L'OSPEDALIZZAZIONE
A DOMICILIO: UN SERVIZIO DA SVILUPPARE
ARGIUNA MAZZOTTI
Curare a casa i vecchi. Sempre. Quando sono stati
dimessi dall'ospedale che li ha tirati fuori dal rischio acuto ma nulla può
fare per la cronicità che si portano addosso, quando la malattia prosegue il
suo cammino fatale e nulla può fermarla, quando da soli non ce la fanno più e
qualcuno deve provvedere per loro, quando c'è bisogno di stargli dietro tutto
il giorno per tentare di riabilitarli, in tutti i casi in cui l'ospedale anche
se serve può fare danni.
Le cure ospedaliere possono essere benissimo
trasferite a casa anche quelle più complesse, plurispecialistiche,
plurimonitorate, come le terapie intensive cardiologiche, respiratorie, metaboliche,
neurologiche, la depurazione dialitica, l'alimentazione parenterale, i
trattamenti palliativi terminali. Tutte cose che solo l'ospedale può praticare
a domicilio.
Da Strasburgo il Consiglio d'Europa raccomanda:
rendere estesa la possibilità di curare il paziente anziano ospedalizzandolo a
casa. Cioè inviare a domicilio del malato lo staff ospedaliero, medici,
primario, aiuti, assistenti, chirurghi, ortopedici, specialisti, infermieri,
terapisti e magari pure il cappellano.
Trasferire a domicilio le attrezzature ospedaliere,
il letto reclinabile con spalliere laterali, le carrucole e i pesi per le
trazioni, i materassi antidecubito ad aria e ad acqua, le piantane per fleboclisi,
carrozzelle, bombole d'ossigeno, apparecchi per la respirazione assistita,
aspiratori, nebulizzatori, e, se necessario, difibrillatori a portata di mano
di chiunque, debitamente istruito e autorizzato, sia in grado di utilizzarlo
d'urgenza. Più tutto quello che si rendesse necessario al caso.
Chi ci deve pensare è naturalmente l'ospedale più
vicino col proprio personale e le proprie attrezzature come si conviene ai
compiti di un reparto di degenza.
Se si volesse puntare all'estensione del servizio
anche laddove mancano ospedali pubblici, pure se la convenzione con l'ospedalità
privata sarebbe un rischio molto elevato, non si può escludere
aprioristicamente, se si vuole finalmente assistere gli anziani ammalati
inabili, senza farli languire in un letto di corsia, ospedale o cronicario che
sia.
Ma questo servizio a domicilio è poi così importante
e decisivo? E perché? Perché, sembra per le esperienze che si sono fatte in
USA, Inghilterra e Francia, e qui da noi a Torino, che renda di più in
termini di efficacia, di risultati e di gradimento, e finisca persino col
costare di meno di una degenza ospedaliera.
Comunque bisogna cominciare col dire che, anche
volendo, l'ospedalizzazione nell'ambito familiare non può essere estesa a tutti
quelli che ne avrebbero bisogno. Infatti non si può fare a meno di tre
condizioni: primo, che il paziente abbia una casa; secondo, che abbia una
famiglia che voglia e sappia collaborare coi sanitari; terzo, che il medico di
famiglia s'impegni a partecipare all'assistenza.
Se queste condizioni non ci sono, e gli anziani
disabili non hanno dove andare, bisognerebbe avviarli alle Residenze sanitarie
assistenziali (RSA) solo che, anche se il finanziamento per la loro istituzione
è stato stanziato dalla legge del 1988, per quel che si sa, sono ancora allo
stato di progetto programmatico a livello regionale. In ogni modo in queste
residenze dovrebbe essere garantita, oltre l'assistenza sanitaria di base e
quella specialistica distrettuale di cui alla legge istitutiva del sistema
sanitario nazionale, anche l'home care,
cioè gli interventi programmati a domicilio di competenza regionale che
comprendono l'ospedalizzazione a domicilio.
Un piano dettagliato di come dovrebbero articolarsi
questi servizi a favore degli anziani cronici non autosufficienti è contenuto
nella proposta di legge regionale promossa da un gruppo di associazioni di
volontariato del Piemonte, coordinate dall'Unione per la lotta contro l'emarginazione
sociale. La proposta prevede i servizi sanitari territoriali di base,
distrettuali e ospedalieri, integrati tra loro in modo da coprire tutte le
necessità dei malati anziani disabili. Se ciò fosse realizzato, non resterebbe
al volontariato che il compito di vigilanza sul rendimento dei servizi in
termini qualitativi, e la cosa non sarebbe secondaria, perché come si sa per
esperienza, tutto ciò che si fa, non basta deciderlo una volta per tutte.
