila miliardi approvati
in Parlamento con la legge finanziaria 1988 per le strutture sanitarie e per la
realizzazione di 140 mila posti letto da destinare agli anziani che non
potevano essere curati presso le loro famiglie. Dovemmo, quindi, occuparci a
tamburo battente degli standard e della previsione dei costi.
Ricordo che posi subito una domanda al presidente on. Carra: «Qual è la politica del Governo sugli anziani? Perché se nella
finanziaria si stanziano le risorse soltanto per il ricovero, vuol dire che la
politica del Governo è per la istituzionalizzazione. Inevitabilmente».
L'on. Carra mi rispose evasivamente, ma il Ministro Donat-Cattin colse il
rilievo ed affermò esplicitamente in seno al Comitato che si doveva dare
priorità ai servizi domiciliari aperti sul territorio, e ci chiese di calcolarne
il fabbisogno ed il costo da inserire poi nel progetto anziani del Piano
sanitario nazionale.
Ciò
che facemmo in un gruppo ristretto di lavoro.
In seno al Comitato, una parte dei componenti aveva
sostenuto sostanzialmente quello che qui è stato proposto nella relazione
introduttiva e cioè che le RSA dovevano essere relativamente di piccole
dimensioni.
Dicevamo relativamente perché diversa è la
situazione, per esempio, della grande città o di una comunità montana: le
strutture e gli standard di personale dovevano essere adeguati ai bisogni, e
valutammo insufficienti quelli proposti. Si chiedeva che fosse offerta sul
territorio una rete differenziata di soluzioni, perché la realtà è
differenziata e anche le stesse persone anziane possono fare scelte diverse, se
hanno la possibilità di realizzarle. Chiedevamo, inoltre, che si
collegasse la politica degli anziani con quella della casa, dei trasporti,
delle pensioni, perché molti problemi avevano la loro radice lì; si scaricavano
poi nel momento della loro autosufficienza, ma la radice primaria era più a
monte.
Tutto questo l'avevamo sostenuto proprio perché
fosse rispettata la dignità delle persone anziane e il loro diritto a rimanere
e a morire nel loro ambiente di vita e cl collegavamo con la Costituzione.
Il risultato fu molto modesto; c'erano in gioco
altri interessi: tanto che io personalmente e anche qualche altro membro del
Comitato ci dissociammo formalmente dal rapporto conclusivo del Comitato, che
del resto non fu discusse e non fu approvato collegialmente, con una lettera
che rattristò l'on. Carra: sono lieto di aver potuto poi chiarire la cosa poco
tempo prima che morisse.
Il motivo del mio dissenso era che ritenevo che la
linea politica che veniva adottata nell'assegnazione delle risorse non teneva
conto sufficientemente del rispetto dei diritti degli anziani e
inevitabilmente avrebbe favorito la loro emarginazione. Scrissi anche a1
Ministro Donat-Cattin esprimendogli queste preoccupazioni.
Sulla dimensione delle RSA, il Ministro Donat-Cattin
mi rassicurò con una lettera personale del 13 luglio 1989 in cui mi diceva: «Reverendo Monsignore, rispondo alla Sua
lettera del 13 giugno. Quanto alle residenze per anziani, credo che la bozza
del decreto (allegato) possa in qualche misura tranquillizzarLa. Il modulo è
60. Praticamente dovremmo avere una casa protetta sanitaria ogni distretto. I
distretti dovrebbero essere tra i 2000 e i 2400, con popolazione media di 25
mila abitanti, aumentabili fino a 40 mila nelle aree urbane e riducibili fino a
5 mila nelle aree di popolazione rada e sparsa (riducibili in caso di unità di
vallata con popolazione fino a 3 mila abitanti. In queste situazioni possono
essere ammessi, derogatoriamente, anche residenze con 30-40 posti, cioè con 2
nuclei di 15-20 persone). La ringrazio degli apprezzamenti e sono a sua disposizione
per ogni altro consiglio. Cordialmente. Carlo Donat-Cattin ».
