Prospettive assistenziali, n. 93, gennaio-marzo 1991
OSSERVAZIONI IN MERITO ALLE PROPOSTE
DI RIFORMA DELLA LEGGE 833
GRUPPO NAZIONALE AUTONOMIE LOCALI, POLITICHE SOCIALI
E SUPERAMENTO DELL'EMARGINAZIONE (*)
L'attuazione della legge 833/1978, alla luce anche
del DPR 616/1977, ha messo in evidenza una notevole varietà di esperienze
positive e negative.
Le esperienze positive, realizzate in molte Regioni,
stanno a dimostrare che la legge 833 in sé è una buona legge, anche se
perfettibile, che abbisogna però di continua sperimentazione nei settori
socio-sanitari, e di una cultura rinnovata che formi politici, amministratori e
operatori al modo nuovo di intendere e di erogare i servizi.
Le esperienze negative, sulle quali si appunta con
particolare insistenza l'attenzione dei mezzi di informazione, sono dovute spesso
a carenze locali, di Regioni e di Comuni, anche in relazione alla mancanza di
tradizioni di sanità pubblica e, di conseguenza, a interessi forti precostituiti.
Del resto, ogni legge di riforma veramente innovatrice
ha bisogno di tempi abbastanza lunghi per poter esprimere tutte le sue
potenzialità, con profonde trasformazioni di metodi, di mentalità, di
formazione e con sperimentazioni attentamente predisposte e valutate.
Gli sviluppi positivi dei servizi socio-sanitari
realizzati in molte regioni o zone del nostro Paese stanno a dimostrare che
l'impianto complessivo della legge 833 è
buono; che la legge 833 ha bisogno di
aggiustamenti non sostanziali, ma tenendo conto delle esperienze più
significative per non correre il rischio, sempre presente di livellare al punto
più basso l'organizzazione dei servizi socio-sanitari.
Le cause reali delle disfunzioni e delle inefficienze
innegabili del Servizio sanitario nazionale sono da ricercare, più che nei
difetti della legge 833, nella mancanza di volontà di attuarla, della quale
vari Ministri della sanità che si sono succeduti negli anni '80 sono i
principali responsabili; nella scarsità delle risorse messe a disposizione,
sia finanziarie che di personale; nella penalizzazione dei servizi sociali, intesi
nel senso più ampio del termine, ogni qualvolta si è trattato di operare tagli
nella spesa pubblica.
Non è stata peraltro attuata nessuna significativa
azione nel controllo, per esempio, dell'uso dei farmaci, delle attività
mediche, e nemmeno nella formazione del personale, o nell'accrescere la
motivazione di alcune professionalità che si stanno dimostrando essenziali per
il Servizio sanitario nazionale (v. gli infermieri professionali).
Molte motivazioni anche istituzionali e organizzative
(si pensi ai distretti di base) sono rimaste pressoché inattuate per mancanza
di stimoli e di sperimentazioni, dei quali la programmazione socio-sanitaria
nazionale doveva essere l'elemento propulsore.
Non si é tenuto sufficientemente conto - e sotto
questo punto di vista il disegno di legge 2375 (già 4227 alla Camera dei
deputati) percorre una strada sbagliata - che alla domanda di salute non si
può più rispondere con strumenti di tipo esclusivamente medico o sanitario. I
documenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sono chiari al riguardo,
ma l'Italia, che pure aderisce all'organizzazione stessa, sembra non volervisi
adeguare.
La salute non è assenza di malattia; essa è uno stato
esistenziale di «completo benessere fisico, psichico e sociale» e investe i
problemi della casa, del lavoro, del rapporto tra l'uomo e l'ambiente, della
tutela della natura.
La tutela e la promozione della salute, primo compito
del Servizio sanitario nazionale, richiedono perciò non solo ospedali
efficienti, ma una serie di servizi socio-sanitari tra loro integrati (USL),
gestiti unitariamente ed esigenti la partecipazione delle singole persone e
della comunità locale mediante forme di responsabilizzazione delle quali
l'associazionismo e il volontariato sono aspetti essenziali.
Diritti e doveri dei cittadini diventano così il
momento centrale di un servizio socio-sanitario moderno e civile.
L'irrinunciabilità dei diritti della persona e la
globalità dell'intervento procedono di pari passo con l'esigenza forte della
precisa titolarità di funzione del Comune (singolo o associato) e dell'unicità
del soggetto erogatore dei servizi sanitari, assistenziali e sociali. Si
richiama a questo proposito la recente legge 142/1990 di «Ordinamento delle
Autonomie Locali».
Sanità, assistenza e servizi sociali sono, infatti,
diritti democratici acquisiti in una società sviluppata; il Comune, poi, è la
sua matura espressione di democrazia, e in esso i bisogni del cittadino sono
commisurati alla partecipazione e alla diffusione della rappresentanza democratica.
Se unica sarà (a titolarità dei servizi sanitari ed
assistenziali, unico dovrà essere anche l'ente gestore, pur articolato in
momenti partecipativi distinti cui vengono associate responsabilità precise.
Questo aspetto della partecipazione, collegato con
l'esigenza dell'efficienza dei servizi, che a sua volta dipende dalla loro
governabilità, richiama il problema delle dimensioni demografiche e
territoriali delle USL.
La proposta di ampliare l'ambito delle USL (da
120.000 a 400.000 abitanti) trova controindicazioni proprio nelle esperienze
delle attuali realtà: le USL metropolitane o quelle di dimensioni eccedenti i
limiti esistenti (50.000/200.000 abitanti) hanno trovato gravi difficoltà
nell'attuare il processo di riforma.
In questo quadro, particolare attenzione si deve
porre al distretto di base, vero strumento della gestione politica del
territorio, nella prospettiva di servizi socio-sanitari efficienti ed efficaci.
Il distretto di base, mediante le presenze dei
rappresentanti locali del volontariato, delle associazioni, dei gruppi di base
e degli stessi amministratori dei Comuni, adempie il ruolo di soggetto
istituzionale attento alla programmazione locale dei servizi.
Per realizzare questo quadro sono necessari strumenti
adeguati e puntuali di gestione politica e di gestione tecnica.
La gestione politica si attua attraverso la programmazione
pluriennale, con scansioni periodiche di verifica anche su progetti specifici.
Controlli e verifiche sono volti alla riprogettazione dello sviluppo zonale,
per cui è determinante che le relazioni annuali di distretto e di USL e gli
altri strumenti del sistema informativo e contabile siano esplicitamente
finalizzati al governo della realtà locale, all'acquisizione di dati sullo
stato dei bisogni e sul livello di risposta esistente e relativi costi.
La gestione tecnica non potrà essere né l'attuale
patto federativo degli uffici di direzione né la managerialità rampante. Ciò di
cui c'è bisogna è una managerialità diffusa, la cui diretta conseguenza è la
programmazione per obiettivi e non per compiti, ferme restando le responsabilità
individuali dei singoli dirigenti, come precisate anche nella legge 241/1990
(sulla trasparenza dei procedimenti amministrativi).
Ma il problema del rapporto tra gestione politica e
gestione tecnica sembra trovare nel disegno di legge in discussione soluzioni
non rispondenti alle reali esigenze del Servizio sanitario nazionale.
L'esperienza, anche in questo caso richiede che le
responsabilità dell'amministrazione del Servizio sanitario nazionale e delle
USL debbano essere politiche. E per amministrazione non si intendono le sole
competenze - praticamente inconsistenti - delle attuali Assemblee delle
Associazioni Intercomunali, alle quali è sostanzialmente paragonabile il
Consiglio di amministrazione previsto dal disegno di legge n. 2375 (art. 4,
punto 2/e), ma competenze ben più consistenti, quelle cioè di una Giunta o di
ogni Esecutivo, anche per non creare degli organi diversi da qualunque altra
tipologia del nostro ordinamento amministrativo (si richiama ancora una volta
la legge 142/1990). Secondo il disegno di legge, il «Direttore generale»
manager dovrebbe assumere il ruolo complessivo che oggi è proprio del Comitato
di gestione. Ma quale sensibilità potrà avere un «manager» siffatto di fronte
ai bisogni della gente? Come e a chi risponderà del suo operato? Da quale
preparazione deriverà le sue competenze (in servizi sociosanitari, si badi
bene) se, oltretutto, la «Scuola superiore dì amministrazione sanitaria», prevista
dal disegno di legge, non è ancora costituita?
Certamente, per realizzare un compiuto sistema di
sicurezza sociale occorrono, in tempi brevi, oltre alla recente riforma delle
Autonomie locali, quella della finanza locale, dell'assistenza e della
previdenza sociale; occorre la garanzia di risorse adeguate (bilanci e piante
organiche), che consentano l'ulteriore acquisizione di una più profonda e
matura cultura della responsabilità a livello sia tecnico che politico.
Per
concludere, pare necessario ribadire con fermezza alcune idee forza:
- l'integrazione tra servizi sanitari e servizi
sociali, mediante il governo e la gestione unitari in capo ad un unico
organismo;
- la globalità degli interventi (prevenzione, cura e
riabilitazione) che richiede la permanenza dei presidi ospedalieri nell'ambito
di governo delle USL;
- la centralità del Comune, singolo o associato,
nella programmazione, gestione e valutazione dei servizi socio-sanitari;
- il rapporto tra il momento politico e momento
tecnico deve realizzarsi con chiara distinzione dei ruoli e definizione delle
responsabilità, puntando sulla collaborazione tra le varie professionalità più
che sulla figura monocratica del Direttore generale;
-
gli ambiti demografici e territoriali delle USL non devono superare le
dimensioni che la
esperienza ha dimostrato ottimale per la governabilità
e la partecipazione. In ogni caso la competenza in tale campo deve spettare
alla programmazione regionale;
- la definizione di parametri certi, qualitativi e
quantitativi, per il finanziamento dei servizi sanitari e dei servizi sociali.
Ottobre
1990
(*) Fanno parte del
Gruppo: Baglioni Paolo, Berneschi Giacinto, Bartoli Andrea, Burocco Mario,
Campedelli Massimo, Castelli Vincenzo, Cozzi Lepri Paolo, Florea Aurelia,
Foglietta Fosco, Lucà Mimmo, Giacomelli Ivano, Marucci Pierluigi, Merli Mauro,
Mirabile Maria Luisa, Monterubbianesi Franco, Nocera Salvatore, Panizza
Giacomo, Prezioso Antonio, Santanera Francesco, Trevisan Carlo.
Il documento è stato sottoscritto da:
Centro Studi e Programmi Sociali e Sanitari di Roma, Comunità di Capodarco,
CNCA - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Coordinamento Sanità e
Assistenza fra i Movimenti di Base di Torino, Fondazione Emanuela Zancan di
Padova, Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali, MO.V.I. - Movimento di
Volontariato Milano, USL 19 Alta Valdelsa-Poggibonsi, USL 21 Padova, USL 27
Cirié (TO), USL 37 Faenza.
www.fondazionepromozionesociale.it