IL FATEBENEFRATELLI DI VENEZIA VIOLA IL DIRITTO ALLA CURA DI UNA ANZIANA CRONICA NON AUTOSUFFICIENTE: LA MAGISTRATURA NON PROCESSA L'ENTE MA I FAMILIARI
Come ripetiamo da anni, gli anziani cronici non
autosufficienti, alla pari di tutti i cittadini malati, hanno diritto -
occorrendo - al ricovero ospedaliero senza limiti di durata (1).
Una anziana gravemente malata... ma non per il
Fatebenefratelli
Una illegale e mortificante discriminazione fra le
persone malate è compiuta dall'ospedale San Raffaele Arcangelo di Venezia,
ospedale appartenente all'Ordine Fatebenefratelli, che, in data 27 luglio
1988, comunica ai familiari della Signora R.F., nata nel 1902, la dimissione della stessa dalla
divisione di lungodegenza.
In primo luogo va osservato che non risulta che la
richiesta di dimissioni sia stata comunicata alla paziente, la quale, non
essendo inabilitata o interdetta, era nel pieno possesso della capacità di
agire (art. 2 della Costituzione e art. 2 del codice civile).
I tre figli della Signora R.F. non accettano le
dimissioni in quanto, come scrive uno di essi, la situazione è la seguente:
- lo scrivente è vedovo, vive da solo e non può
provvedere alla madre, soprattutto perché essa è gravemente malata;
- un fratello è ricoverato in ospedale a Padova in
attesa di intervento chirurgico per l'asportazione di un tumore;
- l'altro fratello è stato di recente operato alle
gambe e la di lui moglie ha subito una emiparesi che le impedisce di muoversi.
Dichiara inoltre che «i vigili urbani venuti a controllare le condizioni della mia famiglia
le giudicarono disperate» (2).
Le dimissioni non vengono attuate ma, come vedremo in
seguito, la retta dal 27 luglio al 14 settembre 1988, per un importo di oltre
11 milioni, viene posta a carico della paziente. Successivamente, a partire
dal 15 settembre 1988, a causa - come afferma il Fatebenefratelli - di un
aggravamento delle condizioni di salute della Signora R.F., la degenza prosegue
con oneri interamente a carico dell'Unità sanitaria locale.
A partire dall'aprile 1989, vengono nuovamente
esercitate pressioni sui familiari perché accettino le dimissioni della
propria congiunta, mentre non risulta che la paziente venga interpellata in
merito.
Secondo quanto dichiarato dai figli, le dimissioni
dal Fatebenefratelli con trasferimento dell'interessata all'IRE (Istituzioni di
ricovero e di educazione) sono attuate senza il consenso della malata, dei
figli stessi e di altri congiunti.
Da notare che nel frattempo l'ospedale Fatebenefratelli
era stato informato dall'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale con
lettera del 4 novembre 1988 circa le norme vigenti di legge.
Circa le dimissioni della Signora R.F., va osservato
che nella relazione del Dr. Luigi Maria Pernigotti, Aiuto dell'Istituto di
Geriatria della Università di Torino, viene precisato che, mentre nel foglio
di dimissione dell'ospedale Fatebenefratelli «non sono segnalate limitate indicazioni terapeutiche e sulla salute
della paziente», il trasferimento nella casa di riposo dell'IRE (che fa parte
del comparto assistenziale e non di quello sanitario) è stato effettuato «in condizioni di gravità e con necessità
immediata e continuativa di assistenza medica ed infermieristica. Dalla
cartella clinica della casa di riposo risultava all'ingresso, aprile 1989,
aspetto sofferente, dispnea, murmure vescicolare diminuito e rumori umidi alle
basi ed ai campi medi polmonari, succulenza agli arti inferiori, masse
muscolari ipotoniche ed ipotrofiche. prescrizione immediata di
ossigenoterapia, cardiocinetici, diuretici, antiuricemici, analettici. Il
giorno successivo, 8 aprile 1989, sono riportati accertamenti ematochimici di
lieve insufficienza renale (Creatininemia 1,74 mg/dl, iperpotassiemia,
iperuricemia) ed ipotensione arteriosa».
La relazione del Dr. Pernigotti prosegue segnalando
che: «durante tutto il periodo di degenza
nella casa di riposo, anche dopo l'ingresso sino ad ora si rilevano
segnalazioni di patologie ulteriormente aggravanti: infezioni, micosi,
iniziali decubiti, resoconti di visite mediche e specialistiche, variazioni
frequenti della terapia farmacologica, prescrizione di presidi antidecubito,
accertamenti ematochimici periodici che testimoniano una costante necessità di
assistenza medica ed infermieristica del tipo erogato in ospedale. Le
condizioni della malata seguono andamento alterno, con miglioramenti e
riacutizzazioni delle patologie presenti. In merito alle condizioni mentali e
comportamentali si può rilevare la presenza di fasi di agitazione, con spunti
aggressivi di rifiuto delle terapie che Indicano la persistenza ed il
progressivo, anche se lento, avanzamento di un deterioramento delle funzioni
cognitive. (...) La paziente è costretta al letto, presenta una diffusa
rigidità neuromuscolare ed una rigidità articolare agli arti inferiori, In
particolare al destro che presenta fissità anchilotica in semiflessione».
