Prospettive assistenziali, n. 94, aprile-giugno 1991

 

 

IL FUTURO DELL'ADOZIONE NAZIONALE E INTERNAZIONALE FRA DIRITTO E ABUSO

 

 

Esperienze di genitori e figli adottivi

«Mi domandavo se desideravo un bambino solo per riempire un vuoto, un desiderio di maternità, mi chiedevo cosa volevo esattamente... Ho poi deciso di maturare le mie decisioni rivolgendomi alle Associazioni, ascoltando !e esperienze di altre famiglie. Il tempo che è passato, dovuto alle procedure burocratiche, mi è servito moltis­simo e per me è stato molto importante perché mi ha permesso di maturare veramente una decisione diversa: sapevo che c'era da qualche parte un bambino solo che aveva bisogno di me.

«Mia figlia, che ci è stata proposta quando aveva sette anni, e alle spalle tre anni di istituto e un affidamento "sbagliato", è arrivata da noi praticamente distrutta: non sapeva parlare, man­giare, non sapeva dove erano il bene e il male, non aveva sicurezze né certezze: era al mondo senza sapere di esserlo.

«Io non mi potevo avvicinare a lei, non potevo stare a più di cinque o sei metri di distanza: pro­prio non mi poteva sopportare. Mi diceva che non le piacevo, che non ero la sua mamma, dice­va che voleva tornare in istituto.

«Dopo sei mesi finalmente è scattato qualco­sa: mi ha accettata, per la prima volta mi ha chiamata mamma.

«Per me l'esperienza dell'adozione è stata mol­to importante prima di tutto perché mi ha per­messo di non essere una mamma scontata: è sta­ta una maternità costruita giorno per giorno, mi sono conquistata giorno per giorno il mio "di­ritto" di essere mamma» (G. Bonafede, mamma adottiva).

 

«Nella nostra prima figlia adottiva, gli otto an­ni di vita in una famiglia molto povera, di livello culturale bassissimo, hanno lasciato un segno e creato delle difficoltà infinitamente minori dei tredici mesi di abbandono del nostro secondo: era stato abbandonato in clinica perché aveva un handicap fisico; poi era stato alcuni mesi in isti­tuto. Quando è arrivato, sembrava che nostro figlio considerasse mia moglie la mamma che l'aveva abbandonato e che poi era tornata dopo tredici mesi: era arrabbiatissimo, gliela "faceva pagare"; e questo è durato per anni.

«È proprio vero che genitori si diventa, e noi abbiamo sperimentato che la stessa cosa avvie­ne anche per i figli biologici: diventare genitori è una conquista, sempre.

«Mia moglie ed io siamo contenti di questa esperienza, la rifaremmo; è un'esperienza forte, ricca, che dà significato alla famiglia.

«Bisogna rilanciare con forza questa proposta dell'adozione, anche dell'adozione "difficile", co­me scelta di vita, di cui siamo contenti» (C. Baf­fert, padre adottivo).

 

«La vita devastata i miei bambini l'avevano quando sono entrati nella nostra famiglia, ma non dalle istituzioni, che li hanno tolti ai genitori: erano devastati dalle circostanze della vita.

«A chi dice che noi siamo ladri di bambini dei poveri, rispondo che i miei bambini non erano per niente poveri, erano ben nutriti e non ave­vano i pidocchi.

«Non siamo dei tiepidi che fanno le conferen­ze sui bambini astratti, siamo gente con tanto calore, che ha accolto con amore queste vite, che ha cercato di ragionare, di riflettere, di incasella­re un po' le ragioni del cuore, con un amore che vuole incidere positivamente sulla vita degli altri.

«I due anni che sono passati prima che potes­simo presentare la domanda di adozione per noi sono stati fondamentali per riflettere sulla geni­torialità, su quali sono i modi in cui l'uomo può esprimere la fecondità, su che cosa vuol dire al­levare dei figli. La riflessione, che avevamo fatto sui minori in stato di abbandono, sul significato di essere padre e madre, ci hanno resi padre e madre prima di diventarlo.

«Sulla base della mia esperienza il bambino va adottato prima che venga adottato, cioè si deve adottare prima psicologicamente dentro di sé; ma poi al bambino bisogna lasciare tutto il suo tempo perché adotti i genitori, e non è un tempo facile per i genitori.

«Io ho vissuto una bellissima esperienza con il mio figlio più grande: è stata la sua rinascita adottiva. Lui ha impiegato tre anni per adottarmi come mamma.

«Inizialmente rifiutava il contatto, non voleva essere toccato, baciato... Più avanti, poiché all'asilo accusava vari malesseri, l'ho tenuto a casa con me. Usciti papà e fratellino, lui si infi­lava sotto il tavolo e mi chiamava li, e passava­mo mattinate sotto il tavolo a giocare, guardan­doci, toccandoci piano piano...

«L'importante è la disponibilità ad accogliere tutto ciò che viene da un figlio, a proiettarsi su di lui e non su noi stessi e poi è necessario essere supportati, essere sostenuti ad affrontare i momenti difficili» (R. Gentile, mamma adottiva).

 

«Ho superato tutti i problemi dovuti al fatto che provenivo da un paese straniero grazie alla mia famiglia: in casa mia di adozioni si è sempre parlato, e non ci sono mai stati tabù; è una cosa normale per noi» (Kim Olivieri, figlia adottiva).

 

« Siamo giunti in Brasile e ci siamo trovati ospiti (a pagamento: più o meno 115 dollari al giorno) della signora R. La spesa per l'adozione sarebbe stata di 7.000 dollari da consegnare (esclusivamente in valuta nordamericana) alla sorella della signora R. e al marito di quest'ul­tima, il console italiano dott. A.B.

«Un particolare veramente inquietante è che molti per adottare si rivolgono in Brasile al con­sole A.B., a sua moglie e alla cognata.

«Le altre tre famiglie con noi ci hanno raccon­tato che hanno dovuto pagare anche la somma di un milione e mezzo di lire come rimborso spese a questa associazione per telefonate e altro. Il pagamento è stato fatto al momento in cui è sta­to assegnato loro il bambino. Erano stati istruiti a non contrariare mai il console, né la moglie, né la cognata, a pagare tutte le volte che veniva loro richiesto, a seguire tutti i consigli, a non prendere mai iniziative di alcun genere.

«Alla richiesta dei genitori adottivi sull'oppor­tunità di portare in Brasile prodotti quali latte per i bambini, medicinali, viene consegnata una lista contenente cose come: formaggio parmigia­no reggiano, wishky, vermouth Rosso antico (par­ticolarmente gradito al dottor. A.B. e introvabile in Brasile), funghi secchi, biscotti, ecc.

