Prospettive assistenziali, n. 95, luglio-settembre 1991

 

 

Libri

 

 

SILVANO MINIATI, Non di sola pensione, Edizioni Circola d'Europa (Via Sistina 57, Roma), 1991 pp. 50, L. 10.000.

 

Di ritorno dall'imponente manifestazione dei pensionati svoltasi a Roma il 27 ottobre 1990. Silvano Miniati, Segretario nazionale della UIL Pensionati, riflette sulla condizione di umiliante precarietà di gran parte degli anziani.

«Gli anziani non sono una categoria, ma un pezzo di società. Essi non sono né tutti poveri, né tutti ammalati, né tutti soli o emarginati allo stesso modo (...). Sono convinto che dividere gli anziani tra loro per gruppi e categorie costituirebbe un errore tragico».

«Quando non sei più autosufficiente, o quando sei sotto sfratto, quando non puoi attraversare la strada o usare il marciapiede (...) allora le differenze di reddito, che pure contano, diventano molto marginali».

Le considerazioni politiche di Miniati si mescolano a quelle soggettive del sindacalista che avverte i limiti dell'attuale azione sindacale e che propone alla CISL e alla CGIL di celebrare il 1993, anno europeo degli anziani, «non come tre sindacati distinti anche se uniti nell'azione, ma in una unica grande Federazione unitaria dei pen­sionati e degli anziani».

 

 

ELISABETTA FIORENTINI, Morire a cent'anni. Passione e amore della vecchiaia, Gribaudi, Torino, 1989, pp. 173, L. 15.000.

 

Curare un anziano cronico non autosufficiente comporta una notevole fatica fisica e psichica che coinvolge profondamente i familiari. Per non esserne schiacciati, il paziente dovrebbe almeno ricevere le necessarie cure sanitarie: il tanto lodato ma non attuato servizio di ospedalizzazio­ne a domicilio.

L'Autrice e suo marito curano a casa loro la zia ultranovantenne demente. Sono lasciati soli dai servizi dell'USL che mai sono né nominati né chiamati in causa. Salo il medico di base vie­ne due volte alla settimana.

Per fortuna la Fiorentini e il marito dispongono di denaro. In un mese spendono tre milioni e duecentomila lire: «Vi figurano trenta notti a cinquantamila lire, 30 assistenze giornaliere a cinque mila lire all'ora, l'onorario dell'ortopedico, un arsenale di articoli sanitari».

Possono così continuare a lavorare, senza es­sere sopraffatti completamente dall'assistenza della zia.

Ma casa capiterebbe se non disponessero di tanto denaro?

La lettura del libro, molto istruttiva, offre uno spaccato reale, si potrebbe dire fotografico, della situazione degli anziani cronici non autosuffi­cienti e dei familiari che, con abnegazione e co­raggio, vi provvedono.

Il libro è anche un invito agli amministratori affinché - finalmente - forniscano agli anziani cronici non autosufficienti curati a casa loro e ai familiari il necessario supporto medico, medico­specialistico, infermieristico e riabilitativo.

 

 

MARISA BETTASSA, Storia di un filo d'erba - Handicap, amore, società, TraccEdizioni (CP 110 - I. 57025 Piombino), 1990, pp. 64, L. 15.000.

 

Tetraplegica, con gravissime limitazioni alla sua autonomia («non posso stare da sola più di un'ora o due»), l'Autrice esprime in questo li­bro le sue esperienze e la sua filosofia di vita: «lo non ho mai considerato la collaborazione de­gli altri come una cosa dovuta, ma come uno scambio reciproco, ricevere e dare al contempo. Purtroppo molti portatori di handicap non riesco­no a vivere in quest'ottica perché pensano che tutto sia loro dovuto, senza che essi possano e debbano donare qualcosa in cambio. Questo com­portamento, indotto dalla consapevolezza di es­sere "in disgrazia", risulta loro sfavorevole perché li isola, oppure fa sì che la gente si avvicina per pietà, cosa questa particolarmente negativa per entrambe le parti. Dall'età di vent'anni ho ben chiara una cosa dentro di me: non voglio as­solutamente far gravare sugli altri le mie diffi­coltà e la mia sofferenza, poiché la realtà non cambia se mi lamento, anzi, ottengo l'unico ri­sultato di rendere poco piacevole la compagnia a chi ml circonda».

La vicenda di Marisa Bettassa è, in fondo, il racconto di una battaglia vinta: «A volte provo un intimo senso di colpa nei confronti di altre persone in difficoltà che non hanno ottenuto, per i motivi più disparati, ciò che ho potuto realizzare io».

Precisa l'Autrice: «Purtroppo 1'handicappato è ancora considerato solo un "caso da assiste­re", per il quale, sin da bambino, viene program­mata una serie di interventi spesso non aderen­ti alla personalità e alle potenzialità dell'individuo. Come si può, alle soglie del 2000, agire sen­za considerare l'assistito come essere pensante e desiderante?