Per quanto riguarda la valutazione complessiva della
paziente, il Dr. Pernigotti dichiara quanto segue: «Si tratta di una donna molto anziana affetta da polipatologia. Di
rilievo:
-
mutilazione chirurgica del tratto gastrico da 16 anni, condizione predisponente
ad insorgenza di cerebropatia cronica secondaria a carenze nutrizionali (ac.
folico, vit. 812);
- cancro della mammella con segni di
diffusione sistemica;
- cardiopatia da coronaropatia ischemica
cronica;
- broncopneumopatia cronica
- sindrome da immobilizzazione;
- deterioramento cognitivo.
«Tali
condizioni morbose, pur non essendo soggette a guarigione, determinano la
necessità dl cure attive con assistenza medica ed infermieristica di tipo
continuativo anche se non intensivo.
«In
conseguenza l'assistenza ad una malata di tale tipologia può effettuarsi, di
norma, solo in ambienti con caratteristiche funzionali di tipo ospedaliero
(ospedali, istituti di ricovero quali quelli configurati nelle nuove norme
legislative con il nome di Residenze sanitarie assistenziali (RSA), in
ospedalizzazione a domicilio quando a casa della malata possono essere
trasferite risorse ed organizzazione di cura di tipo ospedaliero e
preesistendo condizioni della famiglia o del volontariato che permettano il
controllo continuo del malato).
«Nell'evoluzione
clinica si rilevano momenti di acutizzazione delle patologie esistenti, can
condizioni di gravità in cui era necessaria una intensificazione della cura
ospedaliera; una condizione siffatta si presentò nel periodo in cui la malata
fu trasferita dall'ospedale alla casa di riposo, secondo una logica che non
trova giustificazione medica. Dai rilievi raccolti, infatti, si evince che in
un momento di aggravamento, quando devono essere impiegate maggiori risorse
sanitarie, la paziente fu collocata in una sede, la casa di riposo, istituzionalmente
meno dotata di presidi e possibilità di tutela sanitaria.
«Si rileva
inoltre che la malata soffre tutt'ora le conseguenze di una sindrome da
immobilizzazione con residui anchilotici, che pur potendo essere, talora, conseguenza
ineluttabile di malattia, spesso è segno di cure ospedaliere deficitarie
nell'impiego di metodologie e tecniche riabilitative. Nel caso della signora
R.F. è difficile stabilire ora in quale misura aspetti iatrogeni abbiano
contribuito allo sviluppo di sindrome da immobilizzazione o in quale misura
questa grave patologia sia stata inevitabile evoluzione delle malattie
preesistenti, aggravate certamente, In questo caso particolare e ne) confronti
delle possibilità riabilitative, dalla presenza di comportamento aggressivo,
conseguente ad una caratterialità della malata».
L'espulsione dal Fatebenefrateili
Per le ammissioni e dimissioni dei pazienti dagli
ospedali ci sono norme precise. L'art. 41 della legge 12 febbraio 1968 n. 132,
tuttora in vigore, stabilisce che il ricovero deve essere effettuato tenendo conto
della «necessità» del paziente, senza che la norma faccia riferimento a stati
di malattia.
Ne deriva che la degenza ospedaliera non è
condizionata da alcun requisito di acuzie della malattia, bensì dal «principio della obbligatorietà del
ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità» (3).
In altre parole, vi è l'obbligo per le strutture
sanitarie in relazione al ricovero di utilizzare un criterio che supera e
annulla quello della semplice constatazione medica dello «stato» della
malattia. Infatti, lo stato di necessità comprende una valutazione complessiva
delle condizioni del malato, valutazione che parte dalla considerazione dello
stato morboso per involgere, noi, fattori di diversa e complessa natura, quali,
ad esempio, la possibilità o meno, a seconda delle condizioni soggettive e familiari
del malato, di proseguire le cure in via ambulatoriale o domiciliare, la presenza
di servizi sanitari, sociali e assistenziali concretamente disponibili.
Ma per il Fatebenefratelli la persona malata non è al
centro dell'attenzione. Infatti, nella comparsa presentata al Tribunale civile
di Venezia in data 28 marzo 1989, afferma che «il giudizio sulla durata del
ricovero è rimesso alla competenza dei sanitari curanti» e che, pertanto, la
dimissione può essere disposta dai medici suddetti con «piena discrezionalità», quindi anche senza tenere in nessuna
considerazione le esigenze ed i diritti del paziente.
Nel documento sopracitato, l'Ospedale Fatebenefratelli
aggiunge che la Signora R.F. non poteva «vantare
più alcun diritto all'assistenza gratuita» in quanto «aveva superato lo stadio acuto della malattia, avendo raggiunto uno
stato di cronicità».
Come abbiamo documentato in precedenza, le
affermazioni del Fatebenefratelli non trovano alcun riscontro nelle norme
vigenti. D'altra parte, ci sembra evidente che la posizione dell'ente sia anche
in palese contrasto con i più elementari principi etici.
