Prospettive assistenziali, n. 93, gennaio-marzo 1991
RISPOSTA AI VILLAGGI SOS
ANFAA DI LUCCA
Riportiamo
da «Volontariato Oggi», n. 5, maggio 1990 la risposta dell'ANFAA di
Lucca sui villaggi SOS.
Ricordiamo
che su Prospettive assistenziali il tema dei villaggi SOS è stato trattato
nei n. 15, luglio-settembre 1971 «I villaggi SOS: ghetti di lusso»; 55,
luglio-settembre 1981 «I villaggi SOS: una vecchia forma di beneficenza» e 72,
ottobre-dicembre 1985, in occasione della recensione del libro di Gmeiner «Impressioni,
riflessioni, confessioni».
Abbiamo letto nella rubrica INPUT del numero 1 del
gennaio 1990 di «Volontariato Oggi» una presentazione dei Villaggi SOS a firma
del Dott. Antonio Lupo di Firenze e pensiamo che occorra rettificare alcune
affermazioni e proporre una diversa e critica lettura dei temi trattati.
Non conosciamo per esperienza diretta l'operato dei
Villaggi SOS realizzati in Italia e, dovendoci limitare a valutare la
presentazione letta, dobbiamo sottolineare l'impressione negativa ricevuta.
Leggiamo che nei Villaggi é la «Mamma» che si prende cura di un gruppo di
minori. Leggiamo «Mamma», ma apprendiamo in seguito che è una donna che viene
sostituita per assenze, ferie, malattia e ci convinciamo che è in realtà un
dipendente retribuito come troviamo in tante istituzioni pubbliche (asili,
scuole, istituti, etc.) ed in cui, almeno per chiarezza, queste figure si
indicano come «Operatori sociali» richiamando specifiche preparazioni
professionali.
Ci chiediamo a quale titolo si usa il termine di
«Mamma». Ha una famiglia sua propria? Dove? È corretto abusare del termine in
parola proponendolo ai minori di cui si dichiara che vogliamo il rientro
nella famiglia di origine?
Meno male che non parla di «Padre» ma di «Figura
maschile», ma il nostro sollievo finisce qui perché tale figura è il Dirigente
del Villaggio, cosa che ripropone una vetusta società maschilista in cui
l'uomo dirige, prende decisioni e sostiene la donna che è addetta a compiti
più umili e quotidiani. Questi vengono definiti «aspetti
sani della famiglia».
Si ribadisce inoltre la necessità strutturale del
«Villaggio» che solo permette di essere «famiglia». Questi gruppi di minori, che si definiscono
senza ragione «famiglia», sono dunque inseriti, non nella società come si
afferma, ma nel Villaggio che della società è un aspetto tutto particolare e
artificioso che tende solo a ridurre, e quindi a mistificare, la realtà.
Vorremmo che si esaminasse più da vicino la presunta e dichiarata cura
individualizzata e la possibilità per i minori di sviluppare le capacità e seguire
le tendenze personali.
Si citano come ulteriori punti di merito l'organizzazione
assistita dei giovani che escono, alla maggiore età, dal Villaggio per
affrontare la vita, il mantenimento dei rapporti con il Villaggio dei minori
divenuti adulti, l'esistenza delle Case per giovani; a noi pare che tutto
questo possa essere un'altra testimonianza del fallimento delll'inserimento dei
giovani («anche se sposati») nella società e di una filosofia che impedisce il
nascere e il crescere di rapporti profondi con chi fa parte dei «Villaggio».
Troviamo l'affermazione che «la filosofia dei
Villaggi SOS è adeguata alle esigenze della società attuale» e a noi pare
invece che la filosofia sia quella della società di 40 anni fa, quando si
accettava che un minore entrato in istituto vi rimanesse fino a maggiore età,
quando non si pensava in termini di diritti dei minori, quando non esisteva
l'istituto dell'affido familiare, quando si pensava ai minori in difficoltà
familiare al massimo come oggetto di carità. Questa impressione ci viene
confermata in seguito quando si spiega che l'SOS Internazionale vuole concentrare
gli sforzi nei paesi dove manca l'essenziale, dove lo stato è assente, dove i
minori muoiono di fame e si sottolinea che noi (?) abbiamo problemi diversi.
Non ci pare opportuno nemmeno il riferimento alla
limitazione delle nascite e alla programmazione del futuro come elementi di
crisi e disgregazione della famiglia e del considerare i figli un intralcio.
In mancanza di anagrafi aggiornate sui minori istituzionalizzati dobbiamo riferire
la nostra valutazione che i figli unici sono sicuramente meno presenti negli
istituti che non i minori di famiglie molto numerose o nelle quali si vive
giorno per giorno senza alcun progetto educativo.
Nell'articolo leggiamo testualmente: «Non solo,
quindi, si è riconfermata necessaria l'attività dei Villaggi SOS, ma
addirittura veniamo sollecitati a progettarne altri dalla stessa legge italiana».
Queste affermazioni ci risultano prive di fondamento.
Da cosa si desume che l'attività dei Villaggi SOS è
necessaria? E a quale scopo? Forse sono necessari per contrapporsi alla scelta
prioritaria dell'affido familiare, o per sottrarsi all'obbligo morale di
affrontare e superare le contraddizioni e i punti di crisi di una società che
si definisce avanzata e che ancora non possiede le qualità vantate? Ci
ricordiamo che dalla diminuzione di oltre 250.000 presenze di minori negli
istituti verificatosi dal 1967 ad oggi non è stata certamente confermata
necessaria l'attività SOS quanto piuttosto la necessità di leggi avanzate, di
servizi e tribunali per i minorenni funzionanti e impegnati, la promozione di
un mutamento culturale di apertura alla solidarietà e all'accoglienza delle
famiglie vere.
Non ci fermiamo a dimostrare che risulta chiaro
dalle leggi che, falliti tutti i tentativi per mantenere il minore nella
famiglia d'origine, è favorito l'affidamento familiare e non l'inserimento in
Villaggi SOS. Non ci risulta nemmeno che ci siano leggi che sollecitano
l'organizzazione SOS a progettare altri villaggi. Vogliamo sottolineare che una
grande disponibilità di strutture di accoglienza, pubbliche o private, laiche
o confessionali, può provocare una serie di effetti negativi:
- scarso impegno dei servizi sociali per il superamento
delle difficoltà nelle famiglie di origine e nel reperimento di una sollecita
collocazione dei minorenni in famiglie disponibili;
-
scarso impegno, anche di mezzi, nella promozione dell'affidamento familiare;
- tendenza a delegare a queste strutture, che
rispondono a logici interessi propri, non ultimi quelli economici, l'intera
gestione dei casi;
- alti costi determinati dal mantenimento del minore
nella struttura e scarsi investimenti per l'aiuto alla famiglia d'origine e per
la prevenzione;
- stimolazione di iniziative e comportamenti volti
alla conservazione e sopravvivenza delle strutture non tenendo conto
dell'interesse dei minori.
C'è la necessità, a nostro avviso, di far scomparire
i maxi-istituti di vecchio tipo ancora esistenti lasciando solo per
l'emergenza e per casi particolarissimi alcune case famiglia e comunità
situate in normali abitazioni inserite realmente nel tessuto sociale, a cui si
colleghino e da cui dipendano come ogni normale famiglia, ed in cui siano
sempre presenti significative figure adulte di riferimento. Inoltre non devono
raggrupparsi in condomini o villaggi che finiscono per diventare ghetti, ma
devono limitare l'accoglienza per numero di minori e per tempo di permanenza,
conservare caratteristiche di flessibilità per poterne attuare, secondo la
necessità, la chiusura o la diversa utilizzazione (minori, anziani, portatori
di handicap).
La nascita di nuove strutture per minori in difficoltà
familiare è, a nostro avviso, possibile solo se armonizzata in un piano di
smantellamento degli istituti di vecchio tipo per cui ci pare inopportuna la
dichiarazione che «il Villaggio può nascere dovunque laddove un gruppo di volontari
operi una giusta promozione». Appare fuorviante sollecitare l'impegno di
risorse umane per la realizzazione di un Villaggio con lo scopo principale di
poter dire che ne esiste uno in più e con questo solo argomento giustificarne
la costruzione e la necessità.
L'autore dell'articolo denuncia il fatto di venire
spesso frainteso. Noi pensiamo che forse lo sarà stato anche questa volta per
suo difetto. Come possiamo ritenere attendibili le ultime righe in cui si
dichiara che si vuole «diffondere una mentalità affidataria perché le famiglie
si aprano e accolgano i ragazzi in difficoltà» quando si è scritto un articolo
in favore di un tipo superato di istituzionalizzazione? Quando si è invitato
tutti a impegnarsi per la costruzione di altri villaggi e non è stato fatto un
invito esplicito al volontariato o alle persone «mosse da una genuina spinta
altruistica» perché chiedano concretamente di divenire affidatari?
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