È stato affermato che l'ospedalizzazione a domicilio
conviene a molti ma non a tutti e i motivi sono presto detti. Di certo
conviene, senza riserve, agli anziani che dovrebbero essere ricoverati in
ospedale o che sono stati dimessi senz'essere guariti, perché affetti da
patologie non regredibili o a carattere evolutivo.
In primo luogo conviene per motivi di dignità, nel
senso che si sta a casa propria conservando il proprio ruolo e i propri
riferimenti ambientali anziché diventare un numero in corsia, sentirsi chiamare
nonnino e dare del tu da chiunque. Poi per motivi affettivi, perché nessuno,
per quanto animato da spirito samaritano, potrà mai sostituire il calore
familiare, quando c'è, beninteso. Infine per ragioni di sicurezza perché il
rapporto coi sanitari ospedalieri perde il suo carattere di anonimità per
diventare diretto e personale, per di più in collaborazione col proprio medico
di fiducia.
Già questi vantaggi soggettivi dovrebbero bastare
per far capire la superiorità di questo tipo di intervento rispetto a quello in
reparto ospedaliero. Ma ci sono poi un'infinità di picco,li vantaggi
che possono contribuire a rendere più efficace la cura o, alla peggio, più
sopportabile la malattia, come avere accanto le persone desiderate anziché
altri ammalati magari più gravi, la possibilità di decidere i propri ritmi di
riposo e di veglia, di graduare le condizioni ambientali, di ottenere il
rispetto del pudore e della privacy,
di poter avere la possibilità di rapporti con gli amici, e perché no? affettivi
e sessuali.
L'altro motivo di superiorità delle cure domiciliari,
in base alle esperienze finora effettuate, è che costano di meno. Intanto il
personale utilizzato è quello previsto dall'organico dell'ospedale, per cui
non c'è bisogno di pagarne altro, semmai si potrà contrattare l'estensione
delle mansioni. Si potrà prevedere in fase di avviamento una transitoria e
contenuta possibilità di aumento della spesa per l'incentivazione, ma è certo
che la spesa alberghiera dell'ospedale con tutte le sue voci, di biancheria,
lavanderia, vettovagliamento, alimentazione, consumi, utenze, potrà essere
ridotta. S'intende, non verrebbe eliminata del tutto, ma contenuta in modo
consistente, questo sì, perché gli ammalati da assistere a domicilio sono in
genere degenti a basso costo curativo e ad alto costo alberghiero, al contrario
degli acuti che costano molto per le cure e poco per la spesa alberghiera.
Senza mettere nel conto il vantaggio che ne ricaverebbe l'efficienza
dell'ospedale con la dimissione protetta dei lungodegenti, che renderebbe
possibile la revisione dei posti letto, degli organici, delle attrezzature, in
rapporto con le particolarità specialistiche dei reparti. A questo punto c'è
da domandarsi, ma allora perché non si fa?
I motivi sono tanti, ma fondamentalmente è uno: manca
l'interesse degli operatori sanitari. Si capisce che l'ospedalizzazione a
domicilio che richiede doti di umanità e di disponibilità che se non si hanno è
difficile darsi, costa fatica e competenza, perché si tratterebbe di avere cura
di ammalati difficili poco gratificanti per le scarse prospettive di recupero,
per di più sotto lo sguardo critico dei familiari. Inoltre gli operatori
dovrebbero sobbarcarsi tutti i giorni il disagio degli spostamenti che
ovunque, in città grandi e piccole, sono il problema del giorno. Poi manca la
sicurezza sia dei medici che degli infermieri che sono abituati a svolgere la
loro attività al riparo delle mura dell'ospedale, sotto la tutela della
responsabilità gerarchica. Anche i propri interessi di seconda occupazione
sarebbero intaccati per la riduzione delle occasioni di cure domiciliari
remunerative. Ma più ancora le categorie interessate paventano lo svuotamento
delle corsie che provocherebbe l'inevitabile riduzione dei posti letto, con
conseguenze sugli organici e le carriere.
Non c'è da menar scandalo per questo, lo diceva già
nel secolo scorso Carlo Marx che molte attività trovano giustificazione
soltanto in se stesse, solo che trattandosi di servizi che dovrebbero essere
resi ad altri, bisognerebbe capire come arrivare ad organizzare l'ospedalizzazione
a domicilio con soddisfazione di tutti, ammalati, medici e infermieri. Tutto
sommato, non dovrebbe essere un'impresa impossibile se si entra nell'ordine
d'idee che l'organizzazione sanitaria ha senso solo se si cura degli ammalati e
che ogni altro interesse, per quanto comprensibile, non può prevalere sempre.
Chissà? forse per una strana disposizione degli
astri è successo a Torino che, il 30 ottobre 1984, l'USL 1-23 ha deliberato di
«reinserire, dopo il ricovero ospedaliero, il malato, specialmente quello
anziano cronico o in fase terminale, nel suo contesto familiare, garantendogli
la stessa assistenza».