Poiché la signora non lascia l'ospedale, il Fatebenefratelli
invia un'ingiunzione di pagamento di ben 11 milioni 867 mila lire, interessi
esclusi, per la degenza dal 27 luglio 1988 al 14 settembre 1988, corrispondente
ad una retta giornaliera di circa L. 220.000 (4).
Ai familiari della paziente il Dr. Gherardo Linguerri,
direttore sanitario del Fatebenefratelli, invia in data 3 aprile 1989 una
lettera raccomandata in cui «comunicasi
dimissione da parte Primario Divisione di lungodegenza vostra congiunta per il
10 aprile 1989. Necessita vostra presenza per accompagnarla a domicilio
(5). Si comunica altresì che l'eventuale
mancato prelievo della congiunta verrà segnalato anche alle competenti Autorità
(ULSS n. 16 - Assessorato alla sicurezza sociale - Questura ».
Nella lettera suddetta, non solo non si fa cenno al
diritto del paziente di ricorrere contro le dimissioni come previsto dall'art.
41 della legge 132/1968, ma si compie una vera e propria intimidazione quando
si minaccia di segnalare il caso alla Questura, organo che non ha alcuna competenza
in materia.
In effetti il caso viene segnalato al Commissario di
polizia che convoca e interroga i familiari dell'anziana malata. Uno dei figli
della paziente scrive che il Commissario di P.S. gli fa presente che, se non
avesse portato a casa la madre, sarebbe incorso in una condanna da 1 a 5 anni
di reclusione.
Che la segnalazione alla Questura sia una pratica
usata non solo dall'ospedale Fatebenefratelli di Venezia ma anche da quello di
Negrar (Verona), appartenente all'Opera Don Calabria, emerge dall'interpellanza
n. 496 presentata dai Consiglieri Biasibetti e Contolini al Consiglio della
Regione Veneto, in data 5 dicembre 1988 (6).
All'interpellanza la Giunta risponde in data 15
dicembre 1989 (dopo un anno!) affermando - incredibile ma vero - che «quanto alle minacciate denunce per
abbandono di incapace e alle chiamate dei Commissariati di polizia, riferite
nei riguardi dei familiari, esse possono considerarsi mezzi di pressione
psicologica, forse alquanto goffi, per accelerare la dimissione. Altro mezzo,
con identica finalità, può considerarsi quello di richiedere all'interessato o a
chi per lui, il pagamento della diaria» (7).
L'impegno preteso dal Fatebenefratelli
Siamo venuti a conoscenza che, forse a seguito della
vicenda della signora R.F., il Fatebenefratelli di Venezia pretende che, prima
del ricovero, il paziente e/o i suoi congiunti sottoscrivano il seguente
impegno: «Si rende noto che la retta di
degenza presso questo Ospedale sarà posta a carico dell'U.L.S.S. sino al
momento in cui il Medico curante stabilirà la data delle dimissioni, ritenendo
completata la terapia medica.
«A tale data
(che comunque verrà preventivamente comunicata) è indispensabile l'uscita dal
nosocomio, essendo contestualmente segnalata all'U.L.S.S. la cessazione
dell'onere finanziario.
«In casi di
non autosufficienza sarà a cura dei congiunti l'accompagnamento a domicilio o
in struttura protetta onde evitare di poter intercorrere nella violazione degli
art. 137 e 168 della legge 19.5.1975, dell'art. 230/bis del codice civile,
commi primo, terzo e quarto, nonché incorrere nelle sanzioni previste
dall'art. 591 del Codice Penale.
«Si rende
noto altresì che comunque in caso di mancata uscita del paziente l'onere
finanziario resterà a carico dello stesso o dei congiunti. In tal senso si è
espresso di recente anche il Tribunale di Venezia con decreto ingiuntivo n.
845/90 del 26 maggio 1990 (8).
«Si segnala
altresì che la retta giornaliera stabilita dalla Regione Veneto per il ricovero
in questo Ospedale è pari a L. 248.500» (9).
È evidente che i malati e/o i loro familiari,
pressati dalla necessità di essere curati, sottoscrivono l'impegno imposto dal
Fatebenefratelli, ritenendo altresì, che le norme citate, ma da essi non
conosciute, stabiliscano obblighi che i firmatari devono assolutamente
rispettare.
Quando il Fatebenefratelli dispone le dimissioni,
gli interessati ed i loro familiari credono che ciò sia se non giusto, almeno
conforme a legge e le accettano (o subiscono) anche perché preoccupati di
dover sborsare ben 248.500 lire per ciascun giorno di degenza.
Procedure illegittime praticate a Venezia
L'allucinante vicenda della Signora R.F. è indubbiamente
favorita dalla prassi messa in atto dal Comune e dall'ULSS di Venezia, prassi
che viola gravemente le esigenze ed i diritti delle persone malate.
A) Segnalazione di cronicità
I presidi ospedalieri di Venezia utilizzano una «Segnalazione
di cronicità», atto non solo non previsto, ma - a nostro avviso - nemmeno consentito
dalle leggi vigenti.