«Siamo tornati in Italia sempre più convinti che il problema dei bambini abbandonati si risolve, in luoghi come il Nord Est del Brasile, soprattutto con una maggiore giustizia sociale; ci siamo ritrovati pieni di rancore, delusi, solo con un gran­de amore per quella che sarà nostra figlia, per i suoi genitori che non conosceremo mai e per la splendida gente di Bahia» (lettera di una fami­glia che vuole rimanere anonima, letta da N. Fer­roni della sezione ANFAA di Firenze).

 

Riaffermati i diritti dei bambini in situazione di abbandono materiale e morale

Queste esperienze, raccontate dalla voce dei protagonisti, sono state presentate al convegno «Il futuro dell'adozione nazionale e internazionale fra diritto e abuso», tenutosi a Milano nei giorni 19 e 20 ottobre 1990 e organizzato dall'ANFAA e da «Prospettive assistenziali» con il patrocinio del Consiglio nazionale sui problemi dei mino­ri (1), dell'Assessorato all'assistenza e sicurezza sociale della Regione Lombardia, della Provincia e dei Comune di Milano.

I presenti sono stati oltre 600. Al dibattito so­no intervenute 53 persone.

Scopo degli organizzatori dei convegno: riaf­fermare, di fronte al tentativo in atto di destabi­lizzare l'adozione, i diritti dei minori in stato di abbandono materiale e morale.

Il convegno è stato un'occasione importante per puntualizzare le finalità dell'adozione, messe frequentemente in discussione in questi ultimi mesi.

Il Presidente del Consiglio nazionale sui pro­blemi dei minori, Francesco Spinelli, ha afferma­to, in apertura dei convegno, che l'adozione è da «considerare come risposta giusta e dovuta per tutti i minori in stato di abbandono, per assi­curare loro quel diritto alla famiglia positivamen­te affermato dalla legge 184/1983».

Il relatore ha anche evidenziato l'esigenza di una stretta collaborazione tra i servizi sociali e la magistratura minorile, collaborazione che però viene attuata solo in alcune zone. Dopo aver ri­cordato il costante aumento numerico delle ado­zioni internazionali e aver auspicato una miglior disciplina dei fenomeno, F. Spinelli ha fatto pro­prie le preoccupazioni recentemente espresse dal Consiglio nazionale sui problemi dei minori: «Si teme che sull'onda emotiva di fatti di cro­naca venga messa in discussione l'esigenza as­soluta di porre regole chiare nella costituzione del rapporto adottivo e di affidarne la verifica e l'applicazione alla sede giurisdizionale. Ce­dere su questo punto significherebbe tornare in­dietro e legittimare una cultura appropriativa e speculativa nel rapporto tra adulti e bambini, aspetto che il Consiglio, fin dalla sua costituzio­ne, ha indicato come il principale vizio culturale che tanti guasti ha provocato e provoca. Ciò non significa che non possano essere compiuti ap­profondimenti sulla legge (ad esempio, la degiu­ridificazione di qualche settore dell'intervento). È però necessario che le regole giurisdizionali sia­no fissate e ne sia garantita l'applicazione: ogni ambiguità e ogni dilatazione di poteri discrezio­nali, ivi compreso quello di sanare situazioni ir­regolari, sono perniciose perché modificano i rapporti tra le sedi istituzionali e legittimano l'im­pressione che le regole possano essere eluse».

Rilevando, infine, il ruolo che i mezzi di infor­mazione hanno assunto nel delicato settore dei minori, il relatore ha indicato la Carta dì intenti presentata dal recente convegno di Treviso (pro­mosso dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dall'Ordine dei Giornalisti e dal Telefo­no Azzurro) come importante occasione per di­scutere come si possa «fare cultura» nel settore minorile. A proposito della Carta ha espresso stupore per il fatto che, prefigurando la creazione di un Comitato nazionale permanente di garanti, da esso siano stati esclusi a priori i rappresen­tanti delle istituzioni.

 

Il valore etico dell'adozione

Nel messaggio inviato al convegno, l'Arcive­scovo di Milano, Carlo Maria Martini, ha ricordato che l'adozione e l'affidamento, cui le famiglie cristiane sono chiamate ad aprirsi, non devono essere considerati come mezzi per dare un figlio a una coppia che non l'ha, ma come atto d'amo­re, per dare dei genitori a un bambino che ne è privo definitivamente o temporaneamente. Ha an­che ribadito che «tra i bisogni-diritti psicologici, decisamente umani, che hanno riferimento alla natura della persona (...) sta il bisogno di una figura paterna e materna, il bisogno di sentirsi presi sul serio, il bisogno di affetto. Ciò signi­fica che la presenza dei genitori è determinante per la crescita positiva dei figli».

D'altra parte, «occorre educare e vigilare per­ché lo stesso ricorso all'adozione non sia vissu­to come una facile scorciatoia per avere un figlio tanto desiderato e con un atteggiamento posses­sivo nei suoi confronti. Si tratta, al riguardo, di sviluppare tutta un'azione educativa e di soste­gno per le stesse famiglie adottive, che la comu­nità cristiana e la stessa società civile non pos­sono trascurare. Ma si tratta anche di affrontare attentamente i problemi connessi con alcuni fe­nomeni come il dilagare delle adozioni internazio­nali. In alcuni casi, infatti, il desiderio di avere un bambino, difficilmente reperibile sul territo­rio italiano, porta molte coppie a cercarlo sul "mercato" straniero. E non sempre si seguono strade limpide e legali, anzi a volte si utilizzano mezzi illeciti, giustificandoli con l'autoconvinci­mento di aver fatto un'opera di bene perché si è sottratto comunque un bambino ad una morte sicura nel suo paese».

La relazione di Mons. Giovanni Nervo, Respon­sabile dei rapporti Chiesa-Territorio della Con­ferenza Episcopale Italiana, ha ulteriormente evi­denziato che «il fondamento del valore etico­-sociale dell'adozione è il diritto del bambino alla famiglia: quella d'origine se è possibile, un'altra famiglia che lo accolga come figlio se la sua non esiste più o non può assicurargli quello di cui ha bisogno. Il bambino ha diritto alla famiglia perché ne ha bisogno per crescere in modo normale e positivo». Le soluzioni diverse dalla famiglia sono perciò valide soltanto se transitorie.

Secondo Mons. Nervo non bisogna, di conse­guenza, porre il problema in termini di diritto al possesso del bambino né da parte della famiglia biologica né da parte di quella adottiva; occorre, invece, essere coscienti del fatto che «il pro­blema della famiglia per il bambino non riguarda soltanto responsabilità individuali, ma anche re­sponsabilità sociali. Il bambino e la famiglia, in­fatti, sono membri della comunità e nella vita so­ciale si procede in cordata: quando uno cade o entra in difficoltà, tutta la cordata rimane coin­volta.