Lo scopo era duplice, sperimentare un intervento
sanitario integrato e unificato e ridurre il tasso di ospedalizzazione. Così da
quel giorno in Italia, anche se solo a Torino, è iniziata l'era dell'assistenza
ospedaliera a domicilio.
In USA, Francia, Svizzera e Inghilterra è un bel
pezzo che funziona e se qualcuno di quelli che hanno il potere di decidere
scegliesse di spendere meglio i soldi della sanità risparmiando, potrebbe
farsi un giretto, magari pagato dalla collettività, purché al ritorno si desse
da fare come hanno fatto quelli della Divisione Universitaria di Geriatria
dell'Ospedale Maggiore di Torino diretta dal prof. Fabrizio Fabris.
È vero che ci sono voluti due anni per mandare a
regime il servizio ma poi ci sono riusciti con 12 infermieri professionali che
svolgono il loro lavoro a domicilio. Il lavoro dei medici è assicurato da 7
assistenti coordinati da un aiuto. I medici continuano a lavorare in corsia.
L'attività
domiciliare prevede tre momenti: - interventi a letto dell'ammalato;
-
riunione d'équipe per la predisposizione e l'organizzazione del piano di
assistenza;
-
servizio di segreteria per l’accoglimento delle richieste di ricovero, e
guardia per rispondere alle chiamate d'emergenza. La segreteria provvede
anche all'approvvigionamento del materiale sanitario e farmaceutico da inviare
a domicilio, all'invio e ritiro degli accertamenti di laboratorio,
all'assistenza per il trasporto con proprie autolettighe dei malati che hanno
bisogno di accertamenti o interventi da fare in ospedale.
Il lavoro si svolge con un protocollo che prevede il
controllo dell'idoneità delle condizioni ambientali del ricovero familiare,
l'apertura e l'aggiornamento della cartella clinica, la discussione e il
trattamento collegiale del caso clinico. Nei casi di maggior impegno sono
previsti uno o due passaggi giornalieri e il monitoraggio telefonico per
l'emergenza.
In quattro anni di attività, dall'ottobre del 1985
all'ottobre 1989 sono stati presi in cura 519 ammalati. Di questi, 298 sono
stati dimessi, 51 sono stati trasferiti in ospedale, 7 in cronicari, 7 in
ospedali diurni, 17 continuano ad essere assistiti e 139 sono deceduti. L'attività
svolta a domicilio è stata quella di un reparto ospedaliero con 30 letti,
occupati al 79% per quattro anni; le visite mediche sono state 5.800, quelle
infermieristiche 17:627 e i pazienti sono stati seguiti per 34.413 giorni di
ospedalizzazione corrispondenti a quelli registrabili in reparti ospedalieri di
cura non intensiva.
Dato costante è stato il miglioramento delle
condizioni di malattia anche in casi inattesi a confronto con casi analoghi
ricoverati in ospedale e il peggioramento quando l'ospedalizzazione a
domicilio si è dovuta interrompere per crisi della famiglia o altri motivi.
Un bilancio positivo sotto tutti i profili, ancor più
lusinghiero se visto dal punto di vista economico, perché la spesa giornaliera
per assistito a domicilio si è aggirata attorno alle 70 mila lire, ben al di
sotto di quella di una comune degenza ospedaliera.
Si è parlato dell'ospedalizzazione a domicilio nella
convinzione che, a parte l'utilità e i vantaggi, sia un servizio che può
essere organizzato senza troppe difficoltà. Ma non basta, perché non ci sono
soltanto gli anziani che hanno bisogno di cure ospedaliere. Ci sono ammalati
che hanno bisogno di cure ospedaliere diurne che possono tornare a casa a
dormire e viceversa quelli che invece hanno bisogno di assistenza notturna perché
di giorno possono vivere in casa. Poi ci sono quelli che hanno bisogno di brevi
ricoveri, due o tre giorni ogni una o due settimane, e quelli che si
accontenterebbero che il medico gli facesse visita ogni tanto, magari in base
ad un programma prestabilito in cui ci fossero comprese le eventuali
consulenze specialistiche e i riscontri clinici e di laboratorio.
È chiaro che questa gamma di servizi ha un costo che
richiederebbe spostamenti di spesa nel comparto della sanità. Ma non solo di
finanziamenti si dovrebbe parlare perché il problema è anche culturale e
organizzativo per cui le cose si complicano anche sotto il profilo della formazione
professionale e quello amministrativo.
Quel che allo stato attuale sembra inevitabile è che,
con l'invecchiamento della popolazione e col fatto che i vecchi diventano
sempre più vecchi ma anche più cronici, l'organizzazione sanitaria si debba
aggiornare.
Chi ci pensa? Quel che è certo, è che una buona
spinta può venire dall'associazionismo perché dal pubblico o dal privato fino
al momento non ci sono segnali.
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