Il modulo relativo alla dichiarazione di cronicità è
redatto come segue: «Si comunica che,
sulla base dell'allegata documentazione, il paziente .................. nato a
........ ....... il ........ residente ............ degente dal ............ nella
Divisione di ............... non è più abbisognevole di cure ospedaliere in una
divisione per acuti dal ................
«Si invita
il Comune di voler adottare gli opportuni provvedimenti per il ritiro e il
trasferimento del paziente.
«Per i
familiari si rende noto che la degenza dalla data suddetta non è più a carico
del Fondo Regionale Ospedaliero, secondo le istruzioni emanate dalla Giunta
Regionale del Veneto».
La sopra riportata segnalazione di cronicità parte
dall'assunto inveritiero che i malati cronici non abbiano diritto alle cure
ospedaliere.
B) Procedura per l'allontanamento dagli ospedali dei malati cronici
I primari degli Ospedali civili di Venezia utilizzano
una procedura singolare. Inviano alla Direzione sanitaria una dichiarazione su
un modulo prestampato così redatto:
«Si comunica
che il paziente .................. qui degente da ............ affetto da .....................
non ha più bisogno di cure ospedaliere per acuti.
« Si propone il suo trasferimento:
a) al proprio domicilio
b) in istituto per cronici
c) in istituto specializzato in .................................
« Inoltre si precisa che:
1) il paziente può lasciare l'ospedale
da solo
2) il paziente deve essere barellato
3) il paziente deve essere
accompagnato».
Al riguardo è evidente che in base alle leggi vigenti
(10) spetta al Servizio Sanitario
Nazionale (e non ai familiari) la cura degli anziani cronici non
autosufficienti. Quando i pazienti non hanno più la necessità di essere curati
in reparti per acuti, ma sono colpiti da malattie croniche e da non
autosufficienza (o sono in situazione di lungodegenza o di convalescenza)
spetta all'USL e non ai familiari individuare le sedi idonee affinché possano
continuare ad essere fornite le necessarie prestazioni sanitarie.
Pertanto l'indicazione dei primari di cui sopra (11)
non può certo costituire una disposizione vincolante per i pazienti ed i
familiari, ma dovrebbe avere il significato di una proposta per la USL, anche
per il fatto che la persona inguaribile mai dovrebbe essere considerata e
trattata come incurabile; quindi gli interventi devono continuare ad essere
forniti dal comparto sanitario.
Aggiungiamo che, in base alle leggi vigenti, al
settore dell'assistenza sociale (e quindi alle relative strutture) non
competono la cura e la riabilitazione dei malati cronici o lungodegenti o
convalescenti, ma solo le prestazioni di cui al 1° comma dell'art. 38 della
Costituzione che recita: «Ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale».
C) Dichiarazione richiesta dal Comune di Venezia
Una pesante forma di pressione in materia di anziani
cronici non autosufficienti è messa in atto anche dal Comune di Venezia, che
pretende dai familiari dei suddetti soggetti, per l'illegale ricovero in
strutture del comparto assistenziale, la sottoscrizione della seguente convenzione:
«Tra il
Sindaco del Comune di Venezia, rappresentato dall'Assessore alla Sicurezza
Sociale pro tempore ed i Signori ........................... si conviene quanto
segue:
«1. Il
Comune di Venezia si impegna di provvedere al ricovero a retta ordinaria del
Signor ...... presso un istituto idoneo in relazione alle condizioni sanitarie
del ricoverando e compatibilmente con le disponibilità di posti;
«2. I
Signori ............... nella qualità di ............ del ricoverando, si
impegnano di contribuire alla retta nella seguente misura: L. .........................;
«3.
L'obbligo di contribuire alla retta come sopra grava pro quota sui singoli.
Resta inteso però che, in caso di inadempienza da parte di uno o più
coobbligati, gli altri rimangono tenuti in solido al pagamento dell'intero
contributo;
«4. Gli
importi in conto retta dovranno essere versati, in via anticipata, in Cassa
Comunale entro i primi dieci giorni del mese al quale il contributo si
riferisce;
«5. I
contraenti nominati all'art. 2 dichiarano che il ricoverando gode del seguente
trattamento pensionistico: ........................... Essi consegnano all'Amministrazione
Comunale i libretti di pensione di cui sopra;
« 6. Ogni
inadempienza dei coobbligati alla presente convenzione comporta la dimissione
del ricoverato dall'istituto salvo il procedimento di esecuzione, per gli
importi dovuti al Comune, ai sensi del R.D. 14.4.1910 n. 639».
Va tenuto conto che la convenzione non cita gli
articoli 433 e seguenti del codice civile concernenti le persone obbligate a
corrispondere gli alimenti. Questa è un'ulteriore conferma del fatto che gli
enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai parenti tenuti
agli alimenti (12).