«Inoltre, quando una famiglia entra in crisi e un bambino si trova allo sbaraglio, di solito la responsabilità non sta soltanto nella famiglia, ma in molte componenti della società, con i loro errori, le loro colpe e le loro omissioni. Le con­seguenze, infine, del fallimento di una famiglia e dell'abbandono di un bambino ricadono su tutta la società».

 

La dimensione sociale dell'adozione e dell'adozione internazionale

L'intervento del Procuratore generale della Re­pubblica della Corte d'appello di Milano ha mes­so fortemente in luce la dimensione sociale dell'adozione. Adolfo Beria d'Argentine ha aperto la sua relazione rilevando che «la forte richiesta di adozioni in Italia è al crocicchio di diverse contraddizioni: essa dipende dalla diminuzione quantitativa delle nascite, la scarsità conseguen­te di bambini adottabili, la crescita della solida­rietà e dell'accoglienza, lo sviluppo di comporta­menti adulti di attenzione ai bambini; ma essa si colloca anche in una realtà di "esclusione dell'infanzia" e di crisi complessiva del mondo dell'infanzia, specialmente della famiglia, attraver­sata da forti correnti di autonomia dei ruoli, de­gli affetti, degli interessi singoli».

La centralità del bambino va affermata, oltre che all'interno della famiglia, anche a livello so­ciale più ampio: i bambini sono i veri «soggetti» deboli della nostra società, spesso esclusi o ab­bandonati. «Per rimuovere i fattori di precarietà e per prevenire quindi situazioni di abbandono o di esclusione, occorre intervenire sul contesto relazionale del minore, aiutandolo a ricreare quel­le condizioni minime necessarie allo sviluppo psico-fisico». L'adozione, facendo riferimento ad un ampio intreccio di responsabilità, tutte da orientare alla centralità del minore e dei suoi diritti, «è un istituto a forte valenza sociale, che deve coinvolgere la società. Ma, se non vogliamo rischiare di "annegarlo" in responsabilità troppo ampie e collettive, dobbiamo comunque ricordarci sempre che esso è un istituto giuridico, che deve quindi ruotare su leggi, logiche giuridiche, coe­renza del diritto al variare dei diritti».

In merito ai principi giuridici dell'adozione, A. Beria d'Argentine ha rilevato che, alla base della legge del 1967 e di quella del 1983 e della relativa giurisprudenza, c'è il riconoscimento del minore come soggetto di diritti.

«Questa ormai lunga fedeltà ai principi ispira­tori della riforma del 1967 e poi del 1983 va oggi attentamente garantita e, se necessario, difesa. Noi pensiamo che sia naturale che ogni interven­to legislativo rivolto ad apportare modifiche all'attuale disciplina non possa e non debba disco­starsi dall'attuale principio guida: il minore come soggetto di diritti da difendere e da promuovere. Purtroppo i progetti di legge di modifica della legge 184 presentati nel 1989 da alcuni parlamen­tari di diversi partiti tendono a ridiscutere i prin­cipi ispiratori».

Essi tendono inoltre a ridurre il controllo isti­tuzionale e incoraggiano più o meno esplicita­mente rapporti diretti tra famiglia d'origine e famiglia adottiva: «il bambino rischia così di diventare un oggetto di scambia: in parte sul piano culturale, spesso purtroppo anche sul pia­no commerciale».

In chiusura dì relazione, A. Beria d'Argentine ha sostenuto che «per affermare i principi dell'adozione capace di promuovere i diritti dei mi­nori, occorre un forte intreccio di responsabilità e un forte impegno professionale e civile di chi opera nel settore. (...) Si può anche esaltare la "voce del cuore", si possano porre in prima fila le emozioni soggettive, ma non si può dimen­ticare che si difendono emozioni ed interessi soggettivi di adulti, con problemi di adulti. Dob­biamo sempre ricordarci che ogni bambino ha diritti che nessuno può arrogarsi di far coincidere can i propri».

 

L'accertamento della situazione di abbandono, condizione irrinunciabile per un'adozione corretta

In seguito a vicende recenti e sull'onda di in­terventi di persone autorevoli, anche se spesso non qualificate in materia, vicende ed interventi ampiamente ripresi dai mezzi di informazione, si sono poste e si continuano a porre alcune do­mande inquietanti:

- la legge sull'adozione è davvero uno stru­mento in mano alle famiglie benestanti per ap­propriarsi dei figli delle famiglie povere?

- è poi così difficile, se non impossibile, adot­tare un bambino rispettando le procedure previ­ste dalla legge attuale?

- è necessario modificare la legge 184/1983 allargandone le maglie in modo da rendere più «facile» l'adozione e assecondare così le aspet­tative di tutti quelli che desiderano un bambino?

- è vero che gli operatori sociali e i magi­strati sono dei «ruba-bambini»?

- perché le coppie non possono andare diret­tamente a prendere i bambini nel Terzo Mondo visto che là muoiono di fame?

La relazione di Alfredo Carlo Moro, Consiglie­re di Cassazione, dedicata all'accertamento del­lo stato di abbandono, ha fornito valide risposte a queste domande.

«La drastica ed irreversibile rottura dei rap­porti del minore con la sua famiglia biologica, il suo inserimento definitivo in una famiglia degli affetti che diverrà la sua nuova naturale fami­glia, sono possibili e giustificati solo se le ca­renze familiari originarie sono di così rilevante spessore da compromettere seriamente il fonda­mentale diritto del minore».

«Le difficoltà interpretative della nozione di ab­bandono (...) non legittimano una verticale ca­duta della tutela del ragazzo privo di adeguato ambiente familiare».

Obiettando a chi propone di limitare l'area dell'adozione ai minori ai quali manca totalmente una famiglia e di allargare, di conseguenza, l'area degli affidamenti familiari, A.C. Moro, dopo aver sostenuto che l'affidamento familiare, con le sue caratteristiche di precarietà giuridica e psicolo­gica, è una risposta inadeguata per quei bambini la cui famiglia non è in alcun modo recuperabile, ha precisato che «la condizione orfanile non è solo quella di chi ha visto morire i propri geni­tori, ma è anche quella di chi ha rari e sporadici contatti con "spettri" ed "ombre" di genitori, del tutto incapaci di costruire una "alleanza" e di intessere un dialogo, anche se imperfetto, can chi solo nel dialogo può crescere».