Nel seminario di Trieste il prof. Paderni, che è il
responsabile nazionale della programmazione sanitaria, disse che bisognava
voltare pagina: sino adesso si è partiti dai bisogni, si son previsti i
servizi e poi lo Stato doveva trovare i fondi; adesso bisogna partire dalle
risorse, questi sono i soldi disponibili e su questi soldi si programmano i
servizi.
Nella tavola rotonda, in cui è stato affrontato
questo tema, gli ho detto che ero d'accordo con il criterio indicato e cioè che
il buon amministratore pubblico dovrebbe agire come il buon padre di famiglia
nell'amministrare il denaro pubblico. Il buon padre di famiglia non fa il passo
più lungo della gamba; quando decide le spese guarda alle risorse che ha
perché altrimenti si carica di debiti. Però dicevo al Prof. Paderni che il buon
padre di famiglia fa anche altre tre cose che oggi mi sembra che lo Stato non
faccia:
1) stabilisce precise priorità nelle spese, destinando
le scarse risorse prima di tutto ai bisogni più gravi e più urgenti;
2) se ha dei crediti in giro, cerca di recuperarli.
A questo riguardo c'è il problema dell'evasione fiscale;
3)
evita gli sprechi.
Quando nel Comitato operativo del Ministero della
sanità era emersa la questione dell'analisi dei costi e dei benefici, avevamo
risposto che, nei servizi alle persone, il calcolo dei costi e benefici va
fatto non soltanto sugli aspetti economici, ma anche su quelli umani e
sociali, perché altrimenti si dovrebbero chiudere le scuole. La scuola è
passiva immediatamente; a tempi lunghi è in attivo anche sotto il profilo economico.
Ma poi, se si tenesse conto solo dei costi e dei benefici materiali, dovrebbero
essere soppresse molte attività concernenti la qualità della vita e lo
sviluppo delle persone.
Dunque è giusto considerare i costi ed i benefici;
però, se vogliamo essere una nazione civile, bisogna considerare i costi ed i
benefici materiali, umani e sociali. E, nel caso degli anziani non
autosufficienti, è chiarissimo il discorso.
I
fatti che seguirono dimostrarono purtroppo che il mio timore non era infondato.
La spesa per gli interventi domiciliari, che era
stata calcolata dal Comitato, mi pare, in 750 miliardi, è stata ridotta ad una
cifra simbolica, credo 100 miliardi. Mi sembra anche che tale somma sia
svanita in quanto destinata ai medici di base.
L'accesso alle RSA è stato previsto anche per gli
anziani autosufficienti e per gli handicappati, indipendentemente dalla loro
età; il tetto delle RSA è stato portato a 120 posti letto; non sono ancora
stati fissati formalmente gli standard del personale.
La mia preoccupazione è che la linea politica che
guida questo programma, di fatto non favorisca il rispetto dei diritti
fondamentali delle persone anziane, diritti che devono garantire la cura della
salute come a tutti gli altri cittadini, consentendo alle suddette persone
anziane di rimanere il più possibile nel proprio ambiente di vita dove hanno i
rapporti significativi con le persone e con le cose, che permettono loro di
mantenere il desiderio di vivere e la possibilità di morire in modo umano e
dignitoso.
Non metterei in seconda linea le cose, cioè non
lascerei da parte le cose perché ad esse sono legati molti aspetti reali della
vita delle persone, e negli anziani queste cose non sono soltanto oggetti, ma
portano l'impronta ed il rapporto con le persone e con le esperienze di vita.
Nessuno nega che siano necessarie anche le RSA anche
perché ci saranno sempre situazioni effettive di abbandono, purché siano di
piccole dimensioni, inserite nel territorio, collegate organicamente con
l'ospedale.
Ma per realizzare i diritti fondamentali degli
anziani è necessario che sia sviluppata sul territorio anche una rete di
servizi differenziati secondo i bisogni e che sia data priorità agli interventi
e alle cure domiciliari e al sostegno alla famiglia.