Nel caso in cui la convenzione venga disdettata (13),
l'Assessore alla sicurezza sociale del Comune di Venezia risponde segnalando
che il Comune stesso «non parteciperà
più al pagamento della retta» e demanda all'IRE le «decisioni da adottare circa la permanenza o meno in casa di riposo
dell'anziano».
In altre parole, il Comune di Venezia dichiara di non
aver alcun obbligo di intervenire. Nello stesso tempo l'IRE (ente pubblico),
dopo aver affermato che «è logico che un
ospite non possa essere accolto nei nostri istituti se non vi è una garanzia di
pagamento del corrispettivo ricovero», segnala di aver «affidato incarico al nostro avvocato di
fiducia M.T., di avviare azione legale nei suoi confronti per il recupero del
credito e, ove fosse necessario, per le dimissioni della signora B.».
A sua volta, nei casi analoghi, il Presidente dell'ULSS
di Venezia afferma che «il ricovero in divisione
ospedaliera è riservato a malati acuti o lungodegenti» e quindi non ai cronici
non autosufficienti.
In tal modo i parenti o le terze persone si trovano
fra l'incudine e il martello e, quale riconoscimento del loro interessamento,
c'è il pagamento di contributi non dovuti e la minaccia di essere citati in
Tribunale.
Convenzione dell'IRE
Riportiamo integralmente il testo della convenzione,
la cui sottoscrizione viene richiesta dall'Ente pubblico IRE per l'ammissione
di ricoverati, in genere anziani malati cronici non autosufficienti
illegalmente espulsi dagli ospedali.
A nostro avviso, è un contratto che si addice di più
alla regolamentazione di cose che alla assistenza di persone:
«CONVENZIONE PER L'ACCOGLIMENTO DEL
SIGNOR .................. PRESSO LA CASA DI RIPOSO SS. GIOVANNI E PAOLO IN
VENEZIA AMMINISTRATA DALL'IRE (Istituto di Ricovero e Educazione) -
Cannaregio n. 187/A VENEZIA.
«Tra l'IRE -
ISTITUZIONI DI RICOVERO E DI EDUCAZIONE (Amministrazione Unica delle Istituzioni
decentrate dall'E.C.A. di Venezia) come in calce rappresentata ed - in solido -
il signor ............... nato a ................ il ............... residente
a ....................... si conviene di accogliere presso la Casa di riposo
SS. Giovanni e Paolo reparto di ..................... il signor ............
nato a ........... attualmente residente a ............ alle seguenti
condizioni:
«1) - L'IRE
si obbliga a provvedere al mantenimento dell'ospite, fornendo allo stesso
vitto, alloggio, assistenza generica, infermieristica e medica come normalmente
praticata presso l'istituto e nota al contraente. L'Istituto provvederà altresì
al lavaggio della biancheria, esclusa quella di proprietà dell'ospite. Per
l'assistenza sanitaria specialistica, nonché per le analisi di laboratorio, si
rinvia alla normativa vigente in materia, purché al momento dell'ingresso
dell'ospite sia stato depositato presso l'istituto il libretto sanitario
personale.
«2) - Il
contraente prende atto che la retta attuale è fissata dall'IRE in L. ..................
giornaliere per reparto di ............... e si obbliga al pagamento di tale
retta per tutto il tempo che l'ospite rimarrà nell'Istituto ed a decorrere dal
giorno dell'effettivo accoglimento. Qualora secondo quanto indicato nelle
"condizioni particolari" siano previste contribuzioni parziali o
totali a carico dl Enti o il pagamento della retta venga in tutto o in parte
convenuto mediante la cessione di pensioni, di quote di pensioni, di rendite
ricorrenti, anche non di spettanza del contraente, e le stesse - per qualsiasi
motivo - non venissero corrisposte o non consentissero la copertura della
retta come determinata dal presente articolo e dal successivo articolo 3, il
contraente risponde comunque in proprio all'IRE per l'intera retta.
«3) - Il
contraente accetta fin d'ora gli aumenti di retta che, durante il periodo dl
ricovero, saranno deliberati dall'Ente. Gli eventuali aumenti sono dovuti dal
contraente dalla data fissata dalla relativa delibera, purché comunicata entro
sessanta giorni dalla data di assunzione, e comunque sono dovuti dal primo
mese successivo alla data di comunicazione della nuova retta.
«4) - Il
pagamento delle rette deve essere effettuato in rate mensili anticipate
mediante versamenti in conto corrente o presso il Tesoriere dell'Ente: sono
ammesse a prova dei pagamenti esclusivamente le ricevute di versamento in CCP o
le bollette staccate dal Tesoriere dell'Ente.
«5) - Il
pagamento delle rette oltre il 25° giorno dl ciascun mese, comporta
l'applicazione sulle somme scoperte dell'interesse pari all'interesse passivo
fissato dal Tesoriere dell'Ente. Uguale interesse è dovuto sugli importi
richiesti dall'Ente per conguagli o adeguamento rette, una volta trascorsi 60
giorni dalla data della richiesta, nonché sulle eventuali dilazioni.