A chi poi contesta l'adozione considerandolo un intervento classista che taglie i figli alle clas­si povere a favore delle classi agiate, Moro ha risposto: «È infondato il sospetto che basta la miseria per legittimare l'espropriazione del ra­gazzo alla sua famiglia, ma è indispensabile - e la giurisprudenza lo ha sempre chiaramente af­fermato - una carenza di cure che pregiudica seriamente l'esistenza del bambino e il suo pro­cesso di crescita». Inoltre ha dichiarato: «Mai la disoccupazione del genitore è stata posta a base di una dichiarazione di adottabilità».

«Ad escludere l'abbandono non basta una la­bile, saltuaria, distratta assistenza fornita da per­sone demotivate, psicologicamente ed affettiva­mente assenti, incapaci di stimolare il ragazzo in formazione, di sicurizzarlo. di aiutarlo ad orien­tarsi in una realtà confusa, di costruirgli una identità non fittizia».

Contro l'idea che solo la brutale violenza fi­sica giustifichi la separazione del bambino dalle persone che lo allevano, Moro ha affermato: «Chi ha esperienza, non meramente romanzesca, dei bambini, che constata giorno per giorno come quella che uccide e devasta è più spesso la vio­lenza psicologica o la trascuratezza (..,) sa che sarebbe un delitto abbandonare questi ragazzi ad una lenta morte spirituale assai più traumatica della stessa morte fisica. Le vere, autentiche, non meramente sentimentali "ragioni del cuore" dovrebbero portare a preoccuparsi più del destino futuro di un essere umano che si affaccia alla vita (...) che delle lacrime di adulti preoccupati princi­palmente di loro stessi e delle proprie esigenze».

Introducendo alcune riflessioni e proposte rela­tive all'adozione internazionale, il relatore ha poi fatto notare che «se si riconosce giustamente come ignobile l'approfittare, per il bambino ita­liano, delle situazioni di povertà materiale per espropriargli la sua famiglia, si dovrebbe ricono­scere che egualmente inaccettabile, per il bam­bino straniero, è approfittare delle difficoltà eco­nomiche della sua famiglia per operare un diffi­cile e sempre traumatico trapianto non solo in un nuovo nucleo familiare ma anche in una nuova cultura, recidendo tutte le radici».

Sembra invece a molti che «assicurare il vitto copioso della società opulenta costituisca sem­pre l'optimum per il ragazzo straniero», e quindi che non si debba «guardare troppo per il sottile alla idoneità della coppia adottante perché, per un prodotto di scarto come quello che proviene dal Terzo Mondo, anche una coppia di scarsa ca­pacità pedagogica e psicologica è una fortuna contro lo spettro della fame».

Infine il Consigliere Moro ha affermato che. senza le necessarie garanzie giuridiche (su cui si ritornerà nei prossimi paragrafi) «l'adozione in­ternazionale, anziché essere un meraviglioso e proficuo strumento di solidarietà internazionale, come in molti casi è, si trasformerà in una for­ma (...) spregevole di colonizzazione e sfrutta­mento da parte di una società opulenta che ra­pina alle società più povere perfino la prole».

A proposito della fedeltà ai principi ispiratori della legge e della liceità dei provvedimenti che, a detta di alcuni «strappano» i bambini alle loro famiglie, A.C. Moro ha affermato: «Certo è ne­cessario che provvedimenti così traumatici sia­no presi con discernimento e a seguito di appro­fonditi accertamenti; certo, è necessario che nel procedimento sia assicurata una ampia dialetti­ca tra le parti per consentire una adeguata valu­tazione della situazione e delle sue conseguenze; certo, deve essere assicurata una adeguata spe­cializzazione del giudice e una effettiva e rile­vante competenza dei suoi ausiliari tecnici. Ma se si vuole tutelare veramente i fanciulli e non gli adulti, se non si vogliono ratificare, a danno dei ragazzi, situazioni deficitarie, se si vuole per­seguire veramente l'interesse del soggetto in formazione, il problema non è quello di abolire un utile istituto giuridico - e di contrarre i po­teri discrezionali degli organi di protezione del minore - ma di operare un potenziamento dl que­sti organi perché, nel bilanciamento tra diritti dei bambini e diritti dell'adulto, sappiano tro­vare un punto di equilibrio che non sacrifichi quel diritto del minore che tutto l'ordinamento ricono­sce essere meritevole di una tutela privilegiata».

A.C. Moro ha inoltre evidenziato che, se si parte dalla considerazione che l'adozione inter­nazionale è, in fondo, sempre una buona azione, si creano le condizioni per «la sostanziale sotto­valutazione delle modalità di reperimento del bambino nel suo paese d'origine».

Se è vero, come ha ribadito la Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia, che ogni bambi­no, a qualunque paese appartenga, ha gli stessi diritti, «è indispensabile un serio accertamento giudiziario dell'adottabilità, come avviene in Ita­lia. (...) È vero che in molti paesi da cui proven­gono i ragazzi dell'adozione internazionale non esiste l'istituto dell'adozione: ma ciò non giusti­fica la prassi seguita, anzi l'aggrava». (...) «Se si vuole garantire pienamente il minore e i suoi di­ritti, appare indispensabile che l'adozione inter­nazionale sia consentita solo per quei bambini che provengono da paesi in cui l'istituto dell'ado­zione è riconosciuto e in cui è quindi possibile che l'autorità giudiziaria emetta una pronuncia di adottabilità radicata sull'accertamento della si­tuazione di abbandono. Per gli altri paesi è indi­spensabile che si realizzino convenzioni bilate­rali o plurilaterali, come suggerisce il recente documento dell'ONU, che disciplini, quanto meno per l'espatrio a scopo adottiva, una procedura analoga, che subordini il permesso di espatrio al riconoscimento dell'esistenza di una situazione di abbandono tale da legittimare l'inserimento stabile in una nuova famiglia degli affetti e la irreversibile rottura dei rapporti con la famiglia d'origine».

Massimo Dogliotti, Giudice del Tribunale civi­le di Genova e Professore all'Università della Calabria, si è soffermato sulle procedure in ma­teria di adottabilità e di adozione e ha sottoli­neato la necessità di «trovare un punto di equi­librio tra le esigenze di celerità del processo e di garanzia del minore, della famiglia d'origine e, per certi versi, pure della famiglia adottante».

Dopo aver richiamato l'obbligo della segnala­zione dei minori in stato di abbandono da parte dei pubblici ufficiali e degli esercenti dei pubbli­ci servizi, Dogliotti si è soffermato sulla possi­bilità che il tribunale per i minorenni, in attesa della conclusione della procedura, possa dispor­re «in ogni momento, fino all'affidamento preadot­tivo ogni opportuno provvedimento temporaneo nell'interesse del minore». Uno di questi è l'affi­damento del minore «a una coppia di coniugi presso i quali la permanenza del minore potrà eventualmente trasformarsi in affidamento pre­adottivo ed adozione».