Ma questo richiede che si distribuiscano le risorse
con questi criteri e con queste priorità: altrimenti rimangono vuote parole.
Una linea politica che destina le risorse soltanto o
quasi alle forme istituzionalizzate non è una politica che porta al rispetto
dei diritti delle persone anziane, ma favorisce la loro emarginazione.
Al riguardo consentitemi che vi citi l'indirizzo
pastorale che la CEI, Conferenza episcopale italiana, circa un anno e mezzo fa
ci ha dato su questo tema. E debbo ringraziare Prospettive assistenziali che è stata la prima rivista che ha riportato
il documento. La nota è stata inviata in data 19 luglio 1989 a tutti i Vescovi
con lettera personale di mons. Ruini, Segretario generale della CEI. In essa si
dice:
«1. Le
persone anziane, anche non autosufficienti, hanno bisogno e diritto di
rimanere il più possibile nel proprio ambiente di vita, dove hanno i loro
punti di riferimento nelle persone e nelle cose e i residui legami affettivi,
per poter mantenere il desiderio e la forza di vivere e portare a termine in
modo umano il loro cammino terreno.
«2. É
compito particolare della Chiesa educare le famiglie a mantenere presso di sé
le persone anziane nel limite del possibile, in conformità all'insegnamento
biblico, agli indirizzi del Concilio e agli altri documenti del magistero,
partendo dall'educazione in tal senso dei bambini e dei giovani.
«3. Occorre
però tener presente la famiglia così come è oggi, con pochi figli, con pochi
spazi, con molte esigenze indotte di vita e perciò più debole e più limitata
del passato ad assolvere a questo compito. È necessario pertanto stimolare il
supporto e la solidarietà di base di tutta la comunità cristiana e
contemporaneamente stimolare la società civile a sviluppare i servizi sul
territorio (assistenza domiciliare integrata, centri diurni, ospedalizzazione
a domicilio, ecc.) a sostegno della famiglia: il volontariato può essere una
preziosa integrazione dei servizi alla famiglia sul territorio.
«4. In
particolare la comunità cristiana può dare un sostegno alla famiglia che ha a
carico persone anziane, ad esempio:
- facendo conoscere a tutta la comunità
la situazione degli anziani della propria comunità; - promuovendo l'aiuto
reciproco da famiglia a famiglia;
- orientando
le congregazioni religiose e il volontariato verso i servizi domiciliari a
sostegno della famiglia;
- compiendo
una contemporanea azione sulle istituzioni pubbliche perché sviluppino i servizi
di supporto alla famiglia nel territorio;
- avviando,
dove è possibile, nelle parrocchie piccole strutture di accoglienza degli
anziani che non hanno più nessuno, come segno esemplare e come espressione di
fraternità di tutta la comunità parrocchiale.
«5. Le
congregazioni religiose sono chiamate a dare un segno esemplare con due scelte
coraggiose:
- la scelta preferenziale dei non
autosufficienti;
- la scelta dei servizi a sostegno
della famiglia.
«6. In coerenza e attuazione di quanto
detta finora, si chiede alle istituzioni pubbliche:
- di riservare agli anziani non
autosufficienti la priorità dei propri interventi;
- di dare
precedenza e preferenza all'assistenza domiciliare integrata,
all'ospedalizzazione a domicilio, ai servizi diurni sul territorio;
- di
mantenere per quanto possibile di piccole dimensioni le strutture residenziali
quando si rendono necessarie, in modo da evitare lo sradicamento degli anziani
dal loro ambiente; anche se i costi di costruzione e di gestione fossero superiori,
deve prevalere la preoccupazione per la qualità della vita;
- di
garantire nel!e piccole strutture residenziali gli indispensabili servizi
sanitari per non privare l'anziano malato cronico del diritto alla salute: la
scienza dimostra che non esistono malati incurabili;
- di
assumere una edilizia che consenta anche agli anziani non autosufficienti la
permanenza nel loro ambiente di vita.