«6) -
L'ospite deve attenersi al regolamenti Interni dell'Istituto. Qualora, per
qualsiasi motivo, l'ospite non volesse o non potesse adattarsi a tali regolamenti, o nel caso l'IRE ritenesse incompatibile
il proseguimento dell'accoglienza dell'ospite presso l'istituto, così come se
venisse a mancare la corresponsione delle rette alla scadenza fissata,
l'ospite potrà essere dimesso. Il contraente - se diverso dall'ospite - si
obbliga a ritirarlo dall'Istituto, rinunciando a qualsiasi opposizione e
rifondendo !e spese eventualmente sostenute dall'IRE.
«7) - A
garanzia degli obblighi assunti con la presente convenzione il contraente
provvederà al deposito di una mensilità di retta. Il deposito non è produttivo
di interessi e non è imputabile in conto rette. Esso sarà restituito al
contraente dopo l'effettiva uscita dell'ospite e qualora non vi sia debito. Il
deposito cauzionale ed eventuali eccedenze di retta non richieste dal
contraente o dagli aventi diritto entro un anno dalla data di uscita dell'ospite,
resteranno di proprietà dell'IRE senza che sia necessaria alcuna formale
comunicazione.
«8) - Al
momento dell'uscita dell'ospite, il contraente dovrà provvedere a ritirare ogni
bene, oggetto ed effetto personale dell'ospite stesso. Trascorsi otto giorni
dalla data dell'uscita dell'ospite senza che si sia provveduto a quanto sopra,
il contraente solleva l'IRE da ogni e qualsiasi responsabilità anche nei confronti
dell'ospite e suoi successori ed eredi. Eventuali beni, oggetti ed effetti
personali di proprietà dell'ospite giacenti a qualunque titolo, presso la
direzione dell'Istituto, se non richiesti entro 90 giorni dalla data di uscita
dell'ospite, si intendono come
abbandonati e restano di proprietà dell'IRE.
«9) -
L'accoglimento presso la Casa di Riposo ha natura contrattuale e pertanto la
mancata osservanza anche di una sola delle clausole del presente contratto,
comporta la risoluzione dello stesso, la dimissione dell'ospite dall'Istituto e
l'obbligo del contraente di ritirarlo.
«10) - Le eventuali spese per la
presente convenzione sono a carico dei contraente.
«Letto,
approvato e sottoscritto il .....................
« Il contraente ..............................................
«Il Presidente dell'IRE ..........................................
«Il Segretario Direttore Generale
dell'IRE .........
«Agli
effetti dell'art. 1341 dei Codice Civile, dichiaro di approvare tutti gli
articoli della presente convenzione e specificatamente le condizioni generali
del contratto di cui agli artt. 2, 3, 5, 6, 7, 8, e le condizioni particolari
aggiunte (artt. ............................... ).
«IL CONTRAENTE ....................
«Venezia, li .......... ............ ».
La denuncia penale del Fatebenefratelli e il
sorprendente intervento della magistratura
L'ultimo atto della vicenda, per ora, è questo: nel
dicembre 1991, avanti il Tribunale di Venezia, si discuterà il processo a
carico dei congiunti della paziente accusati del reato di cui all'art. 591 del
codice penale: «...perché, omettendo di rilevare dall'ospedale Fatebenefratelli
di Venezia da cui era stata dimessa R.F., abbandonavano la stessa incapace, per
malattia e vecchiaia, a provvedere a se stessa e della quale dovevano avere
cura essendo rispettivamente i primi tre i figli e gli altri due nipoti» (14).
È infatti accaduto che senza interpellare l'interessata
che, pur malata, è capace d'intendere e di decidere, il Fatebenefratelli non
solo l'ha dimessa, ma ha denunciato i congiunti per il reato d'abbandono.
Il sostituto Procuratore della Repubblica, Rita
Ugolini, ha chiesto il rinvio a giudizio ed il Giudice per l'udienza
preliminare Felice Casson ne ha accolto la richiesta, limitandosi ad osservare «...a norma dell'art. 425 del codice di
procedura penale, in sede di udienza preliminare deve solo essere valutato se
sia evidente che il fatto non sussista o che gli imputati non lo hanno commesso.
Nel caso specie tale evidenza non sussiste sulla base della segnalazione della
Direzione sanitaria dell'ospedale Fatebenefratelli e dei successivi
accertamenti del luglio e agosto 1988 della Pubblica Sicurezza di Venezia - San
Paolo».
Ci si rende conto che il nuovo rito penale rimette
ogni indagine al dibattimento. Tuttavia non si può non sottolineare che la
pretesa parte lesa non è stata sentita e che non si è neppure accertato se il
comportamento del nosocomio, dimettendo una persona malata, abbia rispettato
le leggi in materia.
Al processo, si spera che si possano chiarire le
cose. Fin d'ora, tuttavia va rilevato che l'operato del Fatebenefratelli,
della Regione Veneto, dell'USSL e dei Comune di Venezia ed anche della locale
magistratura ripropone una delle più gravi ed allarmanti carenze del nostro
sistema sociale: la non applicazione delle leggi che riconoscono il diritto
degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie, comprese quelle
ospedaliere.