Rispondendo ad alcune obiezioni mosse da al­cuni scrittori nei confronti di questi provvedi­menti, Dogliotti ha obiettato cha «indubbiamente, chi abbia esperienza concreta in materia sa che seppure l'affidamento provvisorio è uno strumen­to da usarsi con le dovute cautele (...) l'alternati­va sarebbe la permanenza in istituto in attesa del­la definizione del procedimento, che porterebbe ulteriori guasti alla personalità de! minore».

Ha quindi affrontato il punto - di primaria im­portanza - delle garanzie che la legge 184/1983 assicura ai genitori e parenti dei minore nel pro­cedimento di adottabilità. garanzie che a suo parere sono complessivamente esaurienti.

Al riguardo ha precisato: «Si ipotizza talora la possibilità di nominare un difensore di fiducia sulla falsariga di quello d’ufficio nel diritto pe­nale; ciò mi sembra un po' azzardato, ma se ne può discutere».

Affrontando l'esame delle norme procedurali, Dogliotti ha sottolineato la necessità che i giu­dici presentino correttamente ai futuri genitori adottivi la situazione del bambino: «I coniugi hanno diritto di conoscere la vicenda globale del minore e la sua condizione, sapere se è "diffi­cile", se è handicappato, sieropositivo per poter valutare le loro capacità ad affrontare la vita con lui. Sarebbe in contrasto con l'interesse del minore l'atteggiamento di un organo giudiziario che nascondesse tutto ciò perché un certo mino­re non si riesce a darlo in adozione».

Le valutazioni e le proposte di M. Dogliotti in merito all'adozione internazionale si pongono nel­la stessa linea prospettata da A. Beria e A.C. Moro. Concludendo ha sostenuto: «La legge n. 184/1983 necessita di una presa di posizione nei confronti di chi vorrebbe stravolgerla: una legge perfettibile, con alcune incertezze di inter­pretazione che potrebbero essere migliorate, ma in senso opposto, rispetto ad alcune indicazioni emergenti dai progetti di legge presentati in Par­lamento (e cioè una privatizzazione del rapporto, una gestione diretta tra famiglia di origine e affi­datari) e soprattutto, per l'adozione internazionale sarebbe opportuno un maggior controllo sulle agenzie e associazioni pubbliche e private che dovrebbero essere debitamente autorizzate. Ma pure un'altra via si dovrebbe seguire, quella dello sviluppo di convenzioni bilaterali, e plurilaterali, che dovrebbero indicare con esattezza e precisio­ne tutte le situazioni e i rapporti tra lo Stato ita­liano e quelli stranieri: ciò perché evidentemen­te attraverso un controllo maggiore, si attua una maggior garanzia e tutta nei confronti del fan­ciullo abbandonato».

 

Il mercato dei bambini

Melita Cavallo, Presidente dell'Associazione italiana dei giudici per i minorenni, ha indicato nell'affidamento di fatto, in certe forme di ado­zione internazionale e nel falso riconoscimento di paternità gli attuali principali canali del traf­fico dei bambini. Prima della legge 184/1983, le modalità privilegiate di questo traffico erano l'af­filiazione e l'adozione ordinaria.

Secondo M. Cavallo, con l'affidamento di fatto «il bambino viene inserito nel nucleo estraneo senza alcuna formalità e vi rimane per anni, fre­quenta scuole private che lo accettano senza troppo chiedere, e questa situazione irregolare può permanere indefinitamente nel tempo. Solo un'eventuale rivendicazione dell'oggetto-bambino da parte della famiglia d'origine o una condotta deviante del minore divenuto adolescente provo­ca la rottura di equilibri intrinsecamente insta­bili, e la situazione viene portata a conoscenza dell'Autorità giudiziaria».

«L'affidamento di fatto è - secondo Cavallo - uno strumento diffuso, specialmente nel Sud, per appropriarsi di un bambino anche non in tenera età, utilizzato altresì per verificare se "ci si trova bene" col bambino. Se l'esperimento dà esito positivo ed è trascorso un tempo ritenuto suffi­cientemente lungo per sostenere il radicato rap­porto, i coniugi escono dall'ombra e fanno istan­za al Tribunale per i minorenni ai sensi dell'art. 44 lett. c)».

«Ad accrescere il fenomeno della richiesta, sempre più diffusa, dell'adozione in casi partico­lari, concorre nel Sud persino l'affidamento con­sensuale nei termini davvero "perversi" in cui viene disposto dal Sindaco nei piccoli centri dell’entroterra - e sono centinaia - dove imper­versa il più squallido clientelismo e sono total­mente assenti i servizi sociali. In questa situa­zione di degrado culturale e socio-ambientale, l'affidamento consensuale non fa che camuffare vere e proprie adozioni a coppie prive del requi­siti di idoneità. Il giudice tutelare, completamen­te assorbito da altri compiti, finisce con l'appor­re il visto di esecutività a provvedimenti del tut­to illegittimi che vengono di anno in anno proro­gati, fino a quando la situazione non appare suffi­cientemente consolidata da legittimare una do­manda di adozione ai sensi dell'art. 44 lett. c)».

Nonostante la regolamentazione prevista dalla legge si può, secondo la relatrice, attuare un il­lecito traffico di minori e la dichiarazione di ido­neità rischia di essere degradata a «un "buono­bambino" da spendere dove e quando si vuole». Inoltre, «l'accertamento sulla rispondenza o me­no del provvedimento straniero ai principi fon­damentali del nostro diritto di famiglia è spesso frustrato dalla difficoltà del giudice di valutare quel provvedimento alla luce delle diverse cultu­re e ordinamenti dei paesi di origine del minore».

Spesso vengono poste in essere alterazioni anagrafiche da genitori che vogliono un bambino più piccolo di quello che rientrerebbe nei loro limiti di età.

«Ma l'inadeguatezza della norma circa l'effica­cia a limitare il traffico di minori stranieri è so­prattutto da mettere in relazione di mancati con­trolli sulle associazioni intermediarie», fatto do­vuto alla infelice formulazione dell'art. 38 della legge 184/1983, che viene interpretato come una semplice possibilità offerta agli enti intermediari di ottenere un pubblico riconoscimento.

«L'atteggiamento della collettività nei confron­ti di questa forma di traffico (il falso riconosci­mento) è in generale decisamente permissivo: commenti del tipo "un bambino comprato è un bambino veramente desiderato oppure qual è il problema se in un paese di corruzione e di rube­rie una coppia toglie un bambino dalla strada o dall'istituto?" sono molto frequenti tra la gente, comune e non. Va allora gridato ad altissima voce - secondo la giudice Cavallo - che ben altri, e drammatici, sono i termini reali del Pro­blema, nel quale è ravvisabile una triplice forma di violenza»: nei confronti della madre biologica, nei confronti del neonato e nei confronti delle aspiranti coppie adottive che invece seguono le procedure di legge.