«7. Gli
anziani autosufficienti, in quanto anziani non sono un problema. Il problema
caso mai è nella famiglia e nella società che non sanno più riconoscere loro
uno status e un ruolo, quando sono estromessi dall'attività produttiva. I loro
bisogni non si risolvono con l'assistenza (case di riposo, feste, viaggi,
ferie) ma con una diversa organizzazione della vita (casa, lavoro, ecc.) che
consenta loro di vivere come gli altri in mezzo agli altri. La comunità
cristiana può dare segni esemplari riconoscendo loro ruoli autentici nei vari
servizi della comunità stessa. Può inoltre promuovere e favorire la loro autoorganizzazione
per l'autotutela dei loro diritti e della loro dignità».
A mio avviso, questo è un punto importante perché
proprio qui si colloca la prevenzione. Proprio ieri il Prof. Fabris a Roma,
nel convegno organizzato dall'Istituto italiano di medicina sociale
sull'esperienza di Torino dell'ospedalizzazione a domicilio citava dati
significativi: gli anziani non autosufficienti di età superiore ai 65 anni
approssimativamente risulterebbero essere il 2,7% ed i parzialmente
autosufficienti il 3,2%, sicché, complessivamente tra non autosufficienti siamo
a circa il 6%, il che vuol dire che il 94% degli ultrasessantacinquenni sono
autosufficienti.
Quanto più è possibile mantenere autosufficienti gli
anziani, tanto più si rispetta la loro dignità, si prevengono problemi, si
riducono le spese.
Infine il documento della CEI afferma che «per rispettare la globalità della persona e
dei suoi bisogni, è necessario favorire l'integrazione dei servizi sanitari e
sociali» come era esplicitamente richiesto nella prima stesura del
Progetto obiettivo anziani. Nello stesso documento era altresì precisato: «Occorre sollecitare l'integrazione anche
nelle istituzioni pubbliche».
Se la linea politica che sottostà oggi alle RSA non
favorisce di fatto il rispetto di alcuni diritti fondamentali delle persone
anziane, ma tendenzialmente ne favorisce l'emarginazione, perché destina le
risorse quasi esclusivamente agli interventi che vanno in questa direzione,
non restano da fare che due cose.
Ridurre il più possibile i danni di questa linea
politica; lo possono fare particolarmente le Regioni: unire nelle RSA
autosufficienti e non autosufficienti non è obbligatorio, è facoltativo; come è
facoltativo inserire disabili e handicappati; i 60 posti e i 120 posti sono il
tetto massimo, non è la misura obbligatoria; se le Regioni vogliono, possono
ridurre la quota dei posti letto assegnati per le RSA e, così m'è stato detto,
far rientrare nella quota delle RSA anche i posti letto concernenti
l'ospedalizzazione a domicilio.
Ho fatto un quesito al sottosegretario alla sanità:
mi ha risposto: «Mi sembra di sì», ma
non posseggo una lettera al riguardo. Le Regioni, poi, se vogliono, hanno anche
altre risorse per sostenere le famiglie e sviluppare l'assistenza domiciliare
integrata.
Inoltre i sindacati, le associazioni, il volontariato,
utilizzando anche gli articoli 6 e 7 della legge 142/1990 sulle autonomie
locali (e cioè gli spazi sulla partecipazione popolare) e la legge 241 sulla
trasparenza della pubblica amministrazione (e quindi chiamando in causa chi ne
ha la responsabilità e facendo leva sul diritto dei cittadini e delle
associazioni di accedere agli atti e ai servizi) possono esercitare una
vigilanza di base perché sia garantito realmente alle persone anziane non
autosufficienti il diritta alla salute e non ci si limiti a coprire con la
vernice le inefficienze e la disumanità di un numero non irrilevante di case
di riposo, se stiamo ai dati raccolti uno o due anni fa dai Sindacato
pensionati della CISL.