Conclusioni
A prescindere dall'esito del processo penale che,
come abbiamo già scritto, verrà celebrato nel dicembre 1991 a Venezia a carico
dei tre figli e due nipoti della signora R.F., è evidente che di fronte alle
iniziative del Fatebenefratelli, della Regione Veneto, dell'USSL e del Comune
di Venezia e della magistratura (obbligo del pagamento della retta di ben
248.500 lire al giorno a decorrere dal giorno in cui il Fatebenefratelli
decide la dimissione, dichiarazione per la dimissione rilasciata dai primari
ospedalieri senza tener conto delle leggi vigenti, segnalazione di cronicità
dell'ULSS, convenzione dell'IRE, rinvio a giudizio) i cittadini accettano
qualsiasi soluzione anche ingiusta, come quelle di subire le dimissioni anche
perdurando esigenze curative e di sopportare il pagamento di rette non dovute.
In sostanza, le iniziative suddette hanno di fatto
leso gravemente il diritto alle prestazioni sanitarie dei malati colpiti da
cronicità e da non autosufficienza nelle forme in cui vengono assicurate agli
altri cittadini ed hanno fornito all'opinione pubblica e ai diretti interessati
informazioni fortemente distorte.
È auspicabile che la decisione del Tribunale penale
di Venezia ristabilisca il diritto alla salute delle persone anziane e quindi
più bisognose di cure.
È altresì sperabile che - finalmente - i sindacati,
in primo luogo quelli dei pensionati, tutelino le esigenze ed i diritti dei
loro simili e che le organizzazioni di volontariato si rendano conto delle
ingiustizie inaccettabili che vengono compiute nei confronti di coloro che non
sono in grado di autotutelarsi.
(1) Cfr. M. DOGLIOTTI, I diritti dell'anziano, in «Rivista
trimestrale di diritto e procedura civile», Anno XLI, n. 3, settembre 1987 e
AA.VV., I diritti negati degli anziani
non autosufficienti, in «Servizi sociali», n. 2, 1988.
(2) È evidente che i vigili urbani
hanno nessuna competenza in merito alle dimissioni dei malati dagli ospedali.
In base a quale norma si sono recati in casa del figlio della signora R.F. e
l'hanno interrogato? Non si tratta di una palese violazione delle vigenti norme
di legge? Che cosa ne pensano il Sindaco di Venezia, il Comandante dei Vigili
urbani e la Magistratura?
(3) Ricordiamo che il vigente art. 29
della legga 132/68 stabilisce che le Regioni devono programmare i posti letto
ospedalieri tenendo conto delle esigenze dei malati «acuti, cronici, convalescenti e lungodegenti». Detto
principio è confermato dalla legge di riforma sanitaria 23 dicembre 1975 n. 883
che obbliga le Unità sanitarie locali a provvedere alla «tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di
rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione».
Le prestazioni devono essere fornite agli anziani, come a tutti gli altri
cittadini, qualunque siano «le cause, la
fenomenologia e la durata» delle malattie.
(4) È in corso una causa civile
avanti il Tribunale di Venezia avendo la Signora R.F. presentato opposizione
al pagamento richiesto dall'Ospedale Fatebenefratelli. Nei confronti di
un'altra degente, il Fatebenefratelli ha ingiunto il pagamento di ben 107 milioni.
(5) Le condizioni di non
autosufficienza della paziente, che vive da sola, sono tali da renderne
assolutamente impossibile la permanenza al proprio domicilio. D'altra parte,
come risulta dalle citate dichiarazioni del Dr. Pernigotti, la signora R.F. aveva
l'esigenza di cure di natura ospedaliera.
(6) Il testo dell'interrogazione è
del seguente tenore: «A conoscenza che
persone anziane ricoverate in Divisioni di lungodegenza di ospedali
convenzionati vengono dimesse anche se in stato di cronicità e non
autosufficienza, senza alcuna verifica preventiva della possibilità da parte
dei familiari di assisterle a domicilio o di farle accogliere in strutture
residenziali;
«verificato (almeno in due casi: il Negrar dl Verona e il S. Raffaele
Arcangelo di Venezia) che, dopo la "dimissione", i pazienti passano
dal regime "convenzionato" a carico del Fondo sanitario nazionale al
regime "privato" e totale carico dell'anziano o dei familiari,
familiari che, di fronte alla impossibilità dl assistere l'anziano presso il
loro domicilio vengono minacciati di essere denunciati per abbandono d1
incapace e chiamati dai Commissariati di polizia (naturalmente quando
dichiarano di non essere in grado di pagare!);
«considerato che il sistema pubblico ospedaliero "allargato"
(comprendente cioè la struttura ospedaliera privataconvenzionata) dovrebbe
garantire ai cittadini uguali condizioni di trattamento e - nella fattispecie
- prolungare il ricovero dell'anziano non autosufficiente, non assistibile in
famiglia, fintanto che non possa essere accolto in una idonea struttura
residenziale assistenziale.
« Tutto ciò premesso, i
sottoscritti Consiglieri regionali interpellano la Giunta regionale per sapere:
- se sia legittimo il comportamento adottato dagli ospedali
convenzionati che "passano" il paziente al regime privato con
addebito delle rette al paziente e/o ai familiari, anche quando si tratti di
ricoverati anziani non autosufficienti;
- in caso affermativo e cioè che il provvedimento possa essere letto in
coerenza con indirizzi emanati dalla Giunta regionale e relativi alle giornate
medie di degenza pagate dal Fondo sanitario regionale, se la Giunta regionale
non ritenga, data l'incidenza di persone non autosufficienti tra gli anziani,
di rivedere le direttive alle strutture convenzionate, che consentano di
trattare con flessibilità (e umanità!) il problema (irrisolto) del diritto
dell'anziano all'assistenza sanitaria gratuita, senza limiti di tempo!».
(7) Certamente l'ingiunzione di 11 milioni non ha soltanto
finalità di «pressione psicologica»!
(8) Si ricorda che è in corso una causa civile. Cfr. la nota
4.
(9) Osserviamo che le norme citate
dal Fatebenefratelli non prevedono alcun obbligo dei familiari di provvedere
alla cura dei congiunti malati:
- l'art. 137 della legge 19.5.1975 n.
151 (corrispondente all'art. 315 del codice civile) stabilisce: «Il figlio deve
rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze,
e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa».
- l'art. 168 della legge 151/1975 (e
cioè l'art. 433 del codice civile) riguarda l'obbligo di prestare gli
alimenti. Al riguardo si ricorda che in base a quanto previsto dal suddetto
articolo, la richiesta degli alimenti (cosa ben diversa dalla cura) spetta
esclusivamente all'alimentando (Cfr. M. DOGLIOTTI, Gli enti pubblici non possono pretendere contributi economici dai
parenti tenuti agli alimenti di persone assistite, in Prospettive
assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989);
- l'art. 230 bis del codice civile
regolamenta i rapporti fra coloro che prestano in modo continuativo attività di
lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare;
- l'art. 591 del codice penale
stabilisce le pene nei confronti di chi «abbandona
una persona minore degli anni 14, ovvero una persona incapace per malattia di
mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa di provvedere a se stessa e
della quale abbia la custodia o debba avere cura». Per quanto concerne le
persone malate, l'articolo suddetto non riguarda i familiari, ma gli enti
tenuti a fornire le cure.
(10) Cfr. la nota 3. Ricordiamo,
inoltre, che nel decreto del Ministro della sanità del 13 settembre 1988
«Determinazione degli standards del personale ospedaliero» al punto F2 viene
precisato quanto segue: «Esiste un numero
considerevole di pazienti con forme croniche stabilizzate, o di anziani
ultrasessantacinquenni abbisognevoli di trattamenti protratti di
conservazione, che sono impropriamente ricoverati in strutture per acuti a
causa della carenza di residenze sanitarie assistenziali extraospedaliere o
dell'insufficiente approntamento di forme alternative d1 spedalizzazione
domiciliare o di assistenza domiciliare integrata».
Per detti soggetti il punto F5 dello
stesso decreto stabilisce quanto segue: «L'assegnazione
dei degenti di cui al precedente punto F2 alla funzione di lungodegenza riveste
carattere di transitorietà in attesa che siano realizzate le residenze
sanitarie assistenziali extraospedaliere e vengano attivate forme adeguate di
spedalizzazione domiciliare o di assistenza domiciliare integrata -
nell'ambito del progetti obiettivo del plano sanitario nazionale previsto dalla
legge 23 ottobre 1985, n. 595 - che costituiscono la destinazione specifica e
più conveniente per tali pazienti». In altre parole il decreto suddetto
sostiene che la presenza degli anziani cronici nelle strutture per acuti è
impropria (e non illegale) e che la loro permanenza nelle lungodegenze
ospedaliere deve avere carattere di transitorietà (e quindi è attualmente una prestazione
dovuta).
(11) Non comprendiamo in base a quale
competenza professionale o di attuazione di quale norma di legge o
deontologica, i primari possano proporre il trasferimento dei malati cronici in
un istituto e cioè in una struttura di natura assistenziale e non sanitaria.
(12) Cfr. la nota 9.
(13)
Segnaliamo anche il caso di una disdetta inviata al Presidente dell'IRE e per
conoscenza al Presidente della Giunta della Regione Veneto e dell'Assessore
alla sicurezza sociale del Comune di Venezia da una persona che scrive di
essere «stata costretta a firmare» e
che «non è civilmente obbligata a prestare gli alimenti ai sensi dell'art. 433 del codice civile non
avendo alcun legame di parentela con la ricoverata».
(14) L'art. 591 del codice penale
prevede: «Chiunque abbandona una persona
minore degli anni 14, ovvero una persona incapace, per malattia dl mente o d1
corpo, per vecchiaia o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della
quale abbia custodia o debba aver cura, è punito con la reclusione da sei mesi
a cinque anni» (...). La pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione o
se il fatto è commesso «dal genitore, dal
figlio, dal tutore o dal coniuge, dall'adottante o dall'adottato».
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