«Il falso riconoscimento, inoltre, sottraendo il minore all'area dell'adozione, lo costringe in una posizione giuridica, sociale e psicologica estre­mamente precaria».

In questo caso «la norma si rivela essa stessa inadeguata, perché l'art. 74 della legge 184/1983, limitando la segnalazione al caso di riconosci­mento di figlio naturale da parte di persona co­niugata solo se l'altro genitore resta ignoto, ha escluso dal controllo giudiziario il caso del rico­noscimento effettuato, antecedentemente o con­testualmente al falso padre, anche dalla madre. (...) Inoltre l'art. 74 non dà espressamente al Tri­bunale per i minorenni il potere di intervenire con l'allontanamento del minore dal falso padre, ma solo quello di disporre le opportune indagini».

«Il canale del falso riconoscimento è sicura­mente il più pericoloso tra quelli che alimentano il traffico dei bambini, e, se non vi si pone rime­dio, può degenerare in un vero e proprio racket».

«Vanno conseguentemente respinte con forza le proposte di modifica della legge 184 che rein­troducono di fatto l'adozione ordinaria (proposta Vizzini) e quelle che, inviando al cittadino mes­saggi di permissività, quasi un invito a procu­rarsi un bambino con mezzi propri, legittimano il mercato, perché consentono interpretazioni de­vianti e perverse della normativa sull'affido (pro­posta Cappiello)».

 

Il ruolo dei servizi sociali

«È in un'ottica costruttiva, lontana da perico­lose guerre tra fazioni contrapposte, che va col­locata la necessità di una verifica dei rapporti esistenti tra i vari soggetti dell'universo adozio­ne» ha affermato Elena Allegri, Assistente so­ciale del Comune di Torino.

Oltre alla necessità di una modificazione di cultura e di valori, la relatrice ha sottolineato l'esigenza di un unico interlocutore politico a li­vello locale che sia garante e responsabile per settori così interdipendenti come quello sanita­rio e quello socio-assistenziale. Questa esigen­za, che ha trovato in passato qualche proficua concretizzazione, rischia oggi di essere sempre meno attuata.

È stata inoltre ribadita la titolarità dell'ente locale ad assistere minori in situazione di diffi­coltà o di abbandono. Per quanto riguarda la se­gnalazione da parte degli operatori sociali dei mi­nori abbandonati «è necessario sottolineare che, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, non risulta mai dalle schede di segnalazione la necessità di allontanamento per problemi econo­mici ed abitativi del nucleo familiare. Ritorna più volte come motivazione della segnalazione la mancanza di una struttura contenitiva, in grado di dare regole. Non le regole degli operatori e dei giudici, ma quelle regole e quei limiti che for­mano la persona per la sua vita futura, nel pieno rispetto delle differenze (culturali, razziali, di re­ligione, ecc.)».

Mettendo in rapporto la segnalazione di un minore con il lavoro sociale, la relatrice ha ricor­dato che compito dei servizi è quello di fornire dati oggettivi, distinguendo i fatti dalla loro va­lutazione.

Ha ricordato che l'opinione pubblica definisce spesso le assistenti sociali come coloro che «strappano», mentre passa sotto silenzio il la­voro nel settore minorile di operatori e servizi che «cuciono e non strappano».

Una difficoltà di fronte alla quale si trovano gli operatori è costituita dalle adozioni «difficili». Oggi i bambini adottabili sono spesso grandicelli, deprivati in seguito a varie carenze, portatori di handicap. Per questo è necessario valutare atten­tamente le famiglie adottive (le disponibilità ci sono) «per evitare ulteriori fallimenti a danno del minore».

Ha poi indicato, come uno dei nodi cruciali dell'adozione, il «dilemma» sul ruolo degli ope­ratori: deve essere di sostegno o di controllo?

«È necessario far chiarezza su questo punto se vogliamo evitare incomprensioni e difficoltà di integrazione che rendono più pesante il lavoro. Esistono operatori, in particolare quelli che lavo­rano nei servizi specialistici per gli adulti e per l'infanzia, che interpretano il loro ruolo come funzione di sostegno assoluto, a tutti i costi, de­mandando ad altri servizi la funzione di con­trollo, rischiando così una divisione tra "buoni e cattivi". Si può tentare di risolvere la questio­ne usando chiarezza. Il contesto di controllo è più chiaro e definito di quello di sostegno, anche se per certi versi è forse più difficile. Il contratto che può essere stipulata tra operatore e fami­glia in un contesto di controllo è chiaro anche per l'utente, che non può vederlo attraverso con­notazioni ambigue». (...)

I temi riguardanti la selezione, l'informazione e il sostegno alle famiglie adottive sono ancora di attualità, secondo Annamaria Dell'Antonio, Professore ordinario all'Università «La Sapienza» di Roma. Essa ritiene carenti gli aiuti al nucleo adottivo, nonostante attualmente le conoscenze in questo campo siano maggiori di qualche anno fa.

Le ultime acquisizioni degli studi degli etologi e di Bowlby indicano che «il bambino si "attac­ca" a chi sente "competente," nei suoi confron­ti (...) indipendentemente dal giudizio di genito­rialità "buona" o "cattiva" che altri danno. (...) Il legame con questa figura genera in lui insoddi­sfazione ed angoscia se tale disponibilità è scar­sa o ambigua o discontinua. (...) L'attaccamento angoscioso che ne deriva invischia pertanto sem­pre più il bambino nel rapporto creandogli gravi problemi di effettivo svincolo da chi amato, non lo ama».

I neocognitivisti hanno poi evidenziato come il bambino interagisca attivamente con l'ambiente fin dai primi giorni di vita, «imparando» schemi di comportamento approvati dall'adulto allevan­te; il bambino acquisisce così «un modo di es­sere e di interagire con l'ambiente che sta alla base delle sue condotte interpersonali e della sua nascente identità».

«Il bambino che viene abbandonato va così in­contro a tutte le età ad esperienze di perdita sia affettiva che di punti di riferimento. È quindi sempre un bambino che in un momento di crisi personale deve ristrutturare non solo legami af­fettivi ma anche stili di comportamento in un am­biente diverso dal precedente.

«Ma la ristrutturazione dell'identità del bam­bino è anche in funzione della capacità degli adul­ti che gli si propongono come nuove figure alle­vanti non solo ad accettare incondizionatamen­te i tempi ed i modi di essa, ma anche a fornirgli i mezzi per facilitarla».