«Spesso le strutture sociali ancora oggi non vogliono o non possono tener conto delle enormi varianti che esistono tra un portatore di handicap e l'altro. Questo avviene sia perché difficil­mente l'handicappato riesce a prendere coscien­za di sé sia perché è più facile attuare un'assi­stenza standard piuttosto che rispettare la per­sonalità individuale. Infatti in Italia, come nel resto del mondo, ci sono innumerevoli istituti per handicappati adulti gravi in cui vengono sod­disfatti soltanto i bisogni primari quali il man­giare, il dormire e la pulizia (a volte insufficiente). Altre necessità fondamentali come l'istruzione, il lavoro e il recupero delle capacità residue so­no per lo più ignorate. In questi luoghi la persona con handicap è ridotta allo stato vegetativo, non ha alcuna possibilità di affermare che la sua vita è degna di essere vissuta; viene considerata un numero, se non addirittura "merce umana", co­me ebbe a definirla tempo fa il direttore di uno di questi istituti. Non penso di esagerare dicendo che alcune di queste case, considerate di cura, sono dei veri e propri lager nei quali si vive sol­tanto nell'attesa della morte. (...) So con certez­za che in molti istituti oltre alle violenze morali provocate dal personale insoddisfatto economi­camente, e a volte aggressivo, si effettuano vio­lenze sessuali da parte di handicappati meno gravi al danni di chi non si può muovere».

 

 

AA.VV., Dipendenza e servizi territoriali, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 1988, pp. 118, L. 15.000.

 

Mentre vi sono persone che nella terza età continuano a svolgere funzioni sociali, anche importanti, ve ne sono altri che sono deprivati del loro ruolo. Si tratta soprattutto di ex lavora­tori dipendenti.

Molti di essi sono destinati a dover conclu­dere la loro vita in un ricovero assistenziale.

A questo proposito gli Autori del libro (Guglielmo Giumelli, Pierangelo Aresi, Bruno Chizzoli, Luciano Marella) affermano: «L'insistenza sulla negatività del ricovero e sulla dipendenza "da ricovero" non ci pare sia fuori luogo. La sua negatività non è, infatti, ancora "consegnata" al passato, alle Workhouses inglesi, agli ospe­dali per poveri francesi, alle Pie Case degli schifosi. Al contrario, è ancora patrimonio delle "Ville per anziani" moderne. Il ricovero continua a sussistere magari con modificazioni di faccia­ta e non qualitative (o se modificazioni si sono avute, non sono state qualitativamente significative), e continua a essere funzionale poiché "cristallizzando le situazioni di fatto, non incide sui meccanismi socio-economici che le causano" ».

«Il ricovero in istituto continua a perseguire l'obiettivo di separare gli anziani - quota debo­le della popolazione (non la sola) non più funzio­nale - dalla società civile e sancire una vera e propria "rimozione di tutto ciò che non è più organico alla società"».

«Del resto anche una parte consistente della letteratura ha da tempo denunciato e documentato con forza e drammaticità, quali conseguen­ze del ricovero in istituto, il progressivo deterioramento delle condizioni fisiche, psichiche e sociali degli ospiti, t'aumento della dipendenza, e, quindi, la negatività di tale servizio».

Il volume riferisce, inoltre, in merito alla situazione dei servizi socio-sanitari dell'USSL 35 della Regione Lombardia.

 

 

C. CORNOLDI - R. VIANELLO, Handicap, autonomia e socializzazione, Juvenilia, Bergamo, 1990, pp. 143, L. 32.000.

 

Il volume - curato da Cesare Cornoldi e Renzo Vianello, dell'Università di Padova - riporta le relazioni base presentate al congresso internazionale sul tema «Handicap, autonomia e so­cializzazione», promosso dal CNIS (Coordina­mento nazionale insegnanti specializzati) e te­nutosi a Bergamo nel novembre 1989 (la parte «operativa» degli incontri, relativa ai workshop attivati in congressuale, verrà pubblicata in un altro volume).

Più che la semplice trascrizione degli atti con­gressuali, il libro si caratterizza per una risiste­mazione del materiale stesso che cerca di fare il punto su due temi fondamentali per quanti oggi si occupano di integrazione scolastica, la­vorativa e sociale (i concetti di «autonomia» e di «socializzazione»), approfondendo alcuni aspetti della psicologia e dell'educazione dell'handicap ancorati alla ricerca sperimentale.

Sharon Landesman e Craig Ramey, della North Carolina University, presentano alcune idee­chiave che dovrebbero ispirare la ricerca nel campo del deficit intellettivo negli anni '90, sof­fermandosi sulla necessità di una ridefinizione dell'handicap stesso e sull'opportunità di con­siderare costantemente la persona handicappa­ta in relazione al suo ambiente.

Andrea Canevaro, ordinario di Pedagogia spe­ciale all'Università di Bologna, offre un contri­buto importante per distinguere «handicap» da «deficit» e sulle possibili logiche che possono consentire la riduzione degli handicap. Ma, soprattutto, sviluppa un terzo punto che riguarda le risorse a cui fare ricorso per una effettiva integrazione. Si tratta di risorse umane e di risorse materiali.