La seconda cosa da fare a mio avviso (e questa ha
tempi più lunghi), è lavorare per modificare e integrare l'attuale linea
politica. Adesso il vento va in una direzione, ma grazie a Dio le montagne
stanno ferme, ma gli uomini si muovono anche se lentamente; inoltre, possono
anche cambiare i governi, possono anche cambiare le leggi, possono anche
cambiare le istituzioni.
Solo che non cambiano da sole; e non cambiano se non
cambia la cultura e la domanda politica.
Ricordo l'osservazione che mi faceva un assessore ai
servizi sociali di una città emiliana: «Gli
elettori mi domandano case protette». Ma, con un'azione culturale si può
anche modificare la domanda politica: cure a domicilio e aiuto alle famiglie
invece che case di riposo. È logico che se tu gli offri quello, ti domandano
solo quello; ma se metti in movimento un processo che consenta ragionevolmente
di accedere ad altre soluzioni, allora comincia a modificarsi la domanda
politica, domanda politica che, a mio avviso, dovrebbe rivolgersi a tre
obiettivi:
1) ottenere una molteplicità di servizi sul territorio
(anche RSA, ma anche day hospital, assistenza domiciliare integrata,
ospedalizzazione a domicilio);
2) ottenere la priorità per i servizi che consentono
la permanenza in famiglia; è questione di priorità. Quando vengono a dirmi che
non ci sono le risorse, dico che hanno ragione ed hanno torto, per-ché
l'Italia non ha mai avuto tante risorse come oggi: nessuno può contestarmi
questo; sono aumentate le esigenze, è aumentata la complessità della vita, ma
il vero problema non sono !e risorse, sono le priorità che si danno alle risorse,
e le priorità si danno in base a valori. Ecco il punto che accorre modificare;
3) ottenere che l'assegnazione delle risorse rispetti
questa priorità, perché se la priorità viene enunciata, viene proclamata
magari nel periodo elettorale, ma poi dopo, quando è il momento di fare i
bilanci, di definire e destinare le risorse, se non si tiene conto delle
priorità, rimangono parole che prendono in giro la gente.
E allora chi può far nascere questa domanda politica?
Più che ai partiti, penso anzitutto ai sindacati, alle associazioni, ai
movimenti. Confesso, però, che non ho molta fiducia negli adulti, perché hanno
interessi immediati anche legittimi, hanno poco tempo per pensare a queste
cose, sono troppo invischiati per aver voglia di interessarsi in forma
innovativa dei vecchi: temo che agli adulti questa linea politica su cui ho
posto dei punti interrogativi, in fondo vada bene perché se no l'avrebbero già
modificata.
Ho più fiducia nei giovani e nei vecchi, e nel legame
fra queste due fasi della vita. Se i movimenti dei giovani - ma qui intendo
giovani anche persone in su con l'età (qui, per esempio, siete quasi tutti
giovani) faranno proprio questo problema, promuoveranno la coscientizzazione
sui diritti, non soltanto economici, opereranno per pensioni adeguate, favoriranno
il rispetto delle esigenze umane, della dignità nella vita e nella morte e
sapranno unirsi, hanno la forza per far modificare questa politica: basta che
sappiano usare il voto a sostegno di questi obiettivi nei sindacati, nei
partiti, nelle elezioni comunali, regionali, nazionali, europee.
Il cambiamento, però, non può riguardare soltanto le
cose (leggi, risorse, strutture, servizi); deve riguardare anzitutto le
persone, perché sono le persone che cambiano le cose o le lasciano come sono.
Di fronte alla destinazione di 10 mila miliardi per
cambiare le strutture (perché a questo sono destinati questi miliardi), non ho
visto nessuna somma destinata a cambiare le persone, cioè al riciclaggio e alla
formazione degli operatori, dei dirigenti e degli amministratori, ripeto degli
amministratori.
Questa lacuna, che mi pare ci sia, mi sembra grave.
Significherebbe che la difficoltà incontrata nell'applicazione della legge
833/1978 non ci ha insegnato nulla. Nell'analisi sulla mancata attuazione di
questa legge, non si tiene conto di una variante fondamentale: la formazione
delle persone che dovevano attuarla. Ci troviamo di fronte ad una situazione
molto strana: con la stessa legge, con gli stessi finanziamenti, con lo stesso
personale, alcune USL si sono organizzate abbastanza bene, nel giro di 12 anni
hanno istituito i distretti, hanno fatto funzionare in modo soddisfacente i
servizi, mentre la maggior parte delle altre no. Perché? O perché le persone
preposte non sapevano farlo, e allora è una questione di motivazione o perché
avevano interesse a non farlo ed allora occorre smascherarle. Di fatto, dove ci
sono state persone capaci, preparate, motivate, la riforma ha funzionato;
nelle USL in cui il fattore «personale responsabile» è stato trascurato, la
riforma non è partita: non direi neppure è fallita, non è partita.
Le osservazioni fatte all'inizio del mio intervento,
dunque, si riconducono a questo problema: mi sembra che la linea politica
socio-sanitaria non affronti in modo globale i problemi della condizione
anziana, per cui non è la persona dell'anziano al centro della politica per gli
anziani, ma altri obiettivi e altri interessi che non mettono in movimento le
condizioni indispensabili per modificare questa situazione.
A Trieste, mi ero associato alla proposta del Prof.
Carbonin: e cioè che non siano approvate le RSA se non ci sono gli altri
servizi sul territorio. Credo che questa sia una posizione molto concreta.
Aggiungerei anche un'altra richiesta: «Se non c'è un programma di formazione
del personale». Ecco, queste sono le condizioni perché il provvedimento sulle
RSA possa portare reali vantaggi agli anziani.
A me sembra che sarebbe necessario imparare la
lezione e non commettere nei riguardi delle RSA lo stesso errore che si è fatto
con la riforma sanitaria.
Come
fare?
Non
tocca a me dirlo.
So che il capitolo di cui parliamo oggi, le RSA, lo
trattiamo soltanto in merito agli investimenti per costruire o riattivare
strutture e non tocchiamo gli altri problemi: quelli che ho richiamato prima:
i servizi di supporto sul territorio. Però la programmazione, anche quando
affronta un problema specifico, deve tener conto di tutte le altre componenti.
Questo compito, però, non compete a me; sono stato invitato a trattare gli
aspetti etici ed ho cercato di farlo.
Concludo con l'antico apologo della ciotola: ce lo
raccontavano alle elementari... qualche anno fa. Esso dimostra quanto siamo
miopi e buffi di fronte a questo problema.
Il figlio non accetta più a tavola il vecchio padre
a mangiare con gli altri e gli mette il cibo in una ciotola e lo fa sedere in
un angolo della cucina: allora le cucine di campagna erano grandi. Il nipotino
piccolo osserva e tace.
Passano gli anni: il nonno muore nella tristezza,
anche il padre invecchia e il figlio piccolo diventato adulto va a riprendere
tra le cose vecchie la ciotola del nonno. La mette in mano al padre e lo manda
a mangiare nello stesso angolo in cui egli aveva cacciato il nonno.
La linea politica che scegliete oggi per gli anziani,
sarà la linea politica con cui sarete trattati domani.
Il detto evangelico da precettivo si fa storico: sarà
fatto domani a te quello che tu oggi fai agli altri.
(*) Relazione presentata al 3°
Incontro di studio promosso dal gruppo permanente di lavoro per gli interventi
alternativi al ricovero, sul tema «Le residenze sanitarie assistenziali
nell'ambito degli interventi rivolti agli anziani ed agli altri soggetti non
autosufficienti: requisiti dell'utenza, delle strutture edilizie e del
personale», organizzato a Torino il 15 febbraio 1991 da CGIL e CISL - Funzione
pubblica Torino, da UIL - Enti locali Torino e da Prospettive assistenziali.
www.fondazionepromozionesociale.it