Il bambino adottato richiede che i genitori adot­tivi siano in grado di fornirgli questi strumenti, senza essere troppo ansiosi, aiutandolo a supe­rare la perdita di punti di riferimento e ad inte­grare le esperienze passate con le presenti.

«Chi adotta un bambino deve non solo sapere. tutto questo, ma deve essere anche in grado di aiutarlo ad uscire dalla sua crisi. E per far questo alle volte ha bisogno di sostegno».

Il bambino «da una parte ha bisogno di sen­tirsi amato e protetto dai genitori (e quindi di essere sicuro di appartenere al loro nucleo) e dall'altra di essere da loro incoraggiato a diffe­renziarsi come persona autonoma e ad interagire con il mondo esterno».

La relatrice ha poi accennato alla «disfunziona­lità» della cosiddetta «congiura del silenzio». Il dialogo in famiglia sulle origini dei bambini adottati è fondamentale perché il bambino possa rielaborare la sua situazione. Una ricerca con­dotta dal Centro nazionale di prevenzione e dife­sa sociale ha evidenziato una significativa corre­lazione tra silenzio in famiglia e problemi di so­cializzazione, scarsa riuscita negli studi e conse­guenze derivanti dalla insufficiente capacità ap­plicativa.

Il problema di chi lavora nella ricerca di «ge­nitori validi» è quello di individuare nelle coppie le capacità e le risorse prevedibilmente necessa­rie per superare gli inevitabili momenti dì crisi. Dette capacità e risorse «comprendono, oltre ad una valida relazione affettiva della coppia geni­toriale e ad un suo comune bagaglio di valori, la effettiva disponibilità all'accettazione dell'altro come persona autonoma e a modificare atteggia­menti e posizioni personali in relazione all'evol­versi delle situazioni senza temere di perdere qualcosa di sé o il controllo della situazione».

«Chi segue una famiglia adottiva in formazio­ne deve essere ben cosciente non solo delle pro­blematiche che i suoi membri possono sviluppa­re ma anche delle possibilità e delle tecniche opportune per enucleare e stimolare la comparsa di risorse esistenti nel nucleo a livelli poten­ziali, considerando che ogni famiglia possiede in sé e nelle regole che sono state intessute dai suoi componenti, modi specifici di "risolvere" le difficoltà, oltre che reazioni e difese "specifiche" di fronte alle situazioni critiche».

 

Il ruolo dei mezzi di informazione

Il ruolo dei mass-media, più volte chiamato in causa criticamente nel corso del convegno, è stato poi oggetto di specifica trattazione da par­te di Mariena Scassellati Galetti, Coordinatore sociale dell'USSL 43, Val Pellice, Piemonte.

Perché il bambino diventa, troppo spesso, no­tizia-bomba? Come è possibile conciliare libertà di stampa e tutela del minore? Perché non si ap­profondiscono le cause di disagio del bambino in stato di abbandono? Perché non si parte dalla cro­naca per avere un'occasione di far cultura sui diritti dell'infanzia?

Questi ed altri interrogativi, che mettono in luce le carenze e le responsabilità dei mezzi di informazione in questo campo, sono sfociati in una serie di precise richieste avanzate dalla re­latrice:

«- utilizzare ogni opportunità e mezzo di co­municazione per sensibilizzare e promuovere una cultura dell'infanzia centrata sul diritto del mi­nore e sull'applicazione della Costituzione, ana­lizzando le cause, attivandosi per la rimozione degli ostacoli e delle barriere;

«- promuovere la più diffusa attenzione e co­scienza possibile nella pubblica opinione sulla priorità della prevenzione e del sostegno alla fa­miglia d'origine», che presuppone precise scel­te politiche;

«- contribuire a far sì che la comunità locale, contro la concezione privatistica e adultocentri­ca, nell'ambito di una sorta di paternità e mater­nità sociale e non solo biologica:

• si faccia progressivamente carico, in una ri­scoperta di solidarietà, delle problematiche e del­le situazioni di abbandono e disagio del minore;

• comprenda sempre più, rispetto ai diritti del minore, il suo bisogno di appartenenza, di prote­zione e di autonomia;

• consolidi imperativi etici non scritti;

«- trattare situazioni e problemi minorili che coinvolgono l'opinione pubblica senza sensazio­nalismi, vagliando le notizie, senza voler colpire a tutti i costi tenendo sempre più conto, nel ri­spetto del diritto all'informazione, di capire anche i limiti e le possibilità di trasferimento di infor­mazioni da parte di magistrati e operatori socia­li, tenuti al riserbo e al segreto, non perché "cat­tivi", ma innanzitutto per principi etici (di fronte al cittadino che "sua sponte" dà informazioni sulla sua situazione non cadono i limiti di ri­serbo)».

È intervenuto quindi Federico Palomba, che ha da poco assunto l'incarico di Responsabile dell'Ufficio Minori del Ministero di Grazia e Giu­stizia.

Riflettendo sulla situazione esistente egli ha evidenziato lo scarto esistente fra la cultura di cui sono portatori gli operatori e i giudici impe­gnati nella tutela dei minori e quella - adulto­centrica - espressa dall'opinione pubblica e ri­lanciata dai mezzi di informazione a seguito di recenti fatti di cronaca.

Ha inoltre rilevato il rischio che queste diver­genze portino non a migliorare ma a scardinare il nostro sistema di protezione dell'infanzia; ha richiamato la necessità di superare questa dico­tomia attraverso scelte concrete di intervento, sviluppando nuove progettualità nel settore.

Due le proposte avanzate da Palomba: il ri­lancio dell'affidamento familiare, alla luce anche delle positive esperienze realizzate in questi an­ni in diverse realtà e un maggior impegno delle istituzioni nei confronti della violenza ai minori.

 

Il futuro dell'adozione

Alla tavola rotonda conclusiva del Convegno presieduta da Mario Tortello, giornalista e di­rettore della Collana «Quaderni di Promozione sociale», hanno partecipato gli Onorevoli Alma Cappiello (Psi), Bianca Guidetti Serra (Dp) e Angela Migliasso (Pci); il Presidente del Tribu­nale per i minorenni di Milano Gilberto Barbari­to; Gabriella Bortolotti, Assistente sociale del Comune di Bologna; Giorgio Pallavicini, presi­dente dell'ANFAA.

Tutti gli oratori si sono trovati concordi nel definire la legge 184/1983 una buona legge, i cui principi ispiratori sono a tutt'oggi validi e at­tuali, legge che però non sempre è stata piena­mente applicata.