Contrariamente a quanto correntemente si pensa, al primo posto Canevaro non pone le «nuove tecnologie», cioè quegli ausili che la rivoluzione elettronica ed informatica pone oggi a disposizione.

Le risorse umane - sostiene il pedagogista - vanno ricercate, innanzitutto, nello stesso handicappato, nei coetanei e in coloro che sono più prossimi a una persona handicappata, nei «tecnici grezzi» (gli stessi familiari e tutti co­loro che possono mettere in campo competenze derivanti dalia loro esperienza di vita), i profes­sionisti; fra le risorse materiali, l'autore indica l'ambiente, i materiali «domestici» e «poveri» e solo alla fine gli strumenti «speciali».

Di particolare interesse, la relazione di Renzo Vianello che offre una sintesi delle ricerche sullo sviluppo della personalità negli insufficien­ti intellettivi e sul ruolo determinante che può derivare da una effettiva integrazione. «È emer­so - sostiene, fra l'altro, l'autore, citando ricer­catori anglosassoni - che quando un ritardato è in coppia con un normale di pari età cronologica si hanno un numero doppio di integrazioni posi­tive (...) e lo stesso numero di integrazioni ne­gative di quando egli è in coppia con un altro ri­tardato».

Fra gli altri interventi riportati nel libro: quel­lo dì Sidney W. Bijou (una delle maggiori auto­rità mondiali nel campo degli interventi sui sog­getti handicappati), di Chries Kiernan (leader nella ricerca in Gran Bretagna) e di Salvatore Soresi, dell'Università di Padova. I primi due approfondiscono rispettivamente i temi dell'au­tonomia e della socializzazione; il terzo affronta il problema della organizzazione dei servizi.

Centoquarantatrè pagine particolarmente utili a quanti vogliono conoscere nuovi orientamenti culturali, pedagogici e operativi per integrarli con quelli di altre «scuole», con l'obiettivo specifico di migliorare gli interventi a sostegno della piena integrazione degli handicappati.

MARIO TORTELLO

 

 

ROMANO MASINI - LIA SANICOLA, Avviamento ai servizio sociale, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1988, pp. 229, L. 24.000.

 

Il volume affronta, fra l'altro, i temi relativi ai fondamenti e principi del servizio sociale, la legislazione, le politiche del welfare state, l'as­setto metodologico dell'assistente sociale, le dimensioni e caratteristiche del processo di aiu­to e gli strumenti operativi del servizio sociale.

In primo luogo osserviamo che la legislazio­ne è analizzata senza tener conto delle disposi­zioni non attuate o applicate in modo palese­mente difforme o contrario rispetto alle norme approvate.

Convince per nulla l'affermazione degli Autori secondo cui: «l'assistenza sociale si può defi­nire come l'insieme delle attività messe in atto dalle istituzioni sociali per intervenire in quei settori e nei confronti di quei cittadini che altri­menti rimarrebbero esposti ad uno stato di bi­sogno perché non coperti dal sistema previden­ziale». Infatti non sono tutelati dal sistema previdenziale - e giustamente - la scuola, la sanità, la casa, i trasporti e non può dirsi che si tratti di funzioni di assistenza sociale.

Altra affermazione non suffragata da riscontri reali è la seguente: «L'assistenza sociale deter­mina il nascere di un vero e proprio diritto sog­gettivo».

Ancora. Non siamo riusciti a individuare in quali articoli del DPR 616/1977 riguardanti l'as­sistenza sia stabilito: «il diritto alla partecipa­zione di tutti i cittadini e non solo degli utenti» e sancita «l'universalità delle prestazioni, nel senso di essere rivolte alla generalità della po­polazione, senza distinzione tra "poveri" o "di­versi" e senza dover essere vincolati alla discre­zionalità dell'amministrazione».

Fra l'altro, leggi che sancissero il diritto alla assistenza sociale per tutti sarebbero contrarie alla Costituzione, come risulta evidente se si tiene conto che il primo comma dell'articolo 38 della Costituzione stessa recita: «Ogni citta­dino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi ne­cessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale».

Circa la partecipazione, ci sembra azzardato quanto scrivono gli Autori e cioè che essa «è prescritta dalla legislazione vigente», in quanto non ci risulta che vi siano norme vincolanti per le amministrazioni.

Inoltre non condividiamo l'affermazione se­condo cui l'assistente sociale è un «operatore territoriale (che) ha il precipuo compito di con­tribuire a creare un progetto di tutela contro le diseguaglianze».

Ci sembra che questo compito spetti alle am­ministrazioni. A questo riguardo, riteniamo un er­rore molto grave attribuire agli operatori respon­sabilità che non hanno, né possono assumere, er­rore che può avere ripercussioni negative sugli operatori stessi e sugli utenti.

 

 

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