Divergenze sono emerse a proposito delle eventuali modifiche da apportare al testo attua­le, tutte indirizzate, secondo i promotori, ad un suo miglioramento. Le proposte di legge presen­tate da Parlamentari Psi, Pli, Psdi e Dc costitui­scono per l'On. Migliasso un «gravissimo arretra­mento» rispetto ai principi ispiratori della legge stessa e indicano la diffusione di una mentalità di liberalizzazione e delegificazione anche in que­sto settore. Esse sono comunque mirate, anche secondo l'On. Guidetti Serra, a favorire più i presunti diritti degli adulti - genitori d'origine e aspiranti genitori adottivi - che a considerare le esigenze del bambino.

Per questi motivi nel suo intervento Pallavici­ni ha chiesto, almeno sui principi, una maggiore chiarezza: «Non si può dire che la legge è buona, che ha "maglie larghe" per cui molti stravolgi­menti sono possibili e poi chiedere di allargare ulteriormente queste maglie, come ha fatto nella sua proposta l'On. Cappiello».

Per quanto riguarda l'adozione internazionale, inoltre, l'On. Guidetti Serra ha segnalato che la Commissione Giustizia della Camera dei Depu­tati, su sua proposta, ha avviato una indagine conoscitiva nell'ambito della quale sano già state fatte alcune convocazioni: saranno prossimamen­te sentiti rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni operanti nel settore. Ha quindi ri­badito la necessità di accordi bilaterali fra Stati, peraltro auspicati anche dall'On. Cappiello.

Il presidente Barbarito ha poi ricordato che la Convenzione di Strasburgo richiede per l'adozio­ne internazionale contatti fra i vari Paesi, e che invece oggi troppo spesso viene fatta «artigia­nalmente» anche perché troppo poche sono le as­sociazioni autorizzate dalle competenti autorità del nostro paese.

Gli Onorevoli Migliasso, Guidetti Serra e l'As­sistente sociale Bortolotti hanno richiamato quin­di la situazione dei 50.000 bambini a tutt'oggi an­cora in istituto, situazione scandalosa e intolle­rabile; è stata denunciata la scarsa considera­zione degli Amministratori per i servizi socio-as­sistenziali e sanitari che andrebbero «accorpati» per meglio rispondere alle esigenze degli utenti (Bortolotti) ed hanno ancora una volta ribadito la necessità che il Parlamento approvi la legge nazionale di riforma dell'assistenza (Migliasso). «Perché i principi ispiratori della legge diventino realtà, occorre da un lato la volontà politica di attuarli, tenendo conto delle risorse presenti nel­la società civile ma anche la maturazione di una nuova cultura del bambino, ancora scarsamente diffusa», ha precisato il presidente Barbarito.

Per quanto riguarda l'elaborazione delle pro­poste di legge, l'On. Cappiello ha sostenuto l'op­portunità di una indagine, oltre che tra gli opera­tori del settore interessato, anche tra la gente, per individuare le esigenze. «La base della pro­posta che io ho presentato - ha poi sostenuto - consiste nello "scindere la responsabilità pena­le di chi accoglie illecitamente un minore (...) rispetto alle conseguenze di questo fatto illeci­to (...). È assolutamente assurdo parlare di usu­capione (...). Non sarebbe forse giusto e corret­to, dare la possibilità, la discrezionalità (...) al magistrato d! valutare di volta in volta, in quei casi, se veramente quella famiglia è idonea a non è idonea?». Quando è capitato che un bam­bino illecitamente preso sia rimasto per lungo tempo in una famiglia, «voi avete la sicurezza che, comunque, toglierlo da quella situazione fa­miliare è un fatto comunque positivo? lo questa sicurezza non ce l'ho...».

Bianca Guidetti Serra, ribadendo il suo disac­cordo su questo punto, ha affermato che si lasce­rebbe aperto uno spiraglio ai malintenzionati. L'On. Migliasso dopo aver confermato ancora una volta la positività della legge 184/1983, ha affer­mato che «si può lavorare per migliorarla, anche apportando eventuali modifiche, ma sono più ur­genti scelte politiche per far applicare bene le disposizioni in vigore».

Le vere e proprie modifiche dovrebbero comun­que escludere completamente i canali privati per l'adozione internazionale e prevedere costan­ti controlli sull'operato delle associazioni. Inol­tre dovrebbe essere confermata la competenza dei Tribunali per i minorenni su tutti i riconosci­menti di figlio naturale e relative impugnazioni.

Ancora a proposito delle proposte di legge del tipo di quella dell'On. Cappiello il dott. Pallavi­cini ha sostenuto che è impensabile proporre che persone, anche inidonee, possano procurarsi (e quindi anche comprarsi) un bambino per poi chie­dere a distanza di anni la ratifica del tribunale per i minorenni. «Se per legge si riconoscesse a chiunque lo voglia il diritto di scegliersi il figlio significherebbe scardinare i principi di fondo del­1'adozione». «Si incoraggerebbe - ha concluso Pallavicini - una caccia al bambino con conse­guenze negative facilmente immaginabili: gli abu­si e le violenze subite da tanti bambini prima del 1983 ci fanno rifiutare qualunque proposta di que­sto tipo».

Alla tavola rotonda finale doveva partecipare anche l'On. Maria Pia Garavaglia che, non poten­do essere presente il giorno 20, è intervenuta nel corso della giornata precedente.

A proposito della legislazione vigente, l'On. Garavaglia ha affermato che «qualsiasi modifica­zione che tenda a sanare situazioni createsi su illecità o illegittimità non avrà il mio consenso, perché occorre che dalla parte del bambino si schieri almeno, e vorrei dire, prioritariamente, lo Stato». Per quanto riguarda l'obiettivo di crea­re un sistema di servizi a tutela del minore, essa deve essere raggiunto, secondo il Sottosegreta­rio, più che attraverso una nuova legge, median­te l'organizzazione e la qualificazione dei servizi esistenti, attuando l'indispensabile collaborazio­ne sanità-assistenza. Destinatari di questi servizi non devono essere i singoli soggetti, ma la co­munità familiare.

 

 

(1) Il Consiglio Nazionale sui problemi dei minori è stato istituito il 25.1.1985 con Decreto del Presidente dei Consiglio dei Ministri. Il Consiglio ha il compito di realiz­zare e promuovere attività di studio e di ricerca sui pro­blemi dei minori; favorire il collegamento fra i vari orga­nismi interessati e formulare proposte ed esprimere pa­reri al governo su iniziative di carattere legislativo, ammi­nistrativo e tecnico interessanti i minori. È composto da 28 membri, dl cui 10 rappresentanti il livello centrale (Mi­nisteri interessati, ISTAT e CONI), 8 rappresentanti delle autonomie locali (Regioni, Anci e UPI) e 10 rappresentanti delle Associazioni interessate al settore